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Autore: DarkYuna    08/01/2015    7 recensioni
Nel terrificante silenzio della notte, dove l’unico rumore proveniva dal battere terrorizzato del mio cuore, capii che quel giorno tanto temuto era infine giunto: l’esilio del Principe Nuada, lancia d’argento, figlio di Re Balor, era terminato e adesso la sua rivalsa si sarebbe compiuta.
Genere: Azione, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Principe Nuada, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1. 








 
Fuori le gocce di pioggia avevano preso a ticchettare cadenzate sull’asfalto sdrucciolevole, non appena avevo messo piede fuori dal ristorante, andando sempre più aumentando, fino ad esplodere in un tipico acquazzone invernale.
 
 
Ma non era inverno e l’estate, la più fredda degli ultimi cent’anni, era quasi giunta al termine: cinque giorni all’equinozio d’autunno. Non feci molto caso ai nuvoloni minacciosi che si erano addensati nel manto oscuro, poiché non era accaduto altro negli ultimi mesi. Solo in un secondo momento, lo interpretai come uno sventurato segno del destino.
 
 
Stavo attenta a dove mettevo i piedi, nel percorrere la via polverosa nel sottosuolo di Manhattan, adiacente alla linea della metropolitana. Vi erano poche luci che rischiaravano il percorso dissestato e la pavimentazione rovinata.
L’odore stantio di putrido, bagnato e spazzatura, era un fetore difficile da sopportare, tranne per chi era abituato, come me. Tenevo tra le mani la busta colma di viveri e bevande, comprate nel pomeriggio, durante la pausa, e saltellavo tra un sasso e l’altro, evitando piccole buche o sudiciume ammassato. Canticchiavo nel silenzio del sotterraneo, spezzato solamente dal fischio delle metropolitane sulle rotaie, che passavano ad una velocità tale, da farmi perdere l’equilibrio e scompigliare i lunghi capelli neri.
 
 
Svoltai l’angolo e percorsi il breve corridoio freddo, bagnato e ricoperto da ciottoli rotti, fino a quando un rumore familiare mi impose di smettere di cantare.
 
 
L’eco di una spada che trafiggeva, affondava e tagliava l’aria, rimbombava minaccioso e cupo sulle pareti umide e un sorriso nacque spontaneo sulla bocca. Affrettai il passo, per assistere ad uno spettacolo che amavo in modo viscerale.
La sera, una volta uscita dal turno di lavoro, cercavo di arrivare in tempo e spesso, come stavolta, ero fortunata.
 
 
L’ombra nella pozzanghera dinanzi a me, lo anticipava, faticando a replicare le esatte azioni mortali ed inesorabili. Nella mente un miliardo di immagini, scaturite dai residui dei miei ricordi, agglomerava un bisogno spasmodico di incontrare la ragione per cui, la maggior parte delle persone che conoscevo, mi consideravano strana e una ragazza da evitare.
 
 
Nuada era al centro del suo rifugio segreto, torreggiante e maestoso, proprio sotto il fascio di luce bianco che filtrava dal tombino sopra di esso e lambiva la lunga chioma platino, zuppa. Fu impossibile per me non restarne incantata, come la prima volta che lo incontrai.
Rivoli di pioggia fangosa, colavano di frequente dalle fenditure della strada e gli scivolavano addosso, tuttavia lui restava in silenzio, fermo in una calma apparente, concentrato sull’allenamento duro che eseguiva ogni giorno, come se solo in quel modo riuscisse a placare momentaneamente la rabbia che regnava sovrana nel cuore di tenebra.  
 
 
Mi dava le spalle, ma ero consapevole che avesse percepito il mio arrivo da qualche minuto, ma che non si sarebbe fermato per darmi un caloroso benvenuto.
Non era da Nuada avere simili cortesie, per nessuno, nemmeno per me. Il Principe degli Elfi che odiava gli umani… ed io ero solo una misera umana.
 
 
No, lui era un guerriero, dall’animo gelido, vissuto in un solitario esilio, bisognoso di vendetta e sangue e sapevo che presto o tardi, sarebbe giunto il terrificante momento in cui sarebbe risalito nel mondo, per distruggerlo. Le sue mani erano sporche di sangue e sarebbe stato presto di nuovo così.  
 
 
La pelle cerea della schiena nuda, era cosparsa di cicatrici di varie grandezze, reminiscenze indelebili di guerre combattute dalla lancia d’argento che teneva salda nella mano destra, pronta a stroncare altre vite, seminare distruzione e supplizio. Fece roteare lesto la picca, in una coreografia letale, piantando la lama con un movimento preciso e pericoloso.
Il tempo smise di scorrere e si inchinò al suo cospetto, mentre una danza mortale veniva eseguita dal Principe e il mio cuore tuonò affranto nel petto, battendo per un amore malsano che avrebbe portato solo sofferenza e rovina.
 
 
I muscoli sodi erano tesi, guizzanti, sotto la pelle bagnata e assecondavano gli ordini del crudele padrone, mentre dimostrava una bravura innata nell’uccidere chi si trovava sfortunatamente sul suo cammino.
Proseguiva così per ore, come se volesse spingersi verso il limite della follia e superare se stesso, per affermare una superiorità palese, che non aveva bisogno di rivendicare. L’ira guidava le azioni e non vi era altro che quel sentimento in lui… sentimento con cui si nutriva, abbeverava, respirava, toccava, sentiva e che aveva finito per avvelenare il suo sangue.
Viveva per finire ciò che non aveva compiuto l’ultima volta e non avrebbe trovato pace fino a quel momento. 
 
 
Restavo sempre attonita e senza fiato, dinanzi a quello spettacolo esiziale, cosciente che, anziché venerarlo nel suo folle delirio, avrei dovuto fermarlo con ogni mezzo a mia disposizione, a costo di morire nel tentativo.
 
 
La lancia turbinò ancora, prima di cessare il famelico ballo, ancora una volta a digiuno di vittime e Nuada si voltò deciso verso di me.
La spaventosa bellezza mi si riversò addosso, ghermendomi il cuore e squarciando un’anima già in brandelli dal rimorso di aver voltato le spalle alla mia razza, per prendermi cura di un essere assetato di sangue umano.
 
 
La quiete dopo l’agghiacciante tempesta, venne troncata dal transitare di una metropolitana e i neon illuminarono le iridi gialle del Principe. Le pupille nere erano dilatate e mi fissavano rigide. L’adrenalina fluiva nel corpo nerboruto e solo un leggero affanno gli espandeva e riduceva la gabbia toracica.
 
 
Sorrisi, mio malgrado, anche se non avrei ricevuto alcuna gentilezza in cambio.
<< Ti ho portato da mangiare. >>, esordii, con la gola secca, per tirarmi fuori dall’impaccio di idolatrarlo come un Dio tra i mortali e nascondere l’espressione rapita dipinta sul viso. Ero così innamorata, che mi odiavo per essere arrivata al punto di non poter aspettare nemmeno il trascorrere di un abituale giorno, per poterlo vedere.
 
 
Avevo superato il confine del non ritorno, nel momento in cui mi ero accorta che la normalità era un vestito che calzava stretto e la straziante smania di lasciare ciò che mi legava agli umani, per vivere in una realtà che non mi apparteneva, era divenuto un pensiero costante. Giudicavo i mortali con asprezza e ragionavo come se non appartenessi più a loro, anche se, fondamentalmente, restavo umana e ne ero penalizzata. 
 
 
Avanzai fino al vecchio ripiano sporco, scavato nella pietra del muro e appoggiai la busta accanto al fuoco accesso e crepitante. Spostai da una parte le catene arrugginite per far posto alle uniche cose colorate all’interno del rifugio e provai a dare una formazione ordinata al cibo inscatolato.  
 
 
Non aveva parlato e fu come se non esistesse, ma sapevo che era in grado di muoversi furtivamente, così feci finta di nulla e proseguii nelle quotidiani e ripetitive azioni, che compivo una volta giunta nel nascondiglio.
Cercai le pentole trasferite in precedenza e quell’innaturale quiete, creò un pesante imbarazzo, che mi obbligò a cercarlo, per poi pentirmi di averlo fatto.
 
 
I bagliori provenienti dalla superficie, sfioravano il corpo massiccio e appetibile, ora completamente nudo, che asciugava via il sudore e le gocce di pioggia, con uno degli asciugamani portati da me.
Provai con tutte le mie deboli forze a distogliere lo sguardo, per evitarmi una prematura morte per infarto, tuttavia gli occhi restavano cuciti su di lui, assaporando ogni piega, cicatrice, rotondità e perfezione, che si presentava alla mia vista impreparata, privo di alcuna vergogna.
Anelai impetuosa di poter essere la pioggia che viveva su di lui o la stoffa spugnosa dell’asciugamano che tamponava su di sé. Qualsiasi cosa, purché avessi la medesima opportunità di godere di quel contatto così intimo.
 
 
Divoravo con gli occhi ogni centimetro di quel fisico splendido, vigoroso, dalle spalle larghe, i bicipiti gonfi, i fianchi stretti e le gambe possenti. Dimenticai perfino il mio nome, dove mi trovavo e che giorno fosse.
Per quanto ricordassi, quella era la prima volta che si denudava in mia presenza, episodio mai accaduto in precedenza e alquanto bizzarro e, mentre rimuginavo su ciò, per sbaglio colpii il vetro di una delle ampolle dei suoi esperimenti. Quella tintinnò e mi portò allo scoperto.
 
 
Abbassai prontamente le palpebre sulle mani tremanti, giusto pochi secondi prima che si accorgesse che lo stessi osservando avida, eppure fui sicura che Nuada sapesse. Lo immaginavo quasi sorridere, cosa più impossibile che rara.  
 
 
In realtà era difficile nascondergli qualcosa, dotato di quell’odioso potere di riuscire a leggere chiunque toccasse, per questo aspettavo di sentire le forti mani sulle mie spalle, come faceva di solito, per rendersi conto di che tipo di pensieri impuri affollassero la mente di una stupida ragazzina. In alcun modo riuscivo a zittire la fantasia loquace, che proponeva scene fin troppo vivide e sconvolgenti.  
Nonostante detestassi quella capacità, era proprio grazie ad essa, che Nuada mi aveva risparmiato la vita e mi aveva concesso l’opportunità di occuparmi di lui fin da quando ero bambina: un portale verso l’esterno.
 
 
<< Ti sento turbata, Sonia. >>, sussurrò la voce calda, bassa, modulata,  prettamente maschile, ma più vicina di ciò che aspettassi.
 
 
Alzai il capo, fissando le crepe gocciolanti davanti a me e perfino il sangue bollente reagì a quell’aspettativa di avvertire il suo calore, mischiarsi con quello della mia pelle. Era un desiderio lancinante e doloroso, che aveva bisogno di trovare sollievo.
Il respiro si spezzò in gola e lo percepii attorno a me, come se ogni oggetto, muro e ciottolo che componeva il rifugio, fosse impregnato della sua essenza di fuoco.
 
 
<< Sono solo stanca: è stata una lunga giornata. >>, mentii spudoratamente, sicura di essere già stata scoperta. 
Fallii miseramente per tre volte, nel tentativo di aprire la lattina di zuppa da riscaldare e maledii muta il tremore eccessivo delle mani.
Sbuffai sonora, cercando disperata di scaricare quella tensione che mi scorreva elettrica nelle vene e ritrovare un briciolo di lucidità.
 
 
D’improvviso le braccia del Principe si avvolsero attorno a me e il petto accogliente aderì perfetto alla mia schiena, stabilendo una vicinanza conturbante e a cui non ero preparata.  
Le dita cercarono le mie e i polpastrelli sostarono su di esse, accarezzandole lentamente. Il respiro tiepido sfiorava il mio collo sensibile e un miliardo di brividi esplosero dentro di me.
Ora era a conoscenza dei pensieri torbidi.  
 
 
<< Che cos… >>, iniziai a domandare, ma lui parlò e lasciai cadere la frase, rispettando la posizione nobiliare che ricopriva.  
 
 
<< Ho sempre dubitato degli umani… sempre. Così avidi, subdoli e crudeli…. poi sei arrivata tu. Uguale nell’aspetto, ma diversa nell’anima. Non sei come loro e non sei come noi: hai il meglio di entrambe le specie, ma sei sospesa tra due razze. Un raggio di luce nell’oscurità… il mio raggio di luce, in quest’oblio perpetuo. >>, calcò la parola “mio”, come se il nostro rapporto fosse mutato d’un tratto e si fosse evoluto, nella maniera che avevo sempre sperato.
 
 
Non potevo frenarmi dal fantasticare la bocca corvina che si premeva sulla mia, così come la sua voglia, placata dal mio corpo.
 
 
Nuada mi obbligò a poggiare il barattolo, per poi spingermi a voltarmi e lui era lì, le iridi gialle che miravano dritte dentro di me e uno sguardo dolce, quasi amorevole - che non gli avevo mai visto-, ammorbidire i tratti rigidi. Il corpo nudo premeva sul mio, vestito invece da diversi strati di indumenti umidi e rabbrividii involontariamente.
Il cuore pompava così lesto il sangue, che la testa prese a girarmi come una trottola e tutto il rifugio sotterraneo anche. Il rumore assordante della metropolitana che stava transitando, deflagrò nelle orecchie e le fecero fischiare forte. 
 
 
Giocherellò con una ciocca dei mie capelli corvini, sul punto di parlare ancora e la bocca socchiusa, venne umettata dalla lingua. Mi persi in quel semplice ed erotico gesto spontaneo, dicendo addio alla lucidità razionale.
<< Non hai paura di me? >>, chiese semplicemente,  ben informato delle mie riflessioni. Ripeté la prima frase, pronunciata da lui stesso, il mattino che ci conoscemmo.
 
 
Finché eravamo accostati in quella maniera intima, avrebbe letto qualsiasi cosa la mia mente scrivesse. Questa volta la domanda era erotta proprio da quelle fantasie carnali, che si specchiavano nelle iridi iridescenti e non dalla sorpresa provata da un mostro, stupito da un’umana che gli si avvicinava come se nulla fosse. 
 
 
<< Tu hai paura di me? >>, replicai a mia volta, ripetendo il copione del passato. Tenevo il mento alto ed incontrai gli occhi grandi e tristi… una tristezza che gli avevo scorto spesso in questi anni e che avrei voluto guarire con il mio amore sconsiderato. La voragine scavata nel petto era impossibile da richiudere, ma sarei stata felicissima, se mi avesse permesso di provarci.
 
 
L’espressione si intenerì.
<< Non hai l’abilità di uccidermi, mentre io sì… perché questi incoscienti desideri lussuriosi per me? Riesco ad udirli anche in lontananza. Sono un guerriero che semina morte e distruzione, tra la tua gente… sei perfino consapevole dei miei piani e nonostante questo, hai sempre provato… >>, indugiò qualche secondo, cercando l’esatta parola da usare, <<… affetto… per me. Sin dall’inizio. Neppure a quel tempo, provavi paura, ma solo curiosità per qualcuno che era diverso, ma così affine. >>.
 
 
“Affetto.”, lo aveva classificato lui, “amore.”, l’avrei chiamato io.
 
 
Azzardai a sfiorare il volto pallido, la cui luce ombreggiava le pieghe e donava uno colorito inquietante, sottolineando la crudeltà di quegli occhi, impossibili da non fissare.
Lo amavo, era solo quello che importava, la mia verità e la mia vita, non contava chi fosse o cosa volesse fare. Era davvero come decantavano i grandi filosofi della storia: l’amore era cieco e anche molto strano. Era in grado di indurti a compiere azioni imperdonabili e ad aiutare qualcuno che doveva essere ucciso.
 
 
<< Vedo cosa c’è oltre. Oltre il dolore, la rabbia e la vendetta. Vedo cosa c’è qui, Nuada. >>. Gravai il palmo della mano sul pettoruto torace, lì dove sotto gli strati di pelle, ossa e muscoli, vi era un cuore vivo e pulsante, con dei buoni sentimenti ed intenzioni. Ne ero sicura.
 
 
Bloccò il polso con una presa ferrea, ma non tanto da procurarmi dolore. Non era mai arrivato a farmi del male, anzi, spesso mi aveva tutelata, mentre andavo al Mercato dei Troll, dove un essere umano non era ben accetto.
Anche Mr. Wink, l’unico amico di Nuada in questo esilio, oltre me, mi aveva offerto protezione, a dispetto dell’aspetto mostruoso e pericoloso.
 
 
<< Non c’è niente lì. >>, commentò aspro e tornò a ripararsi prudente dentro la prigione di spietatezza e solitudine, dove trascorreva la maggior parte del tempo.
Voltò il viso da un lato e s’irrigidì.
 
 
Lo amavo anche quando si ostinava ad interpretare quella parte, da cattivo senza redenzione.
<< Nemmeno per me? >>. L’avevo solo pensato e la bocca aveva fatto il resto. Mi chiedevo dove stessi prendendo tutta questa audacia.
 
 
Uno scatto della testa e mi divorò con quelle iridi intense, profonde ed ammalianti, come se gli avessi appena dato una terribile notizia su se stesso. Il respiro gli sibilò in gola e con soverchiante delizia, un sorriso si aprì sulla bocca e ne restai estasiata, poiché credevo che mi avrebbe schiaffeggiata.
 
 
Stava sorridendo… per me.
 
 
<< Vorrei riuscire ad odiarti, come riesco con tutto il resto… eppure, per ogni sforzo, l’unica cosa che sono in grado di fare è provare lo stesso sentimento che ti pervade adesso. >>, rivelò e quasi le mie orecchie si rifiutarono di assimilare una simile confessione. Stavo ancora boccheggiando, quando Nuada si accostò agile, usufruendo dei riflessi da guerriero e premette le labbra scure sulle mie, alla ricerca di un bacio che avevo agognato da tutta una vita.
 
 
Sgranai le palpebre disorientata, frastornata ed emozionata, permettendo all’amore, a lungo frenato, di liberarsi dalle catene e di impossessarsi di me. Il cuore volteggiava frenetico all’interno della gabbia toracica e le farfalle nello stomaco, spiccarono un volo d’arcobaleno nella luce della notte.
 
 
Teneva i miei polsi fermi a mezz’aria, intanto che lo sentivo invadermi la bocca, con il suo sapore non umano, ma più dolce di qualsiasi altra cosa avessi assaporato. Un attimo dopo, le mani valenti e risolute, trovarono la stoffa degli indumenti e senza alcuno sforzo ne stracciarono il tessuto, come fossi vestita da carta velina, impaziente di togliere via l’unico ostacolo che mi teneva lontana da lui.
 
 
E tutto smise di esistere attorno a me, il frastuono provocato dall’ennesima metropolitana di passaggio, il transitare del traffico in strada, le gocce frenetiche che ticchettavano sui ciottoli, il passato colmo di orrori, il presente incerto e il futuro spaventoso, così come i pensieri negativi che mi assillavano ogni giorno.
L’unica cosa che volessi fare era vivere quel momento fino in fondo e portare nel cuore quel ricordo, poiché ogni attimo con Nuada, poteva essere l’ultimo.
Non ero pronta a dirgli addio, però era un destino inevitabile e presto sarei rimasta orfana della sua presenza. Non mi sarei ripresa mai più.
 
 
Il Principe si fermò d’improvviso e quasi mi intrappolò nella ragnatela degli occhi penetranti.
<< Sono qui adesso… >>, disse ansimando, così da spegnere il cicalare fastidioso delle mie preoccupazioni e ciò che feci fu amarlo con ogni fibra del mio essere, ed essere felice per quella notte.
 
 
Tornò a baciarmi e ricambiai, stavolta non impreparata, con più slancio, libera finalmente di poterlo toccare e stringere forte, così da avere il suo profumo addosso.
 
 
Mi issò sulle braccia possenti, tenendo fisso lo sguardo nel mio, fino al piccolo giaciglio dove riposava, e mi adagiò sui cuscini raffinati e la stola dorata, comprati dalla sottoscritta qualche settimana prima. Avevamo passeggiato insieme per il Mercato dei Troll e lui aveva accettato il regalo. Uno dei giorni in cui ero stata felice.
 
 
Nuada si sdraiò accanto a me e adesso il fascio di luce lo rendeva una creatura eterea, resa magicamente vera, da un fatale gioco del destino.
Accarezzò i miei capelli e i polpastrelli caldi percorsero il corpo sensibile, tracciando una mappa d’amore, sigillata dalla dolcezza delle sue labbra assettate.
Un gemito incontrollato echeggiò nel rifugio e adesso lui era su di me, ipnotizzandomi in un’istante privo di tempo, dove il mio Dio esisteva in lui e tutto ciò che avevo bisogno per vivere, era dinanzi la sottoscritta.
 
 
Intrecciammo le mani in una promessa eterna e trepidante attesi il momento in cui, una misera mortale ed un maestoso elfo, sarebbero divenuti una sola cosa, amandomi nella maniera che avevo anelato. Lo sentivo muoversi dentro di me, rapido, sicuro e inesorabile, proprio come quando si allenava e allo stesso modo riusciva ad essere maestoso, di una bellezza terribile, perfetto ai miei occhi, con i capelli ancora bagnati che finivano sul volto, adesso deformato dal piacere. I sospiri di godimento, staccarono via la spina del cervello.
 
 
Si spinse oltre, possedendomi in ogni maniera che la mia natura umana permetteva, facendomi sua per sempre e decretando per me l’inizio della fine. Fino a quando mi prendevo solo cura di lui, restavo bloccata nel piccolo spazio che mi aveva elargito, ma ora, dopo questo, non esisteva più un limite e ci fondemmo in un legame ultraterreno.
 
 
Più tardi, nel dormiveglia, protetta dalle coperte profumate, cercai il suo corpo nudo, così da sentirmi nuovamente completa e, mentre la lucidità fluiva in me, il tono di Nuada era tornato forte e aveva abbandonato la tenerezza che aveva usato qualche ora prima.
Non era solo e parlava piano, per non svegliarmi.
 
 
<< Mr. Wink, amico mio. >>, disse il Principe solidale e la voce calda era accompagnata dal respiro ansante di Mr. Wink. << Se qualcosa non dovesse andare come avevamo programmato, porta Sonia lontana da qui e tienila al sicuro da qualsiasi cosa. Non voglio che le mie azioni ricadano su di lei. >>.
 
 
Il grugnito di Mr. Wink fu la maniera di dargli la parola d’onore.
 
 
Nel terrificante silenzio della notte, dove l’unico rumore proveniva dal battere terrorizzato del mio cuore, capii che quel giorno tanto temuto era infine giunto: l’esilio del Principe Nuada, lancia d’argento, figlio di Re Balor, era terminato e adesso la sua rivalsa si sarebbe compiuta.   
  










Note: 
Ed eccomi qui in questa sezione, totalmente presa e rapita dal Principe Nuada. (Ho scartavetrato le ovaie a tutte le mie povere amiche, che mi sopportano e supportano xD vi amo ragazze!)  
Lo so, lo so, il film Hellboy The Golden Army è uscito nel 2008, ed io sono arrivata solo ora, ma tant'è, seguo sempre l'istinto e poi l'ho visto solamente prima di Natale, quindi mi sono fissata ora. 

So che avrei potuto fare di meglio, ma sono molto fuori fase ultimamente e quindi è uscita così questa ff. Chiedo venia!
Dico già da ora che non sarà lunghissima, che la trama è molto veloce e che tutto si svolgerà con una rapidità intensa. Spero solo che possa piacere a qualcuno. 

La storia è stata scritta, supponendo che, chiunque la leggesse avesse visto il film, quindi non mi sono soffermata molto sulle descrizioni o parti che sono palesi nel film. E' un "what if", che mi girava nella testa da qualche giorno, quindi ho stravolto un po' il copione, i tempi, le battute ed ovviamente il finale. Alcune scene sono rimaste uguali, ed ho provato a riportarle nel corso della trama. 

Il titolo della storia è dettato da una canzone (mi ispirano sempre) della mia band preferita: gli HIM. Il testo di questa canzone si abbina molto a questa storia e al Principe Nuada e Sonia. 

La copertina è stata realizzata da mio fratello, siccome io sono sempre negata! 

La storia può presentare errori ortografici, dato che preferisco non sottoporre le mie storie a nessuna Beta. 


Non accetto insulti, commenti idioti, critiche gratuite senza un vero motivo logico. Non verranno accettate nemmeno le critiche pesanti, con i "non ti offendere", sperando che io non mi offenda.Verranno segnalate al sito e poi cancellate. Se non vi piace, nessuno vi obbliga a leggere e soprattutto a commentare.

Aggiornerò lentamente, poiché, visto che sono pochi capitoli, preferisco non bruciarmeli tutti insieme. 

Ringrazio già da adesso chi commenterà o chi leggerà solamente. 


Un abbraccio.
DarkYuna.  
  
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