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Autore: ManuFury    08/01/2015    2 recensioni
Primo esperimento nel Genere Horror, siate clementi... ^^''
Cap 1# “Nel quale inizia il peggior giorno nella triste vita di Massimo
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[Partecipa al Contest a Turni: "Escape From The House" indetto da Gnrlove & Releeshahn]
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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LI’, DOVE ABITA IL MALE

 
 
Capitolo Primo:Nel quale inizia il peggior giorno nella triste vita di Massimo
 
 
Un cono di luce illuminava la strada deserta invasa dalle tenebre di quella serata finita troppo presto.
I fari in questione erano quelli di una vecchia Panda blu scuro mezza scassata, di proprietà del padre di Lucio; procedeva tranquillamente lungo la sottile lingua d’asfalto che si stendeva piatta di fronte a lui, come un grosso serpente addormentato.
Vedendo quella calma quasi innaturale, il giovane conducente aveva staccato per qualche attimo gli occhi dalla strada e li aveva spostati verso la figura al suo fianco, che si era chiusa in un ostinato silenzio, anche se il suo respiro era ancora leggermente irregolare per il panico che l’aveva colta precedentemente.
Massimo La Russa aveva fatto di tutto per ignorare quello sguardo scuro e si era stretto nelle spalle robuste, gli occhi cerulei continuavano a osservare il paesaggio piatto e sempre uguale che stavano percorrendo. Pensò che quella doveva essere l’uscita più breve nella storia dei sabato sera in compagnia.
Il giovane sospirò, chiudendo un momento gli occhi e dispiacendosi per la situazione, sapeva quanto Lucio ci tenesse a quella serata e quando aveva insistito per strapparlo alla solitudine del suo squallido appartamento in periferia, il tutto solo per passare un po’ di tempo assieme, come ai vecchi tempi e Massimo, come al solito, aveva rovinato tutto.
Dopo un mese buono di contrattazioni, erano finalmente usciti per andare a un pub di nuova apertura in piena campagna; “La Fossa” così lo chiamavano, perché era stato costruito in uno di quei vecchi rifugi antiaerei della Seconda Guerra Mondiale. Un posto che doveva essere considerato patrimonio culturale e trasformato in un museo e invece era stato trasformato in un luogo da sballo per la gioventù bruciata che sopravviveva in quegli anni… ma erano in Italia, in fondo, non si poteva pretendere più di tanto.
Fatto stava che arrivati lì, un posto per nulla raccomandabile a detta di Massimo viste le brutte facce che vi circolavano, avevano preso da bere e si erano confusi con la folla. Massimo aveva perfino abbordato una bella mora dall’ampia scollatura e poi era successo: due ragazzi poco lontani avevano tirato fuori un paio di siringhe e un cucchiaio, probabilmente per farsi di eroina, e Massimo non ci aveva visto più. Il vedere quelle siringhe ma, soprattutto, i loro aghi lunghi e sottili gli aveva fatto montare un terrore antico, bloccandogli cuore e respiro, facendogli tendere i muscoli come un animale impaurito e scattare una mano a stringersi il minuscolo tatuaggio a forma di asterisco che aveva sull’avambraccio destro. L’iperventilazione era arrivata subito dopo assieme alla sua inseparabile compagna, una crisi di nervi più che eccezionale; e con quello la serata si era potuta dire conclusa ancora prima di iniziare davvero.
Lucio aveva staccato di nuovo gli occhi dalla strada per portarli sul compagno, ripensando a sua volta a quella crisi: gli ci erano voluti minuti interi per calmarlo e per convincerlo a entrare in auto senza che opponesse resistenza, Massimo gli aveva urlato contro un paio di volte, minacciandolo di ammazzarlo se si avvicinava ancora, ma poi si era un po’ calmato, non molto, ma il necessario per caricarlo in macchina. Lo guardò adesso che era quasi tranquillo: l’aveva sempre trovato bellissimo con quella sua aria un po’ antica e trasandata che gli davano i jeans strappati muniti di bretelle nere e la camicia bianca con le maniche perennemente arrotolate ai gomiti, i primi tre bottoni rigorosamente slacciati a lasciar intravedere un assaggio del bel petto curato e la strana collana che portava sempre con sé. Non era niente di eccezionale: solo una cordicella nera a cui era stato legato un cerchio di metallo, eppure, Lucio trovava che si adattasse bene nell’insieme. Le mani grosse e la barba chiara sempre un po’ sfatta gli davano quel tocco di campagnolo, smentito subito da quel tatuaggio sull’avambraccio e dalla pettinatura: Massimo portava i capelli lunghi, tirati da un lato e con le tempie rasate, in una sorta di rivisitazione del taglio dei marines americani, per i quali film stravedeva. Di natura aveva i capelli scuri, di un bel castano intenso, ma da tempo se li tingeva dei più disparati colori: ora erano biondo spento, con qualche ciocca nera e qualcun'altra blu a ornarli, ricordi delle precedenti tinte che si erano susseguite una dietro l’altra.
Per rendere poi il tutto ancora più bello per Lucio c’erano quei suoi occhi cerulei, freddi come il ghiaccio e due piccolo orecchini d’oro, al lobo dell’orecchio destro che catturavano l’attenzione di qualsiasi ragazza.
Lucio l’aveva sempre trovato bellissimo e credeva di essersi innamorato di lui per via di quegli occhi che erano così cambiati con gli anni, diventando sempre più freddi. Dopo ciò che era accaduto alle medie e da cui era nata quella fobia per le siringhe e gli aghi in generale, Massimo era cambiato: aveva smesso di sorridere per davvero, aveva smesso di vivere e si era impegnato a scavare un profondo fosso attorno a sé, barricandosi dietro a silenzi troppo lunghi e parole non dette, come un re nel suo medievale castello fortificato.
“Me ne vuoi parlare, Max?” Tentò Lucio con un filo di voce, volendo rompere quel silenzio opprimente.
Massimo solo sbuffò, osservando distrattamente il primo edificio che vedeva nel raggio di chilometri: una vecchia casa dalle assi scure e le finestre spente, tranne una al primo piano, a indicare che il luogo non era proprio così abbandonato come sembrava; forse ci abitava qualche vecchietta oppure qualche contadino proprietario anche dei campi adiacenti.
“No.” Rispose laconico quello, accendendosi una sigaretta: ora che il terrore era passato e il respiro era tornato normale. Lucio sospirò, appena irritato a quella risposta, battendo una mano sul volante.
“Cristo, Max! Non pensi che questa fottuta storia del parliamo-per-monosillabi sia diventata un po’ troppo snervate?”
“No.” Fece l’altro, espirando una boccata di fumo, formando un grosso anello. Una vena sul collo di Lucio s’ingrossò, gli capitava spesso quando si alterava.
Una bestemmia che iniziava con un “porco” e finiva come finisco le bestemmie lasciò le labbra troppo serrate del ragazzo mentre si voltava furente verso il compagno. Massimo roteò gli occhi annoiato e si voltò a sua volta, solo che la sua attenzione, a differenza di quella del guidatore, fu catturata da un movimento repentino sulla strada.
“Attento!” Gridò all’amico che immediatamente sterzò violentemente, le ruote della macchina, direzionate a sinistra, lasciarono la strada per tuffarsi prima su un basso cotico erboso e poi in una scolina fangosa, la quale fece inclinare pericolosamente la piccola vettura su un fianco. Il tutto mentre il piccolo coniglietto che aveva attraversato la strada guardava curioso la scena, con gli occhi grandi e sbarrati e le lunghe orecchie sollevate, prima di sparire così com’era apparso.
Massimo, che non era solito mettere la cintura di sicurezza, scivolò a lato, verso Lucio e in un attimo i loro corpi furono avvinghiati, i visi vicinissimi. Lucio provò un tuffo al cuore e un calore strano a scaldargli le guance, ma si riprese a vedere l’espressione appena dolorante dell’altro.
“Spero che quello che ho ficcato nel fianco sia il freno a meno.” Commentò Massimo.
“Vedi che succede a non mettere la cintura?” Lo riprese l’amico, posandosi le mani sul petto per aiutarlo, svogliatamente in verità, a staccarsi un po’. Dal canto suo, Massimo spostò le braccia, facendo forza per scostarsi e raggiungere la portiera.
Aprirla non fu troppo complicato e in un attimo fu fuori, pronto ad aiutare il compagno a emergere dalla Panda rovesciata.
Una volta a terra ci fu qualche imprecazione e qualche vano tentativo di spostare la macchina, ma tutto si rivelò fallimentare: la scolina era troppo profonda e troppo fangosa perché riuscissero a tirare fuori l’auto con le loro sole forze, sarebbe servito di certo l’aiuto di qualcuno, un qualcuno munito di carro attrezzi possibilmente.
“Senti… - iniziò Massimo, accendendosi un’altra sigaretta, tutta spiegazzata per l’incidente, - ho visto una casa non lontano da qui, si potrebbe provare a chiedere se hanno un telefono, che ne dici?”
“Mi sembra una buona idea, anche perché ho il cellulare scarico.” Non chiese nemmeno all’amico visto che sapeva che non aveva mai dietro il suo cellulare e dire che era un apparecchio così comodo… specie in situazioni come quelle.
Dopo aver controllato che entrambi stessero bene, si avviarono lungo la strada. Lucio gettò qualche breve occhiata alla macchina per poi concentrarsi sull’amico: era così calmo e aveva appena subìto un incidente, poi vedeva un ago e andava in iperventilazione come una donna a cui si sono rotte le acque; alle volte avrebbe voluto capirlo, ma Massimo era sempre stato troppo distante, troppo avvolto dal ghiaccio e dai silenzi per parlare con lui. E dire che c’era stato un tempo in cui Massimo rideva e scherzava, in cui era l’anima della festa… poi tutto era cambiato e quel tatuaggio glielo ricordava ogni giorno.
La notte in cui s’incamminavano era calma e c’era forse troppo silenzio attorno a loro, nel buio si poteva scorgere solo la figura più scura della casa, in lontananza.
“Max… - fece Lucio per colmare quei silenzi – che ne diresti di… ?”
“No. Non voglio parlare.” Rispose di nuovo freddo l’altro, non voltandosi nemmeno verso l’amico. Sapeva che si preoccupava per lui, che gli voleva bene: quel bene che andava oltre l’amicizia e che sfociava nell’amore, quello vero e puro di cui si narra nei romanzi rosa, ma certi demoni dovevano restare individuali e intimi, perché il loro peso era troppo e condividerlo non serviva veramente. A quel pensiero, si sfiorò meccanicamente il tatuaggio all’avambraccio, avvertendo una punta di dolore, lì dove c’era il cuore come gli succedeva sempre ogni volta che ricordava.
 
Che ricordava i suoi dannatissimi occhi fissi e il suo sorriso sulle labbra macchiate di sangue.
 
Fu silenzio tra loro fino all’arrivo alla casa: era di quelle grosse e vecchie, con più piani, tante finestre scure e scricchiolii ad animare ogni asse che componeva quella struttura smessa ora avvolta totalmente nelle tenebre.
“Sicuro che ci sia qualcuno?” Chiese il moro, facendo annuire Massimo.
“Sì, ho visto una luce accesa quando siamo passati prima.” Affermò ormai sul primo dei sei scalini che portavano alla veranda e alla porta dell’abitazione, seguito a breve distanza dal compagno, appena più esitante di lui, erano sempre stati così, anche da piccoli: Lucio sempre calcolatore e timoroso e Massimo sicuro e spavaldo; ricordavano un po’ la classica coppia di ragazzi sfigati dei film horror di terza categoria, ma a nessuno dei due importava davvero.
Bussarono più volte alla grande porta dell’ingresso, producendo solo scricchiolii sinistri ed echi che si perdevano tra quelle tante stanze vuote.
“Nessuno.”
“Strano.” Fu la parca risposta di Massimo, mentre bussava per l’ultima volta.
“Max…”
Massimo si voltò verso l’amico per dirgliene quattro: era stufo che si preoccupasse così tanto per lui, che volesse indagare così morbosamente sul suo stato attuale e su fatti che dovevano restare intimi, ma non disse una sola parola; vide gli occhi scuri dell’altro sgranarsi come quelli di un bambino spaventato, facendosi enormi per contenere tutto il terrore che stava provando. Aggrottò le sopraciglia pronto a chiedergli spiegazioni: non si era accorto che la porta alle sue spalle si era aperta, stranamente senza alcun gemito e dal muro d’inchiostro che gli si presentava davanti si avvertì un tintinnio metallico. Non fece nemmeno in tempo a voltarsi che delle catene nere come la notte ma striscianti come serpenti, s’avvolsero alle sue gambe, costringendole unite.
Non aspettandosi quella sorpresa, Massimo cadde prono a terra; s’issò sui gomiti e tese una mano a Lucio, fermo come pietrificato di fronte a lui, che lo solo guardava con occhi sgranati.
Massimo ebbe giusto il tempo di urlare prima che le catene lo trascinassero indietro, dentro quella casa vecchia e nel nero… che lo avvolse quando un mancamento improvviso gli fece chiudere gli occhi.
 
 
 
***
 
HOLA! ^_^
 
Eh sì, sono proprio io e mi sono data, finalmente, all’horror con questa mia prima storia originale! ^^
Sappiatelo, l’ispirazione è arrivata dal Contest a Turni. “Escape From The House” indetto da Gnrlove & Releeshahn; mi hanno dato l’incip per iniziare questa Long...
 
Cosa dovete fare? Semplice, scrivere una storia in cui presentate il vostro personaggio. Cercate di essere più dettagliati possibile, inserendo tutto quello che può servirci per conoscere ed affezionarci al vostro personaggio. 
 
Questo è l’inizio dell’avventura di Massimo La Russa (che troverete qui sotto).
Per il resto, niente… ci vedremo al prossimo capito! :P
A presto,
ByeBye
 
ManuFury! ^_^

  
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