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Autore: Goran Zukic    08/01/2015    1 recensioni
"Più volte abbiamo chinato il capo, accettato la sconfitta, issato bandiera bianca, mentre i nostri nemici diventavano forti e prendevano il potere. Mai come oggi siamo stati così deboli, così umiliati, figli di un paese segnato dalla corruzione, dalla violenza e dalla dittatura. Ebbene sì siamo deboli, ma quando guardo quella bandiera bianca io non vedo un simbolo di resa, io vedo un simbolo di rivalsa. Siamo ancora qua! Siamo parte di questa grande e bella terra ed è nostro compito proteggerla dal nemico, proteggere le persone che amiamo e le generazione future da quello che potrebbe accadere. Ora sventola una bandiera bianca, ma ora io vi dico che ben presto si tingerà di sangue e allora...sarà l'inizio della rivoluzione" disse Nikolai quasi urlando davanti a tutti i superstiti.
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Nella Russia lacerata dalla fame, dall'ingiustizia e da una situazione politica delicata, si rinnova lo scontro secolare tra Assassini e Templari, sullo sfondo della rivoluzione più sanguinosa del XX secolo.
Genere: Azione, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1911: Boschi nei dintorni di Omsk, Oblast di Omsk, Siberia

Sentì un rumore, pochi metri davanti a lei, oltre un gruppo di alberi. Si mosse lentamente, cercando di fare il minimo rumore.
La neve non la aiutava, la notte prima era arrivata una forte perturbazione da nord che aveva portato il freddo e con il gelo la neve; quella mattina intorno alla loro casa ogni albero, ogni prato, ogni fiume era bianco o gelato. Arrancando nella neve, che le arrivava alla vita, si nascose dietro un albero e sporse di lato la testa per vedere cosa aveva prodotto quel rumore.
Si alzò la frangia, che ormai le arrivava quasi agli occhi, con la mano e non credette a quello che vide.
Poco sotto di lei, ai piedi di un piccolo pendio c’era un cervo che cercava di rompere il ghiaccio per liberare un po’ di erba. Era grande, il più grande cervo siberiano che avesse mai visto, aveva un palco di corna enorme e un manto marrone chiaro.
Aveva già visto dei cervi, quando aveva sei anni, suo padre l’aveva portato oltre i confini dei boschi, oltre le colline e lì, nelle immense praterie avevano visto un intero branco, che pascolava, ma nessun cervo era paragonabile a quello che aveva sotto gli occhi.
Aveva l’adrenalina a mille, sentiva il cuore batterle all’impazzata sotto il cappotto di lana, riusciva a guardare negli occhi l’animale, come se il cervo ricambiasse lo sguardo e la stesse sfidando. Impugnò il fucile e puntò l'animale.
  “Cosa ti ho detto?” chiese una voce alle sue spalle. Il cervo, udita la voce, corse via, nella neve. Nadia ora era ferma immobile, la bocca aperta in un misto di sorpresa e delusione, non poteva credere di aver perso quel cervo, chi le aveva fatto perdere il cervo. Si girò con le sopracciglia aggrottate, i suoi occhi marroni sprizzavano odio, ma come all’improvviso il suo viso mutò e sulla sua faccia ora c’erano solo imbarazzo e una leggera linea di paura, nascose il fucile da caccia dietro la schiena e iniziò a sospirare.
Davanti a lei c’era un uomo, alto e massiccio, che la guardava dall’alto al basso con sguardo severo e serio.
“Che ti ho detto Nadia?” chiese ancora l’uomo.
Lei lo guardò con occhi dispiaciuti e rispose: “Papà, io…mi dispiace”
“Ti ho detto mille volte che non lo devi toccare” disse lui togliendole il fucile dalle mani. “Che sia l’ultima volta”
Nadia annuì con gli occhi bassi, era imbarazzata e delusa per la caccia mal riuscita e anche per aver deluso un’altra volta suo padre.
Lui la guardò e il suo volto si rilassò, mostrando compassione e un pizzico di soddisfazione.
“Non andrà lontano con questa neve” le disse lui sorridendole.
Lei alzò lo sguardo e ricambiò il sorriso, mordendosi il labbro. Quando aveva otto anni suo padre la aveva insegnato a cacciare, l’aveva portata nei boschi e le aveva insegnato ogni cosa sulla caccia. Le disse come riconoscere i funghi buoni da quelli velenosi, come costruire trappole per catturare le lepri, aveva persino imparato a salire sugli alberi e a tagliare la legna; solo una cosa non le aveva insegnato.
Un giorno trovò il fucile, un vecchio fucile risalente al secolo prima, più volte aveva visto il padre tornare la sera con quell’aggeggio in spalla e, mossa dalla curiosità lo aveva preso. Il padre la trovò mentre ci giocava e la fermò appena in tempo, le diede una bella sgridata e la mise in punizione.
Ovviamente questo non bastò per fermarla, era fatta così Nadia: curiosa, testarda e amante del pericolo, lo prese più volte e imparò a usarlo, anche grazie al fratello Sergey che le insegnò, in cambio della cena e della pulizia della loro camera per un mese.
Andava a fare pratica oltre i confini dei loro boschi, oltre il fiume, da un vecchio amico di suo padre di nome Alexandr, che lei chiamava semplicemente “Zio”. Era un uomo vecchio, che per vivere faceva il pescatore, ma che molto volentieri insegnò a Nadia tutto su come usare il fucile; era il loro piccolo segreto.
Le insegnò come impugnarlo, come sconfiggere il rinculo e infine come sparare. Poco dopo uccise la sua prima preda, una volpe rossa, che vendette a Omsk, un giorno in cui accompagnò il padre in città, ricevendo denaro, una piccola fortuna che nascose sotto il materasso.
Il padre si incamminò giù per il piccolo pendio e Nadia si accinse a seguirlo, ma venne tirata indietro per il cappuccio. “Lascia lavorare i grandi, nana” le disse il fratello scompigliandole i capelli.
Lei lo gelò con lo sguardo irritata e disse: “Sei il solito idiota”
“Ti voglio bene anch’io” rispose lui sorridendole seguendo il padre.
Fece qualche passo nella neve, attraverso il passaggio aperto dal padre e scese il pendio.
Suo padre era un formidabile cacciatore, sapeva seguire le tracce come nessun altro e prima che morisse sua moglie lo faceva di professione, per conto del sindaco di Omsk. Conosceva tutte le piante e le erbe delle zone limitrofe, conosceva tutte le specie animali e tutte le tracce che potevano lasciare ed era considerato il più grande cacciatore di tutta la Siberia.
Quando era giovane aveva partecipato a battute di caccia alla tigre, nelle zone più lontane della Russia e raccontava ai figli di come era arrivato faccia a faccia con una enorme tigre bianca e di come l’aveva lasciata andare dopo un lungo incontro tra occhi.
All’improvviso il padre fermò il passo, proprio mentre si apriva un piccolo spiazzo innevato aperto, davanti a loro. Nadia e Sergey rimasero a guardare in silenzio. Il cervo era qualche decina di metri davanti a loro, fermo in mezzo alla neve.
“Ora, guardate con attenzione” disse lui e impugnò l’arma.
Si sentì un forte sparo, alcuni uccelli volarono via dalle cime degli alberi e il cervo cadde a terra morto. Nadia era esterrefatta, non riusciva a credere che fosse ancora in grado di un tiro del genere.
“Vieni con me Sergey, aiutami a portarlo su per la collina” disse il padre al ragazzo “Nadia, tu vai a casa, prendi della legna e accendi il fuoco”
Lo guardò un po’ delusa, ma non disse niente, era già bello che suo padre non si fosse arrabbiato troppo per la questione del fucile.
“Perché sei piccola” le disse il fratello, abbastanza piano per non farsi sentire dal padre.
“Gna gna gna” canzonò lei arricciando il naso.

Era Dicembre, l'inverno stava arrivando.  
 
   
 
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