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Autore: williams    09/01/2015    0 recensioni
Antonio era il mio migliore amico.
Ho provato a scrivere una sua autobiografia.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Cosa sono quei lividi?» chiedevano sempre le maestre a scuola, e automaticamente rispondevo che ero caduto. Non volevo che nessuno sapesse del mio dolore. Era il MIO dolore, e non volevo condividerlo. Avevo sempre lo sguardo basso, cosicché nessuno potesse accorgersi dei miei occhi, quelli di un bambino che non sa più ridere. «Che lavoro fanno i tuoi genitori?» mi sentivo ripetere ogni anno all'inizio della scuola, e io non rispondevo. Mai. Mi vergognavo. I genitori degli altri bambini erano avvocati, medici, ingegneri, operai. I genitori degli altri bambini erano presenti ai colloqui con gli insegnanti, alle recite e applaudivano i loro figli. Invece, mio padre era occupato ad essere presente per un'altra famiglia. Mia madre non sapevo mai dov'era, crescendo ho capito: il perché non era mai a casa, perché quasi ogni settimana sul nostro divano c'era un uomo diverso. E così sono cresciuto. Mi servivano i soldi per vivere. Mentre gli altri si vantavano dei regali di Babbo Natale, io non sapevo se tornando da mia madre avrei avuto ancora una casa, ed una madre. Ero arrivato a 14 anni, con tanta fatica, ma ero ancora vivo, e in fondo ne ero felice. Avevo il mio gruppo di amici, ed ormai eravamo una famiglia. Otto ragazzi fantastici che mi hanno aiutato a crescere, che sono stati al mio fianco. Erano come me: avevano un passato non tanto roseo ed era quello ad unirci: il dolore. Avevamo tutti tra i 12 e 14 anni, a parte una bambina, Hilenia. Lei ne aveva 10, ma nonostante tutto era matura. É stata la prima a guardarmi negli occhi e non spaventarsi. «Perché non mi guardi mai?» mi chiese, un giorno. Ricordo che rimasi spiazziato, poi decisi di rispondere come se stessi parlando con mia figlia. «Perché sei così bella, e non riesco a non rimanere abbagliato, piccola.» Lei, però, non si lasciò intenerire e mi disse: «Tu non guardi mai nessuno. Sai, li ho visti i lividi, e non ci credo che sei caduto. Non puoi cadere sempre.» e con l'innocenza di una bambina disse «Non ti lascerò mai.» Ricordo che alzai gli occhi, e la guardai. Una piccola donna con gli occhi che brillavano, e in quel momento, dopo 14 anni, mi sentivo amato. Con i ragazzi le cose andavano bene, diventavamo sempre più uniti, e ad un certo punto abbiamo scoperto l'erba. Avevamo visto quanto eravamo più uniti, e poi era un modo per staccare. Staccare la spina dal mondo e vivere i nostri trip. All'inizio non permisi ad Hilenia di fumare, non volevo che si rovinasse. Poi scoprii che aveva chiesto a Lorenzo, un ragazzo del gruppo, di fumare. Ricordo che quella volta mi arrabbiai molto. Era una rabbia strana. Non mi ero mai sentito così. Per la prima volta, in TUTTA la mia vita, avevo paura che le potesse succedere qualcosa, non volevo perderla. Non le parlai per due giorni, mentre lei mi veniva sotto il naso a chiedermi scusa. Gli anni passavano, ero diventato maggiorenne. Eravamo tutti cresciuti. Non potrei mai dimenticarli. Da loro ho imparato tante cose: Hilenia mi ha insegnato ad essere forte, Lorenzo ad essere buono, Andrea ad essere un po' ingenuo. Tutti mi hanno sostenuto, mi hanno ripreso ad un passo dalla distruzione. Ma ci fu un giorno. Quel maledetissimo giorno. Scoprii che Hilenia, la mia bambina forte, aveva tentato il suicidio. Ero furioso, impaurito, arrabbiato con me stesso perché non avevo capito come stava. Me ne andai. Volevo stare solo. Non sapevo che fare. Alcuni amici di Firenze mi avevano invitato da loro. Non avrei dovuto andarci. Chiamai Hilenia le chiesi scusa per tutto. Lei mi rispose: «Tranquillo, posso capirti non saprei come potrei reagire se tu te ne andassi.» «Domani torno.» «Ci abbracceremo?» «Certo.» Il giorno dopo non tornai. Né dopo una settimana. Ero andato in overdose.
  
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