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Autore: PuccaChan_Traduce    09/01/2015    4 recensioni
(Nota dell’autrice) Questa avrebbe dovuto essere una piccola e tenera oneshot, ma quando ho raggiunto le 11,000 parole mi sono detta, “Ok, forse è meglio che la divida in più capitoli.” E’ dedicata alla carissima IRREL (la trovate su Tumblr! --> http://irrel.tumblr.com/), che mi ha gentilmente fornito il prompt da cui partire: "Cosa sarebbe successo se Smaug non fosse mai esistito e Kili fosse cresciuto come Principe di Erebor mentre Tauriel fosse rimasta Capitano delle Guardie Reali, e i due si fossero scoperti attratti l'una dall'altro?"
DISCLAIMER: questa fanfiction è una TRADUZIONE che viene effettuata con il permesso del legittimo autore; tutti i personaggi citati appartengono ai rispettivi autori.
Genere: Fantasy, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Fili, Kili, Tauriel
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Autrice: ChasingPerfectionTomorrow (Tumblr / FanFictions AO3)
Fandom: Lo Hobbit (film)
Coppia: Kìli/Tauriel

~

“Kì, se arriveremo di nuovo in ritardo lo Zio ci ammazzerà,” disse seccamente Fìli, tamburellando con un piede e osservando accigliato la confusione che regnava nelle stanze di suo fratello.
L’impaziente Erede era vestito di una splendida armatura in bronzo e un ricco mantello purpureo bordato di pelliccia che gli avvolgeva le ampie spalle e si allargava sul pavimento in pietra dietro di lui. I suoi capelli e la barba biondi erano stati intrecciati con gemme e perline e una coroncina d’oro gli cingeva la fronte, mettendo in evidenza i suoi bei lineamenti e il profondo cipiglio. Era risaputo che il giovane Principe, erede al trono dei Nani, era lo scapolo più desiderato sia lì in Erebor che tra la gente dei Colli Ferrosi.
E suo fratello minore non gli era da meno.
Kìli armeggiò con la chiusura del suo pesante mantello blu e riuscì finalmente ad infilarsi gli stivali. I suoi capelli scuri si arruffavano in tutte le direzioni e un livido in via di guarigione faceva bella mostra di sè sotto l’occhio sinistro insieme a un graffio rossastro sul mento, conseguenze di un finto duello spintosi troppo in là. Mentre Fìli era assennato e impeccabile, l’immagine perfetta di ciò che tutti si aspettavano da un Figlio di Durin, Kìli era incurante e sbarazzino, si cacciava continuamente nei guai e non si comportava mai come si confaceva ad un Nano del suo rango. Le donne di Erebor si scioglievano al passaggio di Fìli, questo era vero, ma sussurravano tra di loro e dietro porte ben chiuse riguardo lo spericolato fratello minore.
Kìli imprecò ad alta voce quando si punse con la bella spilla di mithril che faceva da fermaglio al suo mantello. Se non era per quella dannata armatura da cerimonia, vestirsi sarebbe stato molto più facile. Qualcuno – certo non lui – aveva lucidato il pettorale in acciaio fino a farlo risplendere come oro e la luce della torcia che vi si rifletteva lo stava quasi accecando; sospettava fosse opera di sua madre.
“Non lo farà di certo davanti agli Elfi, Fì,” rispose con leggerezza quando riuscì finalmente a chiudere la spilla, voltandosi da tutte le parti alla ricerca della sua coroncina. “Si tratterrà almeno fino a che non se ne saranno andati, dandoci tutto il tempo per scappare... ah-ah!” Balzò di nuovo nella stanza e strappò la corona dalla testa di un  vecchio manichino di legno che aveva sgraffignato tempo addietro. Vi aveva dipinto su la faccia di Dwalin, appiccicandovi poi vecchi scampoli di pelliccia a guisa di barba e capelli; aveva trascorso ore e ore prima di riuscire a rappresentare il cipiglio che caratterizzava il Nano.
“E ora, dove diamine è finita la mia spada?” piagnucolò, girando su sè stesso e calcandosi contemporaneamente la coroncina sulla testa.
“Eccola qui, palla al piede che non sei altro,” rispose Fìli, lanciandogliela addosso già infoderata. L’impugnatura colpì Kìli quasi sul naso ed egli scoccò un’occhiataccia al fratello, che si limitò a sorridere. “Allàcciatela, mentre io ti sistemo i capelli.”
Kìli armeggiò con la cintura. “Cos’hanno i miei capelli che non va?”
“Niente, se vuoi dare l’impressione di essere appena sceso dal letto.”
“Alle signore piace questo look, Fì,” protestò Kìli con occhi scintillanti, mentre il fratello gli si avvicinava con un pettine in mano.
“Nostra madre invece ti darebbe una bella tirata d’orecchi, Elfi o non Elfi,” replicò Fìli, sorridendo mentre senza pietà partiva all’attacco dei grovigli sulla testa del fratello.
Parecchi minuti – e imprecazioni – più tardi, entrambi scesero nelle sale principali in tempo per vedere la loro madre che vi giungeva a sua volta. La Principessa Dìs, avvolta in metri di stoffa dorata e impreziosita di rubini, era più raggiante del sole stesso.
“Madre,” la salutarono entrambi, prostrandosi.
La Principessa si avvicinò ai figli con un lieve sospiro, squadrandoli con occhio critico mentre essi si risollevavano. Ella assomigliava molto a suo fratello, il Re: con gli  stessi capelli corvini – in quel momento abilmente intrecciati in una complicata acconciatura – e la stessa barba poteva passare quasi per il suo gemello, non fosse stato per i lineamenti del viso più morbidi e per l’evidente profilo del seno sotto agli abiti. Era una donna affascinante e possedeva una certa aura di comando che ispirava subito rispetto.
“Kìli, perchè sembra sempre che un maiale ti abbia appena trascinato nel fango?” domandò, secca.
“Ma mi sono pettinato,” rispose il figlio sulla difensiva.
“Errore, io ti ho pettinato,” interloquì il fratello, che se la godeva un mondo. Kìli gli rifilò una forte gomitata tra le costole, dove l’armatura era meno resistente; Fìli grugnì e gli rese subito il colpo.
La Principessa sbuffò e strinse le labbra con irritazione, e i due fratelli si affrettarono ad assumere un’espressione contrita; molti temevano l’ira del Re, ma tutti paventavano quella di sua sorella. “E’ mai possibile che dobbiate sempre comportarvi come bambini?”
Era ovviamente una domanda retorica e nessuno dei due fu tanto sciocco da rispondere. Come prima cosa ella raddrizzò il mantello di Kìli, drappeggiandogli sulle spalle il broccato blu e argenteo, e lisciò il colletto della tunica di velluto che ne sporgeva. Fìli gli aveva acconciato i capelli all’indietro sistemandovi alcuni zaffiri e lei ne intrecciò con destrezza le estremità, raddrizzandogli in ultimo la coroncina in modo che gli cingesse uniformemente la fronte. La barba invece era in ordine, forse più corta della moda del momento, ma liscia e avvenente; la madre gli passò una mano sulla mandibola, un gesto tenero che le addolcì lo sguardo e le strappò un piccolo sorriso.
Quando si fece indietro, però, i suoi occhi erano di nuovo austeri. “Mi aspetto che entrambi vi comportiate nel modo migliore possibile stasera, mi sono spiegata?”
“Sì, madre,” risposero i figli docilmente.
“Dico sul serio, Kìli,” lo avvertì. “Non voglio che si ripeta quel che è accaduto durante l’ultimo Dì di Durin. La figlia di Daìn non è uscita dalle sue stanze per una settimana.”
“Ma che peccato... ahia!” Kìli si strofinò mestamente il lato della testa dove sua madre l’aveva colpito; Fìli si coprì la bocca con una mano e sghignazzò.
“Questo incontro è molto importante per vostro zio e non vi permetterò di metterlo in imbarazzo davanti agli Elfi,” sbottò lei, gli occhi pericolosamente fiammeggianti.
“Chi se ne importa di quel che pensano i dannati Elfi,” osò Fìli gonfiando il torace; ma bastò un’occhiata della madre per metterlo a tacere.
“Vostro zio sta cercando di riallacciare i rapporti con il Reame Boscoso e questo è importante per il nostro popolo, figlio mio. A volte bisogna saper mettere da parte gli antichi rancori per un bene più grande; quando sarai Re, lo capirai anche tu.”
“Certo, Madre,” rispose Fìli umilmente, ma Kìli non abboccò. Perdonare gli Elfi?! Come no! Era vero che egli non era nemmeno del tutto certo del motivo per cui la sua gente nutrisse tanto rancore verso di loro, ma non era questo il punto.
“Beh, ora basta con gli indugi,” concluse la Principessa e si diresse con grazia lungo il corridoio, seguita da un gran numero di ancelle.
“Io non ho mai visto un Elfo,” confessò Kìli al fratello alcuni momenti dopo – come se egli non lo sapesse già, visto che nella loro vita di rado erano stati separati per più di un giorno.
“Ho sentito che le loro donne sono delicate e fragili, senza barba e flessuose come alberelli in una tempesta,” rispose Fìli con fare cospiratorio mentre entravano nella Sala Grande di Erebor. Era affollata di Nani, tutti impazienti di vedere il famoso Re degli Elfi e il suo seguito; molti però s’incantarono a guardare i due Principi, sussurrando eccitati al loro passaggio.
Era da settimane che ci si preparava per quell’evento: le antiche stanze, progettate per una visita degli Elfi fin da quando tra i due popoli correvano tempi migliori, erano state tirate a lucido e rifornite di tutti i cibi più esotici che si potessero trovare nella Terra di Mezzo, e ogni corridoio e più piccolo anfratto riluceva di pulizia e splendore. Kìli pensò che tutto quello sfarzo fosse totalmente sprecato per della gente che viveva tra gli alberi.
Fece una smorfia e scosse la testa. “Scommetto che sono orribili. Spero proprio che non saremo costretti ad ospitarne qualcuno qui.”
“Ah, lungi da me la sola idea,” gli fece eco il fratello; poi si zittirono, mentre una fanfara squillante annunciava il loro ingresso nella Sala del Trono.

~

“Nipoti, Sorella,” li salutò Re Thorin, la voce vagamente sardonica che echeggiò nella Sala, ma le labbra tese in un sorriso affettuoso. Dietro di lui stava sua figlia, la Principessa Briala, riccamente vestita nel blu profondo del loro casato e bella come un mattino di primavera. Tutti dicevano che somigliava a sua madre, ma Kìli ricordava a malapena il volto della Regina: era morta quando entrambi erano ancora molto piccoli.
Fìli e Kìli s’inchinarono profondamente alla base della scalinata che conduceva al trono, imitati dalla madre. Un riverente silenzio era sceso nella Sala. Era raro che l’intera famiglia reale si trovasse insieme nello stesso momento, poichè i doveri quotidiani impegnavano ciascuno altrove costantemente, e c’era dunque una profonda solennità in quella riunione. Guardando suo zio, il petto di Kìli si gonfiò d’orgoglio: ecco un vero Figlio di Durin, austero e fiero, gli occhi penetranti e il torace ampio, la corona di Re sotto la Montagna che gli scintillava sulla testa, luminosa e autentica.
Il Re fece loro cenno di avvicinarsi con calore: si chinò a baciare la sorella sulle guance e scambiò un abbraccio con ciascuno dei nipoti. La Principessa si sedette su uno dei sedili imbottiti più piccoli, a un lato del trono, e Fìli si accomodò sull’altro, con Kìli che restò in piedi accanto a lui; Thorin si prese un momento per sussurrare qualcosa a sua figlia, che arrossì e rivolse una timida occhiata a un ignaro Fìli, e poi si sedette a sua volta. Un istante dopo la fanfara riprese, riecheggiando tra le mura della Sala, e le porte si aprirono.
Kìli strinse l’elsa della sua spada e assunse un’espressione il più possibile austera, anche se il cuore gli batteva forte in petto. Suo malgrado, era eccitato. Aveva trascorso quasi tutta la sua vita nella montagna, senza mai viaggiare lontano dai confini del loro regno, ed era ansioso di conoscere il mondo esterno; e proprio lì, quella sera, ecco che una boccata d’aria fresca proveniente da quel mondo veniva a tentarlo ulteriormente. A differenza di suo fratello, e malgrado le sue stesse parole, lui voleva sapere tutto sugli Elfi e gli Uomini e le altre creature che dimoravano nella Terra di Mezzo.
Il silenzio nella Sala si ingrandì mentre le trombe tacevano, e la corte degli Elfi fece il suo ingresso dirigendosi verso il trono. Kìli soffocò l’incredulità con un colpo di tosse quando vide che Re Thranduil indossava una corona di ramoscelli intrecciati con fili d’argento  e d’oro e un chiaro ed elegante abito di seta che somigliava sospettosamente a una veste femminile. Anche i suoi capelli e la pelle del suo viso erano chiari, i suoi occhi blu e calcolatori mentre osservava con disinteresse l’ambiente intorno a lui, e Kìli si calmò un pò; la profondità di molte epoche si leggeva in quegli occhi. Accanto a lui stava un elfo più basso, simile per aspetto e abbigliamento, con una coroncina d’argento meno vistosa, ma che avanzava con la stessa grazia e sicurezza.
“Credevo che il Re avesse un figlio,” bisbigliò Kìli all’orecchio di Fìli, il quale soffocò uno sbuffo divertito con il pugno. La loro madre scoccò a entrambi un’occhiata inceneritrice ed essi cercarono di ricomporsi.
“Nemmeno un accenno di barba,” commentò Fìli un momento dopo, ma Kìli lo sentì a malapena, poichè i due Elfi erano arrivati al cospetto del loro zio e, dopo essersi inchinati, si erano fatti da parte, rivelando la creatura più incredibilmente bella che egli avesse mai visto.
Lei – perchè era sicuro che fosse una lei malgrado la fuorviante femminilità degli uomini elfici – era rossa di capelli e anche da quella distanza si vedeva che aveva gli occhi verdi, occhi che rilucevano come i più puri smeraldi che fossero mai stati tagliati. A differenza del suo Re non indossava un abito, ma un’armatura elfica, con una spada  di fine fattura appesa al fianco e due eleganti pugnali incrociati dietro la schiena. Le curve del suo candido viso erano un pò affilate ma perfettamente disegnate, come fossero state create dalla mano di uno scultore particolarmente abile. Era più bassa rispetto al suo Re e al Principe – anche se, ovviamente, non quanto un Nano – e meno slanciata. Gli altri membri della Guardia, cinque in totale, erano simili a lei per statura e aspetto. Kìli aveva sentito dire che gli Elfi variavano tra loro almeno quanto i clan dei Nani, ma non credeva che le differenze fossero così pronunciate.
Aveva la sensazione di precipitare nel vuoto. Qualcosa di strano e indefinibile era cambiato in lui, riassestandosi in un modo che non capiva, ma che gli faceva sentire le farfalle nello stomaco.
Battè le palpebre tornando bruscamente alla realtà quando suo zio si alzò e andò incontro agli ospiti, ad indicare che dovevano seguirlo.
“Benvenuto a Erebor, Re Thranduil del Reame Boscoso,” disse gentilmente il Re sotto la Montagna con una voce profonda che riecheggiò per tutta la Sala.
“Siamo onorati di essere qui, Re Thorin,” rispose affabilmente il sovrano elfico, chinando la testa.
“Permettimi di presentarti mia sorella, la Principessa Dìs, e mia figlia, la Principessa Briala,” disse ancora Thorin con un cenno della mano, “e i miei nipoti ed eredi, il Principe Fìli,” suo fratello s’inchinò brevemente, “e il principe Kìli.”
Egli chinò il capo a sua volta ma non riusciva a staccare gli occhi dalla fanciulla elfica, che in quel momento stava osservando con attenzione l’ambiente intorno a loro, una mano sull’elsa della spada. Aveva l’atteggiamento di una guerriera, si muoveva con audacia e fierezza. Il cuore di Kìli era diventato un frastuono di cavalli al galoppo che gli rimbombava fino in testa.
“Mio figlio, il Principe Legolas,” aggiunse il Re elfico in tono casuale, come se stesse parlando del tempo. Kìli ardeva dalla voglia di sapere il nome dell’Elfa, ma Thranduil non sembrava avere intenzione di rivelarlo.
“Per favore,” disse Thorin, “consenti alla mia gente di mostrarvi le vostre stanze cosicchè possiate ristorarvi dalle fatiche del viaggio. Spero che vi unirete a noi per i festeggiamenti, in serata.”
La fanciulla elfica, forse avvertendo il peso del suo sguardo, finalmente si voltò verso di lui e i loro occhi si incontrarono. Una miriade di emozioni le attraversò il viso, troppo velocemente perchè Kìli potesse discernerne una, ed ella si affrettò a distogliere lo sguardo. Una leggera sfumatura di rosa le era fiorita sulle guance e lui non riusciva a smettere di sorridere.
“Certamente,” replicò Thranduil e tutti si inchinarono di nuovo. Il loro delegato, Balin, si precipitò in avanti con un gruppo di servitori e gli Elfi li seguirono graziosamente verso un’anticamera lì vicino. Kìli osservò trasecolato la fanciulla elfica che si allontanava, i lunghi capelli che le scendevano sui fianchi ondeggianti, e per un breve, esaltante momento ebbe l’impressione che si girasse verso di lui.

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Kìli trasse un respiro profondo e si lisciò la tunica di velluto con entrambe le mani, riaggiustandosi poi la cintura e la coroncina sulla fronte per la centesima volta. Non si era mai sentito così scombussolato in vita sua e non aveva la minima idea del perchè.
Fìli lo fissò sollevando un sopracciglio. “Si può sapere che ti prende?”
Kìli sentì che le guance gli si arrossavano e scosse la testa. “Niente.”
“Ti comporti come una timida donzella,” lo schernì il fratello mentre aspettavano lo zio e la madre nel corridoio all’esterno del Salone Principale, “e sei perfino riuscito ad essere pronto in tempo. È chiaro che c’è qualcosa che non va. Ti senti male, per caso?”
Sollevò una mano per tastargli la fronte ma Kìli gliela allontanò con una manata, accigliato. Si erano entrambi cambiati per la serata e indossavano tuniche simili, di colore blu scuro ricamate con fili d’argento e d’oro; l’unica differenza era che Fìli indossava ancora il mantello, mentre Kìli no. Quei maledetti aggeggi ti si ficcavano sempre tra i piedi durante le danze, e Kìli era notoriamente un grande danzatore. Prima di quel momento aveva pensato di trascorrere la serata a ballare con ogni damigella Nana che gli capitasse a tiro, ma adesso riusciva a pensare ad una sola dama in particolare; e quel pensiero lo faceva sentire profondamente a disagio.
Fìli aprì la bocca per schernire il fratello ancora un pò, ma in quel momento la loro cugina, il loro zio e la loro madre scesero le scale, salvandolo. La principessa Briala appariva regale e bellissima in un abito azzurro decorato con molti scintillanti diamanti, i capelli sciolti fino alla vita e il viso nudo, salvo che per le basette acconciate in due trecce sottili lungo la mandibola – una nuova moda che la loro madre non approvava del tutto. Kìli ghignò e diede di gomito a Fìli: ora toccava a lui prenderlo in giro. “Stasera la tua futura sposa è proprio carina, fratello, non trovi?”
Fìli si schiarì la gola e strascinò i piedi, in un accesso di imbarazzo che non si addiceva affatto al suo carattere.
E adesso chi è la timida donzella?, pensò Kìli con aria trionfante mentre suo fratello restava là impalato a guardare Briala avanzare verso di loro. I due erano promessi fin dalla nascita della Principessa e avevano trascorso anni interi a odiarsi, combinandosi dispetti a vicenda, tormentandosi incessantemente e riducendo il Re quasi alla disperazione; ma negli ultimi anni qualcosa era cambiato e tutti se n’erano accorti, tranne forse i diretti interessati. Erano finalmente più cortesi l’uno con l’altra ma c’era sempre un certo imbarazzo tra loro, non si guardavano mai in faccia e in genere si evitavano il più possibile.
Kìli, sentendosi stranamente magnanimo, spinse il fratello in avanti; Fìli incespicò, ma si riprese subito e andò incontro alla Principessa.
“Mia signora,” mormorò e, in una rara dimostrazione di audacia, le prese una mano sfiorandola appena con le labbra in un rapido bacio; Briala divenne rossa fino alla punta delle orecchie, ma gli rivolse un sorriso luminoso e accettò il braccio che egli le porgeva. Accanto a loro, il Re e la loro madre parevano quasi scoppiare dalla soddisfazione.
Kìli poteva anche non esistere più per quel che concerneva il gruppo, che si avviò dietro al Re, cosa di cui egli fu grato; stava avendo una specie di crisi esistenziale.

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La fanciulla elfica stava alle spalle del suo Re, fiera, eretta, assolutamente affascinante... e del tutto ignara della sua esistenza. Occorse a Kìli uno sforzo supremo per evitare di fissarla durante tutto il pasto, non faceva che rigirare il cibo nel piatto con un’aria imbambolata. Era talmente distratto dalla sua presenza che non si accorse minimamente della tensione che aleggiava sulla tavola fino a che Re Thranduil non la chiamò con un cenno, sussurrandole poi qualcosa nella loro lingua fluida; ella annuì brevemente e se ne andò.
Kìli la vide allontanarsi con uno strano senso di oppressione al petto, notando come i capelli di lei si accendessero di riflessi fiammeggianti quando passava vicino alle torce. Come se si fosse appena svegliato da una sorta di trance guardò il Re elfico, prendendo nota solo allora della sua espressione dura e del suo strano silenzio; c’era inoltre una piega profonda tra le sopracciglia di suo zio e sua madre teneva le labbra contratte. Anche Fìli stava fissando il piatto, ma il suo sguardo vagava spesso all’altro lato del tavolo dov’era seduta la Principessa Briala, silenziosa e contemplativa. Kìli inarcò le sopracciglia, confuso: evidentemente si era perso qualcosa.
Alcuni istanti dopo un altro Elfo venne a prendere il posto dell’attuale oggetto della sua attenzione – rifiutò di prendere in considerazione le implicazioni di quel pensiero – ed egli si schiarì la gola, scusandosi in silenzio. Solo sua madre girò gli occhi verso di lui vedendolo alzarsi da tavola, mentre suo zio si limitò ad un cenno indifferente.

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Non si poteva certo dire che Kìli fosse giunto fin lì con la precisa intenzione di cercare la fanciulla elfica; gli era semplicemente venuta voglia di fare una passeggiata fino alle torri merlate... dopo aver chiesto innocentemente ad una guardia se gli fosse capitato di vedere un’Elfa dai capelli rossi passare da quelle parti. Sì, era solo un caso che ora si trovasse lì da lei.
Ella era in piedi con le mani poggiate sui parapetti che orlavano le grandi Porte di Erebor, il viso rivolto al cielo notturno e gli occhi che riflettevano la luce argentea della luna con perfetta chiarezza. Sembrava un sogno, o una visione; era troppo bella per essere vera.
“E’ scortese fissare le persone, Nano,” disse freddamente in quel momento, facendolo trasalire e spezzando l’incantesimo.
Egli arrossì e si schiarì la gola, uscendo dall’ombra ed emergendo nel cono di luce emesso dai bracieri accesi. “E’, ehm... una bella serata,” farfugliò, rendendosi conto solo in quel momento che non aveva ancora pensato a cosa le avrebbe detto. L’intera faccenda era pazzesca in ogni caso, lo sapeva bene, ma proprio non era in grado di dire cosa gli fosse preso. Era semplicemente curioso di sapere qualcosa sulla sua cultura, si disse; esatto, era solo questo.
Ella non si girò verso di lui. “E’ confortante essere uscita dal peso della montagna,” rispose.
Kìli aggrottò la fronte. “Stare sotto terra ti mette tanto a disagio?” Ora che era così vicino a lei, stabilì che la sommità della sua testa doveva arrivarle almeno alla base del mento; non è poi una differenza così eclatante, sussurrò la sua mente a tradimento.
“Ho trascorso tutta la mia vita nella foresta, con le stelle sopra di me; è strano ritrovarmi ora sotto terra, senza la loro luce.” Finalmente si voltò a guardarlo e allora arrossì, gli occhi sgranati, facendogli subito dopo un profondo inchino. “Ti chiedo perdono, altezza, non mi ero resa conto con chi stavo parlando.”
Lui si massaggiò timidamente la nuca. “Per favore, non scusarti. Sono curioso di conoscere il punto di vista di uno straniero sulla mia casa.”
Ella lo guardò esitante. “Ti assicuro, altezza, che non intendevo mancarti di rispetto, Erebor è magnifica e la tua gente è stata molto ospitale con noi.”
Sembrava quasi che stesse recitando una formula mandata a memoria e Kìli non potè fare a meno di ridere, il che la indusse ad assottigliare gli occhi. “Chiamami Kìli, per favore. E dicevo sul serio: m’interessa conoscere la tua opinione, la tua sincera opinione.”
La fanciulla inclinò la testa e tornò a guardare il cielo notturno. “E’ molto bello qui, solo... strano. È sconcertante alzare gli occhi e trovare solo buio e vaste caverne invece che le stelle e il cielo.”
Kìli si appoggiò a uno dei bastioni e incrociò le braccia sul petto, ostentando una sicurezza che non sentiva affatto. “Le stelle significano tanto per voi da fartene sentire la mancanza dopo sole poche ore, mia signora?” Non si era mai trovato in difficoltà a parlare con una donna, ma adesso aveva la bocca secca e non trovava le parole.
Lei strinse le labbra, riflettendo, e guardò ancora il cielo. “Il mio popolo considera sacra qualsiasi fonte di luce, ma... gli Elfi Silvani adorano in particolare quella delle stelle.”
Stranamente colpito, egli seguì il suo sguardo fino agli astri. “A me è sempre sembrata una luce fredda e remota.”
Con la coda dell’occhio la vide scuotere la testa. “E’ la luce della memoria, di tutte le ere trascorse e svanite. A volte, nelle lunghe ore della notte, cammino lì, al confine tra questo mondo e l’altro, dove c’è quella sola luce, preziosa e pura.” C’era una tale profondità e passione nelle sue parole che egli ne fu catturato suo malgrado, ancora una volta ammaliato dal suo strano incantesimo.
“C’è una caverna qui, noi la chiamiamo il Giardino della Regina, che dicono rispecchi il cielo notturno,” bisbigliò goffamente, facendola girare interessata verso di lui. “Ora che non c’è più una Regina sul trono in pochi ci vanno, ma è un posto stupendo. Le gemme e l’argento della volta superiore catturano la luce delle torce di modo che tutta la stanza luccica e brilla.”
Lei gli sorrise e i suoi lineamenti si ammorbidirono; per la prima volta gli apparve tangibile, reale, e il respiro gli si mozzò in gola. “Sembra meraviglioso, altezza; vorrei poterla vedere.”
“Potrei accompagnarti lì,” rispose subito lui, improvvisamente ansioso di mostrarle le meraviglie del suo regno. Voleva farle vedere le grandi fornaci dove il fuoco non si spegneva mai e le immense miniere da cui la sua gente estraeva pietre preziose come si colgono i frutti dagli alberi. Voleva mostrarle le botteghe in cui si creavano spade e armature, ma anche quelle in cui si fabbricavano complessi giocattoli e magnifiche opere in pietra e metallo. Avrebbe potuto mostrarle la grande biblioteca, con i suoi tomi rilegati in cuoio e le pergamene perfettamente organizzate, e poi i livelli inferiori, dove viveva la maggior parte del popolo e dove si teneva il mercato, sempre affollato di venditori e di gente festante che faceva musica e canti.
Ma il viso di lei s’indurì di nuovo e distolse lo sguardo. “Temo che non sarebbe appropriato, altezza. Io sono il Capitano della Guardia Reale, i miei doveri non lo consentirebbero.”
“Certo,” mormorò Kili, sentendosi sciocco e deluso al tempo stesso.
Lei gli rivolse un’altra occhiata, la sua espressione era indecifrabile. “Ora devo andare. Ti auguro una piacevole serata, altezza.”
Egli si inchinò brevemente. “Altrettanto a te, mia signora. Spero che avremo di nuovo occasione di parlare.”
Lei arrossì e si avviò; ma dopo pochi passi si fermò, esitante, e si volse ancora una volta verso di lui. “Il mio nome è Tauriel,” disse piano. “E’ meglio che ‘mia signora’.” Gli fece un breve, ma caldo sorriso che lo colpì al cuore come una freccia, e sparì prima che lui trovasse qualcosa da risponderle.
“Tauriel,” sussurrò Kìli tra sè e sè, guardando le stelle come se le vedesse per la prima volta.

~

Due giorni trascorsero prima che la rivedesse.
Erano stati risucchiati in una lunga e tediosa riunione per tutta la mattinata e l’attenzione di Kìli non faceva che vagare altrove, rivolta soprattutto verso una persona in particolare. Ella stava in piedi dietro al suo Re, come sempre, proprio all’estremità del tavolo rispetto a lui. Balin non faceva che parlare e parlare mentre un Elfo dai capelli scuri prendeva nota di tutto quel che diceva; qualcosa a proposito di barili, apparentemente. Ma Kìli non ascoltava più, e persino Fìli sembrava annoiato a morte.
Si appoggiò allo schienale della sedia incrociando gli occhi di Tauriel e le sorrise. Lei arrossì e avrebbe distolto lo sguardo, se non fosse che in quel momento egli si lanciò nella sua famosa imitazione di Balin, e riproduceva così bene i movimenti e le espressioni dell’anziano Nano che ella lo gratificò di una risatina, che tentò di mascherare con un colpo di tosse. Balin, da tempo avvezzo alle sue buffonate, gli lanciò un’occhiata di avvertimento ma Kìli congiunse le mani sul tavolo e si sporse in avanti, apparendo completamente assorto in quel che egli diceva; il Nano lo fissò ancora per un momento con le sopracciglia aggrottate prima di andare avanti. Kìli guardò allora Tauriel e vide che un sorriso giocoso le aleggiava ancora sulle labbra.

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Si dirigeva alle vasche termali quando la scorse, vicino alle caverne superiori. Era circondata da un nugolo di piccoli Nani, le cui vocette sottili risuonavano squillanti di eccitazione. La vide chinarsi tra loro con un sorriso mentre essi lasciavano scorrere le dita sulle sue orecchie appuntite e sul suo viso nudo, con esclamazioni di meraviglia. Una delle bimbe più grandi le disse qualcosa all’orecchio e Tauriel si lasciò andare ad una risata divertita, il cui suono melodioso riecheggiò per tutto l’ambiente e che lo lasciò stordito.
Avvertendo il suo sguardo ella alzò il viso e lo vide, incatenandolo a lei; il suo sorriso si affievolì e qualcosa di profondo e pieno di promesse le attraversò gli occhi. Lui sopportò quello sguardo solo per pochi momenti prima di girarsi e correre via, lontano da lei e da quella marea di emozioni che aveva risvegliato in lui. Si sentiva un vero codardo.

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Dwalin lo intercettò subito dopo colazione, il giorno seguente: Kìli gemette infastidito.
“Poche storie, ragazzo, è da quasi una settimana che salti gli allenamenti,” lo redarguì il burbero guerriero.
“Ma Dwalin –”
“Niente scuse. Recupera la tua attrezzatura e porta subito il tuo regale sedere al campo, o farò in modo che ti ci costringa tua madre.”
Kìli sbuffò e si avviò, lamentandosi ad alta voce degli istruttori sadici e delle madri troppo impiccione.
Un’ora dopo tendeva pazientemente la corda del suo arco. Era tarda mattinata e la maggior parte dei guerrieri era già stata assegnata ad altri compiti, lasciando il campo di addestramento, in particolare quello per il tiro con l’arco, praticamente deserto. Kìli scosse le braccia un paio di volte per sciogliere i muscoli, poi tornò al suo allenamento. Nonostante tutto gli piaceva tirare con l’arco; era quasi una rarità tra la sua gente, che di solito ricorreva a quell’attrezzo solo durante la caccia. Lui invece lo aveva sempre preferito. Anche la spada dava soddisfazione, certo, ma c’era qualcosa di profondamente... rilassante nel tendere la corda al massimo, nel sentire i muscoli della schiena e delle braccia che si flettevano, nel prendere la mira e lasciar volare la freccia.
Ne incoccò dunque una, prese la mira, trasse un respiro, poi un secondo, e al terzo la lasciò partire: si conficcò proprio al centro del bersaglio. Sorridendo, stese una mano per prendere un’altra freccia.
“Impressionante,” disse in quel momento una voce, facendolo saltare per aria e quasi rovesciare la faretra in terra.
Kìli si girò e vide Tauriel dietro di lui che si copriva la bocca ridente con una mano. Arrossendo furiosamente, le rivolse un goffo inchino. “Ah, buongiorno mia signora, non ti avevo sentita...”
Lei si schiarì la gola e chinò il capo a sua volta. “Le mie scuse, altezza, non intendevo spaventarti.” Ma qualcosa nei suoi occhi, nel modo in cui brillavano, diceva altrimenti. Egli fece scorrere lo sguardo dal suo viso ai suoi abiti semplici fino alle sue mani, e vide che stringevano un arco.
“Anche tu qui per fare un pò di esercizio?”
Ella annuì. “Se a vostra altezza non dispiace la compagnia di un Elfo.”
“No, naturalmente no,” rispose lui, forse un pò troppo in fretta e un pò troppo forte, arrossendo di nuovo al modo un pò troppo consapevole con cui lei lo osservava.
Ella si portò sulla sinistra della faretra e vi mise dentro le sue frecce elfiche.
“Posso?” chiese Kìli indicando la freccia che teneva in mano; lei sollevò un sopracciglio, ma poi gliela porse. Egli la studiò con interesse, dato che creava le sue frecce da sè fin da quando aveva l’età per tenere un arco in mano, e fischiò ammirato.
“E’ davvero ben fatta,” aggiunse, soppesandola. “Perfettamente bilanciata. Anche lo stile è molto interessante.”
Alzò lo sguardo su di lei e vide che sorrideva di nuovo, ma questa volto con orgoglio ed entusiasmo. “Grazie. Le ho fatte io.”
Vieppiù impressionato, le riconsegnò la freccia; per un attimo le loro dita si sfiorarono e il gesto gli diede una botta di calore alle viscere. Deglutì a vuoto e notò, con un senso di primordiale eccitazione, ch’ella trattenne il fiato prima di distogliere lo sguardo.
La osservò con vivo interesse mentre lei incoccava la freccia, tendeva il suo arco e la lasciava partire con rapidità sorprendente, colpendo a sua volta il centro esatto del bersaglio. La sua tecnica era elegante e leggermente diversa dalla sua: usava tre dita per tendere la corda e la portava fino al livello degli occhi, mentre lui preferiva usarne due e tenderla fino al mento.
“Impressionante,” le fece eco, recuperando il suo arco.
Per un pò si esercitarono senza parlare; l’unico suono che si udiva era il sibilo delle corde tese e il tonfo delle frecce nei bersagli.
"Non sapevo che i Nani usassero l'arco con tanta... efficacia," commentò lei quando fu il momento di recuperare le frecce.
Kìli si strinse nelle spalle, anche se era molto lusingato, e iniziò a strappare via le frecce dal bersaglio. "Io sono un'anomalia, in un certo senso. Di solito i Nani preferiscono il combattimento corpo a corpo, con le asce e le clave, e più le cose si fanno sanguinarie meglio è; il tiro con l'arco è un po' sprecato con noi, ma a me è sempre piaciuto.".
“Sei piuttosto bravo,” ammise lei con una certa riluttanza; egli le rivolse una ridente occhiata e sorrise.
“Detto da te è un gran complimento, mia signora,” rispose estraendo l’ultima freccia.
Ella scosse la testa, imbarazzata. “Per favore, chiamami Tauriel.”
“Solo se tu mi chiami Kìli,” replicò lui; lei lo fissò incredula. Sospirò. “Beh, per lo meno in privato. Sai, come adesso,” aggiunse agitando una mano, ad indicare la loro solitudine.
“Molto bene, alte– Kìli,” concesse lei timidamente mentre andavano a recuperare le frecce. Da parte sua, egli cercò di ignorare il modo in cui il suo cuore si era messo a cantare. Era come se nessuno l’avesse mai chiamato con il suo nome fino a quel momento, anche se non comprendeva ancora appieno le implicazioni di quel pensiero.
Scosse la testa per schiarirsi le idee. “Ti andrebbe una gara amichevole?”
Lei lo guardò, un lento sorriso sornione che le si diffondeva sul viso. “Non credere che ti lascerò vincere solo perchè sei un principe.”
Lui le fece l’occhiolino. “E tu non credere che ti lascerò vincere solo perchè sei una signora nonchè mia ospite.”
“Non me lo sognerei mai.”
Vinse lei, ovviamente.

~~~

(Note della traduttrice) Anche voi, come me, siete grandi fan della trilogia dello Hobbit, avete adorato la velata ma dolcissima storia d'amore tra Kìli e Tauriel e da quel momento vivete nella negazione più assoluta? Qua la mano, allora! Consoliamoci con le fanfictions! XD
Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando, anche l'autrice ci tiene molto!
Alla prossima! ;)
  
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