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Autore: TeenAngelita_92    09/01/2015    3 recensioni
"Ci risiamo, l'ennesima volta.
Siamo di nuovo uno di fronte all'altro in questo tuo buio ufficio, o per meglio dire, in questo tuo buio "rifugio segreto" a urlarci contro tutto il rancore non solo del presente, ma degli anni passati, accumulatosi man mano in un angolino della nostra anima.
Qui, in questa stanza testimone delle nostre innumerevoli discussioni, del dolore che con tanto impegno abbiamo voluto infliggerci a vicenda senza smettere un solo attimo, degli aggettivi di poco gusto che ti è sempre piaciuto attribuirmi e... Testimone di quei nostri sguardi colmi di passione, quasi potrei azzardarmi a dire che siano stati colmi d'amore. Questo luogo, testimone dei miei battiti troppo veloci, del mio respiro troppo accelerato, di tutte quelle volte che ho disperatamente desiderato di stringerti tra le mie braccia, di riscaldare quel freddo, gelido vuoto dentro di te con le mie mani calde e di accarezzare le tue labbra con le mie. "
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Francisca Montenegro, Raimundo Ulloa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Amnesia
 
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Ya eres mía. Reposa con tu sueño en mi sueño.
Amor, dolor, trabajos, deben dormir ahora.
Gira la noche sobre sus invisibles ruedas
y junto a mí eres pura como el ámbar dormido.
Ninguna más, amor, dormirá con mis sueños.
Irás, iremos juntos por las aguas del tiempo.
Ninguna viajará por la sombra conmigo,
sólo tú, siempre viva, siempre sol, siempre luna.
Ya tus manos abrieron sus puños delicados
y dejaron caer suaves signos sin rumbo,
tus ojos se cerraron como dos alas grises,
mientras yo sigo el agua que llevas y me lleva:
la noche, el mundo, el viento devanan su destino,
y ya no soy sin ti sino sólo tu sueño.
- Pablo Neruda
3.
“Mille grazie Don Pablo, mille grazie per essere arrivato subito.”
“Non ringraziatemi Emilia, è mio dovere. Chi davvero dovreste ringraziare è Donna Francisca… Non ha esitato un solo attimo a chiamarmi.”
“Già, Donna Francisca…”


Solo un mucchio confuso di parole, a me inizialmente familiari, arrivano lentamente al mio udito ovattato da quando questo mio debole ed intorpidito corpo si è risvegliato. Parole che non mi sembrano avere alcun senso fin quando non distinguo in esse il suono del tuo nome.

“Bene, il mio lavoro qui è finito. Emilia…”
“Si dottore?”


Lo sento ancora, ma adesso è più chiaro e riesco a capire di chi si tratta.
Dove sei? Perché non sei qui con me? Perché non posso più sentire le tue braccia stringermi forte, le tue dita accarezzarmi delicatamente e la tua voce chiamarmi? Mi hai detto che ci saresti stata, saresti rimasta con me ma tu ora non ci sei. Perché?

“E’ necessario che convinciate vostro padre a restare a letto, e stavolta sul serio. Il malore che lo ha appena colpito non può ancora essere ritenuto grave, ma solo per ora. Un’altra imprudenza da parte sua come quella di oggi potrebbe peggiorare tutto.”
“Si dottore, capisco. Farò l’impossibile per non farlo muovere da li, a costo di legarlo al letto se necessario.”
“Bene, allora lo lascio in ottime mani. A presto Emilia.”
“A presto.”


Solo ora mi accorgo di aver riposto tutta la forza rimastami, a sperare invano che quella voce, quelle parole confuse che ho iniziato a sentire al mio risveglio fossero tue, che tu fossi qui e che se avessi aperto gli occhi ti avrei vista.
No, non sei tu e non sei qui. E’ la voce della mia bambina questa, e quelle sono le tipiche frasi da “Emilia arrabbiata” che usa sempre quando ho fatto qualcosa di sbagliato.
Ormai non so più se sia io suo padre o sia lei mia madre.
Apro gli occhi e noto con fastidio che questi mi bruciano, la mia vista è leggermente appannata ma solo inizialmente. Mi sforzo nel disperato intento di sollevarmi e sistemare la mia schiena, ormai a pezzi, in un modo che risulti decisamente migliore, ma sembra che io abbia fatto troppo rumore per non avvertire Emilia del mio risveglio.
“Padre!” quasi grida, preoccupata e sollevata allo stesso tempo. “Padre, non sforzatevi.” mi consiglia avvicinandosi e stringendomi la mano. Si siede in una sedia poco distante dal mio letto ed inizio a chiedermi da quanto tempo essa sia li e quali persone ci si siano sedute.
“Devo… Devo alzarmi, Emilia…” provo a dire, sperando che capisca che sono in una posizione tremendamente scomoda.
“No padre, neanche per sogno. Stavolta mi darete ascolto e non vi muoverete per nessun motivo al mondo da questo letto, a costo di…”
“Emilia, la schiena!” la interrompo e spero che la mia espressione sia abbastanza per farle capire che non ho la minima intenzione di alzarmi da qui ora e che se anche io volessi farlo, non avrei la minima forza.
“Oh…” esclama, aiutandomi con alcuni cuscini dietro la schiena. “Va meglio?” mi chiede ed io annuisco semplicemente.
Senza neanche rendermene conto, il mio sguardo inizia a girare contemplando la stanza in cui mi trovo. I miei occhi si posano su ogni più piccolo particolare presente e mi accorgo che ognuno di questi ha qualcosa di familiare. Io conosco questa stanza, so dove mi trovo. Sono ancora alla Casona.
“Non potete immaginare quanta paura abbiamo avuto, padre.” è Emilia ad interrompere l’imbarazzante silenzio che si è appena creato. Ha appena parlato al plurale ed io non sono sicuro di sapere a chi si riferisca.
“Di chi stai parlando, Emilia?” le chiedo e noto nei suoi occhi un leggero pizzico di agitazione. E’ solo questione di alcuni secondi prima che mi risponda: “Sto parlando di me e Donna Francisca, padre.”
Resto a guardarla senza sapere in realtà che fare. Avevo promesso che sarei andato via, andato lontano, lontano abbastanza per lasciarti stare bene ed invece… Invece sono ancora qui che spero disperatamente di vederti. Sono ancora qui che sento il disperato bisogno di stringerti a me e non lasciarti mai più. Io non posso restare qui.
“Devo tornare a casa, riposerò li il tempo necessario per…” cerco di proporre ma Emilia mi interrompe.
“E’ stata qui a vegliarvi per tutto il tempo, seduta qui, su questa sedia dove ora sono io.” mi confessa, come se non mi avesse minimamente ascoltato e Dio, se solo lei, Don Pablo e queste mie maledette gambe me lo permettessero, verrei da te e… No, non posso, continuerei a farti del male.
“Emilia, avanti dammi una mano a…” ci riprovo, non voglio sentire altro.
“Padre, l’ho vista stringervi la mano e tenervela stretta per un tempo quasi infinito.” continua lei ed io altro non posso fare che arrendermi ed ascoltarla “L’ho vista accarezzarvi il viso sussurrandovi parole d’amore, l’ho vista versare lacrime che mai prima d’ora avevo visto scendere dai suoi occhi.” si ferma per un attimo, giusto per darmi il tempo di continuare ad assimilare parole e solo parole, quando in realtà l’unica cosa che vorrei adesso è tenerti stretta a me.
“Ha insistito cosi tanto affinché Don Pablo vi visitasse qui e mi hanno fatto cosi tanta tenerezza le sue parole che quasi potrei definire “di supplica” quando mi ha chiesto di restare qui, di non portarvi via che alla fine ho accettato.” conclude e posso notare nei suoi occhi cosi tanta dolcezza ed emozione che mi rendo conto che anche lei ne è sorpresa, anche lei è estremamente sorpresa della Francisca Montenegro che un tempo irradiava qualunque luogo buio con il suo solo sorriso, quella mia piccola e dolce Francisca che mai avrebbe desiderato procurare del male ad altri, la Francisca che solo ora credo che possa tornare.
“E voi siete stato un incosciente.” Dice in tono serio, interrompendo i miei dolci ricordi.
Quasi mi era sembrato troppo bello e strano che non mi fosse subito arrivato un suo richiamo su ciò che devo o non devo fare.
“Vi avevo chiesto di restare a letto, di riposare almeno finché il dolore non fosse passato. E voi? Naturalmente vi alzate come se niente fosse ed uscite.” Continua.
“Emilia, io semplicemente volevo salutare Maria e…” provo a giustificarmi, ma subito mi rendo conto che non servirà assolutamente a niente: la mia bambina non è cosi stupida da accettare una scusa come questa e so che in realtà sa il vero motivo della mia visita alla Casona.
“Avanti padre, credete davvero che io sia cosi stupida? Voi avevate solo bisogno di vedere lei.”
“E dunque? Vorresti rimproverarmi per aver sentito il bisogno di vederla?” le chiedo, leggermente soddisfatto io.
“No certo che no. Vi rimprovero solo il modo in cui lo avete fatto. Cosa contavate di fare nelle condizioni estremamente deboli in cui eravate? Svenirgli davanti? Beh mi congratulo, è quello che avete fatto.” mi risponde con fare ironico.
“Io non…” inizio, intenzionato a difendermi ma poi mi fermo, mi fermo perché so che ha ragione. A cosa è servita la mia tanta insistenza nel volerti parlare? Nel volerti spiegare? A niente, assolutamente a niente. In realtà io non posso dirle che avevo paura, non posso dirle che avevo paura di non poter più tornare a vedere il tuo viso, a sentire il tuo profumo o semplicemente accarezzare la tua pelle.
“Avevo bisogno di vederla.” ripeto, perché la verità è solo questa. “Non mi importava di nient’altro.” Restiamo entrambi in silenzio per alcuni secondi, secondi che quasi mi sembrano interminabili.
“Padre, mi promettete che per oggi ve ne starete tranquillo a riposare?” mi chiede Emilia, quasi supplicando.
“Va bene bambina mia, te lo prometto.” sorrido leggermente mentre la sento tirare un sospiro di sollievo. Mi lascia un delicato bacio sulla guancia e continua:
“Bene, ora vado. Tornerò a trovarvi più tardi e mi raccomando…” si interrompe prima di lanciarmi una delle sue tipiche occhiate “Non combinate altri guai per oggi.” conclude ridendo, ed anch’io rido mentre la vedo sparire dietro la porta.
Sono solo ora, solo con questi miei cosi numerosi pensieri, solo con questo meraviglioso profumo che aleggia nella stanza e che tanto mi ricorda te, solo con queste mie gambe ancora intorpidite e queste mie mani che… Queste mie mani che tanto vorrebbero stringere le tue, ancora.
Semplicemente sono solo abbastanza ora per lasciare che i miei dubbi, le mie incertezze ed i miei rimorsi tornino a tormentarmi.

"Cos'è che vuoi ancora da me, maledetto locandiere? Perchè sei ancora qui?"
"Voglio spiegarti..."
"Spiegarmi cosa? Del tuo cosi profondo amore per me? Del tuo voler condividere le mie pene e le mie allegrie? Del tuo voler passare ciò che ti resta della vita al mio fianco? Del tuo incontrollabile desiderio di svegliarti con la mia testa poggiata su… Sul tuo petto?”


“Se solo io avessi continuato davvero a credere a quelle menzogne? A quella montagna di bugie che giorno dopo giorno ti divertivi a costruirmi addosso?"

"Solamente perchè tu eri diventato un truffatore."
Un truffatore insieme allo stesso figlio che alla fine del gioco, sarebbe stato capace di tradire anche te..."


"Hai... Tu hai dovuto fingere di amarmi per tuo figlio, hai dovuto baciarmi e promettermi di restare con me mentre lui altro non faceva che tramare alle tue spalle. Come ci si sente locandiere?"

"Come ci sente ad essere traditi dalla persona che più amiamo? Di cui ci fidavamo ciecamente? Eh locandiere?"

"Sei tu.
Sei tu che continui a farmi del male Raimundo."


Senza neanche rendermene conto, la mia mente inizia a ripercorrere tutti quei cosi intensi e sofferenti attimi del nostro incontro, portando alle mie orecchie un eco cosi confuso e disordinato delle tue dolorose parole, della tua sofferente voce mentre ancora una volta lasci vincere il tuo orgoglio, il nostro orgoglio.
Si, ora lo riconosco: ti ho fatto del male, mi hai fatto del male e ci siamo fatti del male per cosi tanto tempo, per cosi tanti anni quando in realtà sapevamo di amarci, sapevamo che l’uno senza l’altro non sarebbe stato niente, se non solo un’ombra che, persa, avrebbe vagato tra i resti dei nostri più lontani ricordi.
Il tuo orgoglio, il mio orgoglio, il nostro orgoglio.
Abbiamo stupidamente lasciato che esso facesse da padrone alle nostre vite, ad ogni nostra azione volta a farci del male vicendevolmente. Abbiamo lasciato che ci impedisse di accarezzarci senza graffiarci, di sorriderci senza versare lacrime, di abbracciarci senza ucciderci. Come abbiamo potuto, piccola mia? Come abbiamo potuto non pensare ad altro che all’orgoglio? Alla nostra sete di vendetta? Al male che io avevo fatto a te quando in realtà… In realtà se solo tu avessi ascoltato le mie ragioni, i motivi che mi avevano spinto a fare quello che ho fatto, avresti capito che ti amavo, che ti amo più di ogni altra cosa al mondo.
A volte vorrei semplicemente credere di soffrire di amnesia, una forte e semplice amnesia che mi faccia dimenticare, che ti faccia dimenticare e che ci faccia dimenticare di tutto il male che ci siamo fatti, ma poi rifletto e capisco che in realtà non voglio, non voglio dimenticare assolutamente niente di tutto ciò che insieme abbiamo vissuto perché anche quando ci urlavamo contro tutto l’odio ed il rancore del mondo, io ti amavo, tu mi amavi, noi ci amavamo.
E allora come potremmo, piccola mia? Come potremmo vivere l’uno accanto all’altro senza che uno di quei brutti e dolorosi ricordi ci colpisca ancora? Come potrei tenerti stretta a me senza che le mie mani ti ricordino di ciò che ho fatto? Del mio inganno? Come?
E se solo ci fosse un modo, qualunque esso sia, io lo userei.
Mariana è appena entrata per portarmi la cena, interrompendo, fortunatamente, i miei troppi pensieri. Ha un leggero sorriso sicuramente più tranquillo e sereno di quello che aveva quando mi ha aperto la porta, ed io ricambio ringraziandola.
E’ già sera.” mi dico, quando vedendola sparire dietro la porta, rivolgo il mio sguardo alla finestra poco distante. Il sole è già tramontato, lasciando spazio al buio della sera che incombe sull’intero paesaggio con estrema lentezza, in un colore meravigliosamente scuro e confortante, almeno per me.
So che non dovrei alzarmi, almeno per ora. So che Emilia mi ha severamente proibito di farlo e so che anche il mio corpo mi consiglia di fare lo stesso, ma non posso restare rilegato in questo letto neanche per un altro minuto ancora. Sollevo lentamente le coperte mentre un leggero soffio di vento colpisce le mie gambe, ma non me ne pento. Cerco di alzarmi poggiando con estrema attenzione i miei piedi sul freddo pavimento sottostante.
Tutto sommato mi fanno ancora un po’ male, ma sarà peggio se non provo ad usarle.
Mi dirigo lentamente e quasi faticosamente alla finestra che alcuni attimi prima mi ha permesso di vedere quel meraviglioso paesaggio. Mi appoggio al vetro leggermente freddo che si appanna al solo contatto del calore che emanano mie mani, delineandone la perfetta impronta.
E’ cosi bello, cosi bello vedere ciò che c’è là fuori e contemplare quel cielo che poco a poco si riempie di stelle. Se solo fossi qui anche tu, ti porterei a guardarle, ad indicarle con un dito una per una mentre io guardo te.
Lo scricchiolio della porta si fa risentire, interrompendomi ancora, e temo che stavolta non sia Mariana ma mia figlia Emilia, che dopo avermi visto in piedi si arrabbierà sicuramente e mi ricorderà ciò che è bene che io faccia e ciò che è male. Si, ne sono sicuro. Resto voltato verso la finestra ed inizio quella che sarà l’ennesima scusa che spero possa evitare tutto questo:
“Si Emilia, mi sono alzato ma io semplicemente…”
“Come stai?”
Una voce completamente diversa da quella di mia figlia, mi interrompe prima che io possa dire qualunque altra cosa.
E’ una voce soave e tranquilla quella che sento. Calma, si mi infonde calma ma allo stesso tempo agitazione. So di averla già sentita e so a chi appartiene.
“Francisca…” pronuncio il tuo nome in un bassissimo sussurro, quasi come a voler convincere solo me stesso del fatto che tu sia qui, ora. Il mio corpo si ferma, gelato.
“Francisca…” ripeto, ma stavolta in un tono più alto e voltandomi per poter contemplare la tua figura distante solo pochi metri dalla mia.
Restiamo in silenzio. Tu ed io restiamo in silenzio, un silenzio che non c’è mai stato tra di noi, un silenzio cosi intenso e profondo che solo mi ricorda… Si, mi ricorda di tutte le volte in cui non avevamo bisogno di urlarci contro qualcosa per poterlo riempire, che non avevamo bisogno di sfogliare e risfogliare vecchi e lontani, lontani rancori.
Noi solo ci guardavamo, mentre le mie dita correvano delicatamente lungo i tuoi dolci lineamenti e a noi questo bastava. A me, questo bastava.
E vorrei poterlo fare ora, piccola mia. Vorrei, ora, potermi avvicinare e strofinare una delle mie mani contro una delle tue guance e sapere che tu non mi rifiuterai, che non ti allontanerai da me tremante.
“Sto.. Sto bene.”dico improvvisamente, quasi in un sussurro, ricordandomi della tua domanda alla quale non avevo ancora dato una risposta.
Ti vedo annuire semplicemente, mentre il tuo sguardo tutto nota tranne che me.
“Dovresti mangiare.” mi consigli e quasi mi sembri preoccupata quando il tuoi occhi si posano sul piatto ancora pieno ed intatto sul piccolo comodino accanto al letto, quello che probabilmente hai tu stessa ordinato di farmi portare da Mariana.
“La fame è l’ultimo dei miei pensieri ora.” ti dico, in realtà è cosi.
“Dovrebbe essere uno trai tuoi primi, invece, tutto ciò che riguarda la tua salute.”
“Io…” inizio, cerco di pensare ad altro, altro che non siano le tue braccia intorno a me. Sento ancora preoccupazione nelle tue parole, preoccupazione per me forse? Lo spero tanto. Devo pur ringraziarti di ciò che hai fatto, che stai facendo per me. “Francisca, ti ringrazio per… Beh per avermi permesso di riposare qui e… Per aver chiamato Don Pablo, ma…”
“Perché non me ne hai parlato prima?” mi interrompi, ancora un’altra domanda.
Resto in silenzio solo per pochi secondi, giusto il tempo di riordinare le idee e andare a caccia delle parole giuste che ora sembrano improvvisamente mancarmi. Tuttavia, nella mia disperata ricerca, non mi accorgo che i tuoi occhi mi stanno guardando, tu mi guardi finalmente.
“Parlarti di cosa?” opto, infine, per un'altra domanda ma stavolta da parte mia.
“Di cosa?” ripeti, incredula “Già, di cosa.” ripeti ancora, stavolta ridendo, una risata triste e spenta. “Forse parlarmi del fatto che questa non è la prima volta che cadi a terra inerme, che gemi di dolore per delle maledette fitte che ti attraversano il petto.” è rabbia quella che sento nella tua voce, rabbia unita a qualcosa che sa tanto di preoccupazione o paura.
“Per quale motivo avrei dovuto farlo?” la mia fronte si corruga in un’espressione del tutto confusa mentre faccio un passo in avanti, un passo verso di te. “Perché avrei dovuto se di me ormai più niente ti importava? Perché avrei dovuto se non potevo neanche più avvicinarmi a te? Cosa ti importava se un traditore come me avesse sofferto o no? “ non so perché ho appena lasciato che la mia bocca dicesse queste parole, e ancora non ci credo. Che mi succede tutto ad un tratto?
“Avevo il diritto di saperlo, Ulloa!”
“Il diritto? Di cosa stai parlando Francisca?” ti chiedo, ancora più confuso. “Tu semplicemente non volevi più vedermi, non volevi più saperne di me!”
“E cosa avrei dovuto fare? Avanti locandiere, illuminami!” dici con fare ironico. In qualche altra occasione avrei apprezzato questa tua ironia e l’avrei tollerata sapendo che sia comunque parte di te, ma ora no, questa non è una “qualche altra occasione.”.
“Avrei dovuto accoglierti a braccia aperte? Sorriderti come se niente fosse e dimenticare completamente che ti avevo dato tutto l’amore che ancora possedevo, quell’unica briciola rimastami mentre tu solo mi stavi ingannando?” continui.
“Tu sai perfettamente che non ti ingannavo, tu sai che non ti ingannavo quando dicevo di amarti!”
Ancora una volta la nostra rabbia ed il nostro maledetto orgoglio. No, stavolta no. Io non lascerò che ti porti via da me, non lo permetterò.
“Avresti potuto dimostrarmelo se solo avessi voluto. Avresti potuto parlarmi di cosa stava succedendo prima che io lo scoprissi in quel modo cosi brutale e..”
“Io dovevo salvare mio figlio! Era mio figlio!” grido. Mi aspetto che tu rimanga in silenzio ora, che io rimanga in silenzio ma cosi non è.
“Avremmo potuto salvarlo insieme, maledizione!” gridi più forte di me, quasi zittendomi.
Di nuovo silenzio tra noi due, ora.
Abbiamo dato abbastanza spazio alla nostra rabbia? Possiamo affermare di aver svuotato il nostro petto ora? Possiamo smetterla? Mi chiedo.  
“Avrei potuto aiutarti se solo tu avessi voluto.” dici, ma stavolta in un soave e tranquillo sussurro. “Avrei potuto starti vicino se solo tu me ne avessi parlato, se solo tu mi avessi detto del tuo dolore.” continui, il tuo sguardo di nuovo apparentemente distratto, lontano metri e metri dal mio.
So cosa devo fare ora, so cosa devo fare per fermare tutto questo, per non permettere a nessuno di portarti via da me, neanche a degli stupidi ricordi o a delle stupide emozioni contrastanti.
“Francisca…” sussurro il tuo nome mentre mi avvicino velocemente a te nel disperato intento di abbracciarti. Non mi importa nient’altro ora, non voglio più urlarti contro come ho appena fatto. Io devo abbracciarti e so che anche tu lo vuoi, so che ne hai bisogno, piccola mia.
“Come puoi dire che non mi importa di te? Come puoi solo pensare che la tua sofferenza mi sia indifferente?” continui a parlare, ma quasi sembra che tu voglia farlo con te stessa più che con me.
“Tu… Tu sei caduto tra le mie braccia…” continui e ti allontani, evitando le mie braccia.
No, io non mi arrendo.
“Solo poche ora fa tu sei caduto tra le mie braccia!” alzi nuovamente il tuo volume di voce e con dolore noto che i tuoi occhi si sono velati di un leggero strato di lacrime. “Hai… Hai chiuso gli occhi, il tuo respiro… Tu non respiravi e le tue mani sono diventate fredde e… non tenevano più le mie!” continui, tu continui e gesticoli mentre dalla tua bocca solo riescono ad uscire frasi e parole sconnesse, come nel disperato intento di liberartene.
“Francisca, basta…” alzo ancora le mie braccia, provo ancora ad abbracciarti. Devo impedirti di tormentarti in questo modo, io devo impedirlo.
“Io non potevo permetterti di tradirmi ancora! Io non potevo permetterlo!” continui ancora ed ancora. Sono riuscito a circondare il tuo corpo con il mio, devo stringerti a me ora ma i tuoi pugni sul mio petto me lo impediscono.
“Basta, io sono qui ora! Basta!”
Non mi fanno male, le tue mani chiuse in stretti pugni e scagliate contro il mio petto non mi fanno male, perché io so che tutto questo fa molto più male a te che a me.
“Io ti parlavo ma le tue labbra non sembravano volermi rispondere, tu non volevi rispondere!” il precedente e sottile strato di lacrime sui tuoi occhi si è appena rotto, e queste scendono veloci giù, verso il basso, rigando il tuo viso.
“Francisca…”
“Maledizione, ho avuto paura di perderti e…” nient’altro esce dalla tua bocca, se non leggeri gemiti, perché io lo impedisco.
Non so spiegare il perché di questa mia reazione, ma le parole che hai appena pronunciato e le tue lacrime che scendono veloci mi fanno capire che non posso fare altro: afferro i tuoi polsi ancora occupati a prendere a pugni il mio petto, riesco a bloccarli e li porto giù, dietro la tua schiena, lasciando che le mie braccia ti stringano in un forte e forse brusco abbraccio, ma è tutto ciò che tu mi permetti di fare.
Ti tengo stretta a me, sento le tue labbra bagnate sfiorare il mio collo e le tue lacrime bagnarmelo lievemente. Ancora cerchi di ribellarti, ma hai affondato il tuo volto nell'incavo tra il mio collo e la spalla e mi accorgo che piano, ti arrendi. Tu ti arrendi contro il mio corpo.
“Shh… Basta, basta…” sussurro, stringendoti ancora più forte.
Solo ora mi accorgo che… Dio, non è possibile spiegare la sensazione che sto provando, non è possibile spiegarla con semplici e sintetiche parole che rischierebbero di rovinarla.
E no, non è possibile neanche sentire cosi tanto, cosi disperatamente il bisogno di abbracciare qualcuno come l’ho sentito io fino a pochi secondi fa.
Sento il tuo respiro regolarizzarsi solo dopo alcuni minuti che tanto mi sembrano un’eternità. I tuoi muscoli si rilassano e solo ora, decido di lasciare la presa sui tuoi polsi e sperare che tu non te ne vada.
“Non… Non andartene.” ti chiedo, è semplice paura quella che mi lascia parlare ora. Le tue mani si liberano dalle mie e contro ogni mia più grande aspettativa, non ti allontani ma mi stringi, forte, ricambiando il mio abbraccio.
“Non farlo mai più, locandiere.” mi sussurri “Non spaventarmi mai più in quel modo.” continui ed io lascio scappare un piccolo sorriso che veloce si disegna sulle mie labbra.
Continuo a stringerti il più forte che posso e vorrei non doverti lasciare mai più, ma le mie gambe mi avvertono di essere stanche ormai, costringendomi a trovare un modo per lasciarle riposare senza però allontanarmi da te.
“Raimundo…” ti allontani lievemente per potermi guardare, probabilmente lo hai notato anche tu.
“Dovrei dare più ascolto ad Emilia.” dico sorridendo. Vedo il tuo volto completamente bagnato e l’unica cosa che vorrei ora è non averlo mai permesso. “Io…” le mie dita strofinano delicatamente contro una delle tue guance bagnate, asciugandola. Credo di voler dire qualcosa, ma i tuoi occhi rossi e lucidi me ne hanno appena fatto dimenticare.
“Siediti.” mi consigli aiutandomi a farlo sopra quel letto che tanto sembra bramare il mio corpo, intenzionato a farmelo intorpidire di nuovo.
“No, Francisa…” dico, afferrando la tua mano quando vedo allontanarti “Resta, siediti con me.” i miei occhi quasi ti supplicano e sembrano cosi tanto convincenti che alla fine tu ti siedi accanto a me.
“Dovresti riposare, il medico ha…” non ti lascio finire, non voglio sentire altro: con coraggio e forza a me totalmente sconosciuti, poggio le mie labbra sulle tue in un bacio che dovrebbe sembrare almeno dolce e pieno di paura, forse, e all'inizio lo è ma il solo fatto che tu lo stia ricambiando con la mia stessa passione e che le tue mani stiano accarezzando il mio viso, riesce solo e semplicemente a mandare all’aria il mio auto-controllo. Le mie labbra, ora, cercano disperatamente le tue.
Il sapore della sua bocca, penso subito. Mi è mancato cosi tanto che non so se riuscirò ad allontanarmi.
Senza poterlo neanche controllare, la mia mano arriva a sfiorarti il collo, lasciando che il pollice si fermi subito sotto il tuo mento e premi delicatamente per lasciarmi schiudere le tue labbra.
“Rai… Raimundo…” chiami insicura il mio nome mentre le tue dita si fermano sulla mia bocca per fermarmi.
Lo sapevo, avrei dovuto frenarmi, avrei dovuto impedire a questo mio disperato bisogno di baciarti, di prendere il completo controllo del mio corpo ma non l’ho fatto.
“Sc…Scusa, io…” provo a scusarmi, cercando di controllare il mio respiro ma tu mi fermi ancora e sorridi.
Stai davvero sorridendo, piccola mia? Mi chiedo tra me e me e noto l’evidente rossore sul tuo volto.
“Ed ora?” mi chiedi “Ed ora cosa, Raimundo?”  ripeti, ma ora neanche io so cosa dovremmo fare e non mi importa. Prendo il tuo viso tra le mie mani per poterlo riavvicinare al mio, facendo combaciare perfettamente la nostra fronte. In un delicato sussurro dico:
“Ed ora non lo so, piccola mia. Ed ora facciamo che io soffro di amnesia, tu soffri di amnesia e semplicemente ti stringo a me, forte.”

 
Ormai sei mia. Riposa col tuo sonno nel mio sonno.
Amore, dolore, affanni, ora devono dormire.
Gira la notte sulle sue ruote invisibili presso me sei pura come l'ambra addormentata.
Nessuna più, amore, dormirà con i miei sogni.
Andrai, andremo insieme per le acque del tempo.
Nessuna viaggerà per l'ombra con me, solo tu, sempre viva, sempre sole, sempre luna.
Ormai le tue mani aprirono i pugni delicati e lasciarono cadere dolci segni senza rotta,
i tuoi occhi si chiusero come due ali grige,
mentr'io seguo l'acqua che porti e che mi porta: la notte, il mondo, il vento dipanano il loro destino,
e senza te ormai non sono che il tuo sogno solo.

 
Spazio Autrice:
Rieeeccomiii quiii (dopo un'infinità di tempo, aggiungerei). Chiedo davvero perdono per il clamoroso ritardo, ma con la fine delle vacanze, è finito anche il mio tranquillo e meraviglioso tempo libero.Quindi, ecco la terza parte di questo mio "esperimento". Devo ammettere che mi è piaciuto in particolar modo scrivere questa ultima parte, non saprei perchè. Inoltre ci tengo a ringraziarvi  ancora infinitamente per le magnifiche recensioni e per aver seguito questa mia brevissima storia. Spero tanto che anche questa parte vi piaccia tanto quanto quelle precedenti e che ne sia valsa la pena di aspettare tutto questo tempo. Alla prossima.
Un abbraccio.
TeenAngelita_92
  
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