Libri > Hunger Games
Ricorda la storia  |      
Autore: Ciara    10/01/2015    6 recensioni
« Mia cara, desidero comunicarti che d’ora in avanti ti verrà assegnata una guardia personale che ti seguirà ovunque » il tono piatto e mellifluo del Re a cui era ormai abituata da anni. Suo nonno era seduto sul trono, lei inginocchiata al centro della sala del trono a metri da lui, il capo chino in segno di rispetto.
Come se le guardie ad ogni angolo del Palazzo non fossero abbastanza.
A pochi passi da Haymitch, nascondo dalla penombra delle colonne di marmo del salone c’era un giovane uomo vestito di nero – una divisa non molto diversa da quella di un Pacificatore, priva però della loro corazza – dai capelli biodi accuratamente acconciati, ben rasato. Le spalle larghe e le braccia dietro la schiena in posizione di riposo. Gli occhi fissi su di lei.
Come se non l’avessero già privata di ogni libertà.
« Sì, mio Signore » appena pronunciò quelle parole si diresse verso l’uscita del salone.
Haymitch la intercettò a metà del corridoio subito fuori la sala del trono.
« Dolcezza, poteva andarti molto peggio ».
Partecipante al contest "Game of Judges: La chiamata alle armi" indetto da Encha e Kaika sul forum di EFP
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Presidente Snow
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Mi ripropongo con una AU in cui Katniss è la nipote del Re di Panem, è un esperimento quindi siate clementi! Il contesto è sempre quello di Hunger Games, quindi un futuro post apocalittico, solo che al posto del presidente c’è il re e non ci sono gli Hunger Games, ma i Distretti restano invariati ( per chi fosse familiare con il termine è un Canon Divergence ).

La storia è nata dall’ascolto, seguito da visione del video musicale, di Princess of China dei Coldplay ( mi frullava in testa da un po’ di tempo ) e partecipa al contest "Game of Judges: La chiamata alle armi" indetto da Encha e Kaika sul forum di EFP.

Nota per i lettori fedeli e per quelli nuovi: è consigliata la lettura con la soundtrack allegata (la trovate mano a mano nella storia ).

Detto ciò, have fun!

The Princess’s Guard

« Non è che io non ci stia provando » sussurrò lei.

I suoi occhi azzurri le fissavano la bocca mentre con il pollice le tracciava il contorno del labbro inferiore. Con l’altra mano, poggiata alla base della schiena, l’aveva avvicinata a se; lui, seduto sul piccolo davanzale della finestra della sua stanza, era comunque più alto di lei in piedi tra le sue gambe; le mani di lei allacciate dietro il suo collo, i polpastrelli toccavano ogni centimetro di pelle lasciato scoperto dalla morbida sciarpa di cotone che faceva parte della sua divisa. Lentamente gli percorse la lunghezza del braccio con le dita, leggerissime, fino ad arrivare al polso della mano che le sfiorava il viso, la allontanò quel tanto che bastava per poggiare un bacio leggero sul palmo e quindi sulle nocche.

« Peeta, lo sai che ti amo » un altro sussurro nello spazio intimo che si erano creati tra la finestra e le pesanti tende scure, il vetro era increspato di cristalli di ghiaccio, all’esterno i giardini del palazzo ricoperti di neve e il cielo sereno.

Quando lui le baciò la tempia e poi la guancia riuscì a vedere la luna e le stelle ricamare il tappeto blu del cielo; dovette chiudere gli occhi per la sensazione di sorpresa e totale abbandono – languore – quando le sue labbra le sfiorarono la pelle sensibile dietro l’orecchio.

« Ti amo così tanto ».

 

 

Once upon a time somebody ran
Somebody ran away saying fast as I can
I've got to go, I've got to go

“Princess of China” Coldplay feat. Rihanna

Circa un anno prima.

 

Nella biblioteca del palazzo c’era un grande tomo rilegato in pelle verde e adornato di stupendi ricami dorati, al suo interno erano racchiuse tutte le fiabe che sua madre era solita leggerle prima di augurarle la buonanotte; quando era stata abbastanza grande da poter leggere da sola, il suo pubblico preferito erano suo padre e sua sorella. Mentre era concentrata nella lettura seduta ai piedi della culla di Prim insieme al Principe Ereditario, era convinta che nessuno avrebbe mai potuto scalfire la sua felicità, proprio come nelle favole che leggeva, c’era sempre un lieto fine.

Crescendo aveva capito che non tutte le persone meritano un lieto fine.

Katniss passò le dita sulle pagine ingiallite del libro mentre prendeva posto alla grande scrivania di mogano al centro della stanza.

La biblioteca era uno dei luoghi che amava di più dell’intero palazzo principalmente perché era poco frequentata. Un servitore entrò e le si avvicinò per comunicarle che il Re desiderava vederla.

I corridoi più remoti del Palazzo di Panem erano sempre molto silenziosi, i Pacificatori nelle loro divise bianche erano di guardi in ogni corridoio ventiquattrore al giorno.

La protezione della famiglia reale una delle massime priorità.

Ad accompagnarla alla sua destinazione solo il suono dei suoi passi attutiti dai pesanti tappetti e il fruscio del maestoso vestito contro il pavimento.

Al cospetto del Re Snow, suo nonno, solo pochi consiglieri e un vecchio amico di suo padre: Haymitch Abernathy. Quell’uomo, che capitava a corte sempre più di rado senza mai annunciarsi, non era nelle grazie del Re, come tanti amici di suo padre.

« Mia cara, desidero comunicarti che d’ora in avanti ti verrà assegnata una guardia personale che ti seguirà ovunque » il tono piatto e mellifluo del Re a cui era ormai abituata da anni. Suo nonno era seduto sul trono, lei inginocchiata al centro della sala del trono a metri da lui, il capo chino in segno di rispetto.

Come se le guardie ad ogni angolo del Palazzo non fossero abbastanza.

A pochi passi da Haymitch, nascondo dalla penombra delle colonne di marmo del salone c’era un giovane uomo vestito di nero – una divisa non molto diversa da quella di un Pacificatore, priva però della loro corazza – dai capelli biodi accuratamente acconciati, ben rasato. Le spalle larghe e le braccia dietro la schiena in posizione di riposo. Gli occhi fissi su di lei.

Come se non l’avessero già privata di ogni libertà.

« Sì, mio Signore » appena pronunciò quelle parole si diresse verso l’uscita del salone.

Non era stata congedata, ma tutti erano a conoscenza del carattere poco socievole della Principessa. Finché il Re non se ne rammaricava, la cosa non la toccava affatto.

Haymitch la intercettò a metà del corridoio subito fuori la sala del trono.

« Dolcezza, poteva andarti molto peggio ».

 

 

Did you break but never mend?
Did it hurt so much you thought it was the end?
Lose your heart but don't know when
And no one cares, there's no one there

The Script “Flares”

 

Circa undici mesi prima.

 

Tutti gli anni per la Festa del Raccolto in ogni Distretto del regno si organizzavano una serie di festeggiamenti a spese del Palazzo Reale.

Tutti tranne il Dodici.

Da bambina attendeva con ansia i fuochi d’artificio; dopo dieci anni dall’incidente che le aveva portato via Prim e suo padre non riusciva ancora a cancellare dalla mente il rumore dell’esplosione delle miniere di carbone.

Una visita ai lavoratori, l’avevano chiamata. Quella visita si era trasformata in una tragedia: l’ira del sovrano, la pazzia e il dolore della figlia del Re che si era innamorata di un nobile di un Distretto lontano da Capitol, rivolte nei Distretti.

Lei si ricordava solo che dalla casa natia del padre riusciva a vedere il fumo che si levava dalle cave mentre fiumi di lacrime le rigavano le guance. E poi lo spettacolo pirotecnico era iniziato come se si stesse seguendo la normale tabella di marcia, perché nella foga nessuno aveva avuto il tempo di spegnere il timer che avrebbe dato il via ai fuochi.

Una scia luminosa di colore dietro l’altra stava illuminando il cielo sul mare, i suoni secchi delle esplosioni arrivavano attutiti in cima alla collina dove sorgeva la tenuta reale al Distretto Quattro.

Il vetro del finestrone su cui aveva poggiato la mano era freddissimo, il lato destro del suo corpo, esposto al camino acceso, bollente. Le mancava l’aria.

Non riesco a respirare, non riesco a respirare, non riesco a respirare…

La sua guardia la seguiva da un paio di settimane. Non le aveva rivolto la parola, continuava solo a seguirla.

Katniss aveva bisogno di un attimo da sola, un minuto durante il quale sarebbe potuto esplodere senza doversi preoccupare di essere dignitosa anche di fronte alle guardie o ai servitori. Si diresse nella stanza che le era stata assegnata con tutta l’intenzione di chiudere la porta e piangere. Piangere il Principe, piangere la Principessina, piangere la mancanza di una madre troppo ferita per poterle stare accanto.

E lui la seguiva, i passi pesanti, quasi a voler farsi sentire, farle sapere che la stava seguendo, perché lei sapeva perfettamente quanto invece quell’uomo riuscisse ad essere silenzioso – invisibile – se solo lo voleva. E l’aria le mancava sempre di più, il vestito troppo pesante, la collana troppo stretta attorno al collo.

Entrata in camera cercò di togliersi il filo di perle dal colla riuscendo solo a spezzarlo spargendo le piccole spere per tutto il pavimento, il respiro affannato, le lacrime che premevano per uscire.

« Principessa… »

« Vattene via! » gli urlò contro lei.

non si era resa conto di aver afferrato il vaso di fiori che era sul comò fino a quando non lo vide in frantumi sul pavimento, una macchia scura sul muro dietro l’uomo che la guardava con gli occhi spalancati per lo stupore. Pallido come un foglio di carta.

« Vattene via… » sussurrò mentre si accasciava a terra con le mani sul volto a nascondere le lacrime.

« Vattene via ».

Probabilmente si era addormentata piangendo. Qualcuno l’aveva adagiata sul letto e le aveva rimboccato le coperte. I pezzi di vetro e i fiori erano spariti dal pavimento.

L’immagine che le restituiva lo specchio non era delle migliori, aveva i capelli scompigliati e gli occhi gonfi e rossi.

Katniss si liberò dall’abito pesante di velluto in cui si era addormentata e indossò una camicia da notte e una vestaglia di seta, si spazzolò i capelli e con le braccia conserte sotto il seno andò a cercare la guardia; la trova fuori dalla stanza, sempre in posizione di riposo.

Lo sguardo che lui le rivolse era dolce ed era strano che lei riuscisse a distinguerne questa sfumatura.

« Io… Devo scusarmi » disse la ragazza con un filo di voce.

« Principessa non dovete » le rispose lui. Lo guardò inumidirsi le labbra, poi scuotendo la testa continuò a parlare: « Lascia che mi scusi ».

Aveva gli occhi chiusi come per cercare il modo migliore per esprimere quanto le dispiacesse per avergli tirato quel vaso.

« Potrei… » Katniss si schiarì la voce. « Potrei far chiamare un hovercraft e farti portare a casa tu. Potresti passare una giornata con la tua famiglia… Io… »  

« Anche se mi fosse concesso, non c’è più nessuno ad aspettarmi a casa » i tratti tesi del suo viso dicevano molto più delle sue parole.

« Mi dispiace » gli disse lei sincera, le dita che passavano inconsciamente tra i capelli.

« Sono passati tanti anni ».

« Non per questo fa meno male » a quel punto la Principessa lo guardò nuovamente negli occhi.

« No, mia Signora ».

 

 

Circa dieci mesi prima.

 

« Come ti chiami? » gli aveva chiesto lei non appena avevano fatto ritorno dal Distretto Quattro, subito dopo la Festa del Raccolto.

« Peeta, mia Signora ».

« Da quale Distretto vieni, Peeta? »

« Dodici. Distretto Dodici ».

L’aveva guardata mentre tirava frecce a quel bersaglio per più di un’ora. Non si era mosso nemmeno per un secondo, Katniss avrebbe trovato la cosa snervante se solo lui non avesse avuto gli occhi più belli che avesse mai visto.

Le aveva chiesto di fargli vedere il suo arco, quello che suo padre aveva intagliato per lei da bambina.

« Fiori di Katniss » aveva detto lui. « Sul lago poco fuori dal mio Distretto se ne trovano a decine » le stesse parole che le aveva detto il Principe Ereditario quando glielo aveva regalato.

« E’ molto bello, mia Signora ».

Poi mentre si riposava sotto l’albero di un melo accarezzando il legno del suo arco, lo sguardo triste, i pensieri nei ricordi di suo padre, Peeta le se era avvicinato con un dente di leone tra le mani.

« Esprimete un desiderio, mia Signora » le chiese porgendoglielo.

« I miei desideri sono irrealizzabili ».

 

 

 

Somebody stepped inside your soul
Somebody stepped inside your soul
Little by little they robbed and stole
Till someone else was in control

“Trouble” U2 feat. Lykke Li

 

Dieci mesi prima.

 

Era sicura che nessuno gli avesse parlato dei suoi incubi, di come non riuscisse a dormire per una notte intera, dei pianti, delle urla.

Sicuramente in quel momento sembrava allarmato quanto lei, ancora ansimante con la gola riarsa, la fronte madida di sudore e i capelli che le ricadevano scomposti sulle spalle e sul viso, poteva vederlo dai suoi occhi sbarrati per l’apprensione.

Peeta era inginocchiato accanto al suo letto maestoso, l’avambraccio sinistro affondato tra le lenzuola, l’altro braccio proteso verso di lei, quasi a volerla accarezzare. Katniss si raggomitolò tra le coperte dandogli le spalle, cercando di evitare quella scena patetica, cercando di evitare la pietà nel suo sguardo.

« Normalmente non viene nessuno ».

La luce della abatjour filtrava tra i drappeggi del baldacchino, ma l’unica cosa si cui era veramente conscia era l’ombra di lui proiettata sulla parete di fronte a lei.

Se chiudeva gli occhi riusciva ancora a vedere suo padre e sua sorella inghiottiti dalle gallerie delle cave di carbone.

Mentre prendeva respiri lenti e profondi sentì le sue dita rimetterle a posto una spallina della camicia da notte e una carezza leggera sulla schiena, appena sotto il collo.

« Volete che me ne vada? » le chiese lui con il tono più gentile che avesse mai sentito.

« Ti prego, resta ».  

 

 

Otto mesi prima.

 

Quando, il giorno del suo diciottesimo compleanno, suo nonno le aveva comunicato che regnanti dai reami vicini avrebbero cominciato a presentarsi a Palazzo per chiedere la sua mano, aveva annuito senza protestare. Le era stato detto che i corteggiamenti sarebbero durati fino a quando il Re non le avesse trovato un compagno ideale, il che in poche parole stava a significare che il suo matrimonio sarebbe stato a beneficio del regno.

Non le sarebbe stato riservato un trattamento molto diverso da quello a cui erano sottoposti i cavalli di razza custoditi nelle scuderie.

Il primo dei suoi corteggiatori le aveva chiesto di cantare. Lei si era sentita mancare il respiro e se ne era andata dal salone in cui ricevevano gli ospiti importanti. L’episodio si era ripetuti altre due volte prima che il Re intervenisse, richiedendo un colloquio privato con lei, riversandole addosso tutta la sua rabbia.

Non è questo il giusto comportamento per rendere onore a Panem e alla famiglia reale.

Katniss aveva annuito mentre l’uomo le dava le spalle, la vista annebbiata dalle lacrime che non si era lasciata sfuggire.

« Sì, mio Signore ».

Seneca Crane, il primo ad aver assistito al suo comportamento indecoroso, le aveva chiesto nuovamente di cantare l’anno successivo.

Lei aveva esaudito il suo desiderio ad occhi chiusi, immaginando che suo padre fosse lì a tenerle la mano, proprio come  quando da piccola cantavano l’inno di Panem di fronte ai Distretti.

Panem oggi, Panem domani, Panem per sempre.

Dopo quella volta Effie aveva cominciato ad accompagnarla al piano e di tanto in tanto sua nonno si fermava ad ascoltarla, ma lei continuava ad eclissarsi dal mondo che la circondava, nascosta dietro l’oscurità delle sue stesse palpebre.

Peeta era stato nominato sua guardia personale da qualche mese quando Seneca passò a Palazzo per una delle sue due visite annuali; quando le chiese di cantare però Katniss disse che per la canzone che aveva intenzione di cantare non c’era bisogno dell’accompagnamento del pianoforte. Quel giorno aveva intenzione di cantare qualcosa che non cantava da tempo, un brano che le aveva insegnato suo padre.

Il sarto di corte per quell’incontro aveva confezionato un vestito senza spalline, di un arancione tenue che si confondeva con tonalità del rosa, seta ricamata e leggerissima sul suo corpo.

Quando intonò la Canzone della Valle, tradizionale del Distretto Dodici, non aveva occhi che per Peeta.

 

 

I dissolve in trust
I will sing with joy
I will end up dust
I'm in heaven

“Haven” Depeche Mode

 

Sei mesi prima.

 

Quella sera Cato era più insopportabile del solito, l’aveva intercettata non appena suo nonno l’aveva liberta dagli suoi obblighi ufficiali.

Peccato che i suoi obblighi non finissero mai.

Cato faceva parte di una delle nobili casate del Distretto Due e, come la maggior parte della sua famiglia, peccava di arroganza e superbia, soprattutto perché suo padre era uno dei più stretti collaboratori del Re; proprio per questo motivo la presenza del ragazzo a corte non era un evento straordinario, Katniss era abituata alla sua presenza fin da bambina.

Negli ultimi anni Cato si era convinto che se fosse riuscito a farla innamorare di lui il trono sarebbe stato suo; non aveva la più pallida idea di come si dovesse trattare una donna quel ragazzo.

L’aveva seguita sul balcone, quando aveva cercato di isolarsi dal resto del ricevimento, l’illusione di qualche attimo di libertà.

Prima della sua presenza avvertì le sua dita fredde percorrerle la colonna vertebrale lasciata scoperta dal vestito di chiffon verde. Katniss si allontanò dal ragazzo subito di qualche passo, l’espressione inorridita e gli occhi sbarrati.

Cato, nel suo completo elegante e nella sua giacca argentata, era terribilmente bello, da togliere il fiato, avrebbe aggiunto, se non avesse avuto quello sguardo feroce.

« Fai sempre la preziosa, principessina » la risata che aveva accompagnato le sue parole non aveva niente di genuino. La raggiunse nuovamente, passandole le nocche delle dita lungo il contorno del viso e del collo.

Katniss chiuse gli occhi per la repulsione. « Lasciami stare ».

« Se solo ti lasciassi toccare, ti farei capire che non sei tanto diversa dalle altre » le sussurrò lui all’orecchio.

Avrebbe voluto spingerlo via da lei, lontano e fuggire dal Palazzo, fuggire da tutti.

« Ti chiedo solo una notte ».

Labbra ruvide sull’angolo della bocca.

« Signore, devo chiederle di allontanarsi dalla Principessa » la voce di Peeta a pochi metri da loro.

Grazie!

Cato non si mosse di un passo, lo guardò solo con la coda dell’occhio.

« Ora » aggiunse la guardia portando una mano alla fondina dove teneva la pistola, la voce minacciosa.

Lei non aspettò nemmeno un secondo di più e rientrò nel salone con tutta l’intenzione di andarsi a rifugiare nella sua camera.

I passi di Peeta costanti dietro di lei, nel corridoio dove la luce era soffusa e i Pacificatori di guardia sempre più rari.

« Credo di doverti ringraziare » disse piano lei.

« E’ solo il mio dovere, mia Signora ».

Le sfuggì un sorriso, quella guardia le era stata più amica di chiunque altro a corte. Era strano che un sottoposto la facesse sentire in quel modo.

Arrivati sulla soglia della sua stanza rimase qualche secondo a guardarlo prima di augurargli la buonanotte. In quegli ultimi giorni lui aveva evitato di guardarla negli occhi e quando capitava arrossiva violentemente. Lei aveva tentato di fargli capire qualcosa, lo aveva mandato a prenderle il suo libro di fiabe e gli aveva detto di leggerle la sua fiaba preferita.

« Pagina settantaquattro, “La Principessa e il Soldato”. Leggila per me, per favore ».

Il tutto mentre era immersa nella sua vasca da bagno, e il fatto che lui avesse visto poco più che la sua schiena non contava nulla. La storia parlava di una Principessa e un soldato che si innamorano perdutamente e fuggono dal regno del Re malvagio che teneva prigioniera la Principessa.

« Siete incantevole » le confessò lui prima di guardarsi intorno nel corridoio e baciarla.

Dovette chiudere gli occhi per la sensazione di totale abbandono che la sua presenza le trasmetteva, ma a quel punto lui si era già allontanato da lei.

« Scusatemi » sussurrò mentre si allontanava di qualche passo. Katniss gli afferrò la mano e lo trascinò all’interno della stanza e lo baciò.

Le labbra che si muovevano a tempo con quelle di lui, per minuti, forse ore.

Non si era mai sentita più viva che in quel momento.

 

 

Circa quattro mesi prima.

 

Plutarch Heavensbee era uno dei consiglieri più fidati del Re, era entrato a far parte della vita di corte da pochi anni, eppure in quel breve lasso di tempo si era guadagnato la fiducia di suo nonno in un modo che lei non sarebbe riuscita a fare nemmeno in una vita intera.

L’uomo era pomposo a tratti, scaltro, astuto nel parlare, tutte qualità utili a Palazzo; non era tra le persone che preferiva, ma di certo non lo disprezzava. Gli piaceva osservare i ricevimenti, gli incontri politici da lontano, come se fossero una sua opera d’arte, spesso aveva tentato di farle capire a cosa si riferisse.

Le sorsero in mente frammenti di conversazioni che aveva avuto con lui nel tempo.

Se tutto si fermasse per un istante, se tutti in questa stanza fossero immobili, i colori brillanti, le forme sgargianti… Nessuno riuscirebbe a dire che ci sia qualcosa fuori posto. Non trova, Principessa?

 Nei suoi confronti era sempre stato gentile, piacevole, dall’aria bonaria.

Quella sera, nel suo completo blu notte, l’uomo era estremamente elegante, a parte qualche chilo di troppo portava addosso i suoi cinquant’anni più che bene e senza l’aiuto delle alterazioni cui erano soliti i cittadini di Capitol. Quando le aveva chiesto di ballare non aveva potuto rifiutare.

« Il Re le ha rivelato chi sarà il suo sposo? » le chiese l’uomo, come se stesse parlando del tempo e non della sua vita.

Le concesse il tempo di una giravolta su se stessa prima di dover rispondere. Katniss sperò vivamente che Plutarch non si accorgesse che le sudavano le mani.

« Punterei tutto sul Conte Crane, se mi fosse concesso » rispose lei guardinga.

« Il persistente Conte Crane » aggiunse sarcasticamente l’uomo.

Il suo cavaliere le sorrise mentre riprendevano a muoversi con eleganza tra le coppie che li circondavano.

« Politicamente parlando, ci garantirebbe una relativa pace, al confine est, e una maggiore protezione » aggiunse cercando di far intendere al suo interlocutore che non le erano oscuri i piani del Re.

« Certamente, certamente ».

« In oltre è l’unico che abbia mostrato un po’ d’umanità » quello lo disse più per convincere se stessa.

Solo un occhio esperto noterebbe che non tutto è al suo posto. Il mio talento è quello di camuffare il vero. Qual è il suo?

« Quella sua guardia, crede che verrà con voi, dopo il matrimonio? »

Il tono leggero con cui il consigliere aveva introdotto il nuovo argomento non combaciava con la sua espressione intensa. Con lo sguardo, Katniss, cercò Peeta, trovandolo in piedi accanto all’ingresso del salone intento a parlare con una guardia dai tratti familiari.

Katniss desiderò che quel ballo lo avesse concesso a lui, desiderò di essere stretta tra le sue braccia in un lento affettuoso, la guancia premuta sul suo petto, le mani di lui sui fianchi, in un abbraccio dove i confini tra i loro corpi si perdevano.

Era certa di essere arrossita, il sopracciglio inarcato di Plutarch ne era una conferma.

Non ne ho idea, Plutarch.

« Sarebbe un peccato privare la nipote del Re di un legame sicuro con il Palazzo. Giusto? » continuò a parlare l’uomo, lo sguardo fisso su Peeta. Lei si limitò ad annuire, terrorizzata che qualcuno sapesse più del dovuto.

Io, invece, ne ho una vaga idea!

« Cercate di vedere questo matrimonio come un’opportunità e non come un sacrificio » Plutarch aveva incrinato leggermente la testa per poterla guardare negli occhi. « Il popolo vi ama, mia Signora ».

 

 

Tre mesi prima.

 

« Non devo averti fatto una bella impressione la prima volta che mi hai vista ».

La considerazione le era sfuggita dalle labbra mentre era intenta a rileggere la sua fiaba preferita. Peeta le dava le spalle, esaminava i libri di storia riposti sugli scaffali dall’altra parte della stanza.

« Insomma…indisciplinata, decisamente poco gradevole, no? » a questo punto la sua voce era diventata poco più di un sussurro. Lo vide distogliere l’attenzione dai libri che stava esaminando e fare qualche passo verso di lei.

« Ti ho a malapena considerato i primi giorni in cui…»

« La prima volta che vi ho vista, » la interruppe lui. « Ero ancora un bambino. Durante la Festa del Raccolto di quell’anno la famiglia reale era al Distretto Dodici, voi avete intonato l’inno di Panem insieme al Principe Ereditario; eravate vestita di rosso e portavate due trecce » mentre parlava i suoi occhi azzurri non avevano lasciato quelli di lei nemmeno per un momento. « E’ la cosa più bella che abbia mai visto nella mia vita. Bè… Fino ad ora ». Era anche arrossito.

Katniss dovette abbassare il capo per nascondergli il suo di rossore, si morse le labbra reprimendo un sorriso insensato, compiaciuto. Quando riportò lo sguardo su di lui, Peeta le era di fronte.

« Posso baciarvi? » anche quello un sussurro, perché nessuno doveva sentire.

Nessuno poteva sapere.

« Per favore ».

 

 

Un mese prima.

 

La data del matrimonio era stata fissata.

Era stato scelto lo sposo.

Seneca passava a farle visita sempre più spesso, perlopiù passeggiavano nei giardini, lei non parlava molto, lui le raccontava storie del suo regno.

I passi di Peeta li accompagnavano ovunque.

 

 

Una settimana prima.

 

« Vi siete lasciata baciare ».

Peeta le dava le spalle. Non sapeva se il dolere che sentiva all’altezza del petto fosse dovuto al fatto che non la guardasse in faccia o a quello che lo aveva costretto a vedere.

« E’ il mio futuro sposo » non era sicura che la potesse sentire, la voce un sussurro flebile.

Riusciva a vedere il profilo della mascella serrata, le mani strette a pugno. Era furioso.

« Mi avete fatto guardare » e ancora si rifiutava di guardarla.

« Mi dispiace ».

« Non è vero ».

Si chiedeva come era possibile che lui la capisse meglio di chiunque altro, come in così pochi mesi le fosse entrato sotto la pelle come veleno, raggiungendo ogni singola fibra del suo corpo, della sua mente.

Non era dispiaciuta che Peeta l’avesse vista baciare Seneca, voleva fargli assaggiare la sua stessa medicina, fargli sentire come si era sentita quando l’aveva visto flirtare con Delly.

Voleva ferirlo.

« Ti ho visto con Delly » disse Katniss, il tono più duro di quello che avesse voluto. Lui si voltò a guardarla, aveva la fronte corrugata. Iridi talmente azzurre che avrebbe voluto annegarci.

« Io… » cominciò a parlare lui, ma lei lo fermò immediatamente con un gesto della mano, il capo chino. « Non devi spiegarmi niente » ogni parola era come vetro sulle labbra.

E poi sapeva solo che il suo corpo era schiacciato tra il legno intagliato della porta e Peeta, la sua bocca sulla sua.

Bollente.

« Voglio solo voi » e ancora baci sulle tempia, sulla guancia, sul collo. « Solo voi, mia Signora ».

Parole disperate e sincere che le gonfiavano il cuore. « Voglio solo voi ».

« Katniss » sussurrò lei insinuandogli una mano tra i capelli per portarlo più vicino e baciarlo. Ancora.

« Katniss » disse lui staccandosi dalle sue labbra quel tanto che bastava per pronunciare il suo nome.

« Voglio solo te » mani che si intrufolavano sotto la gonna del vestito, calde come tizzoni ardenti sulla pelle. Le fece piegare un ginocchio contro il suo fianco, spingendole il bacino contro il suo.

E voleva lei.

Solo lei, solo lei.

Si rese conto che stava piangendo solo quando Peeta le passò il pollice sulla guancia.

« Portami via da quì… Ti prego, portami via ».

Continuò a supplicarlo di fuggire, accoccolata contrò di lui, seduti sul pavimento mentre le carezze e i baci di Peeta la calmavano.

« Se fossi certo che la pena ricadesse solo su di me, vi porterei via subito ».

 

 

If you go...
If you go your way and I go mine
Are we so...
Are we so helpless against the tide?

“Every breaking wave” U2

 

Un mese dopo.

 

Il portico che costeggiava i giardini del Palazzo era fin troppo illuminato per una mattina di fine inverno, il sole allungava le loro ombre sul muro in modo da far pensare che stessero camminando a fianco a fianco e non che lui la seguisse a un paio di metri di distanza.

La Principessa sapeva che sarebbe stato meglio affrettare il passo e portare a termine quel compito il più in fretta possibile, ma come poteva farlo se il cuore le batteva all’impazzata e l’unica cosa che desiderava era fuggire da quel luogo?

Fuggire da quella vita.

In lontananza, attorno al gazebo bianco, vicino alle fontane, riusciva a vedere tutti i nobili del regno, adornati da abiti sgargianti e dai copricapi più bizzarri; dovette cercare qualche secondo con lo sguardo prima di individuare il Re conversare amabilmente con quello che, da lì a poco, sarebbe diventato il suo sposo.

Il suono asincrono delle sue scarpe eleganti e degli stivali di Peeta sul marmo le davano un senso di sicurezza fasullo. Come se non stesse succedendo niente di insolito.

Fuggire tra le braccia dell’uomo che la seguiva costantemente ovunque.

Arrivata sul sentiero lastricato di pietra dovette sollevare leggermente la gonna del vestito, nel farlo notò un dente di leone solitario tra i ciuffi d’erba accanto al selciato: si chinò a raccoglierlo.

Il pizzo delle maniche del vestito le pizzicava la pelle e il corsetto era troppo stretto.

Katniss girò su se stessa per poter parlare con Peeta. « Esprimi un desiderio » disse lei porgendogli il fiore.

Lui fece roteare lo stelo tra il pollice e l’indice per qualche secondo prima di inserirlo nel bouquet di rose bianche che Katniss stringeva tra le mani.

« Il mio desiderio è irrealizzabile ». Le sue stesse parole, mesi prima, quando lui le aveva fatto la stessa domanda.

Doveva sembrare profondamente affranta perché la guardia aggiunse: « Vorrei che foste mia ». Un sorriso amaro ad increspargli le labbra.

« Io sono tua » disse pianissimo lei guardandosi attorno per accertarsi che nessuno li ascoltasse.

« No, mia Signora ».

Dita che le sfioravano le mani in movimenti che dovevano sembrare totalmente casuali.

I violini avevano già cominciato a suonare la marcia nuziale.

« Io sono suo. La mia vita, il mio cuore » continuò Peeta facendo un passo indietro, le mani dietro la schiena e l’accenno di un inchino.

Panem oggi, Panem domani, Panem per sempre.

Le mancava l’aria.

« Sempre ».

 

Angolo dell’autrice.

Che ve ne pare? È un po’ frammentario, me ne rendo conto, ma è un esperimento narrativo a cui vorrei far seguire un’altra storia e mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate. Se vi è sfuggito qualcosa, se aveste preferito qualcosa di diverso…

Io ne sono abbastanza soddisfatta, nella mia testa è come un film, scena dopo scena e comunque avrei voluto scrivere di più, spiegare meglio non so nemmeno se mi sto spiegando in questo momento!

Ok, ora vi lascio, grazie mille per essere arrivati/e fino in fondo.

Ciara.

  
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Ciara