Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: metaldolphin    10/01/2015    5 recensioni
Un black hole (o buco nero) è un corpo celeste che una volta era una stella tra le più luminose. Ma quando non ha più energie da dare, diventa come un vampiro cosmico, attirando a sè qualsiasi cosa, materia ed energia, non lasciando sfuggire nemmeno la luce, distruggendo ciò che lo circonda.
Harlock si sente così, quando scopre qualcosa che nessuno avrebbe mai dovuto vedere.
L'antimateria è esternamente uguale alla materia, ma le cariche elettriche invertite delle sue particelle subatomiche la fanno diventare intimamente il suo contrario; se dovessero incontrarsi, si annullerebbero in un'esplosione di energia.
Yuki Kei si sente così, su una Terra ormai a lei estranea, dopo essere stata abbandonata dal suo Capitano.
E' troppo tardi per entrambi?
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harlock, Un po' tutti, Yuki
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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"Sei come un buco nero di cui ho superato l'orizzonte degli eventi: ormai per me è impossibile cercare di tornare indietro. E  nemmeno lo vorrei.
Non avrei una vita al di fuori di questa nave, non avrei una vita senza il tuo passo sul metallo di questo ponte, non avrei una vita senza l'ombra del mantello su queste paratie di freddo acciaio.
Se un giorno dovessi lasciarmi indietro potrei annichilirmi come farebbe un grammo di antimateria liberato nell'atmosfera terrestre, in un dolore così grande che, forse, persino tu riusciresti a sentire."

 
Harlock sgranò l'occhio davanti a quel file-diario, trovato per caso mentre metteva via i pochi effetti personali raccolti da Meeme, un mese dopo che erano decollati.
Aveva riportato l'equipaggio sulla Terra, affinché partecipasse alla ricostruzione, dopo quei due anni di battaglia contro le Mazoniane, lasciandoli su quella superficie martoriata quasi a tradimento, ripartendo soltanto con l'aliena, unica superstite della sua gente.

Rilesse l'ultima parte, sentendosi come un ladro blasfemo che sa di violare qualcosa di sacro: si era acceso senza che lo volesse e sapeva bene che, se avesse potuto, mai e poi mai Yuki Kei avrebbe voluto che lo vedesse.

Perché era chiaro a chi fossero riferiti quei pensieri così intimi e allo stesso modo così disattesi.

Lui sapeva bene che un grammo di antimateria sarebbe durato il soffio di un istante, nelle condizioni da lei ipotizzate e sentì un disagio profondo crescergli dentro, insieme a qualcosa che non sentiva da troppo tempo.
Era così insensibile il suo cuore, da non aver capito? Non era riuscito a percepire e a prevedere il dolore che lei avrebbe provato se l'avesse lasciata indietro: cos'era diventato Harlock, fiero pirata a difesa di un pianeta che non lo meritava?
Freddo come lo spazio senza stelle che segnava la distanza tra le galassie, gelido come il corpo di una stella che non aveva più energia da dare e la rubava agli astri vicini.
Proprio come aveva detto Kei.
Un buco nero.
Ed ora cosa avrebbe fatto lei? E cosa avrebbero fatto gli altri?
Su di un pianeta che non avevano chiesto di abitare...
Senza l'Arcadia che Kei considerava al pari di una casa...
Senza di... Lui?
A quel pensiero percepì il suo cuore che cambiava ritmo.
Portò la mano guantata al petto.
Dolore.
Cosa gli stava accadendo?
Scaricò il suo peso, poggiandosi pesantemente con entrambe le mani alla console densa di strumentazioni, chinandosi in avanti.
-Cos'hai, Harlock?- sentì dire alla voce musicale di Meeme.
Scosse il capo, prendendo un profondo respiro.

Sapeva già che c'erano momenti nella vita, attimi ben delineati, in cui qualcosa si spezza dentro senza che si possa fare qualcosa per fermarlo.
Ne aveva vissuti ed erano rimasti come boe che galleggiavano, a segnare punti di svolta che obbligano a prendere direzioni ben precise e non è possibile tornare indietro.

Raddrizzò la schiena e si avviò per uscire dal ponte di comando. Marciò deciso verso il cuore dell'Arcadia, verso il luogo in cui dimorava l'essenza del suo Amico.

Un'ora dopo il metallo della nave stridette, quando la manovra presa (quasi) autonomamente ne cambiò improvvisamente la rotta, riportandola verso l'ultimo pianeta su cui erano stati, effettuando una stretta virata di centottanta gradi.
L'Arcadia aveva risposto all'ultima domanda del suo Capitano: -Cosa devo fare, amico mio?

Il piccolo sole giallo tornò visibile abbastanza in fretta, ma ci vollero giorni per rientrare nel Sistema Solare.

Passarono vicino all'azzurro intenso dell'enorme Nettuno e ad Harlock ricordò gli occhi di lei, quasi dello stesso colore, ma più trasparenti e sinceri.

Risentirono dell'enorme forza gravitazionale di Giove e dovettero effettuare le consuete correzioni di rotta, mentre associava quelle sfumature ai biondi capelli di Yuki; però poi apparve anche la grande Macchia Rossa che ne feriva la superficie inquieta, tempesta in corso da migliaia di anni terrestri e ne fu turbato: pareva un infausto presagio sanguigno, sulle sfumature calde del gigante gassoso e volse lo sguardo altrove.

Oltrepassarono la Cintura degli Asteroidi e Marte, come il Dio greco della guerra, anche se lontano dal loro cammino, tranquillo nella sua orbita, poteva sentirlo nel suo cuore dilaniato da una battaglia contro se stesso.

Ormai la terra era un punto luminoso e ben visibile, al centro perfetto degli schermi e faceva sentire Harlock come sotto lo sguardo di un serio e spietato inquisitore.
Ma allo stesso tempo ne era attratto.
Aveva rischiato tutto per quella gente, per quel mare blu e le verdi terre: era pur sempre la sua patria, anche se non più la sua casa, dopo essere stato tradito e rinnegato dagli stessi che aveva salvato.
E poi c'era lei.
Fino a quel momento mai avrebbe creduto di poter essere ricambiato nei sentimenti da sempre nascosti, ma comunque presenti, come la canzone di una stella di neutroni, che pulsa di un'energia che permea l'intera galassia, senza essere vista con chiarezza.

Mentre l'attrito con l'atmosfera terrestre riscaldava lo scafo dell'Arcadia nei punti più esposti, il Capitano ebbe un'esitazione derivata da un pensiero improvviso.
E se invece Yuki avesse avuto ragione?
Se lui fosse stato proprio come un buco nero che distrugge ed annienta tutto ciò che ha intorno?
Era già successo in passato, con Maya, che le somigliava così tanto…
Dopo di lei aveva  chiuso il cuore, obbligandolo a non esternare sentimenti così profondi, per non passare di nuovo attraverso quel dolore.
Ebbe la tentazione di far invertire nuovamente la rotta, ma più in basso, nella città in ricostruzione, ormai erano stati avvistati: i motori che accompagnavano quattrocento metri di acciaio blu che planano attraverso le nubi spesse dell'inverno che avvolgeva macerie e palazzi in costruzione erano difficili da ignorare… una folla di persone si era radunata, tra il timore e il rispetto, nella periferia sgombra dai detriti.

Sospesa a mezz'aria, l'Arcadia, con la sua bandiera pirata che sventolava fiera, si mise in attesa.
Un gruppetto si era staccato dalla massa, andando loro incontro, e si era fermato sotto di essa.
C'erano tutti: spiccavano Zero e Masu-san, Yattaran e Tadashi e Maji.
Indietro, con lo sguardo triste, era rimasta Yuki Kei.
Poteva vederli bene dal pavimento reso schermo dal genio di Tochiro, mentre in disparte sedeva in silenziosa obbedienza Meeme.

Lo scafo vibrò, come a volerlo scuotere dall'immobilità in cui Harlock era caduto osservando quella gente sotto i suoi piedi.
Il portellone si aprì autonomamente, chiaro invito a scendere loro incontro, ma il Capitano non si mosse.
Poi, però, vide che gli altri si muovevano verso la nave, mentre lei rimaneva ferma e la osservò meglio; pallida, ostentava uno sguardo che mai le aveva visto in viso: l'antimateria aveva già reagito con la materia che la circondava o era ancora in tempo a portarla via, prima che si annullasse?

Uno svolazzo del mantello nero e l'uomo corse via per percorrere veloce la distanza che lo separava dall'esterno.
Saltò giù dalla nave e l'equipaggio gli si fece incontro, sorridente e speranzoso, per il ripensamento di quello che avrebbero sempre considerato il loro Capitano. Ma dopo un rapido e brusco saluto, quest'ultimo si innalzò su tutti e la chiamò a gran voce: -Kei! Yuki Kei!
Le vide alzare il capo, con i chiari capelli che le ondeggiavano ai lati del viso e lo sguardo di nuovo vivo.
Ma rimase immobile.

Era lui che doveva raggiungerla, adesso: dopo i milioni di chilometri percorsi, non poteva mancare gli ultimi venti metri.
Li coprì col consueto passo, facendosi largo tra gli altri, fino a raggiungerla.
Rimasero a fronteggiarsi per interminabili secondi, poi la avvolse e la tenne stretta. Poggiando la guancia sulla seta dei suoi capelli mormorò: -Ho sentito il tuo dolore. L'ho compreso, anche se, forse, ormai è tardi.
La sentì tremare nel suo abbraccio e sperò di essere giunto in tempo.

Non ci volle molto affinchè i presenti vedessero decollare la grande astronave, stavolta con l'equipaggio al completo.
   
 
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