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Autore: MrOrange    11/01/2015    3 recensioni
Chris/Peter AU
Peter Hale è un uomo che vede la sua vita annegare lentamente nell'apatia e nell'odio per la gente e per se stesso, gli unici attimi della giornata in cui riesce a sentirsi vivo sono quelli che trascorre in un cinema cadente di una piccola cittadina della California. Le sue notti sono tormentate da incubi neri di buio e incandescenti delle fiamme che hanno bruciato la sua casa per colpa sua.
Una notte un uomo si siede vicino a lui nel cinema: è Christopher Argent, ex-soldato rimasto solo dalla morte della figlia Allison in un incidente stradale. La vita di Chris scorre nella monotona apatia della routine e l'alcool è l'unica compagnia nelle sue notti solitarie.
Peter e Chris inizieranno quasi inconsciamente ad avvicinarsi, lottando fra loro per il terrore di ricevere aiuto e salvezza dalla disperazione in cui vagano, combattendo i reciproci demoni e lasciandosi trasportare in un amore che si nutre di citazioni di capolavori cinematografici, di battute pungenti e di sguardi intrecciati per caso.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chris Argent, Peter Hale
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Peter Hale cammina sotto la lieve pioggia di Novembre, stringendosi intirizzito l’impermeabile scuro nel freddo pungente che lo tortura; dannato lui e la sua brutta abitudine di non guardare le previsioni del tempo prima di uscire la mattina, in questo modo arriverà un ghiacciolo al posto suo al cinema.
Le pensiline non riescono a dargli un riparo decente contro la pioggia sempre più fitta che lo costringe a percorrere di corsa gli ultimi metri prima dell’ingresso illuminato, con il dannato rischio di scivolare e rompersi l’osso del collo.
Finalmente riesce a rifugiarsi nel cinema e si prende con calma qualche minuto per osservare le foto scolorite che ne adornano l’ingresso, ultimi testimoni di un passato glorioso: Casablanca, Via col Vento, Amadeus ed E.T., pellicole all’apparenza senza legami logici, e tuttavia accomunate dal successo ottenuto in quel piccolo cinema. Una volta scrollate le ultime gocce sporche dall’orlo della giacca, Peter si avvicina al botteghino presidiato da un’anziana signora che lo conosce da quasi sei anni e per cui è normale trattarlo come farebbe una madre preoccupata.

“Il solito posto, signor Hale?” chiede la signora Bohen, ponendo la domanda che è ormai diventata un’abitudine e un conforto per Peter, nonostante sappiano bene entrambi che a dividere le loro vite ci sarà sempre quel vetro polveroso e che la risposta rimarrà sempre la stessa.

“Certo, signora Bohen” risponde cortese Peter incurvando le labbra in un sorriso. Accennando un ultimo saluto all’unica persona con cui si conceda un contatto umano nel corso delle sue solitarie settimane, l’uomo prende il biglietto e si avvia verso la sala piccola, quella in cui a volte replicano film già trasmessi.
Puntuale come suo solito, Peter si siede al  primo posto della fila A, in fondo alla stanza ancora illuminata, in anticipo di dieci minuti rispetto a una qualunque persona normale. D’altra parte Peter Hale non è una persona definibile “normale”, almeno non nel senso più generico e banale del termine.
Quando inizia ad arrivare gente sono ormai le nove e mezzo e dopo altri dieci minuti la sala è mezza piena, cinefili o donne di mezza età fissate con Di Caprio, e ciò nonostante l’ultima fila rimane sempre vuota, eccetto il primo posto.

Alle nove e quarantacinque si spengono le luci, la luce verde si accende sullo schermo e illumina un’ultima persona ritardataria che si affretta a prendere posto vicino Peter. Quest’ultimo strizza gli occhi fingendo noncuranza, mentre tenta di nascondere il fastidio. Poco male, tanto sono solo due ore o giù di li, la vicinanza di un essere umano non lo ucciderà, quindi meglio mettersi comodi e godersi il film.
E poi tutti cambiano posto dopo un po’, quando vedono che più avanti ci sono poltrone libere, farà così anche questo. O almeno, Peter spera faccia così.

Tuttavia, il “signor-sconosciuto-scocciatore”, come l’ha soprannominato Peter nella sua mente, persiste nella sua scelta, mentre sullo schermo l’anima dannata di Jay Gatsby consacra il suo eternamente puro amore per Daisy e si consuma nelle parole del suo unico amico.
Quando alla fine le luci si riaccendono, Peter si accinge a raggiungere l’uscita mentre nella sua mente continuano a scorrere le note di “Young and Beautiful” e riflette per l’ennesima volta sul fatto che la versione con Redford sia sempre la migliore, e pensa che di aver superato brillantemente la prova cui il suo autocontrollo è stato sottoposto quelle due ore e mezzo, ha davvero fatto progressi rispetto all’ultima volta. Merita decisamente un’ulteriore serata di cinema quella settimana.
Anche se ha visto i film in programmazione più di una volta il suo essere un cinefilo incallito, oltre che profondamente misantropo, lo porta a sentirsi in pace con se stesso solo nel buio di una sala cinematografica a contatto con i protagonisti delle sue storie preferite, incapaci di mentire e di ripudiare per inutili errori. Ma d’altra parte è inutile rivangare il passato, quindi Peter si affretta a richiudere quella porta che così raramente dischiude. I ricordi sono troppo dolorosi per riviverli, oltre che nei suoi incubi, anche a occhi aperti.

Ha iniziato a rifugiarsi in quel piccolo cinema di provincia circa sei anni fa, quando un incendio da lui accidentalmente provocato ha quasi ucciso tutta la famiglia Hale, trasformandolo in un reietto persino agli occhi di sua sorella Talia, la sua comprensiva sorellona che l’aveva guardato con risentimento negli occhi appena prima di mandarlo via per sempre. Fino a quel momento Peter aveva, a detta di tutti, “sprecato” la sua vita tra un’avventura e l’altra, vivendo in modo scapestrato come nei film che tanto gli piacevano.
Una notte, dopo aver litigato pesantemente con tutta la famiglia al completo, li aveva maledetti tutti, dal primo all’ultimo, rinfacciandogli ogni cosa gli facesse schifo della sua inutile vita. Bere decisamente non gli faceva bene, lo rendeva ancora più irascibile del solito, e quella volta aveva decisamente esagerato:

-Smettila Peter!

-No, smettetela voi, smettetela tutti quanti! Smettetela di dirmi cosa fare della mia vita, di guardarmi male solo perché non sono il bambino perfetto che questa famiglia vuole, non lo sono mai stato! Ma d’altra parte con dei fratelli così fottutamente perfetti che ci si poteva aspettare dall’ultimo arrivato? Non vi sta bene come vivo? Bene! Perché io ne ho piene le scatole dei vostri moralismi, dei vostri “Peter, cosa cazzo vuoi fare nella tua vita”, dei “Peter, perché non sei buono come tua sorella Talia? Perché non fai l’avvocato perfettino e serio come lei? Eh, perché Peter, perché?”. Beh, ve lo dico io perché: perché siete una famiglia che fa schifo, perché la famiglia Hale non può permettersi un elemento sbagliato che questo deve mettersi bravo bravo in coda con gli altri…

-Adesso basta!- aveva urlato suo fratello Patrick, fulminandolo con i suoi occhi scuri.

Tutti nella famiglia Hale avevano gli occhi scuri, eccetto lui. L’Omega della famiglia.
Peter, con la testa che girava vorticosamente per l’adrenalina e per la sbronza colossale che si era preso, aveva tentato di accendersi una sigaretta. La fiamma aveva guizzato incerta dall’accendino retto da mani tremanti, danzandogli davanti agli occhi, finché la mano di suo fratello non era sbucata dal nulla a strappargliela di mano.

-E smettila di fingere che non te ne freghi un cazzo, quando poi hai da recriminare e da sbraitare vuoi che tutti ti ascoltino, tu e le tue stronzate! Non è colpa nostra se la tua vita fa schifo!
Peter aveva tentato debolmente di riprendersi l’accendino, riuscendo solo a caracollare addosso al fratello e a rotolare con lui sul pavimento del garage; nel groviglio di corpi che si era venuto a creare sul pavimento, con Talia che tentava di dividerli, nessuno si accorse della tanica di benzina di riserva che si era rovesciata. Che era finita vicino all’accendino, e che era esplosa come una bomba, travolgendo i tre fratelli Hale. E bruciando tutta la casa.

Peter si sveglia urlando nel suo letto, vestito di sudore ghiacciato che scivola lungo la schiena e lo riporta a sei anni prima, al calore infernale della sua casa che brucia e alle urla dei suoi familiari.
Dannazione, era un po’ di tempo che gli incubi avevano smesso si tormentarlo, perché dovevano tornare a rovinare la sua vita proprio quando sembrava andare nel verso giusto? Beh, nel verso giusto, si fa per dire.
Relegando per poco, magari ci riuscisse per sempre, i suoi demoni interiori ad un angolo oscuro della mente, scalcia le coperte pesanti che lo intrappolano a fondo del letto e si alza per chiudere la finestra. Le tende si agitano come pallidi fantasmi che tentano di ghermire la sua anima, sobillati dal vento gelido di Novembre.

Purtroppo, o per fortuna, altri fantasmi, fantasmi di fuoco e di sangue, hanno già la sua anima in pugno, perciò gli altri dovranno aspettare. Quella notte è tardi per Peter, tardi per lasciarli andare, tardi per tutto.

***

Dopo due giorni Peter è di nuovo al sicuro tra le braccia vellutate della sua poltrona, la sala vuota che si armonizza perfettamente con la sua mente che per una volta tace anch’essa, lasciando il silenzio come unico rumore assordante nei suoi timpani.
Il momento passa in fretta, con l’entrata degli altri spettatori l’equilibrio si spezza e Peter riprende a sentirsi inadeguato. Dio, quanto detesta il contatto con le persone! Adesso sa che si sentirà arrabbiato e infastidito fino all’inizio del film, e infatti spera vivamente, in uno slancio di egoistica umanità, che nessuno abbia la pessima idea di prendere posto vicino a lui. Questo qualcuno si potrebbe ritrovare accidentalmente con la gola aperta e, sempre accidentalmente, il sangue della suddetta persona potrebbe misteriosamente insaporire i pop-corn di Peter.

Mentre Peter riflette su questo possibile omicidio, la luci sfumano lentamente e l’oscurità avvolge i suoi pensieri da psicopatico, costringendoli in un anfratto della mente. Rimarranno lì per miseri duecentoventi minuti, che scorreranno drammatici raccontando la vita dell’ingenuo, per quanto criminale, Noodles e la sua amicizia maledetta con Max.
O meglio, questi sono i piani di Peter; tuttavia, sembra che qualcuno sia ansioso di rischiare la sua giugulare. Infatti, appena dopo i primissimi minuti in cui Noodles si trova, intontito e felice, nella fumeria d’oppio di New York, un essere umano occupa la poltrona A2, trascendendo repentino lo stato di rapimento in cui è scivolato Peter e riportandolo violentemente alla realtà.

Fa niente, tra poco se ne andrà. Se ne vanno tutti, prima o poi, seguita a ripetersi Peter come se quelle tre semplici frasi fossero il suo mantra. E in un certo senso lo sono, sono il suo motto, la frase che più rappresenta la sua vita: un eterno e ciclico abbandono.

L’essere umano però sembra incollato alla poltrona e non accenna ad alzarsi per sistemarsi altrove, quindi Peter, annoiato dal duplice fastidio di quella settimana, si concede un paio di minuti per osservare meglio il fautore del suo scontento: al buio della sala è difficile riconoscere un volto, ma se c’è una qualità che tutti hanno sempre riconosciuto a Peter è il suo essere un bravo fisionomista. Non dimenticherebbe mai un volto così particolare, con quella barba sale e pepe che circonda delle labbra sottili e gli occhi di un colore chiaro, azzurro forse, che rimangono fissi sullo schermo, anche se si sono accorti dell’attenzione che hanno suscitato nell’uomo seduto loro accanto. Nonostante il buio della sala, nonostante il buio che avvolge la sua anima e che gli impedisce di aver contatto con altri esseri umani, Peter si ricorda di quell’uomo.
E’ lo stesso uomo della volta precedente, il “signor- sconosciuto-scocciatore” che ha disturbato anche la sua visione del Grande Gatsby.
Inspiegabilmente, Peter continua a lanciare occhiate fugaci verso l’uomo accanto a lui durante tutto il film, distraendosi dalla visione di uno dei suoi film preferiti pur di osservare uno sconosciuto. Uno sconosciuto che talaltro non pare minimamente interessato a Peter e all’attenzione che quest’ultimo gli sta rivolgendo. E forse è proprio questo il motivo per cui Peter è tanto attratto da questa retta parallela che è passata un po’ più vicina delle altre a quell’infinito e confuso susseguirsi di monotonia che è la sua vita. Mh, gli piace questa metafora; sì, gli piace decisamente, e gli piace ancora di più poiché gli rende simpatica la persona di fianco a lui.

Magari è solo un poveraccio come lui, solo al mondo, cui piacciono i film in programmazione; altro punto a suo favore, quelli sono anche alcuni dei film preferiti di Peter. Incredibile, sta passando velocemente dall’odio immotivato verso quel povero cristiano colpevole solo di aver occupato la poltrona A2 a una strana simpatia. Ok, forse la dovrebbe solo smettere di lambiccarsi, godersi il film e dimenticarsi di quel tipo.

Tuttavia Peter non sa quanto si sia avvicinato alla realtà, quanto le sue supposizioni siano arrivate a sfiorare i motivi che hanno condotto Christopher Argent in quel misero cinema di periferia. I motivi che hanno portato la vita di Peter a incrociarsi con la sua.

Argent d’altra parte è un buon osservatore e si è accorto che l’uomo accanto a lui lo fissa così come due giorni prima ha notato l’impercettibile moto di fastidio provocato nel suddetto al suo atto di sederglisi accanto. E’ stato addestrato per una vita a notare tutto, dai minimi particolari di un potenziale avversario alla sottile tensione dei suoi commilitoni prima di un attacco a sorpresa, per cui non è un problema per la sua mente allenata registrare ogni piccolo particolare della persona a lui conseguente: occhi chiari, presumibilmente azzurri, più scuri dei suoi di un paio di tonalità, capelli neri come quel poco di barba che gli incornicia il volto, giacca, anch’essa immancabilmente nera, probabilmente di pelle, che crea un piacevole contrasto con la camicia rosso sangue. Infischiandosene del film per una volta, tanto l’ha visto così tante volte da ricordarlo a memoria, scava un po’ più a fondo nell’aspetto di quell’uomo per coglierne le sfumature psicologiche: postura scomposta, di chi è totalmente preso da ciò che vede, furbo da parte tua, fingere ad arte di essere completamente disinteressato a osservarmi, giochi bene, te lo riconosco, ma sono più bravo di te a questo gioco!  pensa Chris, notando con una punta di amarezza come sia bello poter sfruttare le sue conoscenze di soldato per fini così comuni e banali.
D’altra parte questo è solo un passatempo, uno come i tanti che s’inventa per combattere la solitudine di una vita diventata vuota all’improvviso.

Comunque, l’analisi si sta rivelando più interessante del previsto, infatti, a parte l’ostinazione nel nascondere l’interesse che prova per la sua persona, Chris non riesce a scoprire niente di rilevante che non abbia già capito quando l’ha visto sprofondato nella poltrona A1. Probabilmente non è sposato, sennò sarebbe a casa con una signora-sconosciuta-faccia-indispettita, forse neanche fidanzato.  Magari è gay e cerca un modo di combattere il disagio di averlo scoperto da poco rifugiandosi in un cinema. O forse è solo un cinefilo e lui si sta facendo troppe pippe esistenziali e dovrebbe solo godersi il film e lasciar perdere lo sconosciuto vicino a lui.
Poi, nello stesso istante in cui Argent si decide a distogliere l’attenzione dalla sua preda, Peter inaspettatamente si volta con uno scatto secco, incatenando le profondità dell’oceano che i suoi occhi racchiudono al ghiaccio bruciante di quelli di Chris, lasciandolo in apnea per secondi eterni. Dopo secoli istantanei i loro sguardi si rilasciano, e le due ore abbondanti del film scorrono in un lampo, senza che nessuno dei due abbia visto altro che occhi azzurri che lo scrutavano.

Quando Chris esce dal cinema soffia un vento gelido e il fiato gli si mozza in gola come una lama tagliente, pronta a recidergli la trachea a un respiro sbagliato; e la mente vola, vola lontano dalla noiosa monotonia di Beacon Hills, riportandolo in quell’inferno che è stata la guerra in Iraq, l’evento che ha sconvolto la vita di Christopher Argent dall’interno, corrodendo la sua mente come un tarlo e rilasciandolo a casa senza uno scopo di vita e con una famiglia divenuta estranea.

Chris era stato predestinato fin da piccolo a diventare un soldato per seguire le orme di suo padre Gerard, generale con tanto di medaglie, ultime testimoni di un passato glorioso che aveva decisamente dato alla testa al capo della famiglia Argent.  Era stato costretto all’addestramento militare subito dopo il liceo, spettatore passivo della sua vita che sfrecciava lenta trascendendo la sua volontà. Forse non ne aveva mai neanche avuto una, una volontà propria, una speranza di libero arbitrio che suscitasse in lui un qualche sentimento di ribellione. E forse era stata anche questa passività che, entrando in contrasto con gli orrori e la pressione psicologica accumulata durante i cinque anni di servizio militare in Iraq, aveva acceso la miccia del suo animo. Quando era tornato a casa nel 2008, la sua famiglia gli era diventata estranea, la moglie lontana dal ricordo che Chris aveva di lei, ora capo famiglia e fredda donna arrivista, il mito del padre stracciato dall’apatia e dal distacco che ormai aveva avvolto la sua vita.
L’unico punto fermo che rimaneva a Chris per non sprofondare nella confusione era Allison, la figlia che aveva lasciato circa cinque anni prima all’età di sette anni. Dopo cinque anni lo aveva accolto con un misto di diffidenza e curiosità, cercando disperatamente di ritrovare suo padre dietro quell’uomo estraneo che beveva sfatto quasi ogni sera e riuscendo pian piano a richiamarlo alla vita com’era una volta, allegro e vivo, un padre che adorava la sua unica figlia e rideva con lei, lanciandola in aria e facendola rotea tra le sue braccia il giorno del suo compleanno.
Dopo circa un anno, una nuova turbolenza si era abbattuta sulla famiglia Argent: l’apatia di Chris era passata quasi in secondo piano col tempo, lui si era trovato un lavoro in un call center e tutto aveva assunto la monotona patina di una fragile tranquillità. Tuttavia, la sorella minore di Chris, Kate, aveva deciso di tornare in città e, dopo aver causato una semi crisi d’identità ad Allison, aveva allietato la famiglia con uno sfogo contro il padre che l’aveva costretta a una vita che non voleva, lasciando la famiglia in balia dei dissidi tra Chris e suo padre, insopportabile ogni anno di più.
Alla fin fine, Chris non se la sentiva affatto di biasimare Kate.

Nell 2011 Victoria aveva contratto il cancro e in tre mesi scarsi si era consumata, lasciando Chris e Allison da soli, l’uno aggrappato disperatamente all’altro, fino a che anche Allison non se n’era andata, dissolta in un incidente d’auto mentre i suoi amici la riportavano a casa dopo un compleanno. Distrutta in una manciata di secondi, per colpa di uno sconosciuto ubriaco che poi era finito in prigione per omicidio colposo; Chris non aveva neanche fatto lo sforzo di odiarlo, tanto a che sarebbe servito? Neanche si ricordava il nome di quel disgraziato.

Così si è ritrovato in quel minuscolo cinema di Beacon Hills, a fissare uno sconosciuto dalla camicia rosso sangue e gli occhi in tempesta. Quella notte probabilmente gli incubi gli toglieranno il sonno, proiettandogli scenari di guerra in cui il generale Argent gli sbraita contro di uccidere il nemico e assicurarsi una vittoria di cenere, fino a che i suoi compagni non periranno davanti ai suoi occhi, tramutandosi in sua sorella rabbiosa, sua moglie come l’aveva vista gli ultimi giorni di vita, pallida e distrutta. Fino a che non rimarrà solo sul campo a fissare il cadavere di sua figlia che si disfa in una nube di polvere, granelli scuri che gli turbineranno davanti agli occhi ottundendogli la mente e lasciandolo sfinito alle porte di un nuovo giorno.

E sa Chris sa che i suoi fantasmi non lo libereranno mai veramente e che quella notte, come tutte quelle che l’hanno preceduta e che le faranno seguito, sarà tardi per lui, tardi per provare  a lasciarli andare, tardi per tutto.

***

Dopo due settimane Chris è di nuovo nel cinema, a prendere posto stancamente sulla poltrona A2, come ormai fa da due settimane consecutive. Solo che quando arriva la sala è completamente vuota. Compreso il primo posto della prima fila.
Ma che diavolo…?! Chris getta distrattamente un’occhiata al vecchio orologio da polso, realizzando di essere ben venti minuti in anticipo sull’inizio del film. Cazzo… Deve aver visto male l’orario mentre usciva di casa. Forse è per questo che la bigliettaia l’ha guardato strano quando ha chiesto il biglietto per la proiezione delle 22.00 di Amadeus.

Scrollando le spalle, si toglie la giacca umida di pioggia e si mette ad attendere pazientemente che i venti minuti passino. Tanto passare venti minuti inutili a casa o in un cinema vuoto non farà nessuna differenza, per cui meglio mettersi comodi.
Dopo un paio di minuti la porta d’ingresso della sala si apre, distogliendo l’attenzione di Chris dagli interessantissimi fili scuciti della sua maglietta: il signor-sconosciuto-faccia-indispettita-occhi-fottutamente-perfetti (dannazione, questo soprannome è troppo lungo! Però ha davvero degli occhi fottutamente perfetti…) si stravacca sulla poltrona accanto a lui, reprimendo sul nascere un impercettibile moto di fastidio a vederlo lì. O forse non è fastidio…
-Come mai in anticipo?
-Una svista.

Peter inarca lievemente un sopracciglio, forse non ci crede, facendolo sentire un po’ a disagio. Disagio con una punta di rabbia. Chi si crede di essere quell’uomo strambo per giudicarlo? E poi è vero che ha visto male l’orologio, sicuramente non era nei suoi piani finire in un cinema solo con lui. E’ sul punto di tirargli un pugno su quella stupida faccia di bronzo, ma lui sa controllarsi, l’ha imparato molto tempo fa. Per questo si limita a tirar fuori il suo sorriso più tagliente e a investigare:
-E tu? Come mai così presto? - Fanculo la cortesia.

Diretto. E terribilmente carino. Sto per divertirmi. –Mi piace il cinema vuoto. Odio le persone- E ora come la metti, cacciatore?

Sincero. Spiazzante. Detestabile. –Non ti pare di esagerare?- Vanesio e arrogante.

Freddo e ficcanaso. –No- Ora tocca a me, cacciatore. Chissà chi sei? –E’ un interrogatorio?

Influenzato da troppi film. Cinefilo? Avrebbe senso: spiegherebbe perché passi le tue serate in un cinema a vedere capolavori. Almeno hai buoni gusti, te lo concedo. -No. Semplice curiosità.

Sono curioso anch’io. Siamo due curiosi a caccia di qualcosa da fare. Probabilmente non è sposato. –La curiosità è peccato lo sai?- Peccato veniale ma pur sempre peccato.
E con questo che vorrebbe dire?! –Beh, non vedo niente di male in un paio di domande. Questo non è un poliziesco e non sono qui per arrestarti, Rick Blaine1- Dov’è la tua Ilsa, Rick?

–Chi ti dice che io abbia qualcosa da nascondere, Renault?- chiede retorico Peter con un sorriso malcelato per la citazione a uno dei film che ama di più. –E se fossi proprio tu quello che nasconde qualcosa?- Tipo la tua anima, Renault.

Cammini su un filo pericoloso, Rick. –Tipo l’essere un patriota doppiogiochista? Potrei. Ma perché mai dovrei dirtelo?- E Chris inconsciamente inizia a rilassarsi e ad abbassare la guardia, dimenticando il tempo che passa e gli altri spettatori che iniziano ad affollare la sala, incuranti di un soldato e un reietto che si sfidano a duello.

-Perché sarebbe l’inizio di una bella amicizia, Louis.

Peter si volta, mentre le luci si abbassano e i rumori della Vienna d’inizio Ottocento si diffondono per la sala, lasciando Chris a metabolizzare quella frase; lui è già in un altro mondo, accanto all’invidioso Salieri e nell’isterica, irritante risata di Wolfgang Amadeus Mozart, spettatore della loro faida a colpi di melodrammi e arie alla corte viennese.
Eppure neanche lui riesce a smettere di pensare allo scambio di battute/interrogatorio semi-nascosto che ha avuto con il cacciatore, come ormai lo chiama nella sua mente. Ha fatto passi avanti, almeno non lo identifica più con “signor-sconosciuto-scocciatore”. Passi avanti, decisamente.

Quando escono dalla sala è passata da poco la mezzanotte, una pioggerellina sottile che annebbia i loro occhi mentre camminano. Ovviamente è un caso che prendano la stessa direzione. Ovviamente.
Dopo pochi metri la sottile pioggerellina si gonfia a dismisura, trasformandosi in un acquazzone con i fiocchi e rendendo praticamente impossibile avanzare per più di due centimetri; -Vieni, leviamoci da sotto l’acqua!- brontola Chris, indicando all’altro un piccolo bar illuminato nella notte. Peter lo segue docile, zuppo ormai fino al midollo. Una volta entrati, si siedono ancora gocciolanti a un piccolo tavolo vicino la finestra appannata: il locale è piccolo, c’è appena lo spazio per il bancone rosso e per una decina di tavolini. Sul bancone sono esposte vecchie pubblicità della Coca-Cola, che insieme all’arredamento in cuoio rosso e acciaio da un’aria vintage al locale. Inoltre, la comodità dei divanetti, il tepore diffuso nella sala e la tappezzeria grigio-neve con un motivo di pini trasmette un calore interno, la strana sensazione di essere a casa. Come quando scoppia un temporale e la casa è scura e si guarda dalla finestra il mondo che scivola via con la pioggia. Il locale si chiama Granny’s2, forse per la nonnina dall’aria autoritaria che presiede la cassa.

I due uomini rimangono in silenzio per pochi minuti, a guardare piano la pioggia e a cercarsi con lo sguardo, finché i loro occhi non collidono. –Allora, cosa vi porto?- chiede allegra una cameriera dalle mèche e il rossetto rossi. Ha addosso una semplice camicia e minigonna bianche con dettagli rossi e Chris si chiede come diavolo faccia a non gelare di freddo.

-Un caffè- ordina Peter con un sorriso indolente, appena accennato, di pura cortesia.

-Due- si affretta a replicare Chris, lasciando poi che il silenzio riprenda possesso del loro tavolo. Non per molto, comunque. A quanto pare, Peter si sente loquace stasera, abbastanza da parlare a uno sconosciuto: -Allora. Chi sei?- Si gioca a carte scoperte ora, cacciatore.

-Un po’ troppo diretto per un primo appuntamento, non credi?- Chris scopre i denti in un sorriso che ha solo un pizzico di reale allegria. Ok, forse un po’ di più, ma ammetterlo non cambierebbe nulla, giusto?

-Forse- Vieni sotto la luce, cacciatore, lasciati vedere. Peter si rilassa contro lo schienale del divanetto, dopotutto la serata si sta rivelando meglio del previsto. E se le altre si rivelassero anche meglio? No, meglio non pensare a questo. I caffè arrivano, recapitati dalla cameriera in rosso, che da quando hanno ripreso il loro duello non ha smesso un secondo di seguirli con lo sguardo. Alla fine in quella piccola e noiosa cittadina della California non succede molto, quindi osservare quei due è un modo come un altro di passare il tempo.

-Ma a quanto pare non t’importa. Sei una persona strana.

-Neanche la metà di quanto puoi immaginare- Peter non sta filtrando. No. Ok, forse sì, sta filtrando, ma per una mezz’ora vuole solo scollegare il cervello e lasciarsi trasportare da quella conversazione che diventa sempre più interessante. –Comunque anche tu non sei da meno. Sei uno strano uomo solo che non ha altro da fare nella vita che rinchiudersi in un cinema e parlare con sconosciuti- Sono stanco di questo giochino cacciatore. O vieni tu, oppure ti vengo a prendere io.

Diretto. Troppo. Ma chi ti credi di essere, signor-sconosciuto-occhi-fottutamente-perfetti? –Più o meno- Ma sei sicuro di aver descritto me e non te stesso, Sconosciuto? –Ma corrispondi anche tu alla descrizione. Con l’aggiunta che sei anche terribilmente fastidioso.
Gentile. La mia famiglia ti darebbe ragione, anche se probabilmente userebbe il termine “rompicoglioni” al posto di “fastidioso”. –Mi hanno chiamato in modi peggiori- Fidati cacciatore, “fastidioso” non mi scalfisce minimamente. Vediamo invece cosa scalfisce te. –Però hai ragione. Sono solo e praticamente vivo in un cinema. L’unica mancanza è che non parlo con gli sconosciuti.

-Io neanche. Però siamo qui a parlare, chissà perché.

-Il perché è quel grazioso temporale che sta spaccando i vetri, nel caso non te ne fossi accorto.

Certo, ma a chi vuoi darla a bere? Chris beve piano il suo caffè, senza staccare una sola volta gli occhi dal suo interlocutore. –Comunque, perché ti rinchiudi in un cinema che cade a pezzi a vedere bei film?

Peter sogghigna lievemente, pensando alla serie di eventi che l’ha portato in quel piccolo cinema. –Perché mi piacciono i bei film.

-Potresti vederli a casa.
-Tu anche. Comunque, se proprio ti interessa così tanto, non ho altro da fare. Tu, invece?
-Stessa cosa.
-Che tristezza di risposta- alza gli occhi al cielo. Poi, di punto in bianco, cambia discorso. –Che ne dici del film?
-Tom Hulce è bravo, ma quella risata mi irrita. Ogni volta che vedo questo film non posso fare a meno di essere dalla parte di Salieri. Tu, invece, scommetto che parteggi per il musicista spiantato. Ti somiglia.
Peter inarca lievemente le sopracciglia divertito: -Stai dicendo che ti irrito?
-Un po’.
-Un po’ troppo diretto per un primo appuntamento, non credi?- replica Peter scimmiottandolo, snudando i denti in un ghigno che preme sotto le labbra.
-Forse- Gioco a Due3, Sconosciuto, come quello precedente. Ricominciamo? Mi stai stancando.
-Beh, considerato che sei un cacciatore niente dovrebbe spiazzarti.

Peter si alza, sempre con quel dannato ghigno, lascia qualche banconota per il caffè ed esce dal locale, incamminandosi nell’aria fredda della notte. Ha smesso di piovere e si vedono le stelle, ora.

***

-L’assassino torna sempre sul luogo del delitto, eh?- Peter ghigna, i bei lineamenti deturpati dalla maschera che lo protegge dal mondo. La voce è bassa, ruvida, appena percettibile, mentre parla non scompone la sua studiata posizione indolente. Da giovane gli sarebbe piaciuto fare l’attore. Prima dell’incendio.
-Così dicono- risponde Chris con un sospiro a metà tra divertimento e fastidio. Non sa quale dei due sia più pericoloso esprimere.
-Un’altra svista?
-No.
Parola d’ordine: sincerità. Sei terribilmente carino, cacciatore, quando tenti di spiazzarmi. Provaci ancora, Johnny. Meglio non accettare che forse ci riesce comunque, a spiazzarlo. Peter è raramente sincero con se stesso. –Questi comunque sono tuoi- dice Argent, allungandogli il resto del caffè della settimana scorsa. A Chris non piace avere debiti in sospeso.

Peter alza gli occhi al cielo annoiato. Che se li tenga. Non saranno un paio di dollari a cambiargli la vita. –Tienili. Non so che farmene.
E questa che razza di risposta sarebbe? –I soldi sono i tuoi, e, inoltre, mi sentirei in debito con te, quindi riprenditeli e basta- sbuffa Chris ficcandogli in mano i soldi.

-Va bene, va bene, cacciatore, come sei testardo!
-Non mi chiamare cacciatore.
-Si, cacciatore.
-Mi irriti sempre di più lo sai?- Stupido io che sono venuto quindici minuti in anticipo apposta per parlare con te, idiota.
-Naah, non ti irrito. Non così tanto come mi vuoi far credere, almeno. Più che altro ti sono simpatico, di’ la verità- sogghigna Peter. E’ strano, si sente quasi a suo agio. Si sente tornato a quando aveva vent’anni e scherzava con tipi appena conosciuti nei bar prima di portarseli a letto. Ok, forse non c’erano grandi dialoghi tra lui e questi sconosciuti, ma d’altra parte era solo sesso e lui era giovane, così dannatamente giovane, e aveva solo voglia di vivere la vita. Ed aveva invece finito col bruciarla quella vita.

-Sei uno stupido vanesio che ama il suono della propria voce, ecco cosa sei- bofonchia Chris alzando gli occhi al cielo.
-Dovresti sentirmi cantare4.
-Oh, scommetto che hai un grande pubblico- replica Chris sarcastico. E non gli passa per la testa neanche per un secondo che sarebbe un bello spettacolo vedere quel vanesio cantare con quella sua aria da adorabile canaglia. No, neanche per un secondo.

-In realtà, nessuno mi vuole mai sentir cantare- Peter storce il viso in una piccola smorfia di delusione, come quando da piccolo si divertiva a prendere in giro gli altri bambini raccontando storie di fantasmi e lasciandoli tutti impauriti quando alla fine, con nonchalance, diceva che probabilmente erano tutte storie. Ma purtroppo i mostri non dormono sotto il tuo letto. Dormono nella tua testa. E ti succhiano via il sonno, ogni notte, per sei anni.

-Sai, ci stiamo punzecchiando a vicenda da due giorni e non mi hai ancora detto il tuo nome.
-E perché mai dovrei dirtelo?- chiede Chris rinchiudendosi istintivamente nel suo guscio di solitudine. Quel guscio che nessuno ha aperto da oltre un anno. Da dopo la morte di Allison.
Ma perché così è più divertente, cacciatore. E poi perché non posso chiamarti cacciatore in eterno, visto che, a quanto pare, non ti scollerai dalla poltrona A2 tanto facilmente. –Perché è così che ci si presenta tra persone civili.
-Dimmi il tuo di nome e, forse, ti dirò il mio.
-Ti piace proprio giocare al poliziotto, eh Renault? Eh sia, ti accontento- Peter alza gli occhi al cielo in modo esagerato, riprendendo il gioco che avevano iniziato la settimana scorsa. Tende la mano e sfodera il suo miglior sorriso da consulente farmaceutico: -Piacere, io sono Peter.
Chris squadra con diffidenza la mano protesa verso di lui senza tuttavia riuscire a reprimere il sorriso che minaccia di affiorare sulle sue labbra per l’aria da bambino con cui Peter si è appena presentato. Mh, Peter. Sì, gli sta bene questo nome. Sta bene con la sua aria da bambino non cresciuto. Peccato che quel bambino sembri anche così triste e solitario. E’ bellissimo quando sorride… Cristo, ma che vado a pensare!

La voce di Peter lo riscuote dalle sue elucubrazioni su nomi, sorrisi e pensieri strani: -Sai, dovresti stringerla. E’ così che si fa tra persone civili. Ci si stringe la mano e ci si dice il proprio nome a vicenda. Almeno credo.
Stavolta Chris non riesce a non sorridere e a non contagiare anche Peter. Con uno slancio di fiducia stringe la mano che è rimasta lì tutto il tempo e si presenta: -Chris. Chris Argent.

Mentre ancora si sorridono a vicenda stupidamente, le persone iniziano ad entrare e la sala si scurisce, lasciando che La maschera di ferro cominci. E forse è solo un’illusione ottica, ma i due uomini seduti nella fila A ogni qual volta che è inquadrato l’uomo che porta la maschera identificheranno gli occhi azzurri di Di Caprio con quelli dell’uomo seduto accanto a loro e si sentiranno profondamente osservati. Sicuramente è solo un’illusione ottica, sennò sarebbero due pazzi. Ma non lo sono.

Quando il film finisce è quasi naturale per Chris e Peter camminare affiancati, le mani sprofondate nelle tasche e gli sguardi bassi. E’ spontaneo anche entrare da Granny e ordinare due caffè, scatenando occhiate a non finire da parte della rossa cameriera. 
-Allora. Piaciuto il film?
-Mi chiederai questa stessa domanda ogni volta che finirà un film e verremo qui?
-Forse.
-Che originalità.
Peter sorseggia piano il suo caffè, osservando di sottecchi Chris, il cacciatore, la sua postura rigida come di una persona non abituata a rilassarsi. Neanche se sta bevendo un caffè. Dai, sciogliti un po’, Chris, non ti mangio mica. –Chris sta per Christopher, giusto?
-Certo. Per cos’altro dovrebbe stare, Peter?
-Che ne so, potrebbe anche essere Christoph o Christer o che so io- Peter alza le spalle. E’ solo per fare conversazione.
-Non penso esista nessuno al mondo che si chiami Christer, sai? Comunque, tornando al film, qual è il tuo personaggio preferito?
Certo, e poi sono io che pecco di originalità se gli chiedo del film, eh? –Aramis. Tu?
-Athos.
-Bah, noioso! E testardo come te.
-Mh, secondo questo principio il tuo preferito dovrebbe essere Porthos.
-E perché mai?
-E’ sfacciato come te.

Passano il tempo così, parlando del più e del meno, punzecchiandosi e stando attenti a non scoprire punti deboli dove potrebbero essere colpiti, finché la conversazione finisce inevitabilmente sul loro passato. Sono entrambi abbastanza ubriachi da aprire le porte dei ricordi senza la paura di esserne sommersi. Sono ormai alla seconda birra per entrambi e l’anziana proprietaria del locale sta guardando male i loro atteggiamenti scomposti.

-Allora, qualche hai detto che è il tuo cognome?- Giù un sorso di birra.
-Non l’ho detto. Comunque è Hale- Giù un altro sorso.
-Mh, ricordo che c’erano degli Hale nella piccola città dove ho vissuto per un po’- Giù un altro sorso. E la seconda birra finisce. Cavolo, Chris si era ripromesso di non bere più dopo la morte di Allison. Ma chi se ne frega…
-Beh, ci sono tanti Hale nel mondo, sicuramente non siamo quelli che conosci tu… -Speriamo proprio di no…
-Mh, tu di dove sei?
-Beacon Hills.
-Anch’io. Non c’è molto da fare, vero?
-Definitivamente no!- Ridono entrambi, leggeri e liberi dalle loro preoccupazioni per un paio d’ore.
Chris butta giù il primo sorso della terza birra, iniziando a sentire la testa che gira. All’improvviso gli viene in mente di aver sentito parlare di un incendio nella casa degli Hale, un po’ d’anni prima. Le solite chiacchiere che Victoria gli propinava mentre lavavano i piatti, dicerie varie del loro paese di nascita, tappabuchi per i momenti di silenzio. Erano i momenti peggiori, quando erano solo loro due e non c’era niente da dire, o meglio c’era troppo da dire. Troppe cose scomode, malesseri nascosti che avrebbero potuto rivoltare la famiglia. Forse se ne avessimo parlato sarebbe finita meglio… Bah, ma è inutile rimuginare ora. Piuttosto, Peter sembra desideroso di cambiare argomento, si agita sulla sedia e beve con tale foga da versarsi la birra addosso. –Ho sentito dire che c’è stato un incendio a casa degli Hale, qualche anno fa.

Peter non risponde e fissa in modo malinconico la bottiglia. Mi ero ripromesso di non bere più da quella volta… Bere lo fa diventare irascibile. Molto irascibile. L’ultima volta che ha alzato un po’ troppo il gomito è finito a picchiare un tipo che l’aveva provocato in un bar. Il tipo era finito in ospedale con i connotati completamente stravolti.

-Vuoi qualcosa vecchio?- Controllati.
-Perché sei qui, vecchio?- Controllati.
-Sei morto, vecchio?- Mantieni il controllo.
Peter manda giù un altro sorso di whisky, lascia che l’alcool gli bruci la gola e i pensieri. E’ passato un anno esatto dell’incendio che ha distrutto casa Hale. Un anno in cui Peter non ha fatto altro che rinchiudersi in se stesso, coltivare il suo odio per la gente e bere. Beve qualsiasi cosa, dalla birra scadente al whisky costoso. Tanto Talia gli versa dei soldi sul conto ogni mese, bastano per annegare la sua vita nel migliore dei modi. Anche se l’ha cacciato da casa dopo che l’incendio è stato spento e suo fratello Patrick ricoverato all’ospedale per ustioni di terzo grado, sua sorella continua a preoccuparsi per lui. Anche se non lo merita. Non  lo merita affatto, non dopo tutto il dolore che le sue stronzate hanno portato alla famiglia.

-Ehi, mi rispondi? Stupido vecchio, magari sei pure sordo!- Oh, al diavolo l’autocontrollo!
Vola un pugno. Del sangue gli ricopre la mano e accompagna il rumore di un setto nasale che si rompe sotto le sue nocche. Il ragazzo che gli stava dando fastidio cade a terra con un tonfo. Il locale ammutolisce.

-Ma che problemi hai?- Il ragazzo è furioso. Si alza tenendosi il naso, si prepara a restituirgli il colpo. Cade di nuovo. L’eccitazione del combattimento gli pervade le vene, gli annebbia la mente, lo porta a picchiare il ragazzo come non ha mai picchiato nessuno in vita sua. Finché non ha il viso coperto di sangue. Finché qualche omaccione del locale non lo strappa dal ragazzo esamine. Finché non lo sbattono in gattabuia per due notti consecutive. –No, agente. Non ho nessuno che mi possa pagare la cauzione.
Non merita che qualcuno gli paghi una cauzione. Non merita che qualcuno si preoccupi per lui.

-Ehi?
Quel semplice richiamo manda Peter fuori di testa, porta la rabbia a galla e tutto quello che ha cercato per anni di tenere sotto controllo rischia di implodere. Mantieni il controllo, dannazione! Dopo quel paio di notti in cella ha provato così tanto disprezzo per se stesso che ha buttato tutti gli alcolici che aveva e ha iniziato ad andare al cinema due volte a settimana. Ad apprezzare i bei film.
E ora questo tizio sbucato fuori dal nulla minaccia di rompere il suo equilibrio. Non lo può permettere.

-Senti, devo andare, ecco i soldi…- distrattamente Peter allunga a Chris un paio di banconote stropicciate. Devo andarmene il più in fretta possibile.
-Ehi, aspetta, ma che cosa…?- Chris volta la testa confuso. Ma quali diavoli sono i problemi che affliggono questo tipo? Senza neanche sapere cosa sta facendo, intontito dall’alcool e dai ricordi che lo stanno sommergendo, cerca di afferrare Peter e di farlo smettere di sdoppiarsi davanti ai suoi occhi. Dannazione!

-Lasciami stare!- ringhia Peter correndo fuori dal locale e lasciando Chris da solo sul divanetto rosso. Di nuovo.
Dopo un paio di minuti in cui la rabbia ha minacciato di far saltare il coperchio dell’autocontrollo, Chris si alza a sua volta, lasciando le banconote di Peter sul tavolo e biascicando un “Tenete pure il resto”.
Dopo  che Allison era riuscita a farlo smettere di bere quando era tornato a casa, aveva fatto un giuramento a se stesso, non avrebbe mai più lasciato sua figlia per rifugiarsi in una bottiglia. Ma se era la figlia a lasciarlo, il giuramento valeva lo stesso? Chris si era anche posto il problema, ci aveva provato a non ricadere nel vizio. E ci era quasi riuscito, aveva bevuto un paio di birre a settimana per due mesi e poi aveva ripreso la sua vita. D’altra parte non era l'unico ad aver subito un lutto, non aveva il diritto di affogare ciò che gli restava da vivere nell’autocommiserazione. Era proprio un bravo soldato, sempre ligio al dovere. Sempre a pensare agli altri e quasi mai a se stesso.

Così adesso si ritrova a maledire quello stupido Peter Hale, per averlo lasciato bere, per averlo lasciato a un bar per la seconda volta, per essersi anche solo avvicinato a lui.

E questa notte entrambi, ognuno nella sua fredda e vuota casa, saranno avviluppati da incubi sul passato in cui si affaccia il presente, con la forma di un viso stanco, di labbra sarcastiche e di occhi azzurri pieni di crepe. Con la spaventosa forma di una mano tesa come un ponte di salvataggio: è questo che terrorizza più di tutto Peter, che porta Argent a rinchiudersi in se stesso. Il rischio di essere salvati.
Dannazione!

***

Quando Chris questa volta entra nel cinema è già buio, la proiezione è iniziata da qualche minuto. Ha chiesto espressamente una postazione lontana dalla fila A; non vuole decisamente rivedere quell’idiota, Peter Hale. Che bruci all’inferno assieme alla sua casa!
La signora al botteghino è parsa lievemente delusa quando ha rifiutato il suo solito posto. Forse pensava che fosse amico di quello psicotico della poltrona A1. Beh, non è così.

Il film questa volta è Sabrina, una deliziosa romantica cullata dalle note della Vie en rose. L’apparizione di Humphrey Bogart nei panni del serio e compassato Linus Larrabee causa un lieve sussulto ai due capi della sala e cacciatore e preda ricordano la loro prima conversazione, il loro gioco di ruoli, il primo momento dopo anni in cui non si sono sentiti completamente soli e sperduti.

-Perché sarebbe l’inizio di una bella amicizia, Louis.

Questa frase echeggia nelle loro menti mentre David si siede sui bicchieri e litiga con suo padre, mentre Linus cerca di portare Sabrina lontano da suo fratello e mentre s’innamora perdutamente della figlia di un’autista. Una bella amicizia.

Quando esce dal cinema Chris è confuso, tanto che non si accorge nemmeno di aver imboccato la stradina che porta al solito locale: non finché non sente voci concitate, urla mezzo trattenute e insulti come se piovessero. Una delle voci è quella di Peter.
Chris si affretta a nascondersi dietro un muro imbrattato da graffiti. Non sta origliando. No. Ok, forse un poco, ma può sempre dire a se stesso che lo fa per poter intervenire se vengono alle mani. Sì, come no Christopher. Può quasi sentire la voce di Peter sussurrarglielo all’orecchio.
-Sei venuta per odiarmi ancora un po’? Beh non credere che non mi odi abbastanza io stesso, quindi risparmiati pure i tuoi rimproveri, i tuoi consigli, i tuoi soldi, tutto! Torna a vivere la tua vita e lasciami vivere come cazzo mi pare la mia!- ruggisce Peter contro la sua interlocutrice, la quale scuote la testa rassegnata davanti all’odio verso se stesso dell’uomo. E’ alta, magra e ancora molto bella, nonostante abbia già superato i cinquanta. I capelli sono neri come quelli di Peter, o forse è solo la notte a scurirli, mentre gli occhi sono palesemente scuri. Niente a che vedere con l’azzurro brillante di Peter.

Forse è sua moglie. Forse sono divorziati, oppure si stanno separando.


-Peter sono tua sorella- Ah. –dannazione, perché non capisci che voglio solo aiutarti? Torna a casa.
-Non ti ricordi? Sei tu che mi hai cacciato!
-Ho sbagliato, dovevamo risolvere allora, ma ero troppo arrabbiata e impaurita e sconvolta e cazzo Peter ho sbagliato ma non è colpa tua, capito? Torna. O almeno rispondi alle mie telefonate.
-Talia, ma non lo capisci? Non merito di tornare! L’incendio è solo colpa mia, mia e di nessun altro! E ora vattene, torna a Beacon Hills e non cercami, capito? Scordatevi di me. Vivete la vostra vita e lasciatemi in pace!-urla Peter quasi senza voce. Trasportato dalla foga del litigio si è allontanato da Talia, quasi a voler mettere distanza dal passato che lo perseguita.

-E allora resta qui, idiota! Resta qui a sprecare la tua vita come hai sempre fatto! Sei sempre stato un dannato egoista cui importa solo di se stesso, sei capace di farti odiare dalla tua stessa famiglia! Patrick non ti vuole neanche sentir nominare, io faccio fatica anche solo a pensarti, i tuoi nipoti sono completamente all’oscuro dello zio che ha quasi ucciso il suo stesso fratello pur di allontanarsi dalla sua stessa famiglia. Vuoi stare qui da solo? Va bene. Sei padrone. Odiati pure, te lo meriti!- Detto questo la donna volta le spalle e se ne va senza voltarsi indietro.

Peter invece rimane, lo sguardo perso sull’asfalto in un disperato tentativo di non buttarsi nel mezzo della strada e morire investito da una macchina. Dio, quanto si fa schifo…
-Hai finito di origliare?- urla rivolto a Chris, ancora nascosto dietro il muro. Argent non fa in tempo a cercare una scusa per il suo comportamento che Peter gli passa davanti senza neanche guardarlo, lo sguardo fisso e le lacrime che scivolano abbondanti e amare lungo le guance.
 
***

-Vattene.
Il tono di Peter è freddo, glaciale. Autoritario. Tuttavia, anche se tenta di mostrare il più possibile fastidio per l’entrata di Chris Argent nella sala, non riesce a sopprimere una scintilla di felicità alla vista della sua barba sale e pepe e dei suoi occhi di ghiaccio.
-Non me ne andrò finché non mi dirai cosa è successo ieri sera. Sai che posso essere alquanto testardo quando voglio.
-E se io non avessi voglia di raccontarti i fatti miei, cacciatore? Cosa fai, mi costringi? No, tu sei troppo una brava persona per farlo- sibila sarcastico Peter con il sorriso più crudele che sa fare. Quello che irritava tanto Patrick.
-Potrei- ribatte tranquillo Argent. Sta trattenendo la rabbia contro Peter ma anche quella contro se stesso per essere di nuovo su quella poltrona venti minuti in anticipo rispetto all’inizio del film. E neanche questa volta è una svista. –Ma come tu stesso hai detto una volta, siamo persone civili, quindi mi limiterò a chiedertelo gentilmente. Una sola volta.

Peter non riesce a trattenere un sorrisino divertito a quella frase, nonostante sappia di stare per commettere quello che potrebbe rivelarsi un grave errore. Ma tanto, non ha niente da perdere, giusto?
-Va bene, hai vinto tu, Athos il Testardo- cede Peter, prendendolo in giro un altro po’. –Cosa vuoi sapere?
Passano i venti minuti prima del film così, Chris che ascolta con pazienza e Peter che si apre lentamente, con cautela, senza perdere il sorriso sarcastico che lo contraddistingue, quel sorriso dietro il quale si è trincerato fin dal loro primo incontro. Quel sorriso che piano piano cade in pezzi assieme al muro che ha eretto davanti a se in quei sei anni, in tutta la vita.

Sospendono momentaneamente la loro conversazione solo quando inizia il film e Peter viene inesorabilmente rapito dalla storia. E’ un film che non ha mai visto prima, ma che lo avvolge tra le sue spire in un attimo: si chiama La Leggenda del Pianista sull’Oceano e scorre leggero per quasi tre ore, trascinando i due uomini della fila A nella movimentata Tarantella della terza classe e cullandoli con la dolce Playing Love. Alla fine sono tutti e due un po’ tristi ed escono dal cinema tenendosi vicini, diretti verso il solito locale, le parole dell’ultimo monologo di Novecento che ancora vagano per la loro mente.

Quando ricominciano a parlare di se stessi, dopo aver appassionatamente commentato il film per riprendersi un po’, Peter lascia uscire tutto ciò che lo opprime da sei anni: l’incendio, il senso di colpa per averlo indirettamente appiccato, l’odio verso se stesso e verso la gente, la voglia costante di picchiare qualcuno fino a distruggersi i pugni e consumarsi nella lotta.
E Chris ascolta, paziente, facendosi voto di aiutare Peter, di aiutare l’uomo che è stato capace, anche se inconsciamente, di strapparlo alla sua solitudine. Finché Peter non tace, finché non arriva il suo turno. Il suo turno per confessarsi, per narrare per la prima volta a qualcuno di suo padre, della guerra, del suo rapporto distante con Victoria e della sua morte per mano del cancro. Per parlare di Allison. Allison, la cui mancanza è come un buco nero nel petto di Chris che continuerà a farsi sentire fino alla fine dei suoi giorni.

Alla fine della serata, quando ormai sono passate le due e la nonnina al bancone sta per cacciarli a calci nel sedere – contro il volere della nipote che a quanto pare ci ha preso gusto a vedere quei due strambi uomini diventare amici nel più strambo dei modi – entrambi si sentono più leggeri, più liberi e quando Peter si offre di pagare perché lui è sempre un gentiluomo, Chris prorompe con una battuta che forse è fuori luogo, visto il caso, ma che riesce a strappare un ulteriore sorriso a Peter:
-In culo i soldi, una buona storia vale più di una vecchia tromba5.
E in culo anche il fatto che non centri niente la tromba. Quello è definitivamente l’inizio di una bella amicizia.

***

Succede dopo tre mesi dall'inizio della loro amicizia. Sono nel cinema, venti minuti in anticipo come al solito: aspettano l'inizio di Rebels without a cause e discutono su quale secondo loro sia il miglior film di Billy Wilder. Tutto normale, tutto come al solito.
In quei tre mesi la loro amicizia è progredita: ormai possono dire di conoscersi l'un l'altro come le loro tasche. Si sono raccontati a vicenda tutto, le loro storie, le loro opinioni più disparate e le loro abitudini più strane. Qualcuno potrebbe dire che sono migliori amici.
Se non fosse per il fatto che nessuno bacerebbe mai il proprio migliore amico di punto in bianco, senza un perché, in un momento di silenzio.
Nessuno bacerebbe mai il proprio migliore amico e basta. Non a quell'età. Loro non sono di certo quelle ragazzine strane che si divertono a baciare le proprie migliori amiche giusto per il gusto di fare qualcosa fuori dal comune.

Tuttavia è proprio così che va, e adesso tutto è diverso. Diverso si, accidenti! Non che siano poi entrambi granché sorpresi della cosa. Sembra quasi una predizione. Come se Peter abbia covato e trattenuto quel bacio fin dal loro primo incontro. E, in effetti, è così.

Entrambi hanno provato attrazione l’uno per l’altro fin da quando i loro occhi si sono scontrati, hanno apprezzato l’aspetto reciproco, si sono detestati, hanno giocato a preda e cacciatore l’uno con l’altro senza sapere a chi i ruoli appartenessero. Hanno imparato a conoscersi e ad apprezzarsi, ad aiutarsi a vicenda. Si sono salvati dalla solitudine che li attanagliava. Ma quella dannata attrazione non se n’è mai andata: è rimasta nascosta nelle considerazioni che Chris fa sugli occhi fottutamente perfetti di Peter, nel modo in cui Peter gusta piano il nome Christopher tra la lingua e i denti. Negli sguardi fugaci, nei caffè del dopo-cinema.

Dio, Chris quasi maledice quella stupida attrazione, vorrebbe appiccarle il fuoco e lasciarla bruciare per aver condotto in questa situazione. Situazione che talaltro si protrae da ben tre settimane. Tre settimane, Cristo Santo! Non è mai passato tanto tempo tra un incontro e l’altro. Se solo quello stupido rispondesse al telefono, dannato lui e dannato pure quel dannatissimo bacio! Cristo! Gli viene voglia di spaccare qualcosa, perché questo va notevolmente oltre le situazioni che può gestire: è sempre stato solo un soldato, nient’altro che una macchina che si muoveva nel vasto mondo. Tutti i suoi istinti erano stati estirpati alla radice dal padre quando lo aveva scoperto per la prima volta a baciare un ragazzo:

La bocca di Jordan sembra incollata alla sua, le mani rigide sui suoi fianchi e gli occhi spalancati in cui può vedere un misto di sorpresa, disagio, imbarazzo, terrore. Quasi sicuramente ciò che anche i suoi occhi rispecchiano, giusto con un mare di terrore in più. Suo padre l’ha appena scoperto. Ha appena scoperto la sua omosessualità, il segreto che si era tanto curato di nascondere, l’unica via della sua vita che aveva deciso di strappare al padre.
L’orrore, la rabbia, il disgusto riempiono le iridi gelide Gerard Argent. Iridi azzurro ghiaccio, come le sue. Iridi che, mentre Jordan fila via come un bambino colto con le mani nella marmellata, si accendono d’ira e annunciano una brutta serata. La più brutta serata della sua vita.
L’unica cosa che ricorderà il giorno dopo, oltre a sangue, botte, urla e dolore, è una lezione che non dimenticherà mai più.

E adesso è successo di nuovo. Solo che questa volta è solo, e forse sta per commettere l’imprudenza di una vita, sta per commettere una cazzata che non chiarirà niente e incasinerà tutto ancora di più, forse. Ma adesso il suo cervello è scollegato e Chris non sa quanto durerà questa benedizione, perciò afferra il cappotto ed esce da casa, andando incontro al gelo di Marzo con il cuore che batte all’impazzata.

***

Che cazzo ho combinato?
La domanda ha mille risposte possibili e Peter ne ha vagliate anche di più in quelle tre settimane. Si pone lo stesso interrogativo da quella notte nel cinema, la notte in cui è stato capace di rovinare tutto:

Il silenzio lo assorda. Gli preme sui timpani, gli riempie il cervello. Non gli è mai piaciuto, il silenzio. Tuttavia non è un silenzio spiacevole quello con cui ce l’ha in quel momento. E’ il breve silenzio che si frappone tra la fine di una conversazione e l’inizio di un’altra. Però Peter non riesce a sopportarlo, non riesce a sopportare tutti i pensieri che iniziano a minacciare di invadergli il cervello in quel momento. Sono pensieri assurdi, pensieri di cui quasi si vergogna, lui che si è vergognato di pochissime cose in via sua.

E sì, perché nonostante l’attrazione fisica che prova per Chris sia palese fin dal primo momento, da un paio di settimane a quella parte si è reso conto di esserne totalmente cotto. Come un adolescente, in modo diverso e contemporaneamente simile al modo in cui si innamorano gli adolescenti. Non può farci niente.
Lui, che da dopo l’incendio non si è lasciato sfiorare neanche con un dito, sente l’assurdo impulso di baciare Chris e non riesce a non pensare a come sarebbe, farlo, baciarlo sul serio. Non è solo attrazione fisica, no, non più: con il tempo ha imparato ad apprezzare l’intelligenza acuta e sottile di Christopher, la sua tranquillità e contemporaneamente quell’irrequietezza che ogni tanto lo afferra, forse un lontano ricordo della guerra. Ricorda ogni notte il suo modo di fare pacato, il suo sarcasmo, l’ironia e il cinismo che spesso traspaiono dalle sue frasi. Ama i loro giochi, le loro discussioni, e anche i loro piccoli litigi, come quelli che ogni tanto scatena su chi debba pagare il caffè per il puro gusto di discutere con lui.
Ecco, i pensieri da adolescente innamorato hanno di nuovo preso possesso della sua mente!

 
E forse è per metterli a tacere, forse è perché sente come se avesse un maledetto debito, forse è solo perché ha la dannatissima voglia di farlo, che lo fa. Lo bacia. Si sporge su di lui senza dargli il tempo di realizzare e preme le loro labbra assieme.
Tiene gli occhi serrati per paura di ciò che potrebbe scorgere in quelli spalancati di Argent, perché oh, lui lo sa che sono spalancati, quasi li può sentire, fissi con intensità e sorpresa sulle sue palpebre chiuse e sulle sue labbra serrate. Anche se ha la maledetta voglia di iniziare a muoverle, di chiedere il permesso con la sua lingua di entrare ed esplorare la bocca di Chris. Ormai non c’è ritorno: le sue fantasie, i sogni che da un po’ hanno preso il posto degli incubi stanno diventando reali, terribilmente reali e non può più fare nulla per annullare ciò che ha appena fatto, forse neanche lo vuole.

Ed è proprio quando Argent sta per chiudere gli occhi e abbandonarsi a quel bacio che in fondo desidera anche lui, che gli occhi di Peter si aprono, facendo incrociare i loro sguardi e cristallizzando il tempo.

Forse è proprio quella scintilla di desiderio, quella muta supplica che scorge negli occhi di Chris a terrorizzarlo. E’ come se avesse paura di essere accettato, paura di lasciare che Chris lo salvi una volta e per tutte, che spalanchi le porte e mandi via i suoi demoni per sempre, paura di contaminare quell’anima ruvida ma in fondo incorrotta. E’ quella spaventosa previsione a indurlo a staccare le labbra da quelle di Christopher, a realizzare di aver appena stravolto ciò che hanno costruito in circa quattro mesi e a farlo fuggire dal cinema e da Chris, nonostante le sue labbra quasi brucino a lasciare l’oggetto dei loro desideri e delle loro preghiere e nonostante l’attimo di esitazione che scuote Chris all’improvviso distacco.

Così si ritrova, a tre settimane di distanza da quella notte, solo nella sua casa vuota e senz’anima a maledire se stesso e a scivolare di nuovo in quel baratro di disperazione, abbandono e odio per se stesso che lo teneva prigioniero prima dell’arrivo di Chris nella sua vita. Anche gli incubi sono tornati, addirittura più terrificanti di una volta, con una disperazione cui non sa dare un nome se non Chris, e con loro è tornata la maschera che indossa da sei anni. Una maschera che aveva smesso da quasi quattro mesi, quella dell’uomo cinico, sarcastico, imperscrutabile, quella che cadeva ogni volta che arrivava in casa e non ce la faceva più a mentire a se stesso.

E mentre se ne sta così, semplicemente seduto su una sedia a fissare il vuoto, il citofono suona, facendolo quasi saltare per la sorpresa. Se sono alcuni di quei ragazzini idioti che fanno gli scherzi ogni tanto gliela farà vedere una buona volta, considerato come sta in quel momento…
Alza la cornetta già pronto a sbatterla giù con violenza immediatamente: -Peter?

***

-Peter, apri cazzo, oppure sveglio l’intero palazzo pur di farmi aprire!
La voce affannata di Chris Argent è storpiata dal citofono, mentre ansima e trema di freddo nell’androne del palazzo dove sa che Peter ha il suo appartamento. La tana del lupo, aveva scherzato molte volte con Peter quando bevevano il caffè da Granny dopo il cinema. Dio, vuole che tutto si risolva, vuole che Peter riprenda a parlargli, vuole semplicemente riavere il suo amico, forse-più-di-un-amico, decisamente-più-di-un-amico! Ha paura di riscivolare nella muta disperazione che lo attanagliava dalla morte di Allison, da cui si era salvato solo grazie agli automatismi e alla routine del lavoro.

Dannazione, c’è anche la possibilità che Peter faccia male a qualcuno fisicamente e a se stesso psicologicamente, nel frattempo: Argent è conscio del suo odio verso il mondo, verso la gente, soprattutto quella che lo infastidisce. Ed è conscio anche dell’odio che Peter prova per se stesso, quello stesso odio che lo ha portato ad infliggersi torture psicologiche per sei anni, dandosi la colpa dell’incendio.  E forse è anche colpa sua, ma, sinceramente, a Chris non importa, non gli importa perché Peter ha sofferto abbastanza per un errore commesso stupidamente sei anni prima.
Lo ama anche per quelli, per i suoi stupidi errori che lo hanno portato a essere l’uomo che è oggi, quell’uomo che ha incontrato nel cinema in una notte di metà Novembre.
Sì, lo ammette definitivamente, lo ama, e l’unica cosa che vuole veramente in quel momento è che Peter lo baci come ha fatto nel cinema tre settimane prima, dandogli però questa volta il tempo di avvolgerlo strettamente a se per non lasciarlo fuggire più, per dirgli che lui è lì e ci sarà sempre. Vuole potergli dire che ama il suo cinismo, il suo sarcasmo, il modo in cui si infervora parlando di film, la sua passione per i personaggi ambigui e tutte le cose strane che fa per non parlare alla gente.

E proprio mentre ammette con se stesso il suo amore per Peter Hale, il portoncino a vetri si apre rivelando l’oggetto dei suoi pensieri e delle sue imprecazioni: Peter è in tenuta da casa, chiaramente non si aspettava di ricevere visite, senza scarpe e con un semplice jeans, lontano dalla sua solita eleganza. –Chris. Che ci fai qui?- chiede facendo uscir fuori le prime parole che gli vengono in mente. Qualcosa di più banale no?
-Volevo parlarti- E se si fosse pentito? E se fosse stato tutto un gioco per lui? –Perché non rispondi alle mie telefonate?
Peter tenta di recuperare la sua faccia tosta, benché sappia che sta cadendo in pezzi per la sorpresa, l’ansia, la paura e oh, dannazione, non lo sa neanche lui! –Sai che non ho dimestichezza con quell’aggeggio- risponde con un pallido accenno di uno dei suoi sorrisetti compiaciuti. Non inganni nessuno, Peter.
All’improvviso sembra accorgersi della tempesta che infuria e del fatto che Chris sia bagnato fradicio: -Sei bagnato. Oh sì, Peter, qualcosa di più equivoco no, eh?

Un sorrisetto arriccia gli angoli delle labbra di Chris al doppio senso mentre si avvicina lentamente a Peter, cercando di non far accorgere l’altro del movimento.
Tuttavia non riesce nel suo intento e Peter si ritrae nell’androne, in cerca di una via di fuga da Chris e da ciò che il suo avvicinamento potrebbe significare. Argent però lo blocca, mettendo da parte tutte le insicurezze e tutte le domande che gli frullano nel cervello iperattivo: prende senza gentilezza il volto di Peter tra le mani, per quanto riesce a vederlo al buio, e preme le loro labbra assieme come l’altro ha fatto tre settimane prima in un cinema vuoto.

Il bacio è casto all’inizio, labbra che cercano il loro incastro e occhi chiusi, persi in quel contatto che hanno bramato fin dal principio, poi entrambi schiudono le palpebre, perdendosi nel reciproco sguardo, ghiaccio e oceano che si incontrano pieni di qualcosa che non sanno neanche loro spiegare, un’appartenenza reciproca e una voglia infinita di non lasciarsi mai. Dopo minuti che sembrano eterni le loro labbra iniziano a muoversi, la lingua di Peter chiede di entrare e inizia con quella di Chris una danza lenta e antica, sempre senza grazia, sempre con bisogno e contemporaneamente con tranquillità, con quella voglia di fare le cose con calma e di lasciarsi trasportare senza più ritorno.

Mentre le bocche diventano sempre più voraci e le mani iniziano a stringersi e ad accarezzarsi a vicenda, un tuono li strappa dal loro momento, ricordando loro che un temporale infuria fuori quell’antro scuro che è l’androne in cui si sono rifugiati.
-Sali… - mormora Peter, accennando lievemente con la testa alla pioggia che ancora scivola dalla giacca di Chris e bagna anche la sua maglietta sottile. Neanche si era accorto del freddo che prova, stretto tra le braccia del suo cacciatore che lo avvolgono e scacciano il gelo di Marzo. –Sei completamente bagnato… - Ecco che ritornano i doppi sensi. Peter accenna un sorrisetto contro le labbra di Christopher.
-Mh, proposta allettante…

Mentre riprendono a baciarsi e a sfiorarsi, entrano nel palazzo e salgono le scale con foga fino al primo piano, fino alla porta dell’appartamento di Peter. Da sei anni Peter ha una paura irrazionale degli incendi, quindi ha appositamente scelto un appartamento al primo piano nell’assurda speranza di essere più al sicuro.
Una volta che la porta è aperta, Chris si fionda dentro con la frenesia di quando era ragazzo e ancora sperava per un futuro senza l’oppressione del padre, lasciando che Peter lo conduca verso il letto, spogliandolo piano e perdendosi nei suoi occhi carichi di desiderio.

***

-Non provare a dirmi cosa fare, Chris!- urla Peter mentre tenta di infilare la chiave nella toppa, senza successo. Quando Peter riesce finalmente ad aprire la porta tira con malagrazia Chris dentro e la sbatte, incurante dello scricchiolio degli stipiti. Nessuno può provare a dirmi cosa fare, neanche tu, stupido cacciatore!
Chris si divincola dalla stretta ferrea di Peter, infastidito dal contatto forzato: -Non cerco di dirti cosa fare, cerco semplicemente di non farti fare cazzate!

-Beh, non ho bisogno di aiuto per gestire gli affari della mia famiglia! Soprattutto del tuo aiuto, non sei proprio un modello da seguire, “signor-non-sono-stato-capace-di-tenere-la-mia-famiglia-unita”! – esclama Peter sottolineando la parola “modello” con la gestualità delle mani e con un sorriso che sfiora la crudeltà, la voglia di ferire che insorge e lo travolge. La voglia sottile di far provare a Chris come si sente, di scaricare su di lui tutte le sue colpe in ciò che è appena successo.

Chris si irrigidisce, colpito da quelle parole maligne: ha sempre saputo che Peter aveva un lato bastardo, l’ha sperimentato fin dall’inizio, ma quel lato non l’aveva mai rivolto verso di lui in maniera così spiazzante e completa. Il lato oscuro, l’aveva soprannominato una volta, una delle tante in cui Peter l’aveva sfoderato con qualcuno che li importunava.
Come sempre quanto la rabbia monta dentro di lui e avrebbe voglia di sfasciare qualsiasi cosa, Christopher assume un’apparenza calma, sfoderando un sorriso spietato:
-Hai ragione, Peter, hai proprio ragione, non sono stato capace di tenere la mia famiglia unita, ho fallito- ammette avvertendo una stilettata al cuore – ma almeno non ho rischiato di farla bruciare viva per colpa della mia stupidità- termina Chris con la voce che a tratti s’inceppa dalla rabbia e dalla voglia di uccidere Peter in quel momento. Tu non sai neanche cosa voglia dire, avere una famiglia. Ne avevi una perfetta eppure sei riuscito a bruciare tutto.

Peter, se possibile, sorride ancora di più, ubriaco della rabbia e del piacere della lite, del piacere di far del male a Chris, di fare del male a qualcuno, oltre che a se stesso. Tuttavia, nonostante la facciata di divertimento che un po’ prova ma non fino in fondo, l’ira sta iniziando a inebriarlo e a spingerlo verso una lotta completa, verso la distruzione finale di sé e del suo avversario, nonostante la disperazione che insorgerà quando essa sarà giunta. –Sì, Christopher, ho quasi ucciso la mia famiglia, e allora? Vuoi dire che sono un mostro? Avanti, dillo. Ma tu rimarrai sempre un soldato senz’anima che non è mai stato capace di fare le sue scelte!- Lasciami Chris, lasciami. Non farti del male anche tu. Non bruciare anche tu per la mia vicinanza, urla una voce recondita nel cuore di Peter che l’uomo mette a tacere alla svelta.

Chris sorride in modo più lieve ora, anche se non vuole dimostrarglielo le parole di Peter lo hanno ferito, colpito e affondato, ma non gli darà la soddisfazione di piegarsi al suo egoismo e alla sua cattiveria verso il mondo e verso se stesso: -E perché mai dovrei dirtelo, se ne sei già consapevole?- replica a bassa voce ma con fermezza, aprendo la porta e uscendo dall’appartamento di Peter, dove aveva sperato tante volte di poter ricominciare a vivere.

Il vento gentile della nottedi Maggio gli carezza il volto, così diverso dai soffi gelidi che lo hanno spinto verso Peter a Novembre, taglienti e selvaggi. Sembra quasi che il vento di adesso lo costringa ad andare via, sottile ma insistente, in contrasto con le parole aspre e dure che lui e Peter si sono rivolti.
E’ il loro primo litigio serio, il primo che è riuscito a mettersi tra di loro; per due mesi tutto è stato perfetto, o, almeno, perfetto quanto ci si può aspettare da due soggetti del genere: tante serate di cinema o di film a casa accoccolati sul divano, dialoghi a suon di citazioni e l’amore quasi ogni notte, a casa di uno o dell’altro, non era importante.
Tuttavia è come se la credenza comune che niente è destinato a durare li perseguiti. Se ne vanno tutti prima o poi, quella stupida frase che rappresenta le loro vite li ha marchiati, forse fin dalla nascita, e a quanto pare non possono sfuggirvi. Neanche inseme.
E’ iniziato tutto mentre tornavano dal cinema quella sera, dopo aver visto Frankenstein, quello di James Whale:

Chris e Peter parlano concitatamente, il più giovane con le mani sprofondate nelle tasche e l’altro con la schiena ritta come al solto, mentre discutono sull’interpretazione di Boris Karloff nella parte del mostro. Sono sei mesi ormai che si conoscono, quattro che stanno insieme. Dopo quella notte hanno avuto non pochi dubbi, non pochi litigi, ma hanno superato quei brevi screzi con qualche giorno di mutismo, di occhiate truci e di astinenza.

Quando arrivano in prossimità della casa di Peter scorgono due ragazzi davanti il portoncino a vetri, uno seduto con le mani sprofondate nelle tasche della giacca di pelle, la barba scura che gli incornicia il volto, lo sguardo fisso e gli occhi chiari assorti che ogni tanto gettano un’occhiata al suo compagno; l’altro a prima vista è più giovane, con occhi chiari che all’apparenza sembrano castani e una camicia a quadri che si muove spasmodica assieme alle sue mani, le quali gesticolano senza fine. Sembra che stia parlando da solo, data la scarsa attenzione che l’altro gli rivolge.
Peter appena li vede ha un sussulto, senza che tuttavia si dimentichi di metter su il suo sorriso sfrontato, quello che mette su quando qualcosa non va nel modo in cui desidererebbe, Chris l’ha imparato bene. Si potrebbe effettivamente dire che Peter è un po’ maniaco del controllo, giusto un po’. Comunque, quando arrivano di fronte ai ragazzi il più grande si alza e fronteggia Peter con la stessa identica posizione del corpo e l’espressione dura:
-Peter.

-Derek, nipote caro, qual buon vento ti porta dal tuo vecchio zio Scrooge6?- risponde Peter con il sorrisetto compiaciuto ancora sulle labbra nonostante il brusco appellativo con cui il nipote l’ha chiamato. Dire zio era troppo per te, Derek?

-Non cercare di girare attorno alla questione, Peter. Abbiamo bisogno di te, a casa. Mia madre, tua sorella ha bisogno di te.

-Ed è per questo che sono onorato da una tua visita, nipote? – replica l’uomo dai capelli neri che sembra un modello più adulto e sfatto del ragazzo con la giacca di pelle. Tuttavia questa somiglianza sembra non essere gradita al più giovane, il quale libera le mai dalle tasche per allontanarsi almeno un po’ dallo zio. Chris ha sentito parlare di Derek, e molto anche: è uno dei pochi parenti che Peter ricorda con un minimo di affetto, il suo nipote preferito. Quando l’incendio ha bruciato casa Hale doveva avere circa vent’anni o forse qualcuno in più, mentre adesso al posto di se dimostra quindici anni in più. Chissà quando l’incendio smetterà di rovinare le vite di quella famiglia che sembra quasi maledetta…

-Quelli dell’ospedale vogliono togliere a Laura le apparecchiature per il coma. Tua sorella è disperata, non ce la farà ad opporsi, ma se tu tornassi forse la potresti aiutare- risponde Derek abbassando la testa e mettendo in evidenza che non gli fa piacere dire quelle cose allo zio. Deve odiarlo proprio molto…
-Mi dispiace per Laura, davvero, ma non tornerò a casa, meglio che lo dici una volta e per tutte a tua madre.
Peter tenta di infilare nervosamente la chiave nella toppa del portoncino a vetri, il tremito delle mani come unico segnale del disagio e del nervosismo che prova.

-Non mi ha chiesto lei di venire, Peter, ho deciso di farlo di mia iniziativa, ma a quanto pare ho fatto proprio male! Sei uno stronzo menefreghista, non dovevo neanche provare a chiedertelo. Ma d’altra parte l’incendio è colpa tua, il come di Laura è colpa tua, e se non te n’è mai importato prima come potevo sperare ti importasse adesso?- Non mi ha mai detto che qualcuno era finito in coma dopo l’incendio. Forse non lo sapeva neanche lui…
La mano dell’altro ragazzo che si poggia ferma sulla sua spalla interrompe la sua arringa e ha su di lui come un effetto calmante. Derek si volta lievemente e Chris può intravedere un gioco di sguardi tra i due giovani che lascia supporre qualcosa alla fantasia.

Tuttavia Peter sembra aver ascoltato abbastanza: si volta di scatto e con occhi di ghiaccio inchioda il nipote e il suo ragazzo. Quell’occhiata lascia presupporre lo scoppio di qualcosa di troppo radicato e pericoloso per essere affrontato in mezzo a una strada a mezzanotte, qualcosa che troverà espressione in un pugno da parte di Peter sul volto di Derek. Del sangue schizza e il rumore sinistro di ossa rotte stride nelle orecchie dei presenti.
Stavolta neanche la mano rassicurante di Stiles riesce a calmare Derek, il quale si getta sullo zio ripagandogli la cortesia, prima che il corpo di Chris si metta nel mezzo quasi in automatico. Non è la serata per una rissa.

Lo sguardo di ghiaccio di Argent induce i due ragazzi a desistere dal continuare la lite: girano i tacchi e se ne vanno, con Stiles che tenta di avvolgere il suo braccio attorno alla spalla del più grande e Derek che lo scaccia in malo modo.
Chris si gira per fronteggiare Peter, trovandolo ad armeggiare con la porta: quando riesce finalmente ad entrare si getta sulle scale, con i richiami di Chris che lo inseguono mentre corre a lavarsi il sangue dalle mani.

***

Peter è stravaccato sulla poltrona del cinema come al solito, i suoi venti minuti d’anticipo che gli permettono di avere la sala vuota tutta per sé. Anche se è passato più di un anno e mezzo da quando Chris se ne è andato non è ancora riuscito a riabituarsi a vedere i film da solo, a non commentare le performance e le colonne sonore con qualcuno, a tornare in una casa che lo aspetta vuota e solitaria e piena dei suoi demoni.
Certo, la sua vita da allora è migliorata: il ricordo di Chris e del suo esempio l’ha aiutato a non scivolare di nuovo nel vortice della disperazione da abbandono, schifo per le sue stesse scelte sempre sbagliate e odio per la gente.
Dopo un paio di settimane di alcool senza freni e nottate immerse nel buio della casa silenziosa gli è parso  di sentire la voce di Christopher che lo insultava con disprezzo, le urla di sua sorella Talia e il rumore del setto nasale di Derek che si rompeva. Tutto questo lo ha fatto alzare dal duro pavimento e gli ha dato lo stimolo per andare avanti: ha smesso di bere una volta e per tutte – ok, forse ogni tanto beve ancora, giusto nelle notti di luna piena! – si è scusato con Derek e con il suo ragazzo, il quale l’ha guardato piuttosto male comunque, e ha aiutato Talia con l’eutanasia di Laura.

Ciononostante, la mancanza della persona che ha salvato la sua vita dal completo sfacelo si fa sentire, ed è ancora stranissimo girarsi nel letto senza trovare, quasi per caso, il calore del corpo di Christopher, senza poter scherzare e guarire gli incubi di entrambi con un sorriso complice e un bacio.

Chris gli manca. Gli manca da quella dannata sera in cui ha sbattuto la porta e non è più tornato, né da lui né al cinema né in quella città. Dopo un paio di giorni ha provato a cercarlo, lo ha telefonato mille volte e lo ha aspettato davanti al cinema come al solito, però non ha mai risposto nessuno, non è mai arrivato nessuno. Chris sa come fa perdere le sue tracce. E io so come farmi abbandonare… Dio, quanto posso essere idiota!
Ha aspettato ogni sera nel cinema il suo arrivo, è arrivato a presentarsi in casa sua solo per trovarla vuota: l’amministratore del condominio gli ha soltanto potuto dire che il signor Argent se ne era andato da circa una settimana. Non un biglietto, non un messaggio di un qualche genere, non un addio; ma, d’altra parte, non se lo merita.
E così è andato avanti con la sua vita, avvertendo ogni tanto una fitta di nostalgia e rimpianto che gli ricorda di aver amato almeno una volta nella sua inutile vita e di essere riuscito a perdere l’unica cosa cui avesse mai tenuto, Christopher.

Gli altri spettatori iniziano ad arrivare e le luci si abbassano, sipario che si apre su uno dei film preferiti di Peter: Casablanca. Un film che gli riporta alla mente la sua prima conversazione con Chris, il loro interrogatorio/caccia/qualcosa che aveva dato inizio a tutto.
Chissà dove sei adesso, Chris…

Le riflessioni nostalgiche di Peter sono interrotte dal lieve rumore di passi che sottintendono l’entrata nella sala di un ritardatario: Peter controlla a stento uno spasmo delle mani. Quelli che entrano in ritardo al cinema disturbando gli altri, disturbando lui, non gli sono mai piaciuti e ancora lo infastidiscono, forse anche perché gli ricordano un altro particolare uomo sempre in ritardo alle proiezioni. O sempre in anticipo. Mai una volta che sia arrivato all’orario giusto… Eppure, nonostante cerchi ancora di negarlo Chris è arrivato nel momento esatto, proprio quando Peter ne aveva più bisogno, quando gli sembrava di aver recuperato la sua vita: invece la stava solo lasciando affondare lentamente, ma non se ne sarebbe mai accorto senza Chris. Chris che lo aveva riportato alla vita, che aveva tentato di salvarlo da se stesso. Chris che se ne era andato in una notte di Maggio dopo che Peter aveva osato arrogarsi il diritto di giudicarlo come padre, marito, figlio e fratello. Come se potesse permettersi di giudicare qualcuno, lui.

L’uomo prende posto all’altro capo della fila A, sentendo il battito cardiaco accelerare alla vista di cosa è in proiezione. Casablanca… Chissà dove sei adesso, Rick Blaine? Hai dimenticato la tua Ilsa? Hai dimenticato Renault? Hai dimenticato me… Chris chiude un attimo gli occhi, ripercorrendo i ricordi dell’anno e mezzo senza Peter: è scappato come un ladro nella notte, senza trovare il coraggio di avvisare Peter che se ne stava andando, che stava scappando. Ha impacchettato le sue poche cose e ha traslocato in una città poco vicina, simile a quella in cui vive, in fretta e furia e senza voltarsi indietro, la paura di non riuscire a risollevarsi che rendeva il suo animo pesante come un macigno. La paura di affrontare i demoni suoi e di
Peter.

In tutto quel tempo ha ripreso a vivere come faceva prima di incontrare Peter, la routine del lavoro e poco più che lo spinge avanti. Poco più che si traduce nel prendersi cura di suo padre, scorbutico e dispotico come al solito, vedere film che non gli portino alla mente Peter e spiare quest’ultimo. Ok, forse spiare è dire troppo: semplicemente ogni tanto guida fino a Storybrooke e si siede nel caffè di Granny aspettando di vedere Peter uscire o entrare nel cinema. Ogni tanto è stato sfiorato dall’impulso di fermarlo e parlargli - o anche qualcos’altro… - ma si è sempre trattenuto, sentendo la colpa di averlo abbandonato nel momento in aveva bisogno di lui come avevano fatto tutti gli altri.

Le meditazioni di Chris vengono interrotte dalla presenza di qualcuno accanto a lui, qualcuno che senza apparentemente battere ciglio si pronuncia serafico quando gli occhi di Argent si spalancano:

-Allora, il periodo di riflessione è finito? Oppure hai intenzione di organizzare un’altra fuga precipitosa, cacciatore Renault?
Oh, ma quanto sai essere infantile quando vuoi, Peter. A pensarci, assomiglia proprio ad un eterno Peter Pan così, con quel sorrisetto accuratamente studiato per essere distratto, gli occhi fissi sullo schermo e la mano che cerca la sua come unico sintomo di bisogno di affetto.

E Chris non ha davvero voglia di rispondere a quella stupida domanda mentre unisce tra loro le labbra sue e di Peter, mentre assapora quell’uomo che è stato capace di sconvolgere la sua vita e che gli è mancato per uno stupido, lunghissimo, anno e mezzo e mentre le loro mani si stringono l’un l’altra, promettendosi di non lasciarsi andare mai più.

Quando il bisogno d’aria riesce a interrompere il loro bacio, Humphrey Bogart li sta guardando sospettoso dallo schermo, mentre le note di As the time goes by fanno da colonna sonora ai loro respiri intrecciati e ai loro sguardi incatenati, persi l’uno nell’altro con la voglia di non trovare la via d’uscita mai più:
-Solo se fuggo con te, Rick.




NOTE:
1)riferimenti e citazioni seguenti tratti dal film Casablanca.
2)locale tratto dal telefilm Once Upon A Time, così come Storybrooke, la città in cui ci troviamo.
3)film del 1999 con Pierce Brosnan.
4)citazione della 3x14 di Teen Wolf, così come la successiva frase di Peter. “You should hear me sing.” “We want you to scream.” “No one ever wants to hear me sing!”
5)citazione del film dominato in precedenza, La leggenda del pianista sull’oceano.
6)Ebenizer Scrooge, protagonista di A Christmas Carol.

N.D.A.
Lo ammetto, questa os è stata un parto, ci è mancato poco perché abbandonassi il progetto all'inizio; poi la storia mi ha appassionato sempre di più e grazie anche alla mia fantastica amica/beta/compagna di scleri Beacon Hills che mi ha incoraggiato sempre e si è sorbita tutte le mie tirate su questa coppia sono riuscita ad andare avanti e a finire! (D'altra parte io ti ascolto quando parli della Sterek, che lo sai ho inserito qui solo per te, Stalia forever! *si nasconde per la paura della reazione del fandom*)
Ho cercato di rimanere fedele il più possibile ai personaggi del telefilm, nonostante il contesto diverso, e spero di aver fatto un buon lavoro (sono preoccupata soprattutto per Christopher, temo sempre di andare nell'OOC con lui!) 
E beh, che altro? Ah, sì: ho amato poter mettere tutte le citazioni di film che volevo, consiglio a tutti la visione di quelli che ho nominato, sia nelle note che stesso nella storia in sè.
A presto, (si spera in una storia che non abbia una gestazione di tre mesi la prossima volta!)
Nihookam11
  
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