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Autore: Silen    19/11/2008    7 recensioni
Iª parte: C’erano soltanto una retta e un punto lontano…
IIª parte: …il triangolo doveva ancora unire i suoi tre lati…
Epilogo: …ma una forma geometrica è già tale, a prescindere,
e persino quando doveva essere ancora 'disegnata'!
[Scritta per la "FIRST-AID KIT Challenge!"]
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hermann Kaltz, Karl Heinz Schneider, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'e'
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Questa breve storia partecipa alla FIRST-AID KIT Challenge!
Prompt 28# Supposte

Ritorniamo un’ennesima volta nel passato giapponese di Inseguire un sogno, afferrare il destino


Alleanze e obiettivi

Nankatsu – Gennaio 1981

Era ormai da mezz’ora che girava a vuoto per la villa, con i capelli sudati e ritti sulla testa, perché, frustrato, si era passato per troppe volte le mani nervose in mezzo.

– Kamisama! – imprecò nel silenzio, ci voleva la bussola per non perdersi in quella specie di enorme mausoleo… Poi maledisse energicamente le manie di grandezza del suo migliore amico: duemila (e va beh, ok, era un’iperbole) stanze per viverci in tre (e va beh, ok, adesso che si era trasferito definitivamente anche lui, in quattro) erano un chiaro segno di megalomania allo stato puro e quasi patologico.

Ma, dopotutto, quando si parlava di Wakabayashi Yūta, ego era una di quelle parole che riuscivano a descrivere l’uomo soltanto in parte.

Aprì un’ennesima porta, di un ennesimo lungo corridoio vuoto, esaminando l’ennesima stanza desolatamente vuota, così decise di tornare sui suoi passi; sentì uno scalpiccio, e, voltandosi, osò sperare mentalmente, però rimase di nuovo deluso: era soltanto il quinto abitante che trotterellava tranquillo per la sua strada, perché lui sapeva, come muoversi perfettamente tra le quattro (o sarebbe stato meglio dire quaranta?) mura, senza problemi nel ritrovarla, oppure tentare a casaccio.

Allora gli balenò un’idea, dato che, dopotutto, un cane sarebbe stato sicuramente in grado di stanare a fiuto quella piccola peste che si era nascosta chissà dove per non farsi mettere la supposta. John, però, sempre altezzoso, proprio come il suo padrone, non lo degnò nemmeno di uno sguardo sbieco o un ghigno beffardo.

– Sei proprio un bastardo di razza, tale e quale a lui… – mugugnò inutilmente alla coda bianca che si allontanava, indifferente ai suoi problemi.

Così tornò in salotto e sedette sul divano per fare mente locale; ora doveva inventarsi qualcosa, creare uno schema d’azione che gli avrebbe permesso di raggiungere il suo obiettivo in formato tascabile e monello. Sorrise leggermente.

Quella stessa mattina, era andato a svegliare Genzō, insolitamente dormiglione, e lo aveva trovato febbricitante e con una malattia esantematica tipica dell’infanzia, che il medico aveva poi diagnosticato come varicella.

Niente di cui preoccuparsi, quindi, però era comunque andato in paranoia, quando aveva scorto lo sfogo rossastro su tutto il corpo del suo secondo figlioccio. Essendo figlio unico, certe volte non sapeva proprio che pesci pigliare con i ragazzini.

~ Non credo che riuscirei mai ad allenare una squadra ~ considerò fra sé, ~ perché mi metterebbero subito i piedi in testa… ~

Meglio, invece, continuare a coltivare il talento del suo piccolo Numero Uno, dopotutto, era sempre stato Gamo, quello con le doti da leader, in nazionale.

Oltretutto, quella era la prima volta che Yūta e Mitsuki lo lasciavano qualche giorno da solo con Genzō, che, sembrava facile gestire la sua esuberanza, ma era molto diverso dal cugino, perché Niko, alla sua età, era stato parecchio più tranquillo e obbediente. Il mini Wakabayashi, invece, era più testardo, più orgoglioso, più prepotente…

~ Tutto suo padre! ~ Poi, era capitata anche quell’immane disgrazia, che all’inizio era apparsa soltanto come una banale influenza; così, preso dal panico, aveva meditato di chiamare, nell’ordine: un’ambulanza, un esorcista, la governante! Ma era da solo, alla villa, perché aveva assicurato ai suoi amici di potersela cavare benissimo, quindi, alla fine, più razionalmente, aveva optato per il dottore.

Dopodiché dalla farmacia di Nankatsu gli avevano consegnato a domicilio un pacchetto contenente i medicinali prescritti: antibiotico, vitamine e un antipiretico, in supposta, perché, aveva spiegato il luminare, ai bambini faceva effetto più in fretta.

Quando Genzō aveva capito da dove sarebbe dovuta entrare la medicina, un lampo di sfida era passato nello sguardo di pece già piuttosto impertinente; poi era schizzato via dalla sua cameretta più veloce dello Shinkansen, portandosi dietro una coperta e l’immancabile cappellino rosso, che teneva in testa persino dentro casa.

~ Chissà perché poi… ~ e si appuntò mentalmente di chiedere a Mitsuki il motivo di quel vizio bizzarro che lei e Yūta stavano concedendo al figlio.

E così, mentre rimuginava che fare il genitore non fosse affatto facile come poteva sembrare, era iniziata la sua infruttuosa battuta di caccia.



Shinkansen: il treno superveloce giapponese.

* * *

San Tatsuo alle prese con la caccia all’SGGK, riuscirà a convincere John a dargli una zampa per stanarlo?

  
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