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Autore: Sassanders    11/01/2015    3 recensioni
Dal capitolo I:
Mentre sto per tirare la maniglia, la porta si apre e un uomo di cui non riesco a vedere il viso mi urta, facendomi strillare e versare il liquido sulla camicia bianca, ritirata ieri dalla tintoria.
Urlo come impazzita, imprecando e alzando lo sguardo. Davanti a me ho un ragazzo di venticinque anni circa, con i capelli corvini sparati in aria, due occhi castani, delle labbra sottili e un piercing alla narice sinistra.
-Sei un fottuto idiota!- esclamo, infuriata.
-Sei stata tu a finirmi addosso! Guarda dove cammini!- mi risponde, alzando un sopracciglio. Devo trattenermi dal prenderlo a pugni.
-Sei tu che non guardi dove vai!-
-Senti, dolcezza, scusa per la camicia, ma non ho tempo da perdere.- replica, sorridendo beffardo.
A quelle parole perdo letteralmente le staffe. Mi ha urtato, mi ha fatto macchiare la camicia pulita da poco, e fa anche lo strafottente?
-Sai che ti dico, tesoro?- dico, sottolineando il nomignolo. -Vaffanculo!- esclamo, con un sorrisetto e mollandogli un pugno abbastanza forte sul naso.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Synyster Gates, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                                                                          Capitolo 1

La voce squillante di Jessica che mi chiama, mi ridesta dal flusso di pensieri che attraversa la mia mente in questo momento.
-Sophie!- ripete il mio capo, Jessica.
Mi dirigo con fare annoiato nel suo ufficio, aprendo la porta.
-Ti va un caffè?-
-Certo.- rispondo, allettata dall’idea di un bel caffè caldo.
-Bene, te lo pago io, ma lo vai a prendere tu al bar perché io non posso muovermi dalla scrivania visto che sto aspettando una chiamata importante.- propone lei. Giustamente, essendo la sua segreteria personale, devo prenderle io il caffè, perché lei è troppo pigra per alzare il suo bel sedere dalla sedia girevole. Ma questo, Sophie, non lo dice, perché altrimenti rischia una fantastica lettera di licenziamento.
-Va bene.- accetto, sorridendo.
Mi porge il denaro e io esco dall’ufficio per andare in bagno a sistemarmi velocemente. Fisso il mio riflesso nello specchio: i capelli rosso fuoco che mi arrivano a metà schiena sono abbastanza in ordine, la frangetta che oltrepassa le sopracciglia sottili è scompigliata come al solito, il trucco che contorna i miei semplici ma stanchi occhi verdi è stranamente apposto, il rossetto color ciliegia che marca le mie labbra carnose, anche. Ultimamente sono troppo stressata per pensare all’aspetto fisico, ma una considerazione ogni tanto me la concedo, nonostante abbia pochissimo tempo per me. Mi sistemo la camicia bianca e l’anellino al naso, fatto quando avevo circa diciannove anni, quindi più o meno sei anni fa. Prendo il giubbino nero di pelle ed esco dalla sede di Kerrang!, la testata musicale per cui lavoro come giornalista e vice direttrice. Mi sono impegnata davvero per ottenere quel posto, ottenuto da un anno e mezzo e senza raccomandazioni o cose del genere. Dopo essermi laureata in giornalismo ed essendo una grande appassionata di rock e metal, ho fatto il colloquio con Jessica e mi assunsero solo dopo una selezione rigida. Jessica è una trent’enne tanto bella quanto egocentrica. La solita bellezza della California: bel viso, un paio di gambe perfette, un bel seno e un bel sedere.
Appena varcata la soglia del bar noto la fila immensa. Mi metto in coda e aspetto pazientemente il mio turno, nonostante sia una che odia attendere senza far niente: sono leggermente iperattiva. Non so che fare per passare il tempo e, di conseguenza, comincio a mordicchiarmi le unghie. Poi passo le mani tra i capelli e successivamente prendo il cellulare, per controllare la posta elettronica. Quando tocca a me, saluto Mike e ordino due caffè, uno lungo, per Jessica, e uno normale con un po’ di cioccolata, per me. Bevo il caffè con il cioccolato da quando ho all’incirca quindici anni e me lo preparava sempre papà, tutti i pomeriggi. Dopo aver preso le due bevande bollenti mi avvicino all’uscita, attenta a non combinare pasticci. I due bicchieri di plastica traballano un po’, a causa del calore che emanano, e devo stare attenta anche a non sporcarmi e a non scottarmi. Mentre sto per tirare la maniglia, la porta si apre e un uomo di cui non riesco a vedere il viso mi urta, facendomi strillare e versare il liquido sulla camicia bianca, ritirata ieri dalla tintoria.
Urlo come impazzita, imprecando e alzando lo sguardo. Davanti a me ho un ragazzo di venticinque anni circa, con i capelli corvini sparati in aria, due occhi castani, delle labbra sottili e un piercing alla narice sinistra.
-Sei un fottuto idiota!- esclamo, infuriata.
-Sei stata tu a finirmi addosso! Guarda dove cammini!- mi risponde, alzando un sopracciglio. Devo trattenermi dal prenderlo a pugni.
-Sei tu che non guardi dove vai!-
-Senti, dolcezza, scusa per la camicia, ma non ho tempo da perdere.- replica, sorridendo beffardo.
A quelle parole perdo letteralmente le staffe. Mi ha urtato, mi ha fatto macchiare la camicia pulita da poco, e fa anche lo strafottente?
 -Sai che ti dico, tesoro?- dico, sottolineando il nomignolo. -Vaffanculo!- esclamo, con un sorrisetto e mollandogli un pugno abbastanza forte sul naso. Vedo il ragazzo urlare di dolore e portarsi le mani sul viso, coprendosi il setto nasale, probabilmente rotto.
Mi accorgo solo ora che il bar si è zittito completamente, se non per qualche risatina di sottofondo.
-Stronza!- grugnisce l’idiota, gemendo a causa del forte dolore.
Gli sorrido sarcasticamente e mi volto, andando verso  il bancone, dove Sarah, una cameriera nonché mia vecchia compagna di liceo, mi guarda sbalordita e con gli occhi sgranati.
-Sarah, hai per caso una maglietta pulita da prestarmi?- le domando.
Il bar, intanto, è ancora in assoluto silenzio e si sentono solo alcuni mormorii.
Mi volto verso i tavolini, catturando l’attenzione dei presenti.
-Possibile che non abbiate mai visto una donna picchiare un uomo? Lo spettacolo è terminato.- esclamo.
Nel frattempo, Mike ha dato del ghiaccio al ragazzo di prima che mi fissa con odio.
Mi avvicino all’uomo e gli poso una mano sulla spalla, come per confortarlo.
-Non l’ho fatto apposta. Ti chiedo scusa, dolcezza.- gli sussurro. Lui impreca sotto voce, tenendo il ghiaccio premuto sul naso e io scoppio a ridere. Sarah mi porge una canotta nera e blu e la ringrazio. Vado nel bagno e mi guardo allo specchio, soddisfatta. Mi infilo la canotta e avvolgo la camicia in una busta di plastica, uscendo dalla toilette. Il ragazzo mi fissa ancora con rabbia, mentre fuma una Marlboro. Mentre rimuove il ghiaccio dal volto arrossato, mi soffermo sulle sue mani: dita affusolate, unghia mangiucchiate come le mie e… un momento. Questo idiota si è fatto tatuare sulle dita la scritta ‘Marlboro’? Ma che razza di tatuaggio è? E’ vero che si tratta pur sempre di gusti, ma tatuarsi una marca di sigarette, a parere mio, è da stupidi.
Mentre mi avvicino al bancone, gli rivolgo un altro sorrisetto soddisfatto, che sembra innervosirlo ancora di più.
Ritiro i due caffè preparati nuovamente e mi dirigo verso l’uscita del bar. Attraverso la strada con il semaforo rosso, attenta a non farmi spiaccicare, a causa della fretta perenne che mi assilla, e ritorno in redazione. Quando entro nell’ufficio sento Jessica, che evidentemente parla al telefono, pronunciare  un ‘Grazie mille per la disponibilità, signor Jacobson.  A presto.’ e il rumore di una cornetta che si posa su un telefono. Entro nella stanza del mio capo e le porgo il caffè. Lei mi squadra stranita, in cerca di spiegazioni per il mio cambio di abbigliamento.
-Sì, un tipo mi è finito addosso nel bar e mi si è versato il caffè sulla camicia, quindi mi sono cambiata.-
Lei annuisce distrattamente e io torno alla mia postazione, canticchiando. Non mi era mai capitato di dare un pugno ad un uomo, ma questa volta se l’è cercata. Non sono mai stata una tipa violenta ed aggressiva, infatti la calma mi caratterizza, ma quando perdo la pazienza, quelle poche volte che succede, mi trasformo completamente, e la Sophie che tutti conoscono, muta in quella che conoscono in pochi: solitamente quelli che mi hanno fatto perdere le staffe.
E’ accaduto una volta, quando ero ancora una studentessa di sedici anni, che picchiassi una mia compagna per avermi ripetutamente insultata. Rido ancora al pensiero di quell’evento, e a tutte le facce stupite dei miei compagni che i avevano sempre considerato una ragazza tranquilla, calma e pacata. Erano terrorizzati. Ma questa è la prima volta che do’ un pugno ad uomo, anche più alto di me. Diciamo che non è difficile essere più alto di me, visto il mio metro e sessantacinque di statura.
Però sono fermamente convinta che quel pugno se lo sia cercato lui. Io sono una ragazza con una mentalità molto aperta e che difficilmente ha dei pregiudizi, ma prima mi è bastato uno sguardo per capire che tipo di persona avessi di fronte.  Non so nemmeno il nome di quel ragazzo, ma già dal modo in cui parlava, si capiva che è uno di quelli pieni di sé, egocentrici e convinti di essere i migliori. Ma solo dal modo di parlare, non dai tatuaggi che ricoprivano le sue braccia muscolose o da chissà cos’altro. Anche perché io, personalmente, amo i tatuaggi e ne ho anche qualcuno qua e là sparso per il corpo. Si vedeva proprio che è uno stronzo nato, per quanto possa essere bello.
L’anello che porto al dito mi ricorda che ho accettato la proposta di matrimonio di Logan e che devo controllarmi. Ammetto che era davvero un ragazzo affascinante. I capelli e gli occhi scuri, gli zigomi pronunciati e le labbra sottili sono tanto caratteristici quanto attraenti. Ma quel ragazzo non è minimamente paragonabile al mio futuro marito. Già, Logan. Un uomo di trent’anni, cinque in più di me, alto, bruno e terribilmente impegnato a causa degli affari. Lavora come direttore di una casa farmaceutica e, per questo, è quasi sempre in giro per il mondo. Stiamo insieme da sei anni e abbiamo deciso di fare questo passo importantissimo più o meno due mesi fa. I nostri genitori si conoscono ormai da tempo e ho dei quasi suoceri che mi amano come se fossi una loro figlia. Adrienne, mia suocera, è per me, una figura fondamentale: una figura oserei dire materna, visto la perdita che mi ha colpito all’età di soli dodici anni. Sono sempre cresciuta con mio padre con cui ho un rapporto bellissimo, che non mi ha mai fatto mancare niente in questi anni senza mia mamma, e da cui ho ereditato la passione per la musica, in particolare per il metal e il rock, che amo fin da quando ero nel pieno della mia fase adolescenziale e che mi hanno portato a fare domanda per lavorare in questa testata giornalistica.
Mi ritengo, da un po’ di tempo a questa parte, e finalmente dopo anni di sofferenze, una donna felice e realizzata. Stressata, ma felice. O almeno, credo.


 
 
 
 

NOTE DELL’AUTRICE STUPIDA:

Salve a tutti, deathbats!
Premetto che è la mia prima fan fiction sugli Avenged che pubblico, e che probabilmente ne uscirà una
vera schifezza, ma l’idea che ho avuto un bel po’ di tempo fa, mi ha spinto a scrivere questa storia e provare a farvela leggere. Sono molto insicura, e solitamente tutte le cose che scrivo non mi piacciono per niente.

Quindi, yeeee.
No, okay, basta.
Passando alla trama, non so nemmeno io come mi sia venuta l’ispirazione, ma ho colto l’occasione e ho approfittato (Seize the day, mi dicevano).
Scusate in anticipo per la lunghezza improponibile del capitolo, ma prometto che i prossimi saranno più sostanziosi.
Abbiamo questa ragazza di nome Sophie, con un passato non semplicissimo alle spalle, che approfondiremo più avanti, sempre se lo vorrete. E’ una storia né tragica, né troppo comica, penso… il giusto. Sarà abbastanza leggera, ma ci saranno comunque degli avvenimenti non troppo felici, ecco.
Sinceramente non so che altro dirvi, lol. Quindi, mi piacerebbe davvero tanto sapere cosa ne pensate, anche per vedere se dovrò eliminare la storia, o continuarla se sarà di vostro gradimento. Leggere le recensioni mi fa davvero molto piacere, soprattutto quelle negative, che mi aiutano a migliorare.
Alla prossima.
Un bacio.
Sassanders.

 
   
 
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