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Autore: Macy McKee    11/01/2015    15 recensioni
[Ambientato durante Mockingjay; Finnick & Katniss friendship]
Nelle fiabe, quando due creature ferite s’incontrano e si aiutano a vicenda, imparano insieme a guarire le proprie ferite e tutto torna com’era prima. Ma nella vita reale non funziona così. Nella vita reale ci siamo io e lui, sull’orlo del baratro, che lottiamo e ci aggrappiamo l’uno all’altra per non perdere l’equilibrio. Sapendo che, se uno di noi vacilla, nessuno ci salverà dalla caduta.
Genere: Angst, Introspettivo, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Finnick Odair, Katniss Everdeen
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Note: questa storia apporta una piccola modifica al canon: mentre nel libro Katniss rimane in ospedale solo un paio di giorni dopo la ferita alla gamba riportata al Distretto 8, qui il suo periodo di degenza viene allungato, diventando di circa una settimana.
Può essere considerata una storia parallela alla prima parte di Mockingjay, con i tempi leggermente dilatati rispetto al libro, che racconta come Finnick e Katniss si avvicinano e consolidano la loro amicizia.
Più note in fondo, perché mai nell’universo riuscirò a scrivere soltanto cinque righe di note XD

Dedicata dalla prima all’ultima riga a Rica, perché senza di lei questa storia non sarebbe mai esistita. Dall’idea di base, all’ispirazione, al supporto, alla sopportazione dei miei “Argh, sono stuck, aiutami!” continui, è stata fondamentale per la creazione di questa fanfiction.
Grazie, compagna di banco mezza. Questa è tutta per te
.
Quando arriva l’inverno
You and I, torn and broken,
bleed into the night and I’ll meet you there
Waiting for the world to end
Oh, let it end again

“Into the night”, H.I.M

La terra fredda dormiva al di sotto;
sopra splendeva freddo il firmamento:
e tutto intorno, con un suono gelido,
da caverne di ghiaccio e campi di neve,
il respiro della notte scorreva come la morte
sotto la luna calante.

“La terra fredda dormiva al di sotto”, P.B. Shelley
 
Capitolo I
 
Non è il rumore della discussione a svegliarmi, ma il movimento del letto che sussulta quando qualcuno si accovaccia vicino ai miei piedi.
Apro gli occhi di scatto, scivolando indietro sul materasso. Sono all’erta prima di essere lucida.
Non credo che qualcuno si sia preso il disturbo di sedersi sul mio letto per uccidermi, ma l’istinto di sopravvivenza agisce più rapidamente del mio buon senso.
≪Sono io≫ sussurra Prim, nel momento esatto in cui il mio cervello registra la sua presenza.
≪Certo che sei tu, Paperella≫ le rispondo. Non so perché io senta il bisogno di confermarlo. Forse per convincerla che non sono impazzita al punto da non riconoscere mia sorella.
≪Chi sta litigando?≫ le chiedo, scostando la coperta per permetterle di sgusciare sotto. Mentre si rannicchia contro il mio petto, mi rendo conto di quanto fosse freddo il letto prima del suo arrivo.
Prim si gira su un fianco, mettendosi comoda, e io capisco all’istante di aver indovinato: è stata la discussione a farla agitare.
≪La mamma e Plutarch. Lui e gli altri vogliono che Finnick venga dimesso dall’ospedale, per registrare altri pass-pro quando tu… non puoi.≫
≪Meglio che si assicurino di procurargli dei vestiti prima di farlo, o rischiano una rivoluzione interna≫ commento, sorridendo al ricordo di Finnick che attraversa i corridoi del Distretto in camicia da notte. Prim si volta per rivolgermi un’occhiata curiosa, e io scuoto la testa.
≪Non mi piace sentire la mamma che discute. E poi… forse dovrebbero chiederlo a lui, no?≫ continua lei. Riesco a immaginarla mentre si morde il labbro inferiore, preoccupata, e ancora una volta provo una fitta di ammirazione di fronte alla sua saggezza.
≪A volte mi chiedo perché non ci sia tu al posto di Plutarch al comando delle operazioni, Prim.≫
Lei rimane in silenzio per qualche istante, e mi sembra quasi di sentire i pensieri che corrono nella sua mente.
≪Scusami per averti svegliata≫ sussurra alla fine, facendo per allontanarsi. La fermo, appoggiandole una mano sulla spalla.
≪Non scusarti. Rimani qui.≫ Mi interrompo. ≪Per favore.≫
La mia richiesta suona così debole da farmi rabbrividire.
È troppo simile a quando chiedevo a Peeta di rimanere al mio fianco sul treno diretto a Capitol City. Troppo simile a momenti che non si ripeteranno. Ad un tratto, il corpo di Prim è troppo piccolo, troppo sottile fra le mie braccia. Prim sa di casa, calore e certezza, ma non è Peeta. Il pensiero mi chiude lo stomaco.
In quel momento, capisco che non riprenderò sonno. Ma non c’è motivo per tenere sveglia anche Prim.
Chiudo gli occhi, e dopo qualche minuto rallento il respiro, fingendo di addormentarmi.
Quando sento il corpo di mia sorella rilassarsi, scivolo giù dal letto dal lato opposto.
≪Stanno litigando per me. Se li incontri, puoi dire loro che c’è abbastanza di me per tutti?≫ bisbiglia una voce alle mie spalle.
≪Perché non glielo dici tu stesso?≫ replico, irritata per essere stata scoperta così velocemente. Incolpo la mia gamba dolorante per questo.
≪È un invito, signorina Everdeen?≫
Mi volto, scorgendo la sagoma di Finnick seduto sul bordo di un lettino. Sembra lucido, a giudicare dal suo tono di voce e dalla sua posa.
Mi domando se gli altri facciano lo stesso con me: quando mi vedono, il loro primo istinto è di valutare il mio livello di salute mentale con un’occhiata?
È una domanda che non mi aiuta, quindi la accantono.
≪Lo accetteresti, se lo fosse?≫
≪Solo se mi aiuti a sgattaiolare fuori da qui. Sto diventando pazzo.≫
Sono quasi certa di sentirlo ridacchiare fra sé.
≪Dipende: hai intenzione di portare i pantaloni?≫
Siamo particolarmente loquaci, considerata l’ora della notte. Decido che, per quanto riguarda me, è l’idea di sgusciare fuori da qui a mettermi di buon umore. Non è come scivolare sotto la rete per andare a caccia, ma è un inizio.
Sento Finnick muoversi, e la sua voce è vicina quando risponde. ≪Perché, preferiresti di no?≫
Mi chiedo se sia una buona idea andare in giro la notte con lui. Non che io mi senta particolarmente incline a rispettare le regole del Tredici, ma il buon senso mi suggerisce che forse non dovrei incoraggiarlo a evadere: se avesse una ricaduta, non saprei come comportarmi. Non sono esattamente nelle condizioni di aiutare qualcuno in preda a un crollo nervoso.
Mi viene in mente che mia madre si stava battendo perché non fosse dimesso dall’ospedale. Non l’avrebbe fatto se l’avesse ritenuto stabile, giusto?
Forse non è un’idea brillante portarlo con me.
≪Se provi a lasciarmi qui, chiamo tua madre≫ sussurra lui al mio orecchio. Faccio un passo di lato, lanciandogli un’occhiataccia. Probabilmente non la vedrà, al buio, ma mi fa sentire meglio.
≪Non oseresti.≫
≪Rischieresti? Sono abbastanza certo che Haymitch non stia aspettando altro per metterti quell’auricolare nuovo…≫
Rabbrividisco al ricordo della manetta-da-testa.
≪Hai vinto questa battaglia, Odair, ma non hai vinto la guerra.≫
≪Pensavo fosse una rivoluzione.≫
Sospiro. Qualcuno che fa tante battute non può essere sull’orlo di una crisi di nervi, giusto?
Scivoliamo fuori dall’ospedale. I suoi passi sono abbastanza rumorosi da farmi tirare un sospiro di sollievo quando vedo che non c’è nessuno appostato all’entrata.
≪Via libera≫ sussurro, tenendo la porta aperta per Finnick. Le voci di Plutarch e mia madre si sono spente, e non ci sono sentinelle nel corridoio.
Muoviamo qualche passo prima di renderci conto di non aveva la minima idea di dove andare: il Distretto Tredici non ha esattamente una vita notturna attiva.
Un istante dopo, passi rapidi rimbombano nel corridoio.
Ci scambiamo un’occhiata. Non ho alcun desiderio di tornare all’ospedale, non dopo essere riuscita a scapparne con tanta facilità. La nostra grande fuga non può durare soltanto qualche secondo, e mi rifiuto di ammettere la sconfitta così velocemente.
Spingo Finnick nella direzione opposta a quella da cui provengono i passi. Bastano pochi secondi di corsa perché la mia gamba cominci a protestare, ma la ignoro. Svoltiamo alla prima traversa che troviamo, senza sapere davvero dove stiamo andando.
Mi chiedo come faremo a trovare la strada per tornare indietro, ma ormai le mie gambe hanno deciso di correre e io non posso fermarle.
È un corridoio senza sbocchi ad arrestare la nostra fuga. Mi fermo di colpo, e devo fare un passo di lato per evitare che Finnick mi travolga. Davanti a noi c’è una parete, liscia e del tutto priva di aperture.
Siamo in trappola.
Mi volto verso la direzione da cui siamo venuti. Forse chiunque ci fosse in giro non stava venendo proprio in questa direzione. Forse li abbiamo seminati.
Poi il rumore di passi in avvicinamento ricomincia.
 ≪Qualcosa mi dice che non ci lasceranno più incustoditi≫ borbotto, e all’improvviso il pensiero mi diventa insopportabile. Non voglio dare ad Haymitch un pretesto per mettermi quella manetta-da-testa, non voglio dare alla Coin un’altra scusa per tenermi rinchiusa mentre gli altri combattono, e non voglio assolutamente essere confinata nell’ospedale con una sentinella appostata di fianco al mio letto.
Mi guardo attorno. Ci deve essere una via di fuga.
Studio le pareti, il soffitto, il pavimento… e la vedo. Una grata, proprio sotto i nostri piedi.
Finnick ha seguito il mio sguardo. Ci chiniamo nello stesso momento, sollevando la grata. Ringrazio silenziosamente chiunque abbia progettato il Distretto e abbia deciso di non chiudere le grate con un lucchetto. Dopotutto, quale persona sana di mente vorrebbe farsi un giretto fra le tubature?
Ci caliamo all’interno, e qualche minuto dopo siamo seduti fra tubi che fischiano e gorgogliano. La temperatura è quasi insopportabile, ma è il prezzo da pagare per non essere rinchiusi nell’ospedale fino alla vecchiaia.
≪Se avessi saputo che avremmo fatto un picnic avrei almeno portato qualche provvista≫ scherzo, incrociando le gambe.
Rimaniamo in silenzio, riprendendoci dalla corsa. Passato l’effetto dell’adrenalina, la mia gamba pulsa e mi fa abbastanza male da darmi le vertigini. Il mio cuore ha bisogno di qualche minuto in più del solito per riprendere il suo ritmo regolare.
Quando il mio battito torna normale, mi rendo conto che Finnick non ha parlato da quando siamo scesi qua sotto. Non mi dispiace il silenzio, ma qualcosa mi dice che si tratti di una quiete innaturale.
Alzo lo sguardo su di lui, e capisco di avere ragione. Guarda oltre le mie spalle, lo sguardo fisso su i tubi, e lo vedo sobbalzare quando una delle condutture emette un fischio.
Non mi piace il modo in cui si muovono le sue mani. Tremano sulle sue gambe, come se stessero lottando contro un riflesso istintivo.
La corda. Non ha portato con sé la corda.
Non so cosa fare. Non so gestire un crollo nervoso. Ma non posso scappare, rifugiarmi nei boschi e aspettare che mia madre lo calmi. Ed è colpa mia. L’ho portato io qui.
Pensa, mi dico. Io come mi calmo? Di solito non mi calmo. Qualcuno mi mette al tappeto fino a quando non sono più un pericolo per me stessa e per gli altri. Ma non ho sedativi a disposizione, e Finnick non sembra essere sul punto di diventare violento.
Ma le sue braccia tremano, e il suo sguardo non mi piace.
Dovrei tirarlo fuori da qui, ma è rischioso. Se ci fosse qualcuno sopra di noi e lo trovassero in questo stato, gli impedirebbero di partecipare alle missioni per sempre. Forse non sarebbe una cattiva idea, ma non voglio essere la persona che l’ha fatto rinchiudere in ospedale fino alla fine della guerra. So che io, al suo posto, non glielo perdonerei.
Finnick ha l’espressione di chi sta per urlare, e io comincio ad agitami davvero. Sta pensando ad Annie, rinchiusa in uno spazio più soffocante, più caldo, più opprimente di questo? Sta pensando a Annie, segregata, sofferente, che non può fuggire come siamo fuggiti noi? Penso che Peeta è insieme a lei, nella stessa situazione, e vacillo.
Ma no, unirmi al suo attacco non aiuterà nessuno. Uno di noi deve rimanere lucido.
Come mi calmo quando non c’è nessuno armato di sedativi in giro? Mio padre ci riusciva cantando. Qualche volta.
Poi mi viene in mente Peeta. È l’ultima cosa a cui vorrei pensare qui e ora, con il calore dell’acqua che scorre nei tubi che fa attaccare la camicia da notte alla mia pelle e l’umidità che si incolla ai miei polmoni, perché è come essere di nuovo nell’Arena, la prima volta, con Peeta che sta per morire fra le mie mani e io che non so cosa fare, io che sono inappropriata e inesperta e vorrei prendere il mio arco e andarmene lontano mentre mia madre e Prim risolvono il problema.
E di nuovo non posso farlo.
Ma il pensiero si è incollato alla mia mente e non riesco a cacciarlo. Penso a Peeta, che saprebbe come calmare Finnick, che sa lavorare con le parole come io so maneggiare il mio arco, che ha saputo placare la morfaminomane morente nell’Arena.
≪Una volta un merlo mi ha salvato la vita≫ comincio. È un tentativo disperato, e con ogni probabilità non funzionerà, ma non ho altre idee. ≪Era inverno, e stavamo morendo di fame. Nessun animale osava uscire dal proprio rifugio con quel freddo, e non avevo trovato una preda per giorni. La temperatura aveva gelato tutto le piante. Mi sono seduta su un tronco, nel bosco, e guardavo il ghiaccio divorare il terreno. Pensavo che, forse, avremmo potuto resistere per qualche giorno raccogliendo un po’ di corteccia, ma presto non sarebbe più bastata. A un certo punto la neve si è mossa, una macchia grigia su un grigio infinito. Era un merlo. Non so cosa facesse lì. Doveva essere mezzo congelato e affamato, come me. Doveva essere impazzito per appoggiarsi sulla neve, ma l’aveva fatto. Mi sono avvicinata, e il merlo è volato via. E a quel punto ho guardato in basso e ho visto che il merlo era appoggiato su un tronco, e sotto c’era la tana di una lepre.≫
Prendo un respiro. Non sono abituata a parlare così tanto, e la mia gola si secca subito. Ma sta funzionando. Le mani di Finnick non tremano quasi più, e sta lottando per riportare il suo sguardo su di me.
≪Era un merlo bellissimo. Mentre aspettavo che la lepre arrivasse, il merlo è tornato indietro. Si è fermato su un albero e mi guardava. Avrei potuto colpirlo, ma mi aveva salvata, e sentivo di essere in debito con lui. Quando ho raccontato questa storia a Prim, lei mi ha detto che avevo fatto bene a non colpirlo. Mi ha detto che forse il merlo era uno Spirito della Foresta, un Principe dei boschi. Ha inventato una favola, su quel merlo.≫
Mi interrompo, vedendo che Finnick ha chiuso gli occhi. Penso che stia per svenire, e mi sporgo in avanti per cercare di afferrarlo, ma mi rendo conto che sta solo ascoltando. Mi ricorda Prim da piccola, accoccolata nel letto che mi chiede di raccontarle storie di caccia, dopo avermi guardata con occhi troppo saggi che mi spaventano e avermi implorata di limitarmi a racconti belli, che abbiano un lieto fine. Come quella del Principe Merlo.
Sto per riprendere a parlare quando Finnick riapre gli occhi. Sembra ancora distante, ma le sue labbra non sono più tese. Ha lo sguardo lontano di chi sta fluttuando fra ricordi piacevoli, molto più promettenti del presente, e per un attimo lo invidio.
Un tubo gorgoglia ricordandomi che dobbiamo uscire da qui. Risalgo dalla grata, mi assicuro che non ci sia nessuno pronto a trascinarci in ospedale e ammanettarci al letto e dico a Finnick di seguirmi. Devo fermarmi per sospingerlo in avanti in un paio di occasioni, e lui si lascia guidare.
Ci perdiamo soltanto due volte prima di riuscire a sgattaiolare di nuovo nell’ospedale.
Scivolo nel letto, facendo attenzione a non svegliare Prim. Chiudo gli occhi e il sonno giunge quasi all’istante.
Mi sembra che siano passati pochi secondi quando le urla di Finnick mi svegliano.
 
 
Note parte II, la vendetta (?)
Dunque, prima long-fiction in questo fandom *si emoziona*
Questa storia è uno dei lavori più impegnativi che io abbia intrapreso, ed è stata una faticaccia scriverla. Ma allo stesso tempo, è stata una delle cose più divertenti e piacevoli di sempre, e sono soddisfatta del risultato.
Quello che avete letto era il capitolo più lungo. In totale, questa storia si compone di nove capitoli. Spero con tutto il cuore che rimarrete con me fino alla fine, e se vorrete lasciarmi due righe mi farete un piacere immenso. Intanto, grazie per avermi seguita fino a qui.
   
 
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