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Autore: Loda    11/01/2015    1 recensioni
La nostra mente non fa altro che partorire idee assurde, diceva, eppure nel mondo ne accadono di cose assurde, solo che accadono se nessuno le ha pensate – del resto se fossero state prima pensate, non sarebbero parse assurde.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un tempo e tre quarti
Un tempo e tre quarti 






2015

 
«Bevine ancora un po’, dai!»
«No, sul serio, basta, sto già ridendo troppo!»
Ilaria scostò il bicchiere dalla mira di Lorenzo, rossa come un peperone. Lui, con quel suo sorriso furbetto e accattivante, poggiò la bottiglia sul tavolo e fece una scrollata di spalle. Non era ancora abbastanza ubriaco per poter insistere pesantemente. Era un ragazzo socievole e deciso, ma il coraggio gli veniva meno in certe situazioni. Povero Lorenzo, era quasi dieci anni che ci provava con Ilaria e non avrebbe mai smesso di farlo. Se lei se ne fosse accorta, nessuno lo sapeva. Probabilmente sì, diceva Davide, maligno, a Lorenzo, ma non ti fila proprio, piantala.
Non che Lorenzo fosse a corto di ragazze da corteggiare; aveva venticinque anni, qualche storia finita male e tanti sogni ancora da realizzare, ma per Ilaria un posto nel cuore rimaneva sempre. Dai tempi della scuola, quando prendevano l’autobus insieme e lei, ridendo di cuore, si mangiava con gli occhi i ragazzi più grandi, mentre lui, inerme sedicenne, si limitava a prenderla in giro.
Ilaria era un po’ da conoscere e un po’ da scoprire. Non si lasciava andare subito, non amava bere in compagnia e rivelare i suoi segreti. La madre morta e il padre distante le pesavano sulla coscienza da anni ormai e, quando Lorenzo l’aveva introdotta nel suo gruppo di amici, aveva ancora gli occhi tristi e annoiati. Quegli occhi non cambiarono molto ma Ilaria si riempiva la bocca di belle parole, diceva che sarebbero rimasti amici per sempre, che quel gruppo di persone che credeva di conoscere a fondo era la sua nuova famiglia. Lorenzo non aveva mai provato neppure a baciarla, aveva la sciocca impressione che le avrebbe potuto fare un torto, lei era fragile e aveva una strana capacità. Quella di essere triste, quella di farlo sentire, lui, l’allegro e impacciato cavaliere, un immaturo.
«Ila, così fai piangere Lorenzo» intervenne Davide, con un occhiolino. In qualunque momento ed in qualunque modo, Davide era sempre dalla parte di Lorenzo. Avevano condiviso la scuola, l’università, i viaggi all’estero. Erano come fratelli e non li aveva allontanati neanche il fatto che Davide ora convivesse con Laura. Laura era dolce e non gli avrebbe mai fatto del male, pensava Lorenzo. Io sarò il padrino di vostro figlio, eh, diceva sempre al suo amico per scherzare.
Era un’emozione intensa, quella di avere dei progetti; Lorenzo a volte lo invidiava, altre volte pensava che era molto meglio non averne di progetti, perché potevano andare in fumo. Del resto lui aveva già rinunciato al suo futuro con Ilaria, lo sapeva bene che non succedeva come nei film, Ilaria non avrebbe lasciato Marco per lui e non sarebbe corsa da lui in lacrime, pregandolo di amarla di nuovo, e fortemente. Ogni tanto Lorenzo si abbandonava al sonno con queste immagini irrealistiche, poi si sgridava stupidamente, perché sapeva che le cose che sfiorava con la mente, non potevano accadere.
Gliel’aveva insegnato Arianna. Non pensarci, se no poi non accade! La nostra mente non fa altro che partorire idee assurde, diceva, eppure nel mondo ne accadono di cose assurde, solo che accadono se nessuno le ha pensate – del resto se fossero state prima pensate, non sarebbero parse assurde.
Arianna era tutta matta. Era la più giovane ed esuberante del gruppo, una vera rompiscatole a volte.
«Basta bere, ragazzi» si lagnava «Qui ci vuole una foto!»
Il gruppo accolse la notizia con un borbottio generale; solo Laura si alzò in piedi prontamente, gentile come sempre.
«Un selfie!» continuò Arianna, con un enorme sorriso, prendendo la borsa ed estraendo euforica l’ultimo regalo dei suoi genitori. Sventolò il suo Ipad come se fosse un’arma magica.
Rispetto ai suoi ventidue anni, Arianna aveva avuto troppi ragazzi, e in troppi l’avevano trattata male. Povera Arianna, così ingenua e spesso stupida, non ne parlava mai delle sue delusioni. Amava segretamente Lorenzo, ma lui era troppo occupato a dimenticare Ilaria o ad ammirare Davide per accorgersene. Le sue amiche dicevano che era molto dolce e carina, e che avrebbe sicuramente trovato qualcuno di speciale, qualcuno che l’avrebbe amata sul serio. Chissà se lo pensavano sul serio, ma in fin dei conti Arianna si fidava dei suoi amici, pure di Lorenzo, che la trattava come una sorellina da assecondare. Aveva sbuffato, ma poi si era alzato con un sorriso, pronto per fare la foto. Arianna sapeva di essere molto giovane; aveva ancora tanto tempo per trovare qualcuno, o per conquistare Lorenzo. In realtà non sapeva bene se sperarci, del resto aveva pensato così spesso a lui che ormai l’idea di loro insieme era assurda. Però amava sognare, e amava sognare il grande amore, e l’avrebbe fatto finché avrebbe potuto.
«Come ci dobbiamo mettere?» domandò Giulio, abbandonando a malincuore il suo bicchiere.
«Dai, Giù» fece Lorenzo, ridendo «Dopo torniamo a bere, te lo prometto.»
«Non ne dubito» disse Ilaria, che si era già seduta di fianco ad Arianna, alzando gli occhi al cielo. Lorenzo le diede una piccola spinta e le disse: «Dove credi di andare? Dai, stai vicino a me!»
Ilaria ridacchiò e si alzò – ad Arianna sparì per un attimo il sorriso sul viso, ma nessuno se ne accorse.
«Dai, Davide, vieni!» chiamava Laura, mentre prendeva il posto di Ilaria.
«Arrivo, arrivo…»
«Vuoi che lo tenga io, Ari?» chiese Giulio ad Arianna, nella confusione «Ho il braccio più lungo.»
«Oh sì!» La ragazza s’illuminò di nuovo, bastava poco per farla felice – era forse per questo che i ragazzi si approfittavano facilmente di lei, povera Arianna – e gli tese l’Ipad. Giulio era gentile, o forse aveva solo fretta di tornarsene a bere. Lui esagerava, poverino, non sapeva più dove sbattere la testa. Aveva ventitré anni ed era l’ultimo acquisto del gruppo. Era un compagno di università di Laura, nonché suo corteggiatore; i due avevano provato ad uscire insieme un paio di volte ma avevano capito subito che non poteva funzionare, ed erano rimasti in buoni rapporti. Giulio non era di quella città, veniva dal Sud, e Laura gli aveva presentato tutti i suoi amici, che l’avevano accolto di buon grado. Poco dopo era sbocciato l’amore tra Laura e Davide, sotto i suoi occhi un po’ malinconici. No, non era innamorato di Laura, né provava rimorsi, era solo scettico e disincantato. Invidioso, forse? Eppure non disprezzava la sua vita, lontano da casa e vicino ai divertimenti. Lavorava in una pizzeria per pagarsi l’affitto, e studiava poesia: avrebbe potuto continuare per sempre così. La verità, così paradossale per un poeta, era che non voleva risposte; aveva l’impressione che i vent’anni potessero durare in eterno – lo avrebbe tanto voluto, forse più di ognuno seduto a quel tavolo.
«Allora, siete pronti?» stava dicendo Arianna, pronta a dare il via a Giulio «Ricky, sorridi!»
Riccardo odiava Arianna e odiava le foto. Lo faceva forse apposta? Lei era bella e superficiale, naturale che volesse tante foto. Ma lui? Fin da piccolo, detestava il suo aspetto. A scuola lo avevano sempre preso in giro, specialmente i suoi compagni. Ad ogni cambio d’ora, sgattaiolava via dall’aula per andare a trovare il suo vicino di casa, Davide, di un anno più grande, l’unico che non lo trattava male. Conobbe così anche Lorenzo e Ilaria, grazie a loro aveva cominciato a farsi piacere un po’ di più la gente, e forse anche a farsi piacere se stesso, ma poi erano arrivati Laura, Arianna e Giulio. Odiava essere così antisociale. Magari con un po’ di sicurezza in più, avrebbe anche potuto essere simpatico come Lorenzo o affabile come Davide. Avrebbe potuto conquistare una ragazza. I suoi ventiquattro anni di vita erano stati vuoti, eppure così pesanti, Riccardo li sentiva pesare sulla schiena, e, poverino, s’incurvava sempre di più, senza neanche accorgersene.
Si sforzò di sorridere davanti all’ipad, che rifletteva sei bei volti, con le loro belle vite, più lui.
Click.
«Okay, ora quella stupida!» esclamò Lorenzo.
«Ma cosa vuol dire?»
«Che faccia facciamo?»
«Ragazzi, decidetevi, mi fa male il braccio!»
«Ma chi li ha inventati i selfie
Arianna rideva di cuore e si strinse ancora di più vicino a Laura, mentre sentiva gli altri che facevano pressione e sembravano caderle addosso.
«Ehi, fermi, così viene mossa!» sbottò Giulio.
«Dai, va bene così!»
«No, ancora! Sono venuta male!»
«Dite selfiiiee
«Mi rifiuto…»
Click.
 
 


2028
 
Arianna scorreva, con noia, le vecchie foto che aveva sul suo computer. Erano passati cinque anni dall’ultima volta che aveva visto qualcuno dei suoi amici dei vent’anni. Ogni tanto Laura le telefonava, perché era preoccupata per lei. Lorenzo, il suo antico amore, non lo vedeva da più di dieci anni – non era stata neanche al funerale, non ne aveva avuto il coraggio. Com’era successo? Lui aveva cercato di starle vicino, le diceva che stava sbagliando, le aveva urlato di svegliarsi. Aveva cercato di proteggerla, ma non nel modo in cui una donna vuole davvero essere protetta.
«Mamma, oggi ho calcio, ti ricordi?»
«Sì, Luca, certo.»
Era lei che lo aveva allontanato. Era stata sopraffatta dagli eventi.
«Ma stavi piangendo?»
«No, tranquillo.»
Arianna si asciugava spesso gli occhi. Arianna si metteva spesso del fondotinta per coprire i lividi. Arianna guardava spesso le foto, e cercava di portare indietro il tempo, disperatamente. Arianna evitava troppo spesso lo sguardo di suo figlio.
«Guarda che ti ho sentito piangere.» Luca la squadrava, severo come può esserlo un bambino.
Lei allora tornò a guardare le foto. Una delle ultime era un selfie tutto mosso, nella vecchia casa di Davide e Laura. Le uscì una buffa risata.  
«Mamma» insistette il ragazzino.
Arianna si girò di scatto. «Che c’è, Luca?» sbottò.
Lui si ritrasse – le dispiaceva così tanto. «Mi prometti che ti ricordi di accompagnarmi a calcio? L’altra volta ti sei dimenticata» disse in un pigolio.
L’altra si alzò e spense con un gesto secco il computer. «Non ho solo le tue cose a cui pensare.» Uscì dalla stanza senza degnarlo di uno sguardo. Lo sentì mentre piagnucolava ma non le importava veramente.
Povera Arianna, undici anni prima era rimasta incinta dell’ennesimo uomo sbagliato. Lui era geloso ed egoista, le aveva detto di tenere il bambino e di mollare l’università, tanto un lavoro non le sarebbe servito: avrebbe pensato lui a tutto. Oh, lei credeva di amarlo così tanto, quel bambino sembrava la coronazione di un sogno d’amore.
Povero Luca, sua madre lo vedeva come il frutto del suo errore. Arianna non aveva neanche potuto scegliere il suo nome, lo avrebbe tanto voluto chiamare Lorenzo – ora almeno avrebbe qualcuno da chiamare con quel bellissimo nome.
Laura la chiamava e le chiedeva come stava. Le chiedeva di uscire, anche con Luca, che se lo portasse dietro, lo voleva conoscere! Ma Arianna aveva paura ad uscire di casa, e Laura non insisteva più di tanto. Povera Laura, aveva anche lei i suoi problemi. Si era resa conto che avrebbe voluto una famiglia, ma se n’era resa conto troppo tardi. Viveva da sola e non era più riuscita a trovare un uomo che le andasse bene, dopo Davide. Si era divertita, aveva fatto nuove conoscenze, ma con chi avrebbe potuto invecchiare se non con Davide? Alla proposta di lui, lei gli aveva detto che non se la sentiva, aveva tanto pensato, aveva tanto pianto. Non voleva finire come sua madre, povera Laura, sapeva solo quello all’epoca. Non voleva sposare il suo primo vero amore, era da così tanto che stavano insieme, credeva avrebbero finito col logorarsi a vicenda. L’aveva lasciato ormai da sei anni e non aveva più avuto il coraggio di chiedergli di uscire. L’anno prima si erano rincontrati al funerale, e si erano abbracciati, lei piangeva disperata.
La vita è così breve, Davide, come ho fatto a non capirlo, gli aveva sussurrato. Non poteva essere capitato sul serio, non a loro, perché si amavano davvero – non a quel gruppo di amici.
Davide era rimasto a vivere nella casa che aveva condiviso per anni con Laura. Credeva di aver trovato in lei la donna con cui costruire un futuro, che è poi quello che vogliono tutti. Quello che cercano tutti, non lo cercava Laura, e lui si era amaramente adeguato. Dopo un paio d’anni passati nella disillusione e nei divertimenti con Lorenzo, aveva cominciato ad uscire con un’altra donna. Non sperava più fosse “quella giusta”, come quando aveva venticinque anni, si limitava a sperare che funzionasse. Invecchiare da solo sarebbe stato triste.
Aveva anche pensato di chiamare tutti i vecchi amici, per rivedersi, ma poi il dolore aveva ripreso a martellargli nel petto.
Aveva anche ricevuto le partecipazioni di nozze di Riccardo, un altro che non vedeva da una vita. Era felice che almeno lui si fosse sistemato, e avrebbe voluto partecipare con gioia al magico evento – ma poi il dolore aveva ripreso a martellargli nel petto.
Giulio aveva finalmente trovato la sua strada. Da fare il cameriere in una pizzeria, era passato a lavorare in cucina in un ristorante. Era un lavoro duro, ma si teneva ancora attaccato alle sue poesie. Aveva trovato finalmente l’amore, e forse anche le risposte, perché la persona con cui conviveva da quattro anni e mezzo era un uomo. I vent’anni erano finiti e sepolti da un pezzo, ma Giulio aveva l’animo incallito di un sognatore. Avrebbe voluto sposare il suo fidanzato e crescere con lui un bambino. Povero Giulio, il paese in cui viveva non glielo permetteva – e si teneva ancora attaccato alle sue poesie
Ilaria aveva sposato Marco, così come credeva fosse stato scritto dal destino. Lavorava come cassiera in un centro commerciale e le due gravidanze l’avevano sformata. Marco continuava ad amarla, era lei che non amava più se stessa. Adorava i suoi bambini, ma non era soddisfatta della sua vita.
Stava lavando i piatti quando, quel giorno, arrivò quella telefonata.
«Ciao, Ila, come stai?»
«Oh, Lorenzo… Sono un po’ impegnata al momento, ti posso richiamare?»
«In realtà no, Ila. Sono stanco di essere rimandato, il punto è che non lo potrai più fare, sai? Non potremo più rimandare nulla.»
La voce di Lorenzo non aveva vacillato neanche un secondo, e Ilaria si vergognò quando si rese conto di essere accasciata al pavimento, con lo scrosciare dell’acqua del lavello nelle sue orecchie, che per fortuna occultava i suoi fiochi singhiozzi.
Povera Ilaria, gli avevano detto che il suo miglior amico Lorenzo, quello che conosceva da tutta la vita, stava morendo di cancro.
«Sai una cosa buffa? Quando eravamo più giovani, ero innamorato di te. Te ne sei mai accorta? Dimmelo, ti prego, dimmi solo se te n’eri accorta, non ci dormo la notte.»
Ilaria, adesso, guarda il mondo un po’ distrattamente. Aveva voluto creare una famiglia per riscattare quel vuoto che le avevano lasciato i suoi genitori, e, a volte, non se ne pente.
La sua unica ambizione ora è quella di preparare i suoi figli alla vita, ma si ritrova spesso sul balcone, da sola, a guardare i passanti e il tempo che scorrono, senza emettere un suono.












Questo racconto lascia un bell'amaro in bocca. Come se fossero l'inizio e la fine di un romanzo, non importa molto cosa ci sia stato nel mezzo, perché nella maggior parte delle nostre vite, più o meno mediocri che siano, in mezzo non c'è proprio nulla di che - purtroppo.
Dedicato a tutti i ventenni e trentenni che credevano fosse l'adolescenza la parte più brutta, almeno finché c'erano dentro :)
   
 
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