Serie TV > Merlin
Segui la storia  |       
Autore: AsfodeloSpirito17662    12/01/2015    3 recensioni
Merlin lo aveva aspettato. Giorni, anni, secoli, completamente da solo. Aveva visto morire tutti coloro a cui aveva voluto bene e non aveva potuto fare niente per evitarlo.
Era rimasto completamente alla mercé di se stesso. Unico custode del suo segreto, unico custode della propria identità, della propria unicità.
Merlin lo aveva aspettato ed alla fine, dopo più di mille anni - Cristo, mille anni! - era impazzito. Aveva dato di matto.
Iniziò a buttarsi quasi consapevolmente, contro i tronchi degli alberi.
Il dolore era giusto. Doveva essere punito. Aveva bisogno, del dolore.
Merlin si era perso, stava radendo al suolo Albion, aveva ucciso delle persone.
Ed era tutta colpa sua.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Drago, Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

VENTESIMO CAPITOLO

20. L'era mortale

circa un anno dopo...



Londra, Gunnersbury, 10 settembre 2021

Tarda mattina


"... e ora passiamo alla politica. Questa mattina, il Presidente dell'associazione Carrow's Legacy, Alecto Jones, ha partecipato ad una conferenza stampa nella quale ha dichiarato che i lavori di ristrutturazione per la rinascita del territorio e le leggi volte all'introduzione di norme che tutelino i soggetti iperumani procedono con regolarità ed ha anticipato che il completamento degli interventi in Winchester dovrebbe raggiungere il termine per la fine del mese di novembre. Ecco un estratto dell'intervista-"

Charles afferrò il telecomando ed alzò il volume nell'esatto momento in cui lo schermo del televisore gli propinò l'immagine di un'Alecto fasciata da un sobrio abito azzurro, con i capelli biondi severamente legati in uno chignon.

"Grazie per essere qui presenti. Durante i mesi che sono trascorsi dalla fine dell'attacco, la Carrow's Legacy è giunta a vantare un numero di iscritti pari a millecinquecentosessanta. Gli effetti positivi della nascita di questa associazione, è evidente, hanno avuto ripercussioni sia sulla comunità dei soggetti iperumani - che nella CL hanno potuto trovare uno sportello informativo, un aiuto ed un porto di accoglienza -, sia sulla situazione precaria in cui l'Inghilterra era crollata a causa delle devastazioni. Il numero sempre maggiore di iperumani che si iscrivono al registro dell'associazione ed a quello ministeriale, ci ha permesso di organizzare squadre di volontari che, in tal senso, hanno potuto affiancare già l'ottimo lavoro svolto dalle autorità locali e nazionali, rafforzando gli interventi e velocizzando i lavori grazie alla magia".

Charles si mise seduto e lanciò il cuscino del divano accanto a sé, continuando a guardare il televisore.

"Il processo riguardante la creazione di leggi volte alla tutela dei soggetti umani ed iperumani che ci possano far auspicare ad una convivenza sociale sana ed educativa è, per ovvie ragioni, lungo e complicato, ma le persone incaricate del progetto sono competenti e motivate a raggiungere un risultato entro i primi mesi del prossimo anno".

"A tal proposito" intervenne un giornalista, "Cosa ci può dire delle ultime statistiche mostranti un'opinione comune contraria e razzista nei riguardi della classe iperumana?"

Alecto sorrise. "Grazie per la domanda e, mi perdoni per questo, credo la sfrutterò anche per fare nuovamente un annuncio. Generalmente, per natura, le persone tendono ad avere paura di ciò che non conoscono ed io non posso biasimare né pretendere di cambiare un atteggiamento che è insito nell'essere umano. Proprio per questo, invito tutti coloro che hanno domande, dubbi e sì, anche paure, a rivolgersi ad uno degli sportelli CL che tutt'ora stanno aprendo i battenti in vari punti di Inghilterra. La sede centrale è a Londra, come tutti ben sapete, ma ogni dislocamento sarà altrettanto preparato ed attento ad ogni vostra perplessità. Parlo con tutti voi che state ascoltando in questo momento, umani ed iperumani: venite da noi. Cercateci, fateci delle domande, osservateci. Ma sopratutto: conosceteci. La parola iper, senza umano, non vuol dire niente. La paura non ha ragione di esistere. Convivenza e collaborazione sono le parole chiave che da oggi in poi spero potranno governare le vite di tutti noi. La Carrow's Legacy è completamente aperta a qualsiasi tipo di dialogo, purché costruttivo". Alecto fece una pausa, trattenne il respiro e, per la prima volta, guardò dritto in telecamera, come se quello le costasse tutto il coraggio di cui era capace. "Non siamo una minaccia. Non siamo contro di voi. Siamo con voi".


Charles estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans, aprì la rubrica e la fece scorrere sino a che non trovò quello che evidentemente stava cercando. Pigiò sullo schermo ed avvicinò il cellulare all'orecchio. Arrivò ad udire sino a quattro squilli, prima di ricevere una risposta.

"Pronto?"

"Ehilà, bionda" esclamò allora, mentre un sorriso gli tendeva le labbra. "Carino il vestito azzurro. Certo che un sorriso avrebbe migliorato l'immagine generale..."

"Lascia perdere" disse a quel punto Alecto, con un tono teso. "Si è visto che stavo lì lì per vomitare? Queste cose mi mettono sempre un'ansia tremenda".

"Ma non mi dire" ribatté sarcasticamente lui. "Hai guardato ovunque tranne che in telecamera. Cioè, alla fine l'hai fatto, ma sembrava che qualcuno ti stesse puntando una pistola addosso".

"Tanto lo sento, che lo trovi divertente".

Charles ridacchiò, senza neanche provare a dire il contrario.

"Mi hai chiamata soltanto per sfottermi o per dirmi che il pranzo salta perché hai bruciato tutto?"

"Solo per punzecchiarti un po'. Perché, nel caso in cui io ti conoscessi bene, saprei che te la staresti ancora facendo addosso, nonostante l'intervista tu l'abbia fatta più di due ore fa. Fortuna vuole che io non ti conosca affatto".

"Carini i tuoi metodi per tranquillizzare la gente. Perché tradotto, è questo che volevi dire".

"Bé, con te hanno sempre funzionato. E per la cronaca, il pranzo non salterà, perché nessuno ha bruciato niente. Se te lo stai chiedendo, non ho cucinato io. Ti aspettiamo per l'una, vedi di essere puntuale altrimenti inizio a mangiare senza di te".

"Merlin non te lo permetterebbe mai!"

"È in giardino a trafficare con non so che cosa, non se ne accorgerebbe nemmeno".

"Allora adesso attacco, lo chiamo e faccio la spia!"

Charles guardò fisso nel vuoto.

"Sei una piccola stronzetta manipolatrice".

Alecto rise di gusto.

"È vero. Ci vediamo dopo!"

"A dopo e ricordati il vino. Abbiamo fatto la spesa, ma ce lo siamo dimenticato".

"Sarà fatto!"


Quando Charles uscì in giardino e chiuse dietro di sé la porta di casa, fu costretto a coprirsi gli occhi con una mano a causa del sole abbagliante. Sbatté le palpebre più volte, aspettando che i suoi occhi si abituassero a tutta quella quantità di luce improvvisa; come al solito, oltre la cancellata che delimitava la sua proprietà, allo sguardo gli si presentò l'oramai familiare spettacolo di tutto il suo vicinato che, affiancato da quelli definiti ufficialmente da tutti iperumani, si prodigava a ristrutturare le ultime abitazioni. Di lavori da fare ne erano rimasti pochi, la magia aveva davvero enormemente velocizzato la ricrescita e Charles quasi non ricordava più come erano le case che prima avevano preceduto le nuove costruzioni. Ognuno ne aveva approfittato per apportare migliorie a proprio piacimento e lo Stato aveva chiuso un occhio su questo, per aiutare il popolo inglese ad affrontare meglio il trauma che aveva subito.

I suoi occhi azzurri scivolarono due case più in là, dove la famiglia Clapton si era chiusa in una bolla di ribellione ed aveva rifiutato qualsiasi intervento che avesse potuto avere a che fare con la magia: a causa dell'Estate di Fuoco - così i giornalisti si riferivano al periodo degli attacchi -, i Clapton avevano perso la loro bambina; Charles cercò di ricordare il viso di Faith Clapton, che dall'alto dei suoi sette anni, all'inizio dell'anno precedente, gli aveva lasciato nella cassetta della posta una lettera d'amore piena di glitter e di cuoricini.

Stirò le labbra in un sorriso amaro, sentendo il sapore della tristezza sulla lingua come la stesse masticando da sempre. Si chiese quante Famiglie Clapton ci fossero in giro per l'Inghilterra in quel momento: gente che aveva perso tutto, che non avrebbe mai accettato la magia o che addirittura avrebbe aizzato le folle contro gli iperumani per le più disparate e disperate ragioni.

Era certo però di non voler conoscere la risposta.

Scese i tre gradini che si trovavano davanti la porta e percorse il vialetto circumnavigante la casa, dirigendosi verso il retro; nell'accorciare le distanze, iniziò a distinguere il rumore di quelle che sembravano forbici. Charles infilò le mani nei jeans chiari che indossava e svoltò l'angolo in tutta calma, sostando con i piedi al limitare del prato; all'angolo più estremo del giardino, vicino il muro di pietra, Merlin stava trafficando con quelle che effettivamente erano cesoie; un sorriso gli nacque spontaneamente sul volto e dimentico del motivo per il quale era uscito di casa, si perse ad osservare con aria assorta i capelli scuri di Merlin baciati dal sole di fine estate, spettinati come sempre ed incapaci di nascondere le ridicole orecchie.

Dandogli la schiena, il moro non si accorse di essere osservato e passò il dorso della mano sulla fronte, asciugando il sudore. Anche la maglietta azzurra che indossava era umida, tant'è che in certi punti gli aderiva addosso quasi come una seconda pelle.

A Charles sarebbe bastato chiudere gli occhi, per sapere cosa ci fosse esattamente sotto quella maglietta. Aveva toccato e baciato ogni centimetro di quel corpo così tante volte che avrebbe potuto andare anche solo ad istinto, per sapere dove mettere la bocca.

Il sapore della tristezza per Faith, sulla lingua, fu sostituito da quello della pelle di Merlin.

Guardandolo pensò a come, in certi momenti, il sentimento di possessione era così sconvolgente da lasciarlo stordito. Aveva lottato così tanto per averlo lì con lui, in quella casa, in quel giardino, in quell'attimo d'estate assolata che faceva sembrare i suoi capelli di una tonalità scura molto più calda...

Non poteva farci niente. Sapeva che Merlin non era un oggetto, sapeva che odiava essere considerato come tale, ma, davvero... non poteva farci niente.

Per Charles, Merlin era semplicemente suo.

Se l'era conquistato sputando sudore e sangue, lacrime e dolore. Non l'avrebbe lasciato andare da nessuna parte. Era suo, lo era sempre stato, sin dai tempi di Camelot.

Attratto da lui come una falena è attratta dalla luce, Charles calpestò l'erba per raggiungerlo; quando fu a poco meno di cinque metri, l'altro sentì i suoi passi e si voltò verso di lui. Le sue pupille erano così piccole che parevano essere state inghiottite da un mare di blu.

"Ehi" esclamò Merlin con tranquillità, tornando poi a trafficare con le cesoie. Charles inspirò con lentezza e guardò il piccolo albero messo all'angolo.

"Sta crescendo bene" commentò, osservando il perfetto lavoro di potatura portato avanti dal moro, che annuì.

"Una serie di fortunati eventi" disse quello, lasciando cadere le forbici sull'erba e chinandosi a prendere del mastice. "A partire da una discreta presenza di calcare nel terreno, cosa davvero molto rara da queste parti. Gli ulivi non crescono bene lontano dalla costa, perciò era fondamentale che in giardino ce ne fosse in buona quantità".

Charles lo osservò applicare il mastice in punti strategici del tronco e dei rami.

"Questo te l'hanno insegnato al vivaio?" domandò, incrociando le braccia. Senza guardarlo, Merlin annuì di nuovo.

"Anche se Gaius mi ha insegnato molte cose sulle piante, diciamo che alberi come l'ulivo non rientrano tra le mie specialità".

Charles abbozzò un sorriso, anche se l'altro non lo stava guardando. “Ho sentito Alecto al telefono. Le ho ricordato di prendere il vino”.

Ah, bravo, me l'ero già dimenticato. Comunque, per restare in tema, sua madre ieri mi ha mandato di nuovo un messaggio. Prima o poi Alecto dovrà decidersi a parlarle”.

Lui si strinse nelle spalle. “Non lo so. Non so cosa avrei fatto io, nei suoi panni. Ma finché resterà intenzionata a non vederla né sentirla, è ovvio che sua madre continuerà a cercare noi per tentare di avere contatti con la figlia. Siamo le persone a lei più vicine”.

Mh” mugugnò il moro, “È molto cambiata in questi mesi. È maturata. Io credo che ora riuscirebbe a gestire bene i rapporti con la sua famiglia. Un po' meno, forse, quelli con i suoi sensi di colpa... ma sono l'ultima persona sulla faccia della terra che può fare una considerazione del genere”.

Charles lo guardò attentamente, ma non disse niente. Era un qualcosa su cui, lo sapeva, non avrebbero mai smesso di lavorare. Ma lui era pronto a farlo.

Decise comunque di cambiare discorso e schioccando la lingua sul palato, annunciò: “Ho deciso che quando finirò gli studi di economia, apriremo un vivaio”.

Merlin si mise a ridere e gli lanciò uno sguardo divertito. “Quello è il mio obiettivo, non il tuo” commentò con un sorrisetto da schiaffi.

Tu devi guardare il quadro nell'insieme” rispose allora il biondo, allargando le braccia. “Il mio destino è diventare un imprenditore come mio padre. Se non lo facessi gli prenderebbe un colpo secco, lo conosci. Ma deciderò io, in cosa investire i miei soldi. Se ci tiene, mi occuperò delle sue attività come extra, ma nel mio progetto ideale ci sarà anche un vivaio. L'ho sognato stanotte. Quindi sbrigati a finire questo benedetto stage”.

Ah, ecco perché ti agitavi tanto e borbottavi cose senza senso” esclamò l'altro, con un tono da presa in giro. “Non lo devi fare per me, comunque” aggiunse poi, quietamente. “Non voglio che rinunci a fare ciò che vuoi davvero. Lo troverò da solo, un modo per arrivare dove intendo arrivare. Ma qualsiasi cosa sceglierai di fare tu, io ci sarò. Non vado da nessuna parte. Lo sai...?” tentennò sulle ultime parole, indeciso se renderle un'affermazione oppure una domanda.

Si guardarono nello stesso momento, facendo scorrere gli occhi l'uno sul viso dell'altro, imprimendo ogni singolo dettaglio.

Lo so? Pensò Charles, la fronte contratta in un'emozione di paura che non sarebbe mai andata via del tutto. Gli occhi completamente blu di Merlin, però, gli dissero certo che lo sai. E allora capì che era giunto il momento di sdrammatizzare.

Smettila di sentirti al centro del mio universo, idiota egocentrico. Voglio aprire un vivaio per avere una piantagione di ulivi tutta mia, non lo faccio mica per te” e così il moro rise.

Trascorsero cinque silenziosi minuti, durante i quali Merlin terminò di tamponare le dispersioni di liquidi e poi, con un sacco ed una paletta, iniziò a lasciar cadere della polvere di azomite intorno al terriccio del tronco.

"Perché non prendi quello e ne spruzzi un po' sulle foglie?" disse ad un certo punto, indicando un prodotto che era poggiato a terra poco distante, vicino il muro di pietra. Charles seguì la direzione del suo dito e si mosse, raccogliendo quello che era ossicloruro di rame.

"A che cosa serve?" domandò, togliendo il tappo per iniziare a spruzzarlo sulle foglie con cautela. Merlin ripose la paletta nel sacco e si alzò, spazzolando le mani sui jeans.

"Gli ulivi soffrono molto il freddo. Quello serve a rinforzarne le foglie. Non siamo in un paese mediterraneo, sai. Dobbiamo aiutarlo".

Charles emise uno sbuffo. "Ma va? Non me ne ero accorto".

Merlin arricciò le labbra in un sorrisetto da figlio di buona donna e poi si strinse nelle spalle, quasi scusandosi: era un perenne ossimoro vivente e Charles non avrebbe mai finito di stupirsene.

"Non potrà mai sostituire l'ulivo di tua madre(1), ma sai... volevo solo..."

Lo guardò per un brevissimo secondo, prima di riportare gli occhi verso il basso. Infilò le mani nelle tasche posteriori dei jeans e voltò la testa dall'altra parte, come cercando un pretesto per cambiare argomento.

Charles lo guardò con una certa intensità. Mise il tappo all'ossicloruro di rame ed allungò una mano, toccando la fronte sudata di Merlin; l'altro sobbalzò impercettibilmente, preso in contro piede da quel contatto, ma lasciò che Charles gli spostasse la frangia umida dalla fronte con una delicatezza che lo fece sentire vulnerabile, sebbene non lo fosse per niente.

"Andrà benissimo, Merlin" mormorò molto chiaramente, lasciando scivolare la mano dietro la sua testa, finché le dita non si ancorarono sulla pelle umida del collo, resa bollente dal sole. "Questa era una cosa che le piaceva fare. Ed il fatto che la faccia anche tu, è come se la riportasse un po' in vita ogni volta. Quindi, credimi. Va davvero bene".

Merlin si arrischiò ad alzare gli occhi per guardarlo in viso e quando Charles incontrò il suo sguardo, si sporse in avanti per baciarlo, come avesse atteso solo quel pretesto per farlo. Premette ancora di più le dita sul suo collo per avvicinarlo a sé e con una familiarità che faceva dolere il cuore, poggiò la bocca sulla sua. Merlin tolse le mani dalle tasche e le fece aderire ai lati del collo di Charles, muovendo con deliziosa pigrizia le labbra contro quelle dell'altro. Ogni volta che accadeva, ogni volta che si baciavano, era come se il tempo fosse un concetto astratto: non erano più Merlin e Charles o Merlin ed Arthur, erano semplicemente due ragazzi che si amavano e che avevano bisogno soltanto di quello.

Charles sapeva di latte e caffè e delle fette biscottate alla marmellata che mangiava ogni mattina. La sua pelle sapeva di sole, i suoi capelli di grano e la sua presenza di miraggio.

C'erano notti in cui Merlin ancora si svegliava sudato fradicio ed in preda al panico, con il terrore di aver sognato tutto, di essere ancora un vecchio scorbutico abbandonato a se stesso; così si toccava la faccia e scopriva che non c'era la barba. Si voltava alla sua destra e scopriva che accanto a lui, così vicino!, c'era un corpo caldo assopito tra le sue stesse lenzuola.

Eppure non bastava, non bastava mai.

A quel punto Merlin svegliava sempre Charles, lo toccava, lo baciava sugli occhi e sulla bocca e poi se ne stava in silenzio ad osservarlo, come temendo che se si fosse addormentato, non l'avrebbe visto più.

Allora Charles si girava e lo stringeva a sé, imponendogli la sua presenza almeno fino a quando la tensione non abbandonava un po' le spalle contratte di Merlin e poi si alzava per andare a preparargli una di quelle tisane che gli piacevano tanto.

Era così che il biondo aveva iniziato a guarirlo da quelle tremendi nottate - nottate che, durante il passare del tempo, avevano iniziato a verificarsi con sempre meno frequenza. In realtà non era soltanto la paura di risvegliarsi nell'incubo in cui l'altra metà di sé l'aveva tenuto prigioniero per settimane, ad agitarlo: i sensi di colpa, quegli stessi sensi di colpa di cui aveva parlato ad Arthur nella radura assolata del suo inconscio, si erano fatti strada dentro di lui con la devastante forza di un uragano. C'erano volte in cui Merlin si ritrovava a boccheggiare, schiacciato dal peso di tutte le persone che erano morte solo perché lui era stato un debole vecchio incapace di controllare la sua magia, incapace di impedire che prendesse il sopravvento su di lui.

D'altra parte, c'erano volte in cui Charles smetteva di respirare senza neanche rendersene conto: il terrore che Merlin potesse decidere di fare una sciocchezza quando lui non fosse stato presente, lo accompagnava ad ogni ora del giorno e della notte. I primi tempi, Charles non l'aveva perso di vista un secondo; addirittura, quando Merlin aveva avuto bisogno del bagno, lui si era seduto a terra con la schiena appoggiata contro la porta, attendendo che uscisse e guardando l'orologio per tenere il conto del tempo che ci impiegava, pronto a fare irruzione se fosse stato necessario.

Due diversi tipi di paure avevano governato le loro vite per un po' fino a quando, insieme, non avevano trovato una sorta di equilibrio. Per Charles certe volte era ancora difficile lasciare Merlin da solo, perché sapeva che non era guarito del tutto e probabilmente non lo sarebbe stato mai. Eppure, ogni volta che l'altro si sentiva schiacciare dal dolore e dai rimorsi, ogni volta che gli mancava il respiro o si ritrovava a fissare la parete vuota un minuto di troppo, non aveva mai esitato ad alzarsi per andare a cercare Charles, per far sì che lui lo potesse salvare da se stesso.

Nella radura, poco prima del loro primo incontro, aveva confessato ad Arthur che non credeva sarebbe riuscito a convivere con il peso di tutte le sue colpe, nel remoto caso in cui Emrys fosse stato sconfitto. Ma a quel tempo, Merlin non aveva ancora fatto i conti con la potenza sconcertante dei sentimenti di Charles e dei suoi.

Ce la stava mettendo davvero tutta. Voleva imparare a convivere con quello che aveva fatto, voleva prendersi le sue responsabilità, voleva accettare la sofferenza che un po' lo mordeva ogni giorno, ma ora voleva farlo accanto a Charles. Non aveva intenzione di cedere il passo alla tristezza ed all'apatia; egoisticamente, anelava ancora a vivere una vita con la persona che aveva atteso per più di mille anni e non c'era niente, niente che gli avrebbe impedito di prendersi quello che forse non si meritava.

Charles lo rendeva egoista, ma a lui non importava. Una volta Alecto gli aveva detto che non si trattava di egoismo, ma di amore.

Il risultato, per lui, non cambiava. Fin quando Charles sarebbe stato lì a sollevarlo ogniqualvolta la disperazione l'avesse spinto giù, sarebbe andato tutto bene.

Durante una delle sue prime crisi, accaduta nel bel mezzo della notte, Charles l'aveva abbracciato e gli aveva sussurrato tra i capelli sudati che lui era lì, che era reale e che si sarebbe preso cura di lui. Merlin aveva pensato che non ci sarebbe stato un modo o posto migliore per morire, se proprio doveva succedere, e dopo aver incastrato la testa sotto il mento di Charles, aveva sussurrato direttamente sulla pelle calda del suo collo: non ti ho guardato il giorno in cui sei venuto da me, perché avevo paura che poi non sarei riuscito a farlo. Se ti avessi guardato, se ti avessi guardato... non sarei riuscito ad usare Excalibur, ma era necessario che lo facessi. Capisci che effetto mi fai? Non essere arrabbiato con me. Mi basta guardarti per non essere più sicuro di niente.

Charles aveva smesso di accarezzargli i capelli. Poi, nel buio, la sua bocca era finita su quella dell'altro con rabbia, il ricordo di ciò che aveva provato stampato a fuoco contro le palpebre chiuse: "Ti uccidi davanti a me. E non mi guardi. Non mi guardi nemmeno una cazzo di volta".

Il calore cocente che tra di loro era aumentato come una bolla fatta di tremiti, li aveva portati a fare l'amore per la prima volta. Affondare in Merlin era stato come prendere un enorme ed appagante respiro dopo un'apnea durata un millennio, come non avessero aspettato altro dai tempi di Camelot.

Merlin aveva realizzato, invece, che il prezzo pagato per le sue azioni non gli era mai parso così giusto.

Cosa avrebbe mai potuto farsene della magia, senza avere quello? La bocca calda di Charles sul collo, la libertà di potergli passare le dita lungo la spina dorsale, il suo bacino incastrato perfettamente tra le cosce tese.

Chi aveva bisogno della magia, quando aveva lui? La prospettiva di vivere una vita normale e di invecchiare come una persona qualunque, l'aveva riempito di gioia nello stesso istante in cui Charles l'aveva riempito di sé.

Merlin il Mortale. Suonava così maledettamente bene, come il gemito lieve e sottile che gli aveva riempito le orecchie alla fine e l'inizio di tutto, quando la bolla fatta di tremiti era esplosa in mille gocce colorate. Merlin il Mortale, che sarebbe vissuto ed invecchiato insieme all'unica persona con la quale sarebbe voluto morire.

Che tale perfezione.

Quando Charles abbandonò le sue labbra, Merlin tornò nel giardino dietro casa loro, casa che Alecto stessa aveva aiutato a ricostruire. Sbatté le palpebre un paio di volte e sorrise.

"I tuoi tratti sono molto simili a quelli che avevi quando eri Arthur. Eppure... c'è qualcosa di diverso. D'altronde, non so perché mi aspettassi che ti avrei ritrovato perfettamente uguale a come eri a Camelot". L'altro arcuò le sopracciglia con espressione beffarda.

"C'è di diverso che adesso sono meglio, perché mi sono modernizzato. Evviva il duemilaventuno".

Merlin roteò gli occhi verso il cielo e scosse la testa con rassegnazione. "Questo invece non è cambiato per niente" commentò, iniziando a raccogliere tutti i sacchi che aveva utilizzato per riporli nell'armadio da giardino. Charles corrugò la fronte.

"Cosa non è cambiato?"

"Te che fai l'asino".

L'asino in questione lo guardò riporre i sacchi con una faccia oltraggiata e dato che Merlin gli dava le spalle, si perse il sorrisetto sghembo che piegava le sue labbra.

"Come puoi dirmi una cosa del genere? Il fatto che abbiamo deciso di non installare una gogna in giardino per non spaventare i vicini, non dovrebbe farti sentire sicuro abbastanza da ferire i miei sentimenti".

Merlin rise. "Sono sicuro che troverai un altro modo per vendicarti. Ma sappi che anche io so essere molto creativo".

Charles fece una smorfia. "Sì, lo so. Se iniziassi questa battaglia non la finiremmo più per il resto dei nostri giorni".

L'altro si voltò per guardarlo. "Sento puzza di qualcuno che ha paura di perdere la guerra".

"Stai attento a quello che dici, Merlin. Ho una miriade di videogiochi terminati alle spalle, che hanno contribuito a rendere molto creativo me. Potrei sorprenderti".

"Mmh" mugugnò di rimando il moro, "Questa cosa mi intriga" commentò, facendo scattare le cesoie, prima di metterle nell'armadio di alluminio insieme al resto.

Charles arricciò le labbra, tentando di non cedere alla voglia di sorridere. "A proposito di roba intrigante, c'è una cosa che volevo chiederti da un pezzo, ma poi finisco sempre con il dimenticarmene".

"Sarebbe?" chiese Merlin, chiudendo le ante con una chiave.

"Da come mi era stata raccontata la situazione da Hester, avevo capito che soltanto io avrei potuto usare Excalibur su di te..." il suo tono si fece via via più cauto; non era un argomento tabù, tutti e due avevano deciso di comune accordo che parlarne spesso e liberamente li avrebbe aiutati entrambi a superare il trauma più velocemente, eppure non potevano fare a meno di approcciarsi alla questione con una sorta di cautela. "...Invece sei stato tu a farlo al posto mio. Com'è possibile?"

Merlin sospirò, mise la chiave in tasca e si girò nuovamente verso di lui. Socchiuse gli occhi a causa del sole.

"Devi sapere che quando degli esseri magici potenti ti parlano, fanno molta attenzione alle parole che decidono di utilizzare".

Charles annuì, ricordando il modo in cui le Disir avevano insistito a sottolineare Merlin Il Mago, intendendo che la sua parte magica sarebbe dovuta morire per lasciar vivere semplicemente il suo lato mortale.

Certo che se avessero parlato chiaro sin dall'inizio... pensò, con un lampo di fastidio che gli fece stringere le labbra insieme.

"Quindi, le occasioni in cui ad entrambi è stato detto e ripetuto che siamo due facce della stessa medaglia... non sono casuali. Tra me e te... c'è una sorta di connessione che neppure io sono mai riuscito a spiegare. In verità, quando ho deciso di fare quello che ho fatto... non ero sicuro che avrebbe funzionato. Ho solo deciso di seguire il mio istinto ed anche un po' di logica, a dire la verità. Se siamo due facce della stessa medaglia, avrebbe dovuto voler dire che quello che puoi fare tu, posso farlo anche io. E così in effetti è stato".

Aveva senso, dovette ammettere Charles controvoglia. Non avrebbe comunque potuto fare niente per fermarlo. Si ritrovò così ad annuire con rassegnazione e sospirò pesantemente, prima di guardare l'orologio da polso. "È tardi" constatò stupito; "Vado ad infornare il pollo e comincio ad apparecchiare. Non provare ad entrare in casa con le scarpe piene di terra o ti ammazzo".

Merlin arcuò le sopracciglia e piantò le mani sui fianchi. "Sì mamma" e dopo qualche attimo di silenzio, aggiunse: "Non posso credere che tu sappia in effetti cucinare. È- è sconvolgente, sul serio. Non mi abituerò mai a questo".

"Tsk... e mi riesce anche maledettamente bene!" disse Charles, che gonfiò il petto come un pavone, ammiccò un paio di volte e fece per dirigersi verso la porta di casa. Dopo qualche passo, la voce di Merlin lo fermò al limitare del prato.

"Una volta, prima che tu arrivassi da me, mi hai detto che non ci sarebbe stato più niente che avrei dovuto sopportare o combattere da solo. Bé, lo sai che per te vale lo stesso, vero?" abbassò lo sguardo quando Charles si voltò verso di lui. "Voglio che tu abbia bisogno di me come io ne ho di te" continuò con un tono più sommesso, ma senza l'ombra di incertezza - solo un velo di imbarazzo. Dopo qualche attimo, quando capì che non avrebbe ricevuto nessuna risposta, si arrischiò a lanciare un'occhiatina verso di lui: vide che l'altro aveva allungato la mano in sua direzione e stava solo aspettando che lui l'afferrasse.

"Se vuoi" iniziò Charles, il tono serio come lo sguardo, in netto contrasto con il significato apparente delle sue parole, "Puoi aiutarmi a mettere piatti e bicchieri".

Merlin, afferrando la sua mano dopo i primi istanti di smarrimento, rispose piano al suo sorriso.

Ed entrò in casa con le scarpe sporche di terra.












NOTE DELL'AUTORE: ecco qua. Il parto è avvenuto e adesso possiamo andarcene tutti in pace. Che dire? Ecco un'altra avventura che giunge alla sua conclusione. Non so quali parole usare per ringraziare tutti quelli che l'hanno commentata, che l'hanno aggiunta nelle varie categorie o che l'hanno semplicemente letta e basta. Tutti avete avuto un ruolo, dal primo all'ultimo e se ora siamo qui, all'ultimo capitolo, è sopratutto grazie a voi. Questa storia esce un po' fuori dai classici schemi, ne sono consapevole, perciò grazie per la vostra fiducia e la vostra pazienza. Spero sinceramente di non aver deluso nessuno. Grazie anche a Mimiwtich, che mi ha aiutato moltissimo con il betaggio di parecchi capitoli: sei stata very precious! Non so quando e se ci rivedremo su questi schermi, quindi per il momento vi lascio con un sorriso e con l'unica promessa che, prima o poi, un'altra storia verrà alla luce. Stay strong!


(1)Nel primo capitolo, Charles vede bruciare l'ultimo ricordo che ha di sua madre e cioè l'ulivo che lei stessa aveva piantato in giardino. L'evento l'ha sconvolto più di quanto sarebbe disposto ad ammettere.


Mega baci bavosi,

Asfo

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Merlin / Vai alla pagina dell'autore: AsfodeloSpirito17662