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Autore: mattmary15    12/01/2015    3 recensioni
Il sangue sulle mani colava a sporcare i polsini dell’uniforme. Il battito del suo cuore, accelerato e assordante, lo faceva respirare a fatica. Gli occhi sbarrati e fissati sul corpo esanime della donna. Uno squarcio profondo l’aveva aperta dalla clavicola destra al fianco sinistro.
“Mei”, sussurrò senza avere il coraggio di guardare il cadavere.
Prese un respiro più profondo e abbassò il capo. Mei aveva gli occhi blu ancora aperti. Il viso contratto in una smorfia di paura e dolore. Desiderava con tutto il suo cuore passarle una mano sul viso. Forse per chiuderle gli occhi, forse per darle quella carezza di cui l’aveva sempre privata.
Il contatto fisico tra un celebrante e un alfiere è proibito se non è finalizzato alla battaglia. Strinse in un pugno una ciocca dei suoi capelli ramati e fissò lo sguardo sulla profonda ferita che l’aveva quasi spezzata in due. Voleva imprimersi nella mente quel dolore. Voleva fare in modo di ricordare per sempre cosa significa far parte dell’Elité.
“Siamo solo carne da macello, Mei. Non esistiamo come individui. Siamo armi da combattimento. Possiamo morire o vivere per ricominciare a combattere”.
Genere: Drammatico, Guerra, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Tokyo, Febbraio 2515

Il sangue sulle mani colava a sporcare i polsini dell’uniforme. Il battito del suo cuore, accelerato e assordante, lo faceva respirare a fatica. Gli occhi sbarrati e fissati sul corpo esanime della donna. Uno squarcio profondo l’aveva aperta dalla clavicola destra al fianco sinistro.
“Mei”, sussurrò senza avere il coraggio di guardare il cadavere.
Prese un respiro più profondo e abbassò il capo. Mei aveva gli occhi blu ancora aperti. Il viso contratto in una smorfia di paura e dolore. Desiderava con tutto il suo cuore passarle una mano sul viso. Forse per chiuderle gli occhi, forse per darle quella carezza di cui l’aveva sempre privata.
Il contatto fisico tra un celebrante e un alfiere è proibito se non è finalizzato alla battaglia. Strinse in un pugno una ciocca dei suoi capelli ramati e fissò lo sguardo sulla profonda ferita che l’aveva quasi spezzata in due. Voleva imprimersi nella mente quel dolore. Voleva fare in modo di ricordare per sempre cosa significa far parte dell’Elité.
“Siamo solo carne da macello, Mei. Non esistiamo come individui. Siamo armi da combattimento. Possiamo morire o vivere per ricominciare a combattere”, disse ripensando alle parole con cui lei lo aveva rimproverato qualche ora prima di essere troppo pessimista riguardo alla loro intera esistenza. Aveva sorriso. Cosa restava ora di quel sorriso?
“Niente, Mei. Non siamo mai stati niente, io e te. Tu eri la mia celebrante. Niente di più. Non ho motivi per piangere. Me ne daranno un’altra”, fece posando il corpo di Mei per terra dove giaceva Nefrit la mistycal weapon che le era stata affidata.
Le sirene delle squadriglie Elité risuonarono nell’aria. Lui si alzò, voltò le spalle al corpo della donna e prese a camminare.
Takahata e Rintaro della squadra verde gli corsero incontro scendendo da un furgone che aveva parcheggiato tra le macerie. Takahata corse ad inginocchiarsi vicino al corpo della sua compagna, Rintaro rimase fermo vicino a lui e parlò con voce triste.
“Com’è potuto accadere?”
“E’ una guerra, Rintaro. Solo gli stupidi pensano che non ci si possa rimettere la pelle in una guerra.  E lei era una stupida.”
“Sato!” ringhiò Shogi Rintaro, alfiere della squadra verde.
“Non capisco perché te la prendi tanto!”
“Ma che cazzo dici? E’ Mei Hinata quella sventrata per terra! Ed era tuo dovere di alfiere proteggerla! Come puoi parlare così?”
“Shogi!” esclamò Takahata Yui, celebrante della squadra verde “Smettila, lascialo stare. E’ sotto shock.” Kei Sato, alfiere della squadra rossa, si asciugò il sangue di Mei sui pantaloni della divisa e sorrise.
“Non sono così sensibile, Takahata. Ad ogni modo, vi conviene starmi alla larga. Sono di pessimo umore”, disse allontanandosi e salendo su uno dei furgoni dell’Elité. Rimasto solo si guardò le mani. Sporche.
Gettò la testa all’indietro più e più volte sbattendo contro il metallo del veicolo.
“Sono io l’alfiere. Dovevo morire io.”
Il furgone partì per tornare alla base ma Kei Sato decise quel giorno che non importava cosa dicesse il rapporto del suo superiore. Kei Sato e Mei Hinata erano morti insieme. Come avrebbe dovuto essere.


Osaka, aprile 2512

“Benvenuti nell’Elité, signori e signore. Avete ricevuto tutti l’uniforme. Verrete divisi, in base ai risultati dei vostri test psico e fisico attitudinali in quattro squadre di cui indosserete il rispettivo colore. Rossa, verde, bianca e nera. Frequenterete i corsi per prepararvi all’esame finale che vi vedrà competere per diventare gli otto soldati più forti del Paese cui verranno affidate le mystical weapon, le sole armi in grado di combattere i Golem. Mi congratulo per il vostro successo e vi auguro un buon anno di studi.”
La voce metallica si era diffusa in tutta la torre. Gli studenti l’avevano sentita in qualunque parte dell’edificio. Un notevole numero di ragazzi con un coefficiente psico fisico adeguato arrivavano ogni anno da tutto il Giappone ma solo una piccolissima parte riusciva ad entrare nell’Elité che accettava solo studenti con un coefficiente superiore a 250/350.  Il viavai di ragazzi vestiti di quei quattro colori, dava l’idea di un luogo allegro e tranquillo ma la Torre Accademia era, in realtà, un posto dove regnavano disciplina ed ordine.
Monitor e un sistema d’intelligenza artificiale, seguivano gli studenti passo passo nelle varie discipline e controllavano che non trasgredissero le regole.
C’era un solo luogo che sfuggiva all’occhio onniveggente di AI, il computer centrale. La terrazza aperta. In realtà si trattava di un luogo inesistente per la maggior parte degli studenti perché, data l’estrema pericolosità della terrazza senza protezione, AI aveva creato un ologramma che la oscurava agli occhi di tutti.
Di tutti tranne che a quelli di Ryu Kawari, coefficiente psico-fisico 325/350. Ryu era sempre stato uno studente modello ma era entrato nell’Elité, squadra bianca, solo per ordine di suo padre. La sua famiglia serviva l’imperatore dall’epoca dei samurai. Occhi verdi e profondi nascosti da un paio d’occhiali sottili e capelli neri, Ryu aveva capito subito dall’altezza della torre e dalla sua struttura portante che l’ultimo piano su cui campeggiava l’enorme scritta della Torre Accademia non fosse reale e aveva scoperto anche la splendida terrazza non sorvegliata su cui passare un po’ di tempo tranquillo. Col tempo tuttavia, quel posto aveva smesso di essere tranquillo poiché era diventato il ritrovo in cui lui e il suo gruppo potevano parlare di tutto.
Quella mattina c’erano Ryu che leggeva un libro, Kei, Mei e Nanase , Jin e Shogi. Si erano conosciuti durante le superiori e, anche se avevano tutti caratteri diversi, qualcosa li aveva legati.
Kei faceva parte della squadra rossa, coefficiente 346/350. Normalmente non chiacchierava molto e sulla terrazza dormiva. Apparteneva alla famiglia Sato, una delle preferite dall’imperatore. Nessuno sapeva come mai aveva deciso di entrare nell’Elité ma per lui, riuscire a diventare l’alfiere rosso sembrava questione di vita o di morte.  Per questo finiva sempre nelle mire degli scherzi di Shogi Rintaro, coefficiente 320/350 che si ritrovava nella squadra verde solo perché la sua famiglia aveva bisogno di soldi e l’Elité pagava molto bene le famiglie che fornivano giovani leve alla divisione. Nessuno però tornava mai sull’argomento che feriva molto il giovane. Soprattutto Jin Matsumoto che si trovava lì per la medesima ragione ma cui tutti davano addosso in quanto, pur avendo ottime doti psichiche, peccava nelle discipline fisiche e il suo coefficiente si fermava a 300/350. Lo stesso problema aveva Nanase Otada che però manteneva un coefficiente di 330/350. Stesso coefficiente della cugina Mei Hinata. Le due ragazze erano molto unite e ridevano spesso degli scherzi che Shogi e Jin ordivano ai danni di Kei o Ryu.
“La prossima volta che mi gettate un sacchetto pieno di vermi addosso, giuro che cambio il codice olografico della terrazza! Finirete di sotto senza neanche accorgervene!” esclamò Ryu all’ennesimo scherzo delle due matricole.
“Ma dai! Non fare il pesante!” rise Shogi “Per due vermetti!”
“Perché non glieli fai ingoiare?” chiese senza aprire gli occhi Kei che rimaneva sdraiato in un angolo.
“Che schifo!” gridò Mei entrata l’anno prima all’Accademia e parte della squadra rossa.
“Perché non ti fai gli affari tuoi, Kei?” chiese Shogi mettendo il muso ed incrociando le braccia.
“Non cominciate a litigare”, intervenne Jin che non aveva ancora una squadra.
 “Già, non litigate,” si aggiunse Nanase intenta a tirare fuori da un sacchetto dei tramezzini “piuttosto, venite a mangiare.”
Tutti si affrettarono a raggiungere la coperta che le ragazze avevano disteso sull’erba. Tutte tranne Ryu.
“Kawari, non ti lasciamo niente!” esclamò Shogi ingozzandosi. Kei gli strappò la polpetta di riso che teneva ancora in mano.
“Lascialo stare. Sta studiando.”
“Ehi! Quella è mia. E che ha da studiare? Ha già un coefficiente altissimo, lui. Io dovrei studiare!”
“Ha una prova domani,” fece Kei rabbuiandosi “se la supera, sarà un alfiere.”
“Prima di te?”
“Sta zitto.”
“A che ti serve avere il coefficiente più alto dell’Accademia se poi fallisci sempre la prova finale?” chiese Shogi scatenando l’ilarità di Jin.
“Ti ho detto di stare zitto, Rintaro!” sbottò Kei lanciandogli la polpetta.
“Smettila, Kei!” intervenne Nanase “Non essere aggressivo. Shogi sta scherzando.”
“E’ pur vero che sai quanto ci tiene, Shogi. Vuoi finirla di punzecchiare Kei?” fece Mei.
“Ho capito,” fece Ryu chiudendo il libro “se non studiate voi, non posso studiare neanche io.” Jin gli mise una mano sulla spalla e con l’altra gli porse una bibita. Il ragazzo l’accettò e si sedette vicino a Nanase.
“E tu Nanase, hai studiato? Domani non devi sostenere una prova anche tu?” Tutti si voltarono a guardare la ragazza dai capelli biondo cenere. Lei sorrise mostrando un sacchetto pieno di teru-teru, amuleti scaccia pioggia.
“Dove li hai presi? Hai saccheggiato un negozio?” chiese Jin.
“Guarda che per domani è previsto bel tempo!” esclamò Shogi. Fu la risata di Kei a sorprenderli tutti. Una risata genuina che fece spuntare persino le lacrime agli occhi del ragazzo dai capelli corvini.
“Ma certo! Come ho fatto a non capirlo?” fece Mei “Li hai rubati!”
“Rubati?” intervenne Ryu “Nanase Otada è un comportamento riprovevole anche se non riesco a capire come gli amuleti contro il maltempo possano aiutarti.”
“Questo perché tu non hai un coefficiente abbastanza alto per comprendere i processi mentali di Nanase!” fece Kei che ancora non riusciva a smettere di ridere “Nanase deve sostenere una prova fisica di resistenza. Se piove, la prova verrà annullata! Ha rubato i teru-teru per annullare il loro effetto!” Tutti scoppiarono a ridere.
“E allora? La speranza è sempre l’ultima a morire! Io non sono fatta per le prove fisiche. Di certo diventerò una celebrante. A che mi serve diventare più forte?”
“Non è così, Nanase,” la redarguì Mei “anche il celebrante deve essere preparato fisicamente. Le squadre operative che possono maneggiare una mistycal wepon sono rappresentate da coppie composte da un celebrante e un alfiere. Il celebrante utilizza la weapon rappresentata da una pietra che amplifica il suo potere psichico. Quel potere si incanala nella mystical, l’arma maneggiata dal alfiere. Ricordati però che se il celebrante è troppo debole, i colpi inferti all’alfiere vengono trasferiti al celebrante e comunque può sempre capitare di doversi difendere direttamente da un attacco.”
“Non se l’alfiere è forte!” esclamò Kei.
“Potrebbero esserci più Golem sul campo,” intervenne Jin.
“Attaccano individualmente. Un ESP non può attivare che un solo Golem.” Spiegò Ryu.
“Maledetti ESP!” fece Shogi tirando un calcio alla lattina di Ryu.
“Ehi attento o scopriranno che siamo qui!” fece Jin vedendo la lattina sparire fuori dall’ ologramma “E comunque noi siamo qui appunto per sconfiggere gli ESP.”
“Dicevano così anche quelli che hanno combattuto prima di noi. Noi però abbiamo la possibilità di usare le mistycal weapon!” esclamò Kei.
“Calmo Kei. Nessuno di noi ha mai visto un ESP finora. Pensiamo a superare gli esami.”
“Io diventerò l’alfiere rosso e li distruggerò tutti!” insistette Kei.
“Quanto entusiasmo!” lo spintonò Shogi “Prima dovrai riuscire ad andare d’accordo con un celebrante!”
“La vedo dura con quel carattere!” riprese Jin.
“Io faccio parte della squadra rossa. Potrei essere io la tua celebrante, Kei!” disse Mei con un sorriso di sfida.
“Prima porta il tuo coefficiente oltre i 340/350 e poi ne riparliamo,” disse il ragazzo.
“E io che faccio?” chiese Nanase che non smetteva di passare con lo sguardo dal viso di Kei a quello di Mei.
“Ma se tu non hai ancora una squadra, tutina!” la prese in giro Shogi alludendo alla tuta grigia che portavano quelli che non avevano ancora una squadra.
“Vi faccio vedere io! Domani avrò la mia bella uniforme bianca!” Rispose la ragazza.
“Non credo che tu abbia l’intelligenza che serve per usare Jadeis, la weapon bianca.” Nanase mise un muso adorabile e tutti risero.
“Vedremo!” fece lei sollevando la busta dei teru-teru e lasciando la terrazza. Mei la seguì a ruota lasciando soli i ragazzi.
“Rientriamo anche noi?” chiese Jin e Shogi annuì. Quando Kei e Ryu rimasero soli, quest’ultimo sospirò.
“Non essere preoccupato. Ce la farai e prima di me.”
“Non mi preoccupa l’esame. Lo passerò.”
“Quindi?”
“Hai letto le ultime notizie?” Kei si rabbuiò “Dicono che Tokyo sia stata attaccata da un ESP fortissimo. Dicono che abbia addirittura governato due Golem. Si fa chiamare Wendigo. Ha un braccio bionico.”
“Non credi davvero che sia lui?” chiese il ragazzo vestito di rosso.
“Non credi che sia lui? Attacca solo i luoghi in cui siamo cresciuti. Ha ucciso soprattutto giovani donne. Lascia ovunque messaggi che per molti non significano niente ma io so che si tratta di Kazuki.”
“Kazuki è morto,” fece Kei prendendo a camminare verso la scala che dava al piano inferiore “è morto nell’Esplosione.”
“Disperso.”
“Morto. Kazuki è morto, Ryu. Va a prepararti per l’esame”, concluse lasciando la terrazza.
 

  
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