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Autore: Kim WinterNight    13/01/2015    5 recensioni
[STORIA REVISIONATA IL 12 SETTEMBRE 2016]
«Storia di una paura e di come è possibile vincerla.
Un'elettrizzante passeggiata sotto la luna.»
♥ OTTAVA CLASSIFICATA al contest "E all'interno cosa c'è?" indetto milla4 sul forum di EFP.
PRIMA CLASSIFICATA al contest “Personaggi e Pacchetti: qual è il mio sentimento?”, indetto su facebook da Hanna McHonnor e Kiyomi Eien. [https://www.facebook.com/events/896587413694541/]
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Must be Blind'
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L'immagine a cui mi sono ispirata per scrivere questa storia:

http://i60.tinypic.com/dwthc4.jpg





Blind Moon





Aija se ne stava immobile sulla soglia di casa, fissando il vuoto davanti a sé.

Non riusciva a catalogare le sue emozioni, c’era qualcosa che non andava in lei e avrebbe voluto risolverlo il prima possibile.

Una pulsante fitta al petto le ricordò che il suo cuore stava impazzendo, mentre la morsa che artigliava la bocca del suo stomaco la canzonava per non aver ingerito alcunché, quella sera.

Faceva freddo, in Finlandia faceva sempre freddo. Avrebbe dovuto esserci la neve, ma quell’anno sembrava non arrivare più. Tuttavia, Aija sapeva di doversi sbrigare, perché presto l’impertinente patina di ghiaccio avrebbe ricoperto ogni superficie al di fuori delle abitazioni.

Sentiva che, nonostante tutte quelle sensazioni negative, doveva fare il suo dovere. Non poteva più rimandare.

Aija aveva paura, sentiva che non ce l’avrebbe fatta, ma allo stesso tempo doveva darsi una mossa.

L’unica cosa che riuscì a scorgere, nel cielo nero e vellutato, fu la luna, una falce bianca e luminosa rispetto all’oscurità tutt’intorno.

Le stelle non c’erano o, in ogni caso, Aija non sarebbe riuscita a vederle. E quella sera non fu un’eccezione.

Rabbrividì, sentendosi pervadere da sensazioni spaventose, che rasentavano il terrore.

Una voce, alle sue spalle, la raggiunse con un sussurro: «Aija, sei sicura di volerlo fare da sola?».

La sua amica, Eleonoora, era sempre molto premurosa e sensibile, comprensiva e dolce con lei. Era una delle poche persone che l’avevano sempre aiutata e sostenuta, senza mai giudicarla o tirarsi indietro nei momenti in cui Aija aveva avuto più bisogno.

E lei le era immensamente grata per tutto. Le voleva un bene immenso, senza di lei si sentiva smarrita. Ma in quel momento no, non avrebbe ceduto all’irresistibile impulso di avere Eleonoora accanto a sé.

«Sì, Leoo, non ti preoccupare» replicò Aija, sospirando leggermente.

«Se hai bisogno, però…»

«Ti chiamo.»

«Non credi che il corso sia finito da troppo poco tempo?» insistette Eleonoora. Aija sapeva che stava cercando di dissuaderla dalla sua missione, ma lei aveva già preso la sua decisione, lo doveva a se stessa, sfidando la paura che regnava sovrana nel suo cuore.

Era uscita troppe volte in compagnia di altre persone, era giunto il momento di dare una svolta alla sua autonomia.

«Ne abbiamo già parlato. Rilassati, faccio solo un giro per l’isolato, non sto andando a scalare l’Everest» scherzò Aija, sorridendo tra sé, senza voltarsi. Si rese conto che stava convincendo se stessa più che la sua amica, il che la fece rabbrividire ancora, ignara di come sarebbero realmente andate le cose.

«Va bene, cerco di stare tranquilla» si arrese infine Eleonoora.

«Prima che tu te ne renda conto, sarò già tornata» disse la sua amica. Poi chiuse la porta, ritrovandosi sul vialetto, immersa nell’oscurità.

Aija guardò nuovamente la luna: lei, sicuramente, l’avrebbe guidata. Sarebbe stato l’unico punto di riferimento per la sua passeggiata notturna.

Aija, la luna e il bastone bianco.

Era quasi completamente cieca. Non si era resa conto di quanto le sue condizioni fossero gravi, finché non aveva subito un brusco peggioramento e questo le aveva impedito di uscire da sola, anche quando il sole era alto nel cielo.

Aveva smesso di vivere, rintanandosi nel suo mondo, nel suo dolore e nella disperazione di chi sente che ormai la vita non gli appartiene più.

Poi Eleonoora era riuscita a scuoterla, facendo sì che si riprendesse e che trovasse una soluzione. Piangersi addosso non sarebbe servito a niente.

E infatti, Aija riuscì a riacquistare un po’ della sua autonomia e a rinascere, riprendendo in mano, anche se in maniera totalmente diversa, i frammenti della sua esistenza.

E in quel momento, mentre la luce eterea della luna illuminava il cammino di chiunque, ma non il suo, sentì di dover andare, presa quasi da un impulso irresistibile.

Sarebbe uscita per la prima volta da sola, di sera, affidandosi a quello strumento che, nei mesi precedenti, aveva imparato a maneggiare e a rendere il suo migliore amico.

Sospirò, mentre sudava freddo e rabbrividiva per l'ennesima volta – il suo era quasi un tremare continuo, incessante –, ottenebrata da sensazioni angoscianti.

Impugnò il bastone come le era stato insegnato e fece qualche passo avanti, utilizzando l’indice della mano destra a mo’ di perno e facendo ticchettare il suo ausilio, prima a destra e poi a sinistra, poi di nuovo a destra e ancora a sinistra. Coordinò poi i suoi passi a quei movimenti, in modo da portare il piede destro avanti, mentre il bastone sondava il tratto di strada lasciato libero da quello sinistro, e viceversa.

Era un’operazione che richiedeva concentrazione, specialmente all’inizio; una volta che ci si abituava a quel sincronismo cadenzato, la mente tornava libera, pronta e attenta a percepire rumori, movimenti, presenze di persone o ostacoli che il bastone avrebbe potuto non rilevare.

Nell’uscire da solo, un cieco deve concentrarsi tantissimo, Aija l’aveva imparato. Prima di allora, non si era mai preoccupata di assaporare le cose da un punto di vista diverso, non aveva mai ascoltato se stesse arrivando una macchina prima di attraversare, non aveva mai sentito gli ostacoli, se non guardandosi attorno.

Sentiva l’asfalto sotto le suole delle scarpe, a tratti liscio e levigato, a tratti sconnesso e ruvido, quasi impraticabile. Il tutto preceduto dal suo fedele bastone, che non la tradiva nemmeno per un istante.

Quando usciva con Eleonoora, capitava che andasse a sbattere contro qualcuno o qualcosa, oppure che inciampasse o perdesse l’equilibrio a causa di un ostacolo che l’amica aveva scordato di segnalarle. Non che lo facesse per male, ma Eleonoora a volte si dimenticava che Aija avesse delle difficoltà, tant’era l’affetto che provava per lei e la normalità con cui la considerava.

Aija non si arrabbiava mai, non avrebbe mai potuto farle una colpa di questo e, anzi, si sentiva lusingata dal fatto che Eleonoora la trattasse semplicemente come una persona, prescindendo dalla sua disabilità.

Persa in quei pensieri, non si accorse di un ostacolo e fu costretta a fermarsi, rimbalzando su qualcosa di metallico e puzzolente.

Allungò titubante una mano e riconobbe un cestino per i rifiuti, piantato in mezzo al marciapiede.

Indietreggio di un passo e il suo viso si distorse in una smorfia di disappunto.

Un pensiero fugace, negativo, infestò la sua mente: perché la luna non poteva aiutare anche lei, come aiutava tutti coloro che perdevano la retta via, da secoli e secoli? E le stelle, perché non poteva più vederle? Brillanti, luminose, bellissime, quasi eteree… perché, in quella notte vellutata, non c’erano più?

Scacciò con rabbia quei pensieri e tornò a concentrarsi su ciò che doveva fare.

Riprese la coordinazione giusta e tornò sui suoi passi, passeggiando per le vie deserte, sempre meno impaurita, bensì più sicura ed euforica all’idea che finalmente ce la stava facendo!

I suoi movimenti risultavano via via più fermi, come se le fossero appartenuti da una vita. Ogni tanto perdeva la coordinazione, ma subito la riacquistava e, quando finì il giro dell’isolato, non aveva nessuna voglia di rientrare.

Si sentiva come se stesse galleggiando in un mondo tutto suo, fatto di sensazioni amplificate e leggerezza.

Era qualcosa che non sapeva come spiegarsi, avvertiva chiaramente la soddisfazione crescere al centro del petto. Ogni emozione negativa provata poco prima di uscire, era svanita nel nulla, come se non fosse mai esistita.

Aija si sentiva finalmente felice e libera, si sentiva normale.

Ebbe voglia di gridare, ma si trattenne.

Avrebbe dovuto avvisare subito Eleonoora del suo ritorno, ma voleva godersi quel momento, perché era solo suo, suo e di nessun altro.

Una simile euforia non poteva esistere, non dopo il terrore che l’aveva attanagliata fino a poco prima; Aija non avrebbe mai pensato di poterla provare, ma lei era lì, quasi tangibile, densa e luminosa.

Luminosa più della luna.

Aveva raggiunto e superato alla grande quel traguardo, abbattendo uno dei tanti limiti che l’avevano spaventata maggiormente e che non avrebbe mai creduto di poter sconfiggere.

Ormai si era spinta oltre, lasciandosi il passato alle spalle.

Rimase sul vialetto per un po’, cercando di contenere quel mare di gioia che la stava possedendo.

Poi, rientrò in casa e trovò la sua amica ad aspettarla.

Tra le due non ci fu bisogno di parole, bastò un lungo e intenso abbraccio a unirle.

E quella stretta tra amiche bastò a raccontare a Eleonoora quanto fosse stata bella ed elettrizzante quella passeggiata sotto la luna.

  
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