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Autore: Phoenix394    13/01/2015    5 recensioni
Sansa Stark aveva sempre immaginato che la sua vita sarebbe stata bella come quella di una ballata. Aveva sognato che al suo matrimonio ci sarebbero stati fiori, abiti sfarzosi ed un bellissimo principe pronto a giurarle amore eterno. Sarebbe stato tutto meraviglioso... o almeno così credeva. Perché dai sogni ci si risveglia sempre ed il suo, di risveglio, non poteva essere più burrascoso.
Adesso, mettere un piede davanti all'altro era difficile quasi quanto riuscire a respirare. Perché colui che la stava attendendo all'altare non era un principe dall'armatura scintillante pronto a giurarle amore eterno e felicità, ma un Mastino. Ed il suo nome era Sandor Clegane.
[Storia scritta a quattro mani]
Genere: Angst, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sandor Clegane, Sansa Stark, Un po' tutti
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo
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Premessa: questa è una storia a quattro mani. Le autrici in questione sono Harmony394 ( ovvero l'autrice che scrive i POV di Sansa) e Phoenixstein (ossia colei che scrive i POV di Sandor). Non per niente il nostro nickname, Phoenix394, è un "miscuglio" dei nostri nomi. 
Questa storia nasce come role, ma dopo un po', forti del sostegno che i nostri "lettori" ci davano, abbiamo deciso di farla diventare una fanfiction vera e propria. I vari POV verrano separati da due simboli: un mastino per indicare i POV di Sandor ed un uccellino in gabbia per indicare quelli di Sansa. Per chi legge o ha letto Safe&Sound, sempre di Harmony394, noterà che l'idea è stata presa da lì.
La fanfiction segue un contesto "WhatIf", come avrete capito dall'introduzione, in cui Sansa e Sandor saranno "costretti" a sposarsi. Non vi faremo ulteriori spoiler per non rovinarvi la sorpresa.  ;)
Speriamo sia di vostro gradimento, per qualsiasi perplessità saremo liete di rispondervi. :)
 




Prologo
 
 


 
Camminava per i corridoi della Fortezza Rossa, il corpo pieno di lividi e le lacrime appese in bilico all'orlo delle ciglia. Un’altra punizione. Joffrey l’aveva fatta picchiare di nuovo, questa volta davanti a diversi lord e lady di corte. Sansa non aveva capito bene il motivo, impegnata com'era a cercare una supplica che potesse risparmiarla da quella furia spietata e ingiustificata, ma non importava. Colpevole o meno, Joffrey l’avrebbe fatta picchiare comunque, ancora e ancora, finché non fosse stato soddisfatto. I giorni in cui Sansa aveva sognato di diventare la sua regina, la sua amata moglie devota, adesso sembravano lontani mille miglia. L’amore era stato sostituito con l’odio e l’odio l’aveva fatta diventare bugiarda, disillusa e arrabbiata col mondo.

Ed era così che si sentiva adesso: arrabbiata. Arrabbiata con se stessa per essere stata così stupida da illudersi di poter essere amata da qualcuno e arrabbiata per non riuscire a fare nient’altro che stare in silenzio, a trattenere le lacrime e le parole. Strinse i pugni e guardò in cielo per impedirsi di lasciarsi andare alle lacrime. Una vera lady non piangeva mai, o perlomeno non di fronte agli altri.

Si avviò spedita verso le sue stanze. A metà del corridoio che portava lì, però, il suo sguardo si posò sulla figura alta e massiccia di Sandor Clegane, il Mastino, e il suo cuore fece un balzo. Oh, no. Non doveva vederla. Non in quello stato! L’avrebbe presa in giro come al solito e lei non se la sentiva proprio di sottostare alle sue ingiurie dopo quello che le era accaduto quella mattina. Fece dietrofront, pregando gli dèi di non essere vista, ma, come la maggior parte delle preghiere, anche la sua non venne esaudita.

«Uccelletto», Sansa si fermò, il cuore in gola e gli occhi sgranati. Lui l’aveva vista, e adesso stava venendo verso di lei. Sentiva i suoi passi pesanti che si avvicinavano, il respiro che le si mozzava in gola e le mani che le tremavano. Non sapeva che fare: scappare? No, l’avrebbe rincorsa immediatamente. Fingere di non averlo udito? Figurarsi. Conoscendolo gliene avrebbe dette di cotte e di crude. Era senza via di scampo, non poteva evitarlo. Rassegnata, prese un respiro profondo e tentò di ricordare le parole della sua cara septa: “Una lady non fugge di fronte ai problemi, ma li affronta a testa alta come una vera Regina”. Si asciugò le lacrime in fretta e furia, sperando in cuor suo di non avere gli occhi gonfi, e si voltò verso di lui. Subito incrociò il suo sguardo: alla luce delle candele, la sua cicatrice sembrava ancora più grottesca. Deglutì a fatica. Ormai non era più la sua cicatrice a metterla in soggezione, quanto più quei suoi occhi grigi costantemente pieni di rabbia e di odio. Fu costretta a distogliere lo sguardo.

«Mio signore…».
Sul volto deturpato del Mastino si aprì un sorriso beffardo. «Cosa fai, svolazzi in giro per il palazzo? Il Re sa che il suo uccelletto ammaestrato è uscito fuori dalla gabbia?».
«N-No, lui… » Sansa detestava quel suo modo di parlarle. La chiamava “uccelletto”, quando lei non lo era. No, lei era una lupa. Una Stark di Grande Inverno! Avrebbe voluto dirgliele, quelle parole, urlargliele dritte in faccia, ma gli occhi grigi di Sandor Clegane la intimorivano e alla fine Sansa fu costretta ad inghiottirle come ogni volta. «Stavo solo tornando nelle mie stanze, sir».
«L’uccelletto non impara mai, nevvero?» Sansa non fece in tempo a scansarsi che lui l’afferrò per gli avambracci, immobilizzandola. Il panico si impossessò del suo cuore e la prima cosa che le venne in mente di fare fu di urlare, ma il Mastino premette una mano callosa sulla sua bocca prima che lei potesse farlo. L’odore della sua pelle era forte, un misto di vino e sangue e ferro, e Sansa ne fu terrorizzata. «Se urli ti uccido. Farai bene a crederci», qualcosa di acuminato premette contro il suo ventre. All’improvviso, Sansa si rese conto che il Mastino era ubriaco. «Non sono un sir. Io ci piscio sopra ai tuoi schifosi sir. Quante altre volte dovrò ripetertelo prima che ti entri in testa?».
«Scusatemi… vi prego, lasciatemi andare. Per favore, mi state mettendo paura».

Ma lui non la lasciò andare. Abbassò il pugnale e lo rinfoderò nella cintola dei pantaloni, si allontanò un po’ da lei e si soffermò ad osservarla in silenzio. Sansa non sapeva cosa dire. Tutto il suo corpo era come paralizzato. Poteva sentire lo sguardo crudele del Mastino su di sé, i suoi freddi occhi grigi che la scrutavano, e per un istante si trovò in imbarazzo. Ad un tratto lui levò una mano sul suo viso. Sansa credette che volesse picchiarla e d’istinto chiuse gli occhi, preparandosi mentalmente al dolore, ma non arrivò.

Non era mai arrivato con lui. Al suo posto, vi fu una carezza proprio lì dove sir Meryn l’aveva picchiata. Sconcertata e con la mente piena di domande, Sansa alzò lo sguardo su di lui. Sandor Clegane la guardava con gli stessi occhi con cui si guarda un cagnolino ferito, con compassione e allo stesso tempo rabbia.

«Non ti avevo detto di accontentarlo, uccellino?», la sua voce era raschiante e profonda. Sansa ricordò il momento in cui, tempo prima, lui le aveva asciugato il sangue dal labbro spaccato e le aveva detto di fare quello che Joffrey voleva che facesse. Anche quel giorno si era sentita sola al mondo e anche quel giorno lui era stato l’unico a darle un po’ di conforto. Prese un respiro profondo, tentando di non piangere, e mentì di nuovo.

«Io sono la figlia di un traditore e condivido il suo sangue sporco. Il Re ha solo compiuto ciò che riteneva più giusto ed io gli sono fedele» Il suo sguardo si posò su un punto imprecisato della stanza mentre recitava quelle menzogne, quasi che in quel modo non fosse lei a mentire ma qualcun’altra. “Non fidarti di nessuno”, continuava a ripetere quella vocina nella sua mente. “Non hai amici ad Approdo del Re”. Sapeva che il Mastino l’avrebbe odiata per quelle bugie, ma a Sansa importava fino ad un certo punto. Lui odiava tutti, dopotutto, soprattutto lei che era solo una sciocca ragazzina con sciocchi sogni, e le spie di Varys erano ovunque. Una sola parola di troppo avrebbe potuto costarle la vita, e lei non poteva rischiare. Cercò di districarsi dalla sua stretta. «… vi prego, lasciatemi tornare nelle mie stanze, adesso!».

«Smettila!», la presa del Mastino sul suo braccio era forte, possente come non mai, e lei gemette di dolore. Lui la voltò verso di sé, il viso era così vicino al suo che Sansa poteva sentirne l’alito caldo sulla pelle.

«Sei una pessima bugiarda, il tuo bel visino non ti proteggerà per sempre.», le disse. Sansa boccheggiò alla ricerca di parole. Niente da fare, era come se la lingua le fosse rimasta attaccata al palato. Deglutì a fatica, le lacrime che le pizzicavano la gola, e cercò di districarsi dalla sua stretta in uno scatto d’ira.
Era furiosa perché lui aveva ragione. Non sarebbe potuta scappare per sempre, prima o poi Joffrey avrebbe ordinato a qualcuno di ucciderla e quel qualcuno avrebbe persino potuto essere lui. Sansa lo odiava per questo, per aver detto una verità tanto cattiva quanto reale, e lo odiava perché riusciva sempre a farla sentire indifesa e sola contro il mondo intero.

«Perché dovete sempre comportarvi così?», le parole lasciarono le sue labbra prima che potesse fermarle. «Mi odiate a tal punto da volermi umiliare ogni volta che il mio sguardo incrocia il vostro?».
Il volto del Mastino divenne una maschera di rabbia e furia. Per un istante, Sansa ebbe paura che lui le avrebbe fatto del male. Le si avvicinò, il volto così vicino al suo che poteva contargli tutte le ciglia, e all’improvviso realizzò che la sua non era una rabbia pericolosa e violenta, ma piena di frustrazione. Non le avrebbe fatto del male.

«Sono l'unico qui che non ti umilia, uccelletto. Ma sei troppo stupida per capirlo, vero?» Le sussurrò appena quelle parole, ma nel silenzio innaturale della stanza rimbombarono forti quanto un grido. Sansa rimase in silenzio, incapace di rispondere. La sua mente tornò ad un ricordo lontano, quando Joffrey l’aveva denudata di fronte a tutta la corte e Sandor Clegane, prima che arrivasse il Folletto, era stato l’unico ad avanzare una protesta. “Basta così”, aveva detto, e a lei non era sfuggito il tono pieno di disgusto con cui lo aveva fatto. Si sentì in colpa perché lui aveva ragione. Fra tutti, Sandor Clegane era forse l’unico che non le aveva mai fatto del male e che anzi l’aveva sempre protetta ed aiutata, e lei era stata un’ingrata a parlargli così.

«Io…» Io cosa? Sansa trinse i pugni così forte da graffiarsi i palmi delle mani e far diventare le nocche bianche, e trattenne un singhiozzo. Perché doveva essere tutto così complicato? Perché non poteva essere come nelle ballate, dove tutto era bello e delicato e tutti erano suoi amici? Il Mastino poteva essere suo amico ma anche la Regina Cersei lo era prima che suo padre tradisse Joffrey. Come faceva a riconoscere i nemici da coloro che chiamava amici? Non lo sapeva, non lo avrebbe mai saputo. E questo la costernava.

«Lascia perdere, uccelletto. Vieni, ti accompagno nelle tue stanze» E così fece. Quando entrò nelle sue stanze, il Mastino non entrò e chiuse la porta dietro di lei. In quel momento Sansa ricordò di non averlo ringraziato e d’istinto corse dal lui e fece per dirglielo. Troppo tardi. Lui era già andato via.

Col cuore pieno di rimorso, si lasciò cadere nel letto. Poteva ancora sentire gli occhi grigi del Mastino fissi su di lei, il suo respiro caldo sul collo, le sue dita che premevano sulla sua pelle; un brivido le percorse la schiena e col cuore in gola Sansa si rese conto che non si trattava di paura. La sua mente vagò per ricordi lontani, dolorosi: la prima volta che lo aveva conosciuto, Sansa aveva provato per Sandor Clegane una paura che andava oltre ogni limite ed il giorno in cui, al torneo del primo cavaliere, lui le aveva afferrato il braccio e le aveva urlato contro il modo in cui il fratello aveva premuto il suo volto nella brace era quasi morta di paura.

Dopo quel giorno aveva tentato di allontanarsi da lui il più possibile, ma lui continuava ad essere sempre lì, in agguato come una malattia. Solo dopo che la testa disuo padre era stata recisa dal suo corpo e Joffrey l’aveva costretta a guardarla, Sansa aveva compreso la verità: Sandor Clegane non era una malattia, ma la cura. Era sempre lì quando ne aveva bisogno, silenzioso nel suo essere rumoroso e gentile nel suo essere crudele. Era un ossimoro fatto di luci ed ombra e tanto muto dolore, e lei aveva sbagliato a rivolgergli quelle parole, prima. Si chiese perché avesse reagito così, proprio lei che era sempre stata tanto gentile con tutti, persino con Joffrey, e si sorprese nel non riuscire a trovare una risposta.

“Domani mi scuserò con lui”, si disse, slegando i lacci del proprio corpetto e infilandosi la camicia da notte. Lo sguardo le cadde sul portagioie che conteneva tutti i suoi gioielli. Dal bauletto, sporgeva una catenella d’argento. La prese: era bella, con una grossa pietra color acquamarina al centro, e sarebbe di certo valsa una fortuna in quei tempi di guerra.Un’idea le balenò in mente, sciocca quanto ammaliante.

“Gli darò questa collana come pegno di pace, proprio come facevano le lady nelle ballate”, pensò, rigirandosela in mano. Forse sarebbe stata abbastanza per acquietare di un po’ la rabbia dentro il cuore del Mastino. Sansa pregò ardentemente che fosse così e andò a dormire.

Dormì male. Sognò il Mastino, le sue dita ruvide che le premevano sul braccio, il fiato caldo contro il suo, le sue labbra troppo vicine alle sue, e al risveglio era madida di sudore, col cuore che le batteva troppo forte nel petto e la testa piena di domande.
 

 

 
Il giorno dopo.
 
 
Abituato com'era ad esaminare ogni nota del silenzio, il leggero fruscio che il passo elegante di Sansa portava con sé gli comunicò che lei era vicina. Sembrava che non potesse fare a meno di incrociarla e, dopo tutti quei mesi, non voleva ancora ammettere a se stesso che forse sceglieva determinati tragitti all'interno della fortezza perché imbattersi in lei era, nonostante tutto, il momento migliore della sua giornata. Si voltò ad osservarla: aveva il busto stretto dal vestito azzurro che stava così bene col colore dei suoi occhi, ed i capelli sciolti, morbidamente adagiati sulle spalle. Sandor li preferiva così, che riflettevano i bagliori del giorno in tutta la loro lunghezza. Non volle intuire, forse, che servissero anche a nascondere degli orrori.

«Buongiorno.» cinguettò lei, procedendo nella sua direzione con una sicurezza che Sandor non le aveva mai visto prima durante i loro casuali confronti. Certo, la sua voce tradiva incertezza, ma la piccola aveva tutta l'aria di aver qualcosa in mente. O magari si era semplicemente ficcata in testa che lui era l'unica persona sincera lì nei paraggi, l'unica a trattarla senza quei finti salamelecchi di facciata solo per poi pugnalarla alle spalle. In ogni caso, al Mastino non riuscì di essere meno sgarbato del solito. Era più forte di lui: per quanto si sforzasse di conciliare quello che provava con quello che voleva dimostrare, una vaga paura che non era pronto a riconoscere, lo spingeva ogni volta ad essere ruvido e scostante. In questo, era molto simile ad un bambino capriccioso, ma per nessuna ragione al mondo l'avrebbe ammesso.

«Che vuoi, uccellino?» bofonchiò bruscamente, irrigidendosi nelle spalle non appena lei si fu fermata ad un passo da lui. Era bella da togliere il fiato, come sempre. Quel coglione di Joffrey non meritava di lei neppure un sospiro.

Sansa ammutolì di colpo quando Sandor Clegane le parlò. Sospirò, le dita che si torturavano a vicenda e le gote in fiamme, e lui la vide afferrare con mani tremanti una scintillante catenella d’argento. «Io… ecco… riguardo a ieri sera...», cominciò, visibilmente a disagio. Era perfino arrossita, ma il Mastino non ebbe il tempo di tagliare corto che lei riprese a parlare. «M-Mi dispiace di avervi detto quelle cose. Non avrei dovuto, so bene che mi sorvegliate solo perché sotto ordine del Re e che non volete farmi del male. Quindi, ecco…», mormorò, solo per poi fermarsi ancora una volta. Sandor era molto istintivo, erano rari i momenti in cui rimaneva spiazzato. Tuttavia, quando Sansa gli prese una mano per posarvi sul palmo una catenina d'argento, si immobilizzò. Il suo intero essere sentì la necessità di fermarsi, osservare. Era come se quello non stesse accadendo a lui ma a qualcun altro, qualcuno che in realtà lui si era soffermato a spiare da lontano.

«Vorrei donarvi questa come segno del mio dispiacere. È in argento, vale molto; potrete venderla, se vorrete, ma vi prego: non ditelo alla Regina, o al Re o a chiunque altro della corte. Sarebbe solo l’ennesimo motivo per farmi picchiare… loro aspettano sempre e solo questo» La fanciulla ammutolì di colpo, come realizzando di aver osato troppo.

Solo quando la giovane Stark esibì uno sbrigativo inchino e si fu voltata, pronta ad andarsene, il Mastino si riscosse da quello stato assorto. Era reale, era reale e, qualunque cosa fosse, era sicuro di non volere che finisse così presto. Non gliene fregava un cazzo che quella catenina fosse d'argento e che potesse riguadagnarci qualcosa vendendola. Era un regalo dell'uccellino. L'idea gli procurava emozioni contrastanti. Perché non riusciva ad esserne semplicemente grato? Perché, come chiunque altro avrebbe fatto, non accettava il pegno e lo considerava una gentilezza che gli rendeva onore?

Nel notare che era terrorizzata all’idea che Joffrey o Cersei la scoprissero, decise di evitarle almeno quello. La afferrò, le sue dita possenti che premevano sulla sua spalla forti come ferro, scortandola verso un’ala secondaria del corridoio, sotto un arco dove difficilmente qualcuno si sarebbe imbattuto in loro. Lei si ritrovò, in un turbinio di gonne, braccata al muro e senza via d’uscita.

«Non voglio le tue scuse, non voglio i tuoi regali.» disse Clegane, pur tenendo stretta in pugno la collanina come se non avesse alcuna intenzione di restituirla. «Mi hai preso per uno dei tuoi valenti cavalieri? Cosa credi che valga questo per me?» Era così arrabbiato, eppure tenne la voce bassa, anche se sporca di risentimento, roca come sempre. "Sei promessa a Joffrey!" avrebbe voluto urlarle contro, quasi fosse colpa sua. «Sono il cane del re!» mugugnò, invece. Una parte di lui sperava che lei fosse così arguta da capire cosa intendesse.

Ma la piccola Sansa – labbra e pugni stretti, intenta a lottare contro l’istinto di piangere – a quel punto sembrava essersi ritrovata a corto di parole.

Probabilmente non si era aspettata una reazione del genere, forse aveva creduto ancora una volta a tutte quelle stronzate che narravano le ballate. Deglutì e d’istinto si premette ancor di più contro il muro, come se in quel modo avesse potuto nascondersi dallo sguardo pieno di odio che il Mastino le stava riservando. «Non volevo offendervi…», pigolò, la voce spezzata dalla tristezza. «Non volevo fare niente di male, lo giuro. So che questo oggetto non vale nulla per voi… Però… io… io pensavo che potesse farvi piacere… e… per favore, lasciatemi, mi fate male… vi prego, sir!», urlò con disperazione.

L’uomo la gelò con lo sguardo e lei si accorse di avergli di nuovo affibbiato quell’appellativo che lui detestava. Sansa si premette le mani alle labbra e sbatté le palpebre, sinceramente dispiaciuta.

«M-Mi dispiace!».

Sandor lasciò la presa, appurando ancora una volta quanto l'uccelletto fosse delicato. I polpastrelli fremevano ancora per il contatto appena terminato, solleticati dal fantasma della stoffa azzurra stropicciata sulla spalla di lei. L'uomo sentì il petto gonfiarsi in un ampio respiro pensando a quanto sarebbe stato estasi per i suoi sensi toccare la pelle della giovane Stark senza barriere, essere buono laddove altri erano stati impietosi.

Chissà, chissà cosa avrebbe provato in un'occasione del genere. Represse immediatamente quel pensiero, specchio di una realtà inesistente, e sentì i propri lineamenti corrugarsi nella frustrazione. Sansa seppur libera non si mosse, restò incollata al muro, pietrificata nelle proprie parole. Lui stringeva ancora la catenina, quel filo d'argento così sottile che quasi scompariva nel suo palmo. Avrebbe dovuto lanciargliela contro, restituirle con un sadico sberleffo quel pegno che lui non poteva accettare e che lei non avrebbe mai dovuto donargli da principio. Eppure non era in grado di farlo. L'espressione sul viso angelico di lei era così costernata, sopraffatta da autentico dispiacere, che Sandor non esibì altro che un ghigno sarcastico, prima di abbassare per un attimo lo sguardo. Quando lo sollevò nuovamente, si sentì dilaniato dagli occhi spauriti di lei. Fu allora che capì quanto male dovesse farle il suo atteggiamento. Era vero, lei continuava ad aggrapparsi a quei "sir" privi di significato ma lui, gettandole addosso la sua rabbia incessante, non era meno bestia di quelle che la picchiavano. Più la guardava e più si chiedeva come si potesse desiderare di calpestare un fiore di rara bellezza.

«Tutto sommato, potrei davvero tirarci su qualche soldo. Con questa...» fece saltare la catenina nel palmo, «...mi assicuro anche tre o quattro puttane a scaldarmi il letto.» Si ritrovò a mentire, forse per la prima volta davanti a lei. Non avrebbe barattato la collanina per niente al mondo, ma ammetterlo era un passo troppo difficile, più lungo della gamba. Sandor Clegane non voleva credere a quello che il suo cuore, strepitando, gli suggeriva ormai da tempo.
La ragazzina strinse i pugni lungo i fianchi, il labbro inferiore che tremolava senza ritegno. “Ma che cazzo di problemi ha?” pensò il Mastino quando, senza dire una sola parola, Sansa si voltò dalla parte opposta e camminò il più velocemente possibile lontano da lui. I suoi passi riecheggiarono a lungo per il corridoio.

Che diavolo avrebbe dovuto fare con lei? Era una tortura decidere se inseguirla o lasciarla andare. Non ebbe il tempo di crucciarsi con simili questioni, però. Un boato improvviso proveniente da fuori lo mise in allarme. Si affacciò alla finestra e vide il cielo coperto di enormi nuvoloni che sembravano oscurare il sole ed un centinaio di guardie sparpagliate lì attorno che si preoccupavano di procurarsi armi e frecce. Stannis Baratheon stava arrivando alle porte di Approdo del Re. Sandor poteva annusare nell’aria l’odore della battaglia imminente.

Un odore che si componeva di sudore, polvere bagnata, densa umidità e soprattutto sangue, fiumi di sangue.

Al di sotto dell’armatura, Clegane avvertì un lungo brivido di eccitazione. La Morte incombeva, su di loro come sul nemico, ma lui se la sarebbe fottuta in culo e avrebbe assaporato la gioia più cruda che avesse mai conosciuto: uccidere.




- Note delle autrici. 
Ed eccoci qui, a scrivere una nuova storia. A scrivere in questo momento è Harmony394, che al momento ha 39 di febbre e sta un po' morendo. 
Non ci divulgheremo molto dato che abbiamo già scritto tutto nella premessa. Speriamo solo che il prologo vi sia piaciuto!
Grazie mille a tutti coloro che ci seguiranno eo recensiranno questa storia. I vostri pareri sono preziosi!

Alla prossima!
Un bacione.
   
 
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