I miei
venti metri quadrati
Capitolo
Primo
Mini Mei diventa Mei
A
mio padre piacevano i computer. Gli piacevano più di ogni altra cosa. E
a volte – odio dirlo- gli piacevano più di noi.
Gli piacevano più di me, Mei e la mamma , intendo.
Mei era il soprannome di mio padre, e mio fratello era mini Mei, dopo che lui è morto e mio fratello è
cresciuto è stato inevitabile chiamare lui con quel nome. E così Mei adesso è mio fratello.
Non
sentiamo molto la mancanza di papà a dire il vero, è brutto da
dire, ma otto anni non sono abbastanza per ricordarsi
come stavamo con lui. Se ne è andato via presto.
Mei non ci pensa mai, ma è proprio uguale a lui. Non lo
vedo molto in giro per casa, se ne sta sempre in camera sua, col suo PC e le
sue diavolerie elettroniche. Una volta ha costruito un tostapane artigianale,
un'altra invece ha incendiato la cucina cercando di collegare il forno con il
suo portatile via etere. Dubito che
con un forno si possa fare una cosa simile, ma se si può fare
sarà sicuramente Mei a farlo per primo.
È
bravo a scuola, più bravo di me e direi che possa essere considerato un
Nerd, insomma i secchioni tutti studio e tecnologia, li chiamano così in
America e nei film vero?
La signora Pavesi bussò
energicamente alla porta della stanza più fredda di tutta la casa, attaccata
all’uscio c’era una cordicella a piccole sfere caratteristiche dei
vecchi sciacquoni , salvata anni prima alla
ristrutturazione del bagno. In famiglia erano sempre tutti molto restii a
gettare via qualche cosa che potesse avere un significato(anche
i volantini restavano sul bancone della cucina per mesi senza che nessuno si
occupasse di buttarli), ma quella catenella da gabinetto era eccessiva. Mei non era solito a impuntarsi su qualcosa, era un tipo
silenzioso che preferiva far prendere agli altri le decisioni, ma su quella
catenella era stato irremovibile, gli piaceva e non si sarebbe spostata di
lì, nemmeno se glielo avesse chiesto il padre eterno! E quindi la povera
signora Pavesi si era dovuta piegare alla buffa richiesta del figlio sul ciglio
dell’età adulta.
“Chi è?” chiesero
mestamente da dentro.
“Chi vuoi che
sia?
Sono tua madre! Posso entrare?” fece tronfia la signora Pavesi
dall’alto del suo metro e un
barattolo da
cui il figlio non aveva preso nulla né nell’aspetto né nel
carattere.
Oltre la porta c’erano
principalmente scartoffie, non che la camera fosse in disordine, ma
c’erano così tante cose (per la maggior parte
assolutamente futili) che era difficile trovare qualsiasi cosa si stesse
cercando, a meno che non fosse Mei a cercarle.
Sua madre si guardò in torno
prima di fissare il figlio negli occhi.
“Ehi, credi
che sia saggio tenere quella stufetta così vicina alla carta? Non è che
poi prende fuoco come col forno? Non starai mica cercando di
creare una connessione con la stufa elettrica!” esclamò minacciosa
la signora con quattro o cinque spilli in bocca.
Mei scosse
energicamente la testa quasi spaventato, “Ho
smesso con quella roba” dichiarò come se solo l’idea gli
facesse ribrezzo.
Mei assomigliava a suo
padre, solo era molto più schivo.
Per quanto Mei senior non fosse un compagnone
in compagnia dava il meglio di sé, suo figlio invece magro e alto come
il padre, preferiva di gran lunga starsene chiuso nella sua camera a lambiccare
al computer, nel suo piccolo paradiso di venti metri quadrati.
La signora Pavesi, che nonostante
l’età conservava ancora un po’ della giovinezza perduta
negli occhi neri come il petrolio truccati di fresco
ogni mattina e nei vestiti ben curati che si cuciva personalmente fissò
il figlio, e per l’ennesima volta in diciotto anni sbottò
“Per la miseria Mei! Hai diciotto anni! I tuoi
coetanei vanno alle feste vanno, al cinema, escono , si divertono,
hanno degli amici,hanno una fidanzata, non puoi stare sempre chiuso nella tua
camera!”
I lineamenti marcati di Mei si incresparono mentre le sopracciglia nere si
avvicinarono tanto quasi da unirsi “Ieri sono uscito per andare a
comprarmi un videogioco” ribatté compunto lui.
L’intera statura gnomica della
signora ebbe un sussulto “Mei, il negozio di videogiochi
dista due isolati…” replicò battendo il piede sul parquet.
Mei voleva
visibilmente tornare alle sue diavolerie cibernetiche, ma sua madre sembrava
non avesse troppa fretta di tornare a cucire ciò che stava cucendo.
Invece rimase a guardarlo negli occhi, e lui non aveva il fegato di
distogliere lo sguardo da quelle iridi che parevano scavare nell’anima.
Sicuramente suo padre si era innamorato di lei per colpa di quegli occhi.
“Marianna ha un problema col suo
computer… le ho detto che andrai ad aggiustarglielo” sputò
infine il rospo. La faccia del figlio cambiò completamente,
contorcendosi in una smorfia. Appoggiò la fronte sulla scrivania.
“No, mamma, Marianna no! tutte le volte che mi
vede non fa altro che dirmi che sono proprio un bel bambino e mi tira le guance
come se avessi due anni!” cercò di pigolare, ma fu inutile, sua
madre era irremovibile e uscì dalla porta col vestito a fiori che
svolazzava dicendo “E’ ora che tu esca e ti faccia degli amici,
potresti cominciare da qui no?”
Mei sbuffò e si
lasciò cadere sul letto abbacchiato“Non credo che un’amica
di mia madre sia il modo migliore di cominciare ad avere una vita sociale”
Mia
madre non ne aveva voluto sapere di far chiamare alla sua amica un tecnico, e
così mio fratello, succube com’è se ne dovette andare da
Marianna.
La
parte che doveva essere più piacevole si rivelò invece un
inferno. C’erano zone della città dove gli edifici sembravano
costruiti in serie, come se gli architetti avessero finito le idee. Marianna
abitava proprio in una di quelle case. E individuarla non fu semplice, Mei ci mise quasi un’ora a trovare il citofono
giusto.
“Sono
Mei” disse quando glielo chiesero, e la
risposta asettica su un secco “Terzo piano”. Mio fratello da sempre
nemico dichiarato degli ascensori evitò prontamente quel marchingegno preferendo le
scale, arrivato al terzo piano si ritrovò a dover suonare di nuovo.
Scocciato si chiese se non fosse maleducato trattare così un poveretto
che controvoglia era costretto ad andare a fare il tecnico a casa di gente che
a malapena conosceva.
La
porta si aprì in tutta calma, e apparve una ragazza bassa con la faccia
scocciata, una tuta blu e un asciugamano in testa. Sbuffò fumo in faccia
a mio fratello. “Tu sei Mei?”
chiese con voce strascicata. Lui sbatté le palpebre e guardò la ragazza stralunato, poi annuì poco convinto come
per un secondo se lo fosse scordato, chi era.
“Entra,
e non dire a tua mamma che fumo, lei e la mia
chiacchierano un po’ troppo”, Mei la
seguì inebetito e la porta si chiuse dietro di loro.
Nikka, si faceva chiamare così.
Nikka, perché il suo nome non le piaceva. Nikka l’esteta per
eccellenza. Nikka, che avrebbe portato guai. A me e a Mei.
Eccomi di nuovo a scrivere.
Lo so che è una pazzia cominciare a scrivere qualche cosa di nuovo quando
ho già tre storie all’attivo, vi prometto (nel caso qualcuno le
leggesse) che “Il Potere delle Pesche” e “Nato
due volte” saranno aggiornate entro la fine della settimana
prossima, mentre per “Siamo alla Frutta” ci vorrà ancora un
po’ di tempo. Volevo scrivere qualche cosa di nuovo perché sono un
pochino in crisi e andare avanti con quello che ho iniziato mi veniva
difficile. Non so se la continuerò, ma se viene apprezzata è
probabile che mi gasi e che la continui. Infine ringrazio veve_tonks
per avere commentato la mia one-shot.
^__^ A questo punto ho finito e ringrazio in anticipo tutti quelli che hanno
letto fin qui!