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Autore: Tersy    21/11/2008    2 recensioni
Una sera al Jackson Hole come tante e Nobu eccede con l'alcool. Sarà per questo che inizia ad inseguire un affascinante coniglietto?
(Ho specificato "Crossover" perchè la trama si ispira ad "Alice nel Paese delle Meraviglie")
*Vincitrice del concorso "Manga&Disney" indetto da Writers Arena*
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nana Osaki, Nobuo Terashima, Yasushi Takagi
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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[ Vincitrice del concorso "Manga&Disney" indetto da Writers Arena]
Catch me

Bruce 'Smoke' si stava preparando alla sua prossima tirata.
Aveva arrotolato un po' di robaccia, che era solito fumarsi ogni fine pasto. Meglio di una medicina, diceva. Si accontentava di quello che poteva avere con i suoi miseri yen da pluri - disoccupato. Perché 'pluri'? Perché quando hai il fondoschiena a pari livello con l'asfalto, le devi rimboccare quelle dannate maniche, se non te le hanno già strappate i gatti randagi. Quelli mangerebbero qualunque cosa. Un po' come Bruce. Forse per questo li odiava. In un certo senso, gli rubavano il mestiere.
E lui la sapeva lunga sul lavoro. Elettricista, portiere, benzinaio, cameriere, operatore di call center, meccanico, lavavetri, postino, finto produttore hollywoodiano e perfino cavia per nuovi prodotti farmacologici. Tutti, tutti miseramente conclusi con una porta che si era infranta sul suo naso, mentre nelle tasche non restavano neanche le farfalle. Quindi, si era rassegnato: lavorare non faceva per lui. Troppa fatica e zero risultati. Molto meglio vivere alla giornata, raccattando viveri e altro qua e là. Senza impegno.
 Quella cartina farcita restava intrappolata tra l'indice e il medio, in attesa della scintilla che l'avrebbe consumata.

«Non ho ancora capito cosa diavolo ci fai qui. Non sembri affatto uno che barcolla, se così si può dire.» Una fiammella spuntò dall'accendino e si avvolse attorno alla punta estrema della canna. Inghiottì un po' di fumo ed il suo volto si riempì momentaneamente di estasi mistica, che fu però distrutta da una roca tosse. Quell'erba doveva provenire da una pessima piantagione.
 Nobu lanciò un'occhiata di sbieco al suo temporaneo compagno, mentre teneva le ginocchia vicine al petto.

« Ma te l'ho appena detto! Cos'è? Sei sordo o hai la memoria di un chicco di riso?» Il vento trasportò quel fumo marcio fino alle sue narici. Qualunque essere umano avrebbe ripudiato quell'olezzo. Ma quel giorno il chitarrista dei Blast sembrava aver perso il senso dell'olfatto e molto altro, in vero.

« Aah! Dà qua! » allungò un braccio verso Smoke, strappandogli dalle dita il rotolino e tutto il contenuto. Il barbone restò piuttosto allibito, con le dita ancora distanziate, come se reggessero una sigaretta invisibile.

« Fratello, stai messo troppo male. Fattelo dire da uno che se ne intende. »

Il biondino non badò più del necessario al commento di Bruce. Che ne se sapeva lui? E soprattutto, che gli importava? Probabilmente aveva ragione. Era una follia. Non sarebbe dovuto essere lì a disquisire con un vagabondo, ma in qualche altra parte del mondo ad essere se stesso. Già, questa sarebbe stata la trama perfetta della sua storia. Invece era nel posto sbagliato e al momento sbagliato. Inadeguato, come sempre. Aspirò quella carta arrotolata, che in breve tempo aveva viaggiato di bocca in bocca, insudiciandosi del nuovo proprietario, e la tenne stretta tra le labbra, anche dopo la boccata.

« È colpa sua. Di lei ... » farfugliava, tremando. I muscoli delle braccia sembravano non sottostare a nessun controllo. Erano indipendenti. Ed erano confusi. Smoke trattenne qualunque considerazione da uomo di mondo sul sesso femminile. Aveva avuto le sue esperienze, non si poteva lamentare. Poteva raccontare della pornostar canadese o dell’infermiera cinese o della cameriera nigeriana. Ma no, lui era un signore. Non avrebbe rivangato storie ormai sepolte solo per lustrarsi la reputazione.

« Lei chi?» Fu quanto si limitò a chiedere. La conosceva? Era una delle sue ardenti fiamme, seppur ormai estinte? Non aveva insinuato commenti, ma era pronto a farli da quella precisa domanda in poi.

 L’ossessione è un pane azzimo di cui ci nutre a sazietà. Ne trangugiamo a quintali, un morso tira l’altro, in un ciclo che ha un inizio, ma non sai qual è, o semplicemente non lo ricordi più. La fine è assolutamente impossibile da stabilire. Per alcuni dura un giorno, una settimana, un mese. Altri vengono consumati tutta la vita. Dall’ossessione. Che non è altro che il desiderio di possessione. Ossessione - possessione. Le catene dell’uomo libero. I suoi occhi plasmati a forma di mandorla non spostarono il loro obiettivo, ovvero il niente che gli stava dinanzi. Si mossero attimi di fittizio silenzio. In realtà, c’era tormento all’interno del giovane. Un rumore tacito. Poi, come se si fosse deciso a tornare in quel presente, sfilò la canna dalle dita e iniziò a rigirarsela tra i pollici, mentre l’osservava con le pupille asciutte. Quasi ci fosse scritta lì la sua storia.
 « Il coniglio.»
 
. . .

« È già la terza birra, Nobu, smettila!»

 Nana Osaki non è certo il tipo di persona - di donna - da materni propositi, che cerca di riportare il figliuolo alla retta via. Caso mai, è la sua omonima a prendere certe posizioni. Ma in quel momento non era lì, al Jackson Hole, per recitare la sua parte. Da madre, appunto. Ognuno è libero di vivere la propria vita come crede, anche e soprattutto prendendosi la responsabilità delle proprie debolezze e dei propri vizi. Questo è sempre stato il suo credo e ha cercato di rispettarlo fino in fondo. Ma, d’altra parte, la vista di un ragazzo poco avvezzo all’alcool che trangugia l’ennesima bottiglia, è decisamente imbarazzante. Ecco giustificato, nella sua ottica, quello che sembrerebbe uno slancio moralistico.

 « Sei solo invidiosa, perché sto vincendo a Mahjong. » posò sul tavolo la bottiglia brunastra e si limitò a fissare la cantante con uno sguardo molto arrogante e molto idiota al contempo, la quale non fece una piega nell’espressione del volto.
 
« Anzi, sai che ti dico? » allungò un braccio verso le tessere del gioco, macchinò per qualche secondo, finché non compose la combinazione desiderata.

« Ho vinto!!! » esultò, sollevando le braccia verso l’alto. Ma non bastò come manifesto della sua gioia infantile. Si mise eretto sulla sedia e incominciò a sgambettare, improvvisando un balletto, molto simile alle danze apotropaiche di alcune tribù indigene, il tutto accompagnato da versi incomprensibili. Questo non fece altro che dimostrare la tesi di Nana: aveva oltrepassato il limite e per il resto della serata sarebbe stato in quello stato vergognoso.

« Sono il Re del Mahjong! Sono il Re del Mahjong! » esaltato, a dir poco. Proseguì quello spettacolo indecente, esibendosi in movimenti pelvici e mosse alla “Saturday night fever” . Le reazioni del pubblico inconsapevole furono gli occhi sgranati e lo scuotimento quasi simultaneo delle loro teste. I Blast, escluso “il Re”, volevano urgentemente una maschera per potersi mescolare tra la folla senza subire scherni.
Il rumore metallico dello “scacciapensieri” appeso alla porta d’ingresso del locale non fu interessante e nessuno gli diede peso. Diversa attenzione, invece, avrebbe suscitato chi aveva fatto sì che venissero prodotte quelle vibrazioni. Di sicuro era una parrucca, fin troppo lisci e plumbei erano i capelli che le ricadevano sulle spalle esili. Gli uomini - ma anche le donne, in fondo - voltarono le loro nuche per assistere a quella fascinosa bizzarria: una giovane, sulla ventina, elegantemente indossava un body violaceo, senza maniche e piuttosto sgambato, due autoreggenti bianchissimi, quasi avessero luce propria. Si fece strada tra gli avventori, accompagnata dal ticchettio delle sue scarpe, e raggiunse il bancone, sinuosamente.
 Dal canto suo, Nobu ebbe una percezione alterata del frammento di realtà che si era appena concretizzato. Vide una splendida fanciulla, di cui poteva solo fantasticare i tratti somatici poiché vista di spalle, che, ancheggiando provocante, scuoteva a destra e a manca il morbido batuffolo di cotone, cucito in direzione del coccige, mentre un movimento a sé stante sbatacchiava le protuberanze che le partivano dalla cime della testa. Nobu, in poche parole, si figurò una coniglietta di Playboy, con tutti i suoi annessi e connessi. È difficile stabilire se la colpa sia davvero del tasso alcolico nel suo sangue o se per sua natura, Terashima è portato a modellare gli eventi dipingendoli di rosa confetto. In balia continua delle illusioni, perché più dolci ed accattivanti.
« Posso lasciare questo? » la vocina soave (così come pervenne a Nobu) della ragazza precedette il gesto di porgere a Koichi Sato, dietro il suo bancone come sempre, un volantino dai colori sgargianti. Il barista non fece una piega e annuì col capo. Poteva lasciarlo lì. Le sue manine bianche sfiorarono ancora quel foglio stampato e lo riposero sul piano ligneo. Portò poi le sue iridi cenere sul quadrante del suo orologio da polso, distrattamente. Le palpebre, pesantemente truccate, si spalancarono come finestre al mattino.

«Uh! È tardi! È tardissimo!Grazie Koichi Sato.» proferì rapidamente, mentre a passetti accelerati ritornava verso l’uscita del pub. L’occhio e la percezione. Argomento affascinante. Fino a che punto vediamo e da quando iniziamo a credere di vedere? La chioma fluente ondeggiò e il suo collo effettuò una torsione. Verso di lui, che per l’intera durata dell’avvenente presenza nel locale era rimasto con la bocca semiaperta e lo sguardo pietrificato. Fu in quell’istante, quando le loro pupille si incontrarono, che lei riunì le ciglia dell’occhio sinistro, ammiccando in sua direzione. Era un invito. O meglio, sembrava un invito. Ma non aspettò che quella dubbia sfumatura lo facesse desistere. Non aveva parlato, eppure era come se avesse detto: “Prendimi”.
Si poteva avvertire quel “tic”, quando gli ingranaggi della materia grigia di Nobu si incepparono. Da quel momento in poi, nella sua scatola cranica la ragione fu spodestata e si dichiarò l’anarchia. Seguì i precetti di altri organi. Il cuore, se siete romantici. Saltò dalla sedia su cui si era esibito e si fiondò rapido verso il barista, mentre della bella coniglietta restava solo una scia di profumo, molto inteso ed invadente. Afferrò di filato quel volantino, pensando che era come se stesse toccando la sua mano.

« Ma dove stai andando? » La domanda di Nana si perse tra i fiumi di parole che attraversano il locale, tra l’interno e l’esterno, e non ricevette altra risposta, se non il placido il tintinnio dello scacciapensieri. I suoi occhi castani si trasformarono in radar. Dov’era finita? Doveva raggiungerla, doveva dirle qualcosa, doveva accarezzare la sua pelle, doveva scoprire di che colore era i suoi capelli, doveva chiederle se le piaceva il sushi, doveva portarla ad uno dei suoi concerti, doveva conoscerla, innanzitutto. Doveva.
Il naso che si spostava da destra a sinistra indicava anche la direzione che prendeva il suo volto, confuso, sconvolto, con il palato stuzzicato.

« Attento a non cacciarti nei guai, biondino. » Una sagoma minuta appena fuori il Jackson Hole restava con la schiena contro il muro. L’ombra dell’insegna ne copriva metà corpo, ma era intuitivo che fosse una ragazza.

« Dici a me? » una smorfia di perplessità si avventò sul suo viso. Da quando la gente elargisce consigli gratuiti ad uno sconosciuto? E soprattutto, perché?

« Chi cerca l’irraggiungibile, trova solo i suoi limiti. » ignorò le precedenti parole del ragazzo, ma, continuandogli a parlare, in un certo senso, gli aveva risposto affermativamente. Ed in un modo assai misterioso. Nobu fessurizzò lo sguardo. Stava cercando di trovare un significato a quella frase o voleva fulminarla. Entrambe egualmente possibili. Scuotendo la testa (quasi a compatirla), portò le pupille su quel volantino che era diventato una sorta di prova del misfatto. Ora, bisognava scovare l’assassino. Era la pubblicità dell’inaugurazione di un nuovo locale. Si soffermò sull’indirizzo, ma non gli sovvenne nulla in mente. Non conosceva quella zona di Tokyo, avrebbe dovuto farsi dare qualche indicazione per raggiungere il posto.

« Ehi, sai per caso dove ...? » Sfumò il quesito, prima ancora di completarlo, perché, quando si voltò, della fanciulla-guru non c’era più traccia. Ragazze di oggi, pensò, sempre di corsa.

« Oddio, inizio a pensare come mia nonna ... » fatto decisamente inquietante, se riferito ad un ventenne. Discostando da sé quei pensieri poco alla moda, si disegnò una mappa mentale della capitale nipponica. Strade, incroci, piazze, una cartina topografica che prendeva forma nella sua testa. Ovviamente non aveva il senso dell’orientamento, quindi si fece guidare dal più rigoroso metodo scientifico: il caso.

« Mmh ... Quella strada non l’ho mai presa. Bah, speriamo ... » infilò le mani nelle tasche e si avviò per quella via.

In effetti, non l’aveva mai imboccata e a breve lui stesso avrebbe chiarito il motivo. Era abbastanza isolata, ma non desolata. Alti lampioni dalla luce giallastra la illuminavano in gran parte. Ma un elemento colpiva più di ogni altra cosa. La musica, ritmica, prepotente, avvolgente e pimpante. Con l’orecchio affinato del musicista ebbe modo di riconoscere che era una samba. Per alcuni minuti, le sue labbra si piegarono in un conciso sorriso, quasi compiaciuto. Del resto, erano sempre state le note le sue compagne di vita. Ascoltarle, in una qualsiasi forma, non poteva che fargli piacere. E passeggiava fischiettando il motivetto latino. Quel gongolarsi sarebbe terminato da lì a poco. Risate fragorose dal fondo della via. Impertinenti ed esagerate. Al solo sentirle si immaginava la bocca sguaiata di chi le produceva. Avvenne tutto come nei film, in cui l’identità dei personaggi viene svelata man mano che questi si avvicinano alla telecamera.
Primo fotogramma: due ‘cose’ in movimento, distinte tra loro, ma non identificate.
Secondo fotogramma: due individui che andavano da quella parte,che era la parte di Nobu.
Terzo fotogramma: due donne che camminavano in modo ‘strano’ e indossavano vestiti piuttosto luccicanti.
A questo punto il biondo aguzzò la vista. C’era qualche particolare che non tornava.
« O mio dio ... » fu quanto si limitò a borbottare quando comprese il suo futuro prossimo.
Ultimo fotogramma: due trans, addobbati ed imbellettati come ballerine del carnevale di Rio de Janeiro, con tanto di copricapi piumati e frange di pailette, giungevano danzando frenetici.

 « Dança o carnaval!» urlava uno dei due, come un invasato.

«Arriba!» rispondeva l’altro, con grande entusiasmo, reggendo un grosso stereo. Non fece in tempo Nobu a svignarsela e fu travolto da quella baraonda brasiliana.

 « Uh! Bel giovanotto! Come mai tutto solo? La tua ragazza ti ha dato buca?» Wanda, detta “la Matta”, si accostò al ragazzo, prendendolo sotto braccio.

 «Te la facciamo dimenticare noi la tua bella! » lo invogliò Zulmira, “la Capricciosa”, scuotendo il suo silicone a pochi centimetri dal volto di Nobu, sempre più imbarazzato. La sua bella.

Per un attimo aveva dimenticato perché era lì e per un attimo si era reso conto della gigantesca idiozia che stava commettendo. Rincorrere una donna sconosciuta, intravista in un pub nel brio dell’ebbrezza. Assolutamente stupido. Cosa cercava? Il colpo di fulmine? L’amore? Sarebbe dovuto tornare a casa e smetterla di comportarsi da perfetto adolescente, pervaso di ormoni.
«Cos’è quel muso lungo, bellezza? A Carnevale nessuno può essere triste!» disse Wanda, con una punta di rimprovero.

«Carnevale? Ma se siamo ad Ottobre! » inarcò un sopracciglio, piuttosto confuso.
 L’altra (o l’altro?) si azzeccò a lui, mettendosi al suo fianco, dalla parte opposta a Wanda.

« Mio caro piccolo coriandolino di miele ... È sempre Carnevale! » lo affermò con tono giocoso, ma sicuro di sé. Tirò fuori dalla borsetta una trombetta di carta e vi soffiò dentro.
Questi (o queste?) due erano totalmente suonate. Ormai ne aveva la certezza. Fu così che iniziò a divincolarsi dalla loro presa.

«Mi spiace, ma io devo proprio andare via... »
 «Ma no, resta con noi!» Lo strattonavano, ognuna dalla sua parte.
 «Davvero non posso... » insisteva, spingendole il più possibile lontano da sé.

 Un dejavu. Un flash che gli trapassò gli occhi. Attraversò uno di quegli incroci. Ancora una volta, percepì la scena rallentata, anche se in realtà avvenne con maggiore velocità. Ma sono quisquiglie, ciò che conta è l’oggetto. Le sue labbra giungessero alla sua vista prima del resto del corpo. Quel rossetto fucsia era un segno distintivo da chilometri di distanza. Forse eccessivamente eccentrico, ma nel complesso era perfettamente intonato. La sua bella si dimostrò bella per la seconda volta, nella stessa sera. Svanì, poi, con la stessa velocità della prima volta.
“Prendimi.” Echeggiava questa provocazione mai pronunciata,se non dal suo intimo desiderio. Fu quest’ultimo a fargli riprendere coraggio. Strattonò i due trans e se li staccò di dosso, avviandosi a grandi falcate verso la fine strada. Solo, tremendamente solo, seguito solo dalla sua ombra proiettata sull’asfalto grazie all’illuminazione, che man mano che la via si esauriva, diveniva sempre più fioco. Di tanto in tanto sollevava lo sguardo verso il cielo. Troppo nuvoloso per trovare le stelle. Non c’era niente ad accompagnare il suo cammino sperduto. Ah già, la sua ombra. Un’ altra illusione.


 . . .

«E così sei arrivato fin qui ... »

Bruce interruppe il racconto con il suo vocione rauco. Nobu, rannicchiato a mo’ di riccio, fissava il marciapiede in quella notte vuota ed abbandonata a sé stessa. Annuì appena con il capo, anche se quella di Bruce non era una domanda, dato che era palese. Stirò la schiena e poggiò la testa contro un muro di mattoni in cotto. Stranamente dal nulla gli tornarono in mente le parole della strana ragazza-ombra. “Chi cerca l’irraggiungibile, trova solo i suoi limiti”. Un modo originale e sofisticato per ricordargli che nella vita chi troppo vuole, come si vuol dire, nulla stringe. Una lezione che stava imparando lì, su quel marciapiede, con il nauseabondo odore di Smoke che lo fiancheggiava. Lanciò un’occhiata al suo compare e iniziò a pensare che in un futuro non molto lontano si sarebbe potuto ritrovare in quelle stesse condizioni, magari proprio a causa del suo scarso senso di responsabilità. «Ma sei proprio sicuro di non aver visto passare una ragazza travestita da coniglio da queste parti?» La mente elabora milioni di soluzioni plausibili, vie di fuga ed arrangiamenti. Ma l’ossessione è più forte di essi, li sconfigge e cerca ancora un’ ultima possibilità.

«Sì.» Annoiato, seccato da quel ragazzino, che puzzava di latte e di tartufo che si era perduto per una sciacquetta qualunque e stava riversando le sue noie su di lui. Nel frattempo, si accese un’altra sigaretta. Tabacco, stavolta. Fumò intensamente, quasi sperasse che assieme alla cenere si dissipassero le relative preoccupazioni.

«E di questo locale? Ne hai mai sentito parlare?» proferì mentre gli allungava quel volantino, oramai ridotto ad uno straccio, talmente era stropicciato. Bruce spostò il tabacco verso la mano mancina per poter reggere il foglio con l’altra mano, che a lui parve più comoda. Inarcò entrambe le sopracciglia e avvicinò parecchio il volto al testo. Qualche decimo di vista gli mancava di certo. Esaminò attentamente la pubblicità, poi riportò la schiena contro il muro. Tirò la seconda boccata dalla sigaretta, porgendo al biondo il pezzo di carta lucida.

«Sì.» Uomo di molte parole, no? Tuonò quel monosillabo nei timpani di Nobu, che a momenti voleva rimproverarlo per aver tirato fuori una simile informazione così in ritardo. Ma non voleva distruggere quella sensazione: la speranza, la sensazione di non essere folle, o per lo meno, non completamente.

 «Lo conosci? Me lo sai indicare?» Dalla voce traspariva una certa eccitazione, che, però, non colpì Smoke al punto tale da esserne coinvolto. Ne rimase indifferente e si limitò a dargli la sua maledetta indicazione, puntando l’indice verso un vicolo poco più in là.

 «Grazie!» Si rimise in piedi in fretta, diede un paio di colpetti ai pantaloni per scrollare di dosso un po’ di polvere e renderlo quanto meno presentabile. Nel delirio che lo travolse si fiondò sul vagabondo e lo strizzò per bene con un caloroso abbraccio, che lo lasciò più che di stucco. I suoi passi verso quella stradina divennero una corsetta ansiosa. Non voleva più aspettare, anche se erano solo trascorse alcune ore quando l’aveva intravista da Koichi Sato.

Il vicolo si rivelò cieco e in un angolo appartato era situato quello che appariva un night club. The Heart Queen. La regina di cuori. Il nome prometteva bene. Giunse alle porte del night e vi entrò senza pensarci su troppo. Bel posto, solito locale per serate tra una birra ed un po’ di musica dal vivo. Sul palcoscenico era pronti gli strumenti per una band, che evidentemente si sarebbe esibita da lì a poco. Prese posto a sedere ad uno dei tavolini sotto il palco, ordinando una bionda alla spine alla cameriera che gli passò di fianco. Particolare curioso che notò mentre attendeva la bevanda fu il sottobicchiere. Una carta da gioco, un fante di cuori per la precisione. E scrutando velocemente gli altri tavoli si accorse che era una consuetudine del locale usare questi originali sottobicchieri. Proprio il fante di cuori. Un po’ gli somigliava. Capelli biondi, sguardo rivolto altrove, verso una foglia, mentre dall’altra parte, proprio dietro la sua nuca, un’ascia lo attende impaziente. Macabra, ma molto chiara. Si ridestò da questi pensieri quando udì una voce tossire al microfono, per accertarsi che fosse funzionante.

«Eh ehm ...» il microfono fece un breve fischio prima di funzionare regolarmente. Nobu sollevò lo sguardo per farsi un’idea di si stava per esibire. Un donnone, un armadio a quattro ante, con una cresta nera che le partiva dalla nuca, quattro piercing per orecchio, gilet borchiato, ma con un enorme cuore a metà petto. Le ricordava Nana, solo molto, molto, molto più massiccia. Non sapeva il chitarrista che l’intero locale era stato dedicato alla sua figura. Lo avevano aperto per permetterle di esibirsi, poi gli affari sono andati bene, soprattutto grazie ai privè. Era lei la regina di cuori, anche se tutti avevano iniziato a chiamarla “la regina di picche”, visto che gli uomini da sempre le avevano rifilato la celeberrima, in senso negativo, carta da gioco. Un accordo sordo di chitarra ruppe il silenzio, mentre il distorsore ne amplificò le vibrazioni.

 «YEAAAAAH!»
 La voce della “regina” era paragonabile a quella di un bufalo. E l’espressione facciale di Nobu confermò questa teoria. La band si sistemò al suo posto con gli strumenti e la musica rimbalzò tra le parenti. Era uno strazio, suoni goffi e stonati che pretendevano di essere una canzona punk rock. Oltremodo oltraggioso. Cominciò a cercare con lo sguardo distrazioni alternative e si imbatté in un ometto che stava a qualche tavolo di distanza ed ascoltava il bufalo con occhi sognanti. Eccolo il suo “Re di cuori”, ma perché lei non lo degnava nemmeno di un misero sguardo? Ancora quel fantasma. Perché lo perseguitava? Era una punizione? Magari mandata dal Grande Demone Celeste, sotto suggerimento di Hachi. Mentre compativa il piccoletto, si intrufolò nel suo campo visivo come un messaggio subliminare. Fuggevole, imprendibile, ma ancora affascinante, forse ancor di più proprio per questo.

«Eh no! Adesso non mi scappi ancora!»
Dichiarò guerra al suo nemico. Peccato che lo avesse sentito solo lui. Scattò in piedi e fece un rapido slalom tra gli avventori che affollavano il night. Doveva prenderla, doveva averla, doveva essere sua. Fermati un attimo, piccolo coniglietto. Lasciati prendere. Non lo hai capito che sei diventata la sua ossessione? Tese il braccio, lo allungò finchè gli fosse possibile. Poi sentì una pelle che non era la sua. Tra le dita, stringeva il suo esile polso. Trattenne il respiro, mentre poteva solo vederne la schiena. Quella portò il solo viso in sua direzione, torcendo il collo. Nobu schiuse le labbra. Cosa le avrebbe detto? Cosa si dice in questi casi? “Piacere, mi chiamo Nobu Terashima. Tu non mi conosci, ma io ti amo.” No, non funziona. Come minimo, lo avrebbe scambiato per un maniaco. Recitarle una poesia? Sì, certo, e poi avrebbe duello con il suo rivale, sguainando la spada. Cosa si dice quando hai ottenuto ciò che desideravi?

«Ciao.» Tristemente banale e fuori luogo. Aveva perso il dono della parola e non relazionava molto con la realtà. L’aveva cercata per tutta la sera, si era imbattuto nei personaggi più bislacchi che avesse mai visto, ed ora che finalmente poteva dichiararle tutto ciò che sentiva (o credeva di provare), aveva avuto la geniale idea di salutarla, semplicemente. Bella mossa. Le sue iridi pece vennero nascoste dalle palpebre e la sua bocca divenne un triangolo ridente. Lei rideva, rumorosamente per giunta. Non era proprio la reazione che si aspettava, tant’è vero che si ingarbugliò in un’espressione sorpresa.

«Paga, pelatone! Paga!»

La voce di Nana risuonò fino alle sue orecchie. Fu così rimbombante che si voltò all’improvviso e la vide accompagnata da Yasu.

«Ho vinto io e devi pagare.» insisteva, sbattendo il dorso della mano destra sul palmo della mano sinistra, come a batter cassa. Yasu scosse la testa sconsolato ma sapeva di aver perso e che avrebbe dovuto sborsare quei seimila Yen1 pattuiti, in contanti ovviamente.

«Potrei sapere cosa significa tutto questo?» Nobu spazientito chiedeva le spiegazioni, che gli sembravano dovute.

«Io ed il pelatone abbiamo scommesso che ti saresti innamorato della prima ragazza che ti avessimo messo davanti. Così Kaori si è gentilmente offerta per dimostrare la mia teoria: sei l’eterno innamorato.»
Iin modo esaustivo, ma non puntuale Nana sfatò gli avvenimenti delle precedenti ore. Tutto truccato, tutto organizzato. Era la vittima di un piano ben stabilito. Un campo minato di illusioni. Avrebbe voluto urlare qualcosa come: “Come ti permetti di trattarmi così?” ; oppure :“Sono forse un giocattolo?”; e ancora: “Con chi credi di aver a che fare? Con un bambino?” Invece non disse nulla. Gli regalò le spalle ed uscì dal locale amareggiato.

 «Mi dispiace dovertelo dire» un timbro vocale già conosciuto lo attendeva all’aperto. «Ma io te lo avevo detto di stare attento a non cacciarti nei guai.»
Quella ragazza, ora la vedeva bene, era di bassa statura ed aveva i capelli castani che le arrivano sulle spalle. Per certi versi, somigliava ad Hachi, per altri era profondamente diversa. Si affiancò a lei, crucciato, come un cane bastonato. In fondo sapeva che Nana non aveva torto del tutto, o non aveva torto per niente. Era un illuso, con la continua tendenza all’idealizzazione. Che razza di uomo poteva mai diventare?

«Credi che l’amore sia solo illusione?» sibilò appena il biondo, rivolto alla giovane, di cui non sapeva nulla, ma pareva che lei, al contrario, avesse inteso completamente chi era Nobu Terashima.

 «No. O almeno, non necessariamente. » non si aspettava una tale risposta. Per questo, ascoltò con molta attenzione il resto del responso.

 «Credo piuttosto che l’illusione sia amore. Amore verso qualcosa che non ci appare falso, ma in realtà lo è. E quando lo scopriamo, ci sentiamo privati di una parte di noi. Come avessimo perso un amante.» Alla fine del concetto, lasciò una buona dose di secondi di pausa, che permise a Nobu di comprendere che non aveva altro da aggiungere.

«Scusa, ti faccio certe domande assurde e non so nemmeno il tuo nome.» si passò una mano dietro la nuca, sintomo di un certo imbarazzo.

«Kinoko.» poi aggiunse: «Sono la PR di questo locale.» come se questa informazione fosse rilevante ad identificarla. Nobu fece roteare le pupille, pensando di aver compreso anche l’ultimo intrigo.

«Quindi anche tu fai parte della scommessa ... » La sua fu un’affermazione. Era ovvio che anche lei era parte di quella sceneggiata. Altrimenti non si spiegherebbe la presenza sempre nel momento più opportuno.

«Quale scommessa?» spalancò i suoi occhioni mogano e serrò le labbra, disegnandosi un faccino angelico ed assolutamente innocente, quale era per davvero. Il giovane mosse rapidamente i bulbi oculari, con fare sospetto.

 «Hai visto? Il cielo è sgombro di nubi.» Cambiò argomento per sviare l’attenzione su di sé e su quanto aveva detto. Infilò le mani nelle tasche e restò con Kinoko a contemplare la volta stellata.

 La notte era nel suo pieno fulgore e qualunque parola era di troppo. Così si limitò a far vagare i suoi pensieri, liberi e sciolti.

Se le fiabe esistono, devono sempre seguire il solito schema? Se esistono i principi e le principesse, ci si deve obbligatoriamente invaghire di loro?
E se Grimilde avesse ammiccato al cacciatore? Se la sirenetta avesse preferito una balena?

Posò un braccio sulle spalle di Kinoko, nel silenzio sonoro che colorava il buio.

E se Alice si fosse innamorata dello Stregatto?

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Note: [1]  6000¥ sono circa 50€.
   
 
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