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Autore: BlueWhatsername    14/01/2015    4 recensioni
" Come un eroe, o uno strampalato protagonista da romanzo, non avrebbe mollato mai, si ritrovò a ragionare mentre gli occhi vedevano al di là di quel buio piovoso e tempestato di interrogativi. Sorrise, senza nemmeno vederla bene, la realtà che aveva davanti: era un insieme di luce e verde, e acqua che sgocciolava dall’alto, finendogli in faccia senza che lui si opponesse.
“Sei nella merda, eh?”
Quella domanda lo costrinse a voltarsi [...] "
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Tentativo pt.2, enjoy it!
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Non so cosa sia ‘sta cosa. Again and again.
Risale al 29/07/2014 ed io l’ho ritrovata nella cartella del pc mentre riordinavo, senza ricordarmi di averla scritta – ed in ogni caso non avevo mai avuto la volontà di postarla.
Prima, invece, mi son detta che non era tanto carino bocciarla così sui due piedi, quindi l’ho corretta (senza alterare chissà cosa) e scrivendo le poche righe di finale che trovate.
Non è un granché, ma non mi va di lasciarla a marcire nel pc lol.
Non so bene che dirvi al riguardo, l’ho scritta in un periodo particolare, ora che ci penso e quindi… Non so bene come contestualizzarvela lol prendetela così com’è!

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Won’t give up even though it hurts so much
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La tv produceva un ronzio fastidioso che le infiammava i timpani e che quasi le faceva venir voglia di alzarsi per spegnerla.
Mise a tacere quel pensiero mentre si ficcava in bocca un’altra manciata di popcorn e fissava senza molto interesse la modella californiana che le rimandava lo schermo luminoso a qualche metro da lei. Socchiuse gli occhi, sperando che il mal di testa non prendesse il sopravvento come sempre e si concentrò sull’immagine di quella graziosa ragazza in costume da bagno che si muoveva sinuosa in mezzo ad una foresta di palme – cosa alquanto inverosimile su una spiaggia californiana – mentre si spalmava con noncuranza quella miracolosa crema abbronzante che a detta della voce ronzante e fastidiosa della tv avrebbe mantenuto al sicuro qualsiasi tipo di pelle.
Stronzate, pensò, rannicchiandosi ancora più nel suo plaid e piegando le ginocchia perché si comprimessero maggiormente al petto e la sua figura potesse apparire come un’informe ammasso di stoffa da cui spuntava un semplice coda di capelli castani e due occhi grandi e lucidi, gonfi ed arrossati al lati.
Sospirò ancora, cercando a tentoni il telecomando e trovandoselo incastrato al di sotto della pianta dei piedi. Fece appena in tempo ad abbassare il volume della televisione che un rumore la distrasse impercettibilmente, portandola a sospirare come se avesse del fumo tossico in gola che non riuscisse proprio ad espellere.
Senza rendersene conto si fece ancora più piccola nel plaid, sentendosi tremare da capo a piedi nonostante la temperatura confortevole dell’ambiente.
Era il freddo che sentiva dentro a stordirla e a renderla intollerante ai suoni infuocati che la sua testa ed il suo cuore le propinavano.
Chiuse gli occhi, in risposta a quel che stava tentando in tutti i modi di scacciare, prima che un’ombra comparisse alla porta del salotto, costringendola a fissarsi sullo schermo della televisione come se non ci fosse nient’altro di interessante da poter guardare.
Sospirò un paio di volte, avvertendo il cuore accelerare spontaneamente al solo sentire quei passi leggeri ma decisi che si avvicinavano sempre più  a lei ed al suo magnifico mondo di popcorn e pensieri nulli che si costruiva ogni volte che accadeva che litigassero.
E puntualmente non poteva starsene in pace, no. Chiaramente c’era sempre qualcosa che dovesse disturbarla prima che avesse anche solo elaborato e catalogato i pensieri come meglio se la fosse sentita; era inevitabile che qualcosa – anche la minima cosa, la più stupida ed insignificante – non le desse mai il tempo di fare quel che aveva bisogno in quel momento.
E lei odiava quella cosa con tutta se stessa.
La odiava e la faceva impazzire, allo stesso tempo, il modo che aveva lui di reclamarla così violentemente ma sempre con quei suoi modi gentili e non azzardati, precisi ma mai troppo ingombranti – tali che ad un occhio esterno sarebbe sembrata lei la pazza e lui il martire, quando nella realtà il batticuore più forte ce l’aveva lei ed il sorrisetto idiota e soddisfatto costantemente lui.
Ignorò il divano che veniva compresso dal peso di qualcuno che si era seduto e tornò ad ingozzarsi di popcorn con lo sguardo fisso sulla televisione: la modella californiana era scomparsa ed ora c’erano solo un branco di cani che rincorrevano un folletto per il giardino. Si morse un labbro, sperando con tutta se stessa che gli occhi non la tradissero proprio in quell’istante visto che li sentiva nuovamente e tragicamente gonfi e traboccanti di lacrime mal trattenute.
Respiro profondamente, avvertendo su di se lo sguardo indagatore di lui.
Sentì le ciglia inumidirsi per colpa delle lacrime che le stavano scendendo a forza lungo le guance; se le asciugò con stizza, mordendosi il labbro inferiore che tanto sembrava voler tremare per colpa dei singhiozzi che le stavano scuotendo il petto.
Senza riflettere, afferrò il plaid in cui era avvolta e lo scalciò ai piedi del divano, lottando con le caviglie per liberarsene del tutto. Tirò le ginocchia al petto, stringendo le ginocchia con entrambe le braccia ed affondando tra di essi il viso, mentre le lacrime le stavano scendendo in bocca con la stessa estenuante forza di un uragano.
Sentiva solo i propri sospiri ed il fragore dei singhiozzi che le stavano fracassando il petto; l’unica cosa certa di quel momento era la vista appannata e la presenza di lui, immobile e quasi insignificante che non stava facendo assolutamente niente per cambiare la situazione.
Dopo che avevano litigato – per l’ennesima volta e senza un motivo valido, per giunta – se n’era andato a fare un giro al parco, sperando di poter in qualche modo mettere a tacere la vocetta acida ed insistente nel cervello che gli suggeriva di tornare da lei e dirle quanto fosse stupida ed infantile a prendersela per tutto, a rimbeccare qualsiasi cosa lui dicesse o a trovare ogni pretesto per far uscire quella gelosia che sapeva la corrodeva alle volte – e che non sempre riusciva a mettere a tacere, anche a costo di diventare noiosa.
Ma camminare da solo, nel silenzioso sentiero contornato di alberi e panchine ed illuminato da quel lampione mezzo fulminato non gli era servito a granché se poi si era ritrovato magicamente sotto casa loro. Ancora un volta.
A fissare il muro del palazzo ed a chiedersi se fosse davvero giusto quel che stavano facendo o se avessero dovuto semplicemente risolvere tutto nel loro letto, tra le lenzuola che profumavano di loro e dell’amore che avevano consumato – e che li aveva consumati a loro volta, fino a rinvigorirli e farli appassire man mano.
Ed ora che ce l’aveva così vicina, la lei fragile e singhiozzante, gli pareva così patetico avvicinarsi per abbracciarla o dirle anche solo una parola che potesse suonare come una scusa…  Che scuse servivano quando non c’era nemmeno una sana motivazioni per cui farsele venire in mente?
Adesso che la vedeva così piccola e raggomitolata, con gli occhi serrati e le lacrime lungo le guance, tutte le parole che aveva pensato fino a quel momento gli parevano davvero inutili e superflue; tutti i ragionamenti che aveva argomentato in testa erano vuoti davanti al palesamento dello stato d’animo di lei; la voglia di stringersela al petto e dirle che non avrebbe mai voluto farle male era sparita, inghiottita dai singhiozzi sommessi che lo stavano raggiungendo ma che non aveva il potere di placare.
Sono nel momento in cui la vide tirare su col naso ed asciugarsi malamente una guancia con il pugno chiuso di una mano, si concesse di sedersi un po’ più comodamente sul divano, quasi fosse stato un prigioniero a cui era concesso qualche metro in più di aria da respirare liberamente.
“Ti riesce di starmi ad ascoltare?” tentò di punto in bianco, sforzandosi di mantenere un tono di voce controllato e di non farsi prendere – come sempre – dall’istinto e dalla frenesia di avercela vicina, sentirla sua, avvertirne il profumo fin dentro al cervello tanto forte ed intenso era il suo desiderio di assorbirla, in ogni forma gli fosse concessa.
Lei tirò sul col naso, schiarendosi la voce e volgendosi a fissarlo con un ambiguo sorrisetto enigmatico che nascondeva l’ombra di quel qualcosa che pareva volesse divorarla da cima a fondo.
“Che dovrei ascoltare?” chiese invece, passandosi l’indice sotto il naso e mordendosi un labbro con finta naturalezza “Stiamo sempre a questo punto, io e te. E non credo che dipenda da te… O da me soltanto. Probabilmente ci sono problemi comunicazionali di fondo che non sappiamo – e possiamo gestire, tu non trovi?” concluse, stendendo le gambe oltre il bordo del divano e rilasciando un sospiro stanco che faceva da eco a tutte le lacrime che ancora le imperlavano il viso ma che non accennava a voler togliere.
Voleva lasciarle lì per monito, forse; archiviarle nella cornice di quel momento perché brillassero di quel sentimento ingovernabile e devastante che sembrava denso ed appiccicoso come catrame sotto il sole.
Zayn si perse a fissarle il profilo, sentendo ogni parola morirgli in gola.
Di nuovo.
“Forse dovresti ascoltare me, e dopo anche te stessa, e…”
Lei sbuffò ancora, con aria stanca, voltandosi a fissarlo.
“Ancora? Ti escono ancora queste parole di bocca? Che c’è, le favole che ti leggevano da bambino non ti sono bastate? Ma non lo vedi da te…” fece per alzarsi in piedi, ma lui la prese per il polso, rimettendola a sedere.
La fissò con uno sguardo gelido, così drasticamente sicuro e tagliente che lei non si sentì in potere di battere nemmeno un ciglio. Si limitò a guardarlo di rimando, tentando in tutti i modi di non lasciar vagare il proprio sguardo su nessun altro particolare del viso di lui, consapevole che si sarebbe fatta distrarre inutilmente – come le capitava da quando lo conosceva.
“Non sono favole, è la verita”
“Quale verita?” sputò lei, rancorosa – gli occhi le stavano nuovamente bruciando di lacrime, pareva quasi che ormai non sapesse fare altro, e la cosa era quanto mai frustrante “Non comprendo secondo quali presupposti dovrei stare ad ascoltarti! Finisce sempre così, no? Litighiamo – o meglio, io finisco col perdere ogni santa volta il senno, tu ti agiti e finiamo con lo scannarci a vicenda, prima che tu decida di venire da me a propinarmi qualche bel discorso che porti a… Non lo so, dove siamo arrivati?” le sue parole si esaurirono in un sussurro stanco, mentre liberava il polso dalla stretta di Zayn e lasciava vagare lo sguardo altrove, il cuore che le stava rimbombando così forte nelle orecchie da stordirla.
E se almeno le avesse portato via quei pensieri, a qualcosa sarebbe servito, no?
Invece le stava solo facendo ricordare quanto facesse male tutto quello, quanto avesse da capire e quanto volesse parlargli, senza comunque riuscirci – pure se si sforzava con tutta se stessa di capire quel contorto mondo di pensieri e parole che sembrava volerla annientare giorno dopo giorno.
“Non lo so a cosa siamo arrivati, ma non mi pare sia il caso di lasciare andare, no? Mi stai dicendo che dovremmo… Lasciarci? Così, sui due piedi? Come se…”
“Ma come parli?” lei scattò in piedi, la voce incrinata dal nuovo scroscio di pianto imminente “Ma ti senti…?” un singhiozzo le ruppe la voce prima che potesse anche solo pensare di continuare; trattenne le lacrime tra i denti, sentendo l’aria bruciarle in gola “Pensi che io sia così infantile da voler mandare a puttane tutto perché litighiamo un giorno sì e uno no?” ed il modo in cui lo disse tradiva un’ironia tragica a dir poco agghiacciante, cosa che lo costrinse a trattenere tutto il fiume di parole che gli stavano venendo in mente “Mi credi così… Stupida? Non pensi che io voglia chiarire?”
Zayn si sollevò in piedi, abbandonando le braccia lungo i fianchi: sul suo viso un’espressione stanca e segnata, i suoi scuri occhi felini avevano perso la loro naturale brillantezza ramata lasciando il posto al bagliore ossidato dell’oro.
Erano spenti, fondi, sembravano anche più grandi del normale.
Le ciglia proiettavano un’ombra che poco le piaceva, che la spaventava senza lasciarle il tempo di poter riordinare i pensieri.
“E allora perché non lo fai? Scappi, ogni santa volta… Non mi vuoi parlare, e… Preferisci chiuderti in te stessa che non affrontare di petto questa situazione! Capisci che è snervante anche per me? Mi ami e mi rifiuti… Ti rendi conto di quanto tu possa essere contraddittoria?”
Zayn concluse quel discorso prendendo una buona boccata d’aria, mentre vedeva gli occhi di lei – i suoi magnifici occhi grandi, quelli che fin dalla prima volta che ci si era specchiato l’avevano incatenato senza più liberarlo – farsi sempre più lucidi e intrisi di dolore.
O almeno, quel che gli sembrava era che ciò che lei non riuscisse a dire a parole lo comunicasse almeno con lo sguardo, pugnalandolo con quelle occhiate che non lo avrebbero di certo lasciato vivo, anzi. Sentiva l’anima sgretolarsi a poco a poco, mentre passavano i secondi e tutto ciò che vedeva davanti a sé erano briciole e frammenti di ciò che entrambi stavano avvertendo.
“Perché non mi dici anche che sono ipocrita, visto che ci sei?” lo fulminò lei con la voce rotta.
Zayn prese un altro bel respiro, trattenendo le sue labbra carnose in una sottile linea severa.
“Perché… Non lo sei?” domandò infine, retorico, avvertendo l’essenza di lei sbriciolarsi in definitiva a quell’ultima stoccata che, ne era consapevole, le faceva male più di qualsiasi altra cosa.
Non gli giunse risposta, solo uno sguardo gelido e bagnato di lacrime.
La vide sorpassarlo in tutta fretta, diretta verso la camera da letto.
Zayn fece appena in tempo ad alzare gli occhi al cielo e ad imprecare che un rumore sordo lo raggiunse alle spalle, facendolo quasi sobbalzare. Fu per mero istinto se si volse, riuscendo a schivare una botta dolorosa al piede – che gli sarebbe stata causata dal cassetto del proprio comodino appena lanciato in malo modo sul pavimento. Il contenuto si riversò sul pavimento, mentre alcune schegge di legno partirono dagli angoli schizzando in tutte le direzioni – sarebbe stato un miracolo non farsi male in futuro, nel malaugurato caso che qualcuno fosse andato scalzo.
“Vuoi spiegarmi cosa…” tentò di dire lui, prima che un paio di scarpe volassero nella sua direzione, seguite a ruota da quelli che parevano vestiti alla rinfusa.
La vide piazzarsi dinanzi alla porta della loro camera, lo sguardo annacquato di lacrime e gli occhi ormai gonfi di pianto incontrollato: teneva le mani sui fianchi – mentre i polsi le tremolavano malamente – e le gambe lievemente divaricate, come un guerriero che difende la sua ultima palizzata difensiva.
Pure se ormai, di difese da abbattere ce n’erano fino poche.
“Se pensi quel che hai detto puoi anche dormire sul divano, sai? O da tua madre! O da qualche tuo amico, che cazzo ne so!” esplose poi, con una voce stridula e marcata dai singhiozzi incessanti che non volevano proprio andarsene; scomparve dalla sua visuale quel tanto che bastò a ricomparire con in mano un cuscino: glielo lanciò ai piedi, serrando le labbra esangui in una linea dura a cui Zayn non seppe davvero che rispondere “A che cazzo ti servo io, me lo dici?!”
“Ma quanto sei stronza, mh?!” scattò lui a quel punto, avanzando di qualche passo ma fermandosi ad una distanza di sicurezza che almeno gli avrebbe permesso di schivare qualsiasi altra cosa le fosse venuta in mente di lanciargli “Non ti rendi conto tu sia stupida, vero? Eh, perché la signorina pensa sempre di avere ragione, no? Certo!”
“Ah ma piantala con le tue accuse, sai?!” Zayn la vide puntargli un dito contro, e non si trattenne dallo sfoderare un sorrisino divertito per quanto gli sembrasse buffa, in quelle condizioni… Piccola e buffa.
Lei se ne rese conto, congelando un’altra occhiata velenosa, oltre che ferita, in un sospiro amaro che sapeva della desolazione che avvertiva in corpo.
Indietreggiò di qualche passo, sbattendosi la porta delle camera alle spalle e sigillandola a doppia mandata. Tipico di lei, insomma.
Zayn sospirò, abbattuto ed anche un tantino innervosito da quel suo comportamento stupido che gli lasciava costantemente l’amaro in bocca. Era assurda quando si impuntava e non voleva sentire ragione alcuna se non quella che le suggeriva la sua stramaledetta cocciutaggine. Si chiudeva in se stessa, era come se si raggomitolasse sui suoi stessi sentimenti, senza lasciarli respirare o sfumare in qualche modo, senza permettere che potessero in qualche maniera trovare il giusto spazio all’interno di sé – cuore o testa non c’era differenza, era come se lei non volesse mai che ognuno di essi trovasse una giusta ubicazione.
E questa cosa le faceva male, Zayn lo sapeva.
Il non saper gestire quel che sentiva la rendeva ingestibile a sua volta – se era incazzata poi, meno che mai.
Nemmeno ricordava perché avessero litigato stavolta – se per Kylie, la sua collega oca che ci provava costantemente con lui; se per sua madre ed il modo poco carino che aveva di trattare la sua ragazza; se per un bicchiere rotto a caso, o qualche stupido vestito abbandonato all’angolo della camera; se perché effettivamente la loro convivenza stava diventando impossibile senza che nessuno dei due riuscisse a farci qualcosa.
Le lancette dell’orologio in cima alla televisione gli rimandavano la certezza di una mezzanotte solitaria e gelida e nemmeno si rese conto di essersi nuovamente infilato le chiavi in tasca e di aver volutamente sbattuto la porta di casa fin quando non avvertì lo schioccare dei cardini ribattere allo stringersi della sua mascella.
Trovò il portone del palazzo ancora aperto. Scivolò all’esterno, ringraziando quel silenzio ovattato ed umido, perfetto per coprire i pensieri martellanti che rischiavano invece di farlo impazzire.
 
 
 
 
Aveva anche iniziato a piovigginare.
L’umidità leggera gli si infilava tra i capelli – che si ostinava a mandare inutilmente all’indietro, nonostante alla fin fine gli capitombolassero comunque sulla fronte, lasciando che le fastidiose goccioline d’acqua gli scivolassero in faccia, innervosendolo e basta.
Il parco era come lo aveva lasciato, silenzioso e poco illuminato, forse un poco più umido per la pioggia che stava continuando a scendere, sottile ma fastidiosa come non mai – e sembrava volesse intensificarsi col passare dei secondi, o peggio, aumentare e rallentare il ritmo tanto per rendergli quella serata impossibile.
Zayn calciò un sasso lungo la strada, mentre aguzzava gli occhi alla ricerca di una panchina che non fosse già completamente bagnata – come se poi lui stesso fosse asciutto!
Quando intravide un punto del parco poco più riparato, aumentò il passo, accaparrandosi l’angolo della panchina che pareva meno fradicia in assoluto. Non che notasse molto, visto lo stato in cui si trovava, con i vestiti incollati al corpo e l’umore sotto la suola delle scarpe.
Non riusciva a scollarsi i suoi occhi dal cervello. Non riusciva a cancellare il modo in cui l’aveva vista tirare a terra le sue cose, quasi avesse voluto dirgli ancora più apertamente di andarsene, di lasciarla – finalmente? – sola e di non mostrarsi finché non le fosse passata quella luna storta che la rendeva insopportabile e dolcemente tenera insieme.
Si passò le mani tra i capelli bagnati, sospirando appena mentre appoggiava la schiena alla panchina e rilasciava la testa all’indietro, in completa balia sia della pioggia che dei pensieri intrappolati in testa.
Il cielo era squarciato da lievi tuoni lontani, i lampi formavano un contorto disegno inquietante in mezzo alle nuvole color antracite su uno sfondo scuro e puntinato di pressoché invisibili stelle, come se la volta celeste volesse giocargli qualche strano scherzo ottico.
Starlo ad osservare era quanto di più senza senso potesse fare, ma se solo rialzava la testa, e di conseguenza lo sguardo, aveva come l’impressione che ci fosse lei, ad osservarlo da lontano, a renderlo piccolo con quegli occhi grandi e bagnati di lacrime; sentiva come se il fuoco del suo sguardo gli fosse ancora addosso, togliendogli ogni forza e spezzandogli i pensieri.
Sentì le gocce di pioggia aumentare a poco a poco sul suo viso, e si costrinse a sedersi composto, con i vestiti sempre più zuppi ed il cuore a mano a mano più spento.
“Hai una sigaretta?”
A quella domanda sobbalzò di colpo, guardandosi intorno con fare sospetto.
Chi altri poteva stare sotto la pioggia a quell’ora, con quel tempo maledetto ed a quell’ora?
“Ehy! Ce l’hai o no? Non ho tutta la sera!” ripetè una voce scocciata, ora più vicino a lui.
Zayn volse di scatto la testa, incrociando uno sguardo chiaro – almeno così pareva alla luce fioca del lampione lì vicino – che lo stava perforando al di sotto del manto di rughe che componevano quel viso invecchiato e consunto in cui si specchiò. Sbatté le palpebre, interdetto, mentre lo strano tizio lo osservava di rimando, senza battere ciglio: indossava un paio di jeans malconci e strappati in più punti ed una giacca che doveva essere stata verde una volta ma che ora era di uno strano colore indistinto e traslucido per le macchie che vi erano; al di sotto, si intravedeva un vecchio maglione a collo alto di un arancione spento, mentre ai piedi portava un paio di vecchi scarponi dalla punta bucata – la suola era staccata in alcuni punti, ma si costrinse a non farci cadere troppo gli occhi, giusto per non sembrare indisponente.
“Che c’è? Mai visto un senzatetto in vita tua, ragazzo?”
Appunto.
Zayn si costrinse a rivolgergli uno sguardo attento e penetrante, totalmente in contrasto con quel che gli stava dicendo la sua testa, e cioè che non era proprio la compagnia più consigliata, quella – erano apparsi o no dei titoli di giornali in cui si parlava di qualche maniaco che girava per i dintorni alla ricerca di signore indisturbate da scippare?!
Beh, lui non era una signora, di certo.
E non aveva nemmeno qualcosa di valore che qualcuno avesse mai voluto rubare.
E, beh… Quello non gli sembrava davvero un maniaco.
“Quindi?! Questa sigaretta! E allora?!” scattò ancora il vecchio, con un cipiglio alterato che gli inspessì qualche ruga sulla fronte – quella che si intravedeva sotto il vecchio cappello che stava indossando e che pareva più impolverato che mai.
Zayn inarcò un sopracciglio, infilando la mano nella tasca interna della giacca ed estraendo il suo pacchetto di  sigarette – almeno quello era asciutto! La pioggia aveva smesso di battere, ma l’acqua non se n’era certo andata, né dai suoi capelli né dai suoi vestiti, e anzi, lo stava facendo rattrappire quasi, mentre il gelo gli si condensava addosso in modo assai spiacevole.
Con disinvoltura, lanciò il pacchetto al vecchio; questi lo prese al volo, estraendone una sigaretta ed accendendola in pochi tentativi. Lo osservò dare la prima tirata mentre socchiudeva i suoi occhi contornati di rughe, ed un sorrisetto umido gli sfuggì dalle labbra. Zayn se ne sentì stranamente intimorito, ma preferì non proferire parola, almeno fin quando il pacchetto di sigarette gli fu restituito e si trovò costretto a mormorare un debole grazie assonnato che gli ricordò quanto volesse, in realtà, mettersi nel proprio letto, accucciarsi tra le coperte e respirare piano la sua pelle, il suo corpo, il suo sorriso nel buio che faceva sempre capolino al di sopra del cuscino.
Se si fosse presentato a casa in quel momento, avrebbe respirato qualche schiaffone, come minimo, altroché. Sospirò, combattuto, aspirando forte dal naso e lasciando che l’aria gelida di pioggia consumata gli arrivasse fin nei polmoni, purgandoli e freddandogli, tanto per ricordargli che era umano anche lui.
Umano e debole.
Come chiunque.
Che per quanto pensasse di poter salvare sempre tutto non ci sarebbe comunque riuscito; che provarci era sintomo di coraggio ma arrendersi poteva esserlo di intelligenza, se almeno fosse stato per la giusta causa; che impuntarsi non gli sarebbe servito – non con lei almeno – e che… Beh, che farla sentire come se fosse sempre la bestia in gabbia non li avrebbe condotti da nessuna parte se non verso il baratro definitivo.
Che nonostante tutto non avrebbe lasciato stare, pure se faceva così tanto male.
Come un eroe, o uno strampalato protagonista da romanzo, non avrebbe mollato mai, si ritrovò a ragionare mentre gli occhi vedevano al di là di quel buio piovoso e tempestato di interrogativi. Sorrise, senza nemmeno vederla bene, la realtà che aveva davanti: era un insieme di luce e verde, e acqua che sgocciolava dall’alto, finendogli in faccia senza che lui si opponesse.
“Sei nella merda, eh?”
Quella domanda lo costrinse a voltarsi, a tornare a guardare con gli occhi vigili e attenti di quello che era stato – tecnicamente – cacciato di casa, e che avrebbe pure voluto tornarci se solo…
“Eh sì… “ il senzatetto aspirò una generosa sorsata di nicotina, tossendo brutalmente subito dopo; un sorrisetto stanco gli incurvò gli angoli delle labbra invecchiate prima che si decidesse a parlare ancora “… Ci sei dentro fino al collo, ragazzo” sentenziò, poi, scoppiando in una fragorosa risata rauca che lo fece tornare a tossire ancora di più.
Zayn strinse la bocca in una linea severa, ma non rispose, senza sapere nemmeno bene che dire.
“Ci sei dentro e non sai come uscirne” perseverò quello, lapidario, infilandosi le mani nelle tasche consunte dei pantaloni, come se cercasse chissà cosa: frugò per qualche minuto, borbottando parole poco comprensibili a causa della sigaretta che si costringeva a tenere tra le labbra e che si stava consumando sempre più “Ah!” berciò infine, stendendo un braccio ed allungandogli quello che pareva un foglietto ripiegato.
Zayn tentennò, avvertendo l’irrefrenabile istinto di alzarsi e scappare.
“Coraggio, ragazzo! Non ti mangio mica, sai?!” l’uomo tossicchiò ancora, gettando malamente il mozzicone di sigaretta in una pozzanghera lì vicino; avvicinò la mano al volto di Zayn, che di riflesse si ritrasse come spaventato “Sei un cagasotto, eh figliolo?! Ci credo che poi sei nella merda fino al collo… “ e rise, all’apparenza divertito da quel suo ragionamento che pareva fin troppo veritiero, notò con terrore lui, trovando finalmente di afferrare quello che il senzatetto gli stava porgendo.
Al tatto era ruvido, scorticato. Pareva un biglietto ingiallito dal tempo e custodito per chissà quanto in un cassetto impolverato. Zayn ci passò delicatamente le dita sopra, saggiando i bordi mangiucchiati e ripiegati – non si sarebbe meravigliato se gli avessero detto che c’era passata anche quell’acqua, su quella superficie spigolosa che non riusciva bene a comprendere. Esitò, prima di aprire quel fragile foglietto e ritrovarsi a sospirare, nel notare che in realtà, quella era una foto. Ingrigita e scolorita, falcidiata dal tempo e dall’usura, ma tenace, nei due sguardi che lo osservavano pensosi e sorridenti dalla quella cornicetta sbiadita. Zayn li osservò, riconoscendo in uno di essi quei due occhi azzurri che gli erano a poca distanza in quel momento, due occhi allora giovani e vivaci, di un giovane con leggeri capelli scuri e scomposti lungo il viso. Vicino a lui stava una ragazza in un grazioso vestitino a quadri, i capelli lunghi erano legati in una treccia riposta su una spalla magra. Le loro mani intrecciate spiccavano sullo sfondo della foto, totalmente bianco.
Rimase ad osservarli, rendendosi conto di star passando i polpastrelli su quel quadretto ingiallito come se sperasse di poterlo vedere vivo davanti a sé, prendere vita, come se quei due ragazzi di un tempo passato e sepolto potessero ancora tenersi per mano, davvero.
“Era bellissima, vero?” gli soffiò una voce vicino, nel tono cantilenante di un ubriaco convinto delle sue illazioni.
Zayn annuì, senza staccare gli occhi dalla ragazza in foto, tratteggiando accuratamente il profilo del suo viso tondo, del piccolo neo che gli vedeva sulla guancia sinistra, sulle ginocchia lasciate scoperte dal vestito e sbucciate, sulle scarpette basse che portava e che lasciavano ben intravedere due caviglie sottili e lievemente sporgenti; il suo sguardo era deciso e limpido, se quella foto fosse stata a colori ci avrebbe visto un bel color verde in quelle iridi, ne era più che convinto, glielo diceva l’istinto.
“Era una favola, ragazzo… Era la mia favola. E mi manca da morire”
Zayn avvertì una stretta al cuore a quelle parole, si costrinse a deglutire e non alzare lo sguardo, mentre il cuore gli accelerava in un’impennata storica.
“Ma…” provò solo a dire, prima che il fiato gli venisse improvvisamente a mancare.
Fa male, ragazzo… Fa così male che nemmeno sembra reale. E se pure fa male, tanto vale aggrapparcisi e tentare
Annuì solamente, con le dita strette attorno a quei bordi consunti: gli tremavano ormai, erano fredde ed intorpidite, quasi quanto il suo cuore stanco.
E affranto, se pensava a lei. A cosa stesse facendo in quel preciso istante.
Se la figurò per un attimo in quel vestitino a quadri, con quelle scarpe basse e quel viso steso, sollevato, felice.
Sorrise, di getto, prima di sfilarsi il pacchetto di sigarette dalla tasca della giacca e posarlo sulla panchina, la foto ripiegata accuratamente su di esso.
E correre, ignorando il dolore.
Con la sola intenzione di non voler mollare.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*torna a sbucare anche qui*
Ah, un ringraziamento particolare ad
Aguero che mi fa sbellicare in chat coi suoi ragionamenti riguardo a trance di varia natura(?) e che scriverà la mia biografia.
E un pensiero particolare a
Fraalways, perché oggi ha bisogno di più amore del solito e le prometto che le metterò da parte tutti i biscotti del mondo per un momento più propizio.
E poi un saluto ed un bacio a voi che ci siete sempre e che mi fate sentire la più fortunata del mondo, perché ho delle lettrici meravigliose che mi mandano messaggi su WhatsApp con annesse foto da infarto. Siete l’amore.
Ed ora basta con le ciance u.u
Enjoy it!
A presto,
Blue <3
 
  
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