Storie originali > Storico
Ricorda la storia  |      
Autore: Drizzle_    14/01/2015    1 recensioni
La storia di una madre e di un figlio ai tempi della SHOAH.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Olocausto
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
SHOAH
20 Gennaio 1944
 
Sentivo freddo e qualche cosa di gelido mi stava sfiorando una gamba, aprii stancamente un occhio e vidi le stesse pareti che da un po' di giorni vedo ogni mattina. Il mio sguardo si abbassa e così vedo che la fonte di freddo proveniva dal naso di mio figlio che a quanto pare nel sonno si era talmente mosso da mettere la testa al posto dei piedi. Era avvolto nella mia giacca, perchè quando le guardie tedesche sono arrivate a prenderci a casa nostra, per meglio dire nel nostro nascondiglio, non ci hanno dato il permesso di prendere niente , sono arrivati e hanno semplicemente sconvolto la nostra vita.
Guardando mio figlio mi scappò un sorriso, sapevo che sarebbero stati pochi altri momenti come quello, non ero stupida, così lo girai di nuovo nel verso giusto e lo abbracciai. Noah emise qualche mugolio, ma non si svegliò, così io cercai di rimettermi a dormire prima che le prime luci del sole entrassero dalle fessure dei vagoni. Forse due ore dopo mi svegliai di nuovo, ma stavolta era l'ora giusta, sentivo già la gente intorno a me parlare a bassa voce tra di loro e c'era qualcuno che chi piangeva. Svegliai piano e con delicatezza mio figlio,  che mi guardò con i suoi grandi occhioni azzurri, che non avevano niente da invidiare alla razza ariana, ma che a quanto dicevano loro erano completamente diversi, gli dissi che andava tutto bene e che però anche per oggi non ci sarebbe stato niente da mangiare. Lui mi guardò con aria arrabbiata, sbuffò e si mise a sedere, erano due giorni che non toccavamo cibo, ma tutti sentivano che presto saremmo arrivati. Il paesaggio stava cambiando, c'erano sempre meno case e sempre più distese innevate, io sapevo dove ci stavano portando, tutti sapevamo dove ci stavano portando, ma nessuno aveva il coraggio di dirlo ad alta voce.
Infatti entro sera il treno si fermò e le guardie incominciarono a farci scendere urlando, mio figlio si mise subito a piangere, aveva cinque anni, non capiva cosa stava succedendo, sapeva solo che degli uomini cattivi e paurosi lo avevano svegliato durante la notte.  Io cercai di calmarlo, sapevo che le grida non erano ben accette, lo presi in braccio, lo baciai gli dissi che ormai era un uomo e che gli uomini non piangevano per queste piccolezze, gli dissi che il papà non aveva pianto quando lo avevano separato da loro e solo a quel punto lui si calmò. Mi prese il viso tra le mani e con ancora gli occhi lucidi dalle lacrime mi disse che d' ora in poi sarebbe stato lui l'uomo di famiglia e che mi sarebbe stato sempre vicino, non era un bambino stupido aveva capito che non avrebbe rivisto mai più suo padre. Io lo baciai lo ringraziai e gli dissi che mi serviva un ometto su cui fare affidamento in quel momento, quanto avrei voluto che quel momento durasse per sempre. Invece poco dopo arrivarono le guardie che ci urlarono: "Gehen Sie schnell und leise!" "Camminate in silenzio e velocemnte!", così presi la mano di mio figlio e ci incamminammo. Dopo cento metri vidi L'INCUBO, era un edificio oscuro, grigio con alti muri e tetti piatti ricoperti di neve, inoltre mi ricordo che c'era un camino dal quale usciva del fumo, tutto intorno vi era una distesa di neve. Tutto ciò era delimitato da dei cancelli ed il fil di ferro  e di fianco all'entrata vi era un cartello con scritto Campo di concentramento di Buchenwald, ma io leggevo soltanto morte e tristezza. Appena arrivati ci miserò in uno stanzone enorme, sembrava quasi un magazzino, ci misero in fila e ci fecero spogliare tutti, facendoci togliere tutto, anche i gioielli. Io avevo al collo una collana che mio marito mi aveva regalato qualche anno fa all'interno c'era una foto di noi tre, della mia famiglia, della cosa che avevo più cara al mondo, così non me la tolsi, ma arrivò una guardia e me la strappò dal collo. Vedevo le spalle di mio figlio tremare, un po' per la paura, un po' per il freddo, ma con orgoglio notai che manteneva la sua parola, non stava piangendo. Anche se era piena notte loro ci tagliarono i capelli cortissimi e ci diedero delle specie di uniformi, roba troppo leggere per il freddo che faceva, ma sapevo che sarebbe stato inutile chiedere roba più pensato per mio figlio perchè tutto quello che mi avrebbero dato sarebbe stato solo violenza. Per la prima notte ci dissero che avremmo dormito tutti li, perchè non si erano ancora organizzati. Così mi misi in un angolo con mio figlio, lo abbracciai, lo cullai finchè questo non si addormentò all'interno del caldo del mio abbraccio. Non so quanto dormii ma so che lo feci male, mi sembrava di aver chiuso gli occhi da due minuti quando sentì il suono di una tromba che svegliò tutti, era arrivato il momento di scoprire quale sarebbe stato il nostro destino.
Mentre uscivamo dal grande magazzino dividero le donne giovani da quelle anziene, i bambini piccoli da quelli grandi e fu in questo momento che io mi divisi da mio figlio, fu in quel momento che tocchai per l'ultima volta la sua morbida manina, sapevo che le cose per lui non sarebbero state facili era piccolo e mingherlino, ma ci speravo. Prima di mollare la presa dissi a mio figlio che andava tutto bene, che ci stavano dividendo perchè io dovevo andare a lavorare e invece lui doveva andare con tutti gli altri bambini a giocare, ma come ho già detto prima Noah non era un bambino stupido così con i lacrimoni agli occhi si staccò da me dicendomi: " Ti voglio bene, mamma".
Furono le ultime parole che sentii pronuniciare a mio figlio, perchè quello stesso giorno più di 100 bambini morirono nelle camere gas. Io mi salvai perchè ero una donna giovane, robusta e che si sapeva addattare, così mi misero a lavorare. Rimasi in quel INFERNO fino all'aprile dell'anno dopo, esattamente l'11 Aprile 1945 quando i militari dell'89ª Divisione Fanteria della Terza Armata degli Stati Uniti ci vennerò a liberare.
Non c'è giorno in cui non piango il mio piccolo Noah e mio marito Abraham, non c'è giorno che non domando a Dio il motivo per cui mi abbia fatto vivere, ma però ogni santo giorno lui mi da la risposta, mi dice che mi ha fatto vivere per fare conoscere alle persone la mia storia, per rendere giustizia alla morte ingiusta di mio marito e di mio figlio, per sputare sui cadaveri di quegli infami che volevano così tanto un razza perfetta, la razza ariana. Purtroppo sono arrivati a uccidere 15 milioni di ebrei senza raggiungere la loro tanto agognata razza perfetta, perchè una razza perfetta non arriva a uccidere tutte queste persone, non arriva a fare certi abomini.
Mi è capitato molto volte, visto la mia storia, di andare a parlare con ex militari che lavoravano nei Lager e chiedergli per quale motivo avevano fatto ciò e la loro risposta è sempre stata: " Stavamo solo eseguendo degli ordini".
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Drizzle_