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Autore: Shichan    15/01/2015    7 recensioni
Tooru guarda quelle dita che quasi affondano nei tasti e si chiede se Iwaizumi non stia cercando di affondargli una mano nel petto e stringere, stringere finché non riuscirà più a respirare.
[pianist!Iwaizumi/dancer!Oikawa]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Tooru Oikawa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi sono proprietà di Furudate Haruichi.
Note: per tutte le note della storia rimando alla fine, che non vorrei spoilerare yy
Per il resto, in mostruoso ritardo, auguri Nari (LLLL)

 

 

Quando Hajime decide di voler suonare il pianoforte – non “uno strumento”, ma proprio il piano – ha otto anni, le ginocchia sbucciate e la pelle abbronzata dalle ore passate all’aperto, il frinire delle cicale nelle orecchie e i piedi un po’ sporchi di terra lì dove i sandali non sono arrivati a proteggerli dal terreno. Sua madre sta ascoltando un vecchio cd di brani di musica classica, lasciando che le note riecheggino nel silenzio di tutta la casa, e sta seduta sullo sgabello del pianoforte a muro che il giorno dopo porteranno via.
Hajime non capisce perché sua madre voglia liberarsene tutto ad un tratto: non lo suona, è vero, o almeno lui non glielo ha mai visto fare. In compenso se ne prende cura con grande dedizione, ogni giorno. Per questo quando lei si accorge della sua presenza e gli sorride, a lui non viene in mente altro se non chiederle perché domani qualcuno verrà a prendere quel pianoforte per portarlo dove sua mamma non lo vedrà mai più.
Lei gli sorride e gli accarezza i capelli con la stessa attenzione e cura che rivolge a quello strumento: «Uno strumento che non viene suonato è uno strumento triste, Hajime.»
Non è sicuro di capire bene, ma immagina che chiunque a star solo si senta abbandonato. Hajime ha otto anni quando pigia per la prima volta un tasto bianco del pianoforte e lo guarda come se avesse compiuto un miracolo meraviglioso.
«È così che si suonano cose come quella sul cd?»
Decide che quel suono è la cosa più bella al mondo; il giorno dopo, nessuno porta via nulla da casa Iwaizumi.


Hajime ha diciassette anni quando, per la prima volta, pensa che varrebbe quasi la pena rischiare l’espulsione. Va in una scuola con un programma musicale che copre gli anni che, normalmente, comprenderebbero medie e superiori. Una scuola ottima, dove le materie base sono rese compatibili – come carico di lavoro – con le molte ore che gli studenti devono dedicare alla disciplina principale; è divisa in due dipartimenti, a loro volta suddivisi in sotto-dipartimenti: Hajime fa parte di quello musicale, strumenti a tastiera. Le altre classi corrispondono né più e né meno alle classificazioni degli strumenti musicali: corde, fiato, percussioni. L’altro dipartimento invece è quello di danza, di cui francamente Hajime non si è mai interessato troppo: sa che di sicuro classico e moderno non sono insieme, ma la sua conoscenza si ferma lì.
La scuola è di ottimo livello e pretende molto dai suoi studenti. Ogni festival aperto al pubblico è un’occasione d’oro – letteralmente e metaforicamente – tanto per l’istituto quanto per la possibilità degli studenti di farsi conoscere e Hajime credeva di essere pronto a tutto dopo che, negli anni passati, si era ritrovato a far parte di progetti spesso anche discutibili. Una volta avevano organizzato un concerto per il dipartimento di musica, dove ci si esibiva obbligatoriamente in coppia: era stato un incubo, nel momento in cui gli studenti delle varie classi non erano di numero pari, ma in qualche modo Hajime aveva avuto una fortuna nella sfortuna – Sugawara, con cui aveva lavorato, è un flautista bravo e una persona piacevole.
Un paio di anni dopo, il festival era stato “a tema”, nel senso che a ogni studente del dipartimento di musica era stato assegnato un soggetto a cui rifarsi per la scelta del brano. Iwaizumi non lo aveva odiato, ma non tutti erano stati dello stesso avviso quando si erano ritrovati a poter scegliere fra brani tutt’altro che semplici – o, al contrario, di livello elementare per quanto belli.
Col senno di poi, rimpiange entrambe quelle edizioni. Non tanto per la decisione presa quest’anno di far collaborare i due dipartimenti in un’unica esibizione, quanto per lo studente che gli è stato affibbiato.
Oikawa Tooru è famoso, nella loro scuola, in più di un modo e quasi nessuno di questi è lusinghiero, se si esclude la sua posizione nella graduatoria del suo dipartimento. Gli altre ballerini non lo sopportano particolarmente, e per quanto la competizione sia all’ordine del giorno e Iwaizumi li consideri una categoria di persone incline all’invidia e alle chiacchiere, quando un’opinione rasenta l’unanimità qualche dubbio sorge persino a lui.
I musicisti non sono messi meglio: benché un progetto come quello dell’imminente festival non sia mai stato proposto prima ufficialmente, non è proprio rarissimo che qualcuno di loro lavori anche solo per un breve periodo con un ballerino. Dei pochi che hanno avuto modo di collaborare con Oikawa, nessuno è mai durato a lungo e nessuno ha mai avuto niente di buono da dire su di lui.
Non ultimo, è famoso per commenti non esattamente signorili riguardo le sue frequentazioni – Hajime a volte ha sentito cose che non avrebbe il coraggio di ripetere nemmeno se Oikawa fosse la feccia dell’universo –, specialmente in contesti piuttosto “intimi”.
Continuerebbe a non interessargli, se non fosse che il buon esito della sua esibizione al festival dipende anche da Oikawa, a questo punto. E Hajime non pensa di esserne felice, semplicemente perché con quelli come lui non sa trattare; non senza perdere la pazienza, almeno.
«Gwah!» è il verso più strano che Hajime possa giurare di aver sentito da parecchio tempo, e gli ci vuole qualche istante a focalizzare l’attenzione in basso, verso la matassa di capelli arancioni che nascondono – non così bene poi, visto che attirano quasi subito lo sguardo – la testa di un… kohai, poco ma sicuro, vista la stazza. Quello alza gli occhi su di lui, l’aria da bambino e l’espressione di chi non sa se sopravvivrà a questo scontro in corridoio.
«Ah, uhn, scusa!» si agita sul posto e passa il peso da un piede all’altro, incapace di star fermo a quanto pare. Sembra aspettarsi che Iwaizumi lo mangi vivo da un momento all’altro.
«Fa niente.» si limita a dire, visto che magari è un po’ severo, ma non arriva al punto da sbraitare contro qualcuno solo perché è di cattivo umore o seccato. Il piccoletto sembra relativamente più calmo, piega appena la testa verso di lui e si muove per superarlo – dire che lo fa in maniera molto poco naturale è un eufemismo, ma in un certo senso Hajime lo trova buffo, più che strano o fastidioso.
«Uhm» è l’unico preambolo che sente prima di avvertire la manica della sua divisa che viene tirata, e non serve davvero voltarsi per sapere che è sempre il ragazzino di prima: «io sto cercando Kageyama.» comunica, la domanda implicita. Hajime non ha bisogno di chiedere di chi si tratti: non ci ha messo molto, Kageyama Tobio, a farsi conoscere nell’istituto nonostante ai tempi fosse una matricola della sezione delle medie. Iwaizumi lo ha sentito suonare solo un paio di volte, dall’inizio dell’anno – essendo di classi diverse non hanno lezioni in comune, e quel che ha sentito è stato del tutto per caso –, ma gli è bastato per poter affermare che Kageyama sia uno dei violinisti più talentuosi che gli sia mai capitato di sentir suonare. Non gli ci vuole molto per immaginare che il ragazzino di fronte a lui sia, con ogni probabilità, il partner del musicista per il festival.
«Credo sia nell’aula di musica… tre.» aggiunge restando impettito e Iwaizumi alza una mano per indicargli la direzione dalla quale è venuto: «Vai sempre dritto per il corridoio. Quando trovi l’aula dodici, devi girare in quello di sinistra.»
Si chiede che razza di risposta si aspettasse l’altro, visto che nota senza difficoltà il sospiro sollevato e al tempo stesso l’espressione sorpresa di chi non pensava di cavarsela con così poco; l’istante dopo si ritrova di fronte un sorriso smagliante e contagioso, che fa sembrare il piccoletto ancora più giovane: «Woah, grazie!» esclama a voce anche troppo alta, ma Iwaizumi non lo trova fastidioso al punto da rimproverarlo per questo «Pensavo che tutti i musicisti fossero terrificanti come Kageyama!»
Lo dice con una tale spontaneità che Hajime fa una fatica tremenda a non ridere; uno sbuffo divertito però è quasi d’obbligo. A catturare l’attenzione di entrambi è la voce di Sugawara: «Hinata!» chiama, e questo risolve anche il mistero sul nome della matricola che si sta già allontanando in direzione del senpai, dopo un cenno frettoloso della testa in sua direzione. Anche Koushi gliene rivolge uno, alzando la mano finché non è certo di essere stato visto, e a quel punto si congeda con un sorriso cortese che permette a Iwaizumi di tornare al suo percorso verso il suo problematico partner.
Se anche lui e Kageyama non fossero nello stesso dipartimento, per Hajime sarebbe stato impossibile non conoscerlo, e non tanto per le sue indiscusse capacità musicali, quanto perché suppone che tutti conoscano l’adolescente chiamato “re dello spartito”. Niente che somigli ad un complimento, per quanto possa sembrare: Kageyama non è mai stato capace di suonare con una persona, figurarsi in un’orchestra; per il passaggio dalla terza classe intermedia alla prima avanzata (l’equivalente del passaggio dalla terza media al primo liceo), era stata messa su un’orchestra con i migliori studenti, dopo Dio solo sapeva quanti giorni di selezioni interne. Con l’obbligo di presentarsi in piccoli gruppi da un minimo di tre a un massimo di sei esecutori, Kageyama non era stato incluso per un soffio, ossia quando era stato chiaro che non avrebbe mai potuto far parte di un’orchestra.
Iwaizumi non aveva assistito, ma c’era voluto un tempo sorprendentemente breve perché per l’intero dipartimento si parlasse di come il gruppo di Kageyama avesse smesso di suonare all’improvviso – Hajime ne era rimasto stupito, perché interrompere un’esecuzione prima della sua conclusione equivaleva a essere squalificati da una competizione senza possibilità di appello. Fin dove arrivava la mancanza di fiducia e la poca sopportazione del gruppo che suonava con lui in quell’occasione, per sacrificare la propria possibilità pur di far affondare qualcuno con loro?
Kageyama ha una conoscenza impeccabile dei brani che suona: mai una sbavatura, figurarsi un errore; ma non aveva più suonato con nessuno, che Hajime sapesse.
E ora deve collaborare con qualcuno che interpreta la musica in maniera del tutto diversa, è la consapevolezza che si forma nella mente di Iwaizumi.
Oh beh, non che lui sia in una situazione poi molto diversa, dopotutto.

Lui Oikawa lo ha visto solo nei corridoi e negli spazi comuni: non lo ha mai visto esibirsi, non ha idea di come danzi, e quel che sa dei suoi atteggiamenti sono voci e pettegolezzi d’istituto – e per quanto Hajime creda che se un numero elevato di persone dice la stessa cosa allora debba esserci una base di verità, non è il tipo di persona che vuole giudicare sulle opinioni degli altri. Vuole farsene una sua, ma nonostante i suoi buoni propositi deve ammettere che non è facile pensare di Oikawa Tooru che sia un santo se, aprendo la porta della sala a loro assegnata, si ritrova due persone che sostanzialmente stanno flirtando.
Distoglie lo sguardo quasi immediatamente, un tempo molto breve che la ragazza nella stanza impiega a sgusciare fuori dalla porta farfugliando un saluto all’indirizzo del ballerino. Iwaizumi non gli punta subito lo sguardo addosso perché – non si sa mai – l’altro potrebbe aver bisogno di ricomporsi. Capisce quasi immediatamente che Oikawa non possiede alcun concetto di pudore quando gli arriva all’orecchio un ridacchiare divertito, mentre sente picchiettare sulla propria spalla. Alza lo sguardo e si ritrova davanti un viso e un’espressione che sembrano quasi pregarlo di prendere a schiaffi il loro padrone; inspira, lentamente, e butta fuori l’aria mentre si distanzia di un paio di passi.
«Iwaizumi Hajime.» si presenta senza perdere troppo tempo, un cenno lieve del capo e la mano che tiene la cartelletta con gli spartiti va a stringersi intorno all’oggetto. Oikawa assume un’aria scettica per qualche momento, lo guarda come se dovesse studiarlo, e poi incurva le labbra in un sorriso divertito: «Oh, come siamo seri, Iwa-chan! Posso chiamarti Iwa-chan, vero?»
«No.»
«Eeeh, che cattivo!» esclama lui, come se si fosse aspettato che la risposta affermativa fosse già implicita nella propria domanda: «Io sono Oikawa Tooru.» prosegue «Cosa suoni, Iwa-chan?»
Inspira di nuovo: saranno sessanta minuti molto lunghi.
«Non mi chiamare Iwa-chan.» ribadisce con un sospiro, la sensazione che non si scollerà di dosso quel nomignolo per un pezzo «Il pianoforte.» replica comunque, cercando con lo sguardo un punto in cui sedersi. Hanno due mesi per decidere un tema o accordarsi in generale su quale tipo di canzone Tooru voglia ballare, per mettere su la musica lui e la coreografia l’altro, per provare insieme fino a raggiungere la perfezione. Ci vorrà ancora un po’ perché abbiano bisogno di lavorare in una stanza che ospiti il pianoforte e abbia anche lo spazio necessario a Oikawa per ballare; sospetta quindi che in assenza dello sgabello del piano, per terra andrà benissimo.
«Oh, bene.» commenta l’altro seguendolo «Perché se fossi stato un violinista mi sarei rifiutato.» commenta come se nulla fosse.
Iwaizumi non può che inarcare un sopracciglio, ma decide che non vuole davvero sapere cos’abbia Oikawa Tooru contro i violinisti.
Sceglie una parete senza specchi, sedendovisi vicino in modo da potervi poggiare la schiena; apre la cartelletta, ne tira fuori un blocco e non sono fogli pentagrammati quelli che accolgono lo sguardo curioso di Oikawa. Lo vede con la coda dell’occhio inclinare la testa di lato e si aspetta qualche domanda, ma non ne arriva nessuna.
«...Hai già pensato a un tema o qualcosa del genere?» domanda, e tutto si aspetta tranne l’espressione quasi scandalizzata che Tooru gli rivolge: «Ma stiamo già parlando dell’esibizione?!» esclama incredulo, e francamente anche Hajime è basito, ma dalla cosa opposta – perché mai dovrebbero parlare di qualcosa che non sia il progetto che occuperà ogni loro momento libero da qui ai prossimi due mesi?
Non ha bisogno di chiedere nulla, perché Tooru non gli lascia il tempo di farlo: «Ci sono un sacco di cose da dire: qual è il tuo piatto preferito, Iwa-chan? Come mai suoni il pianoforte?» e non si ferma lì, seguono domande tra le più disparate, insensate e non pertinenti; c’è anche qualcosa sulla musica in effetti, ma arriva tutto a raffica e Iwaizumi sta seriamente per dargli la cartelletta in testa quando l’altro conclude in bellezza: «Ti piacciono gli uomini, le donne, o tutti e due Iwa-chan?»
Mentre ripercorre il corridoio verso il suo dipartimento, è sicuro di tre cose: Oikawa Tooru è un imbecille, lavorare con lui sarà un incubo, e il colpo in testa che gli ha dato con la cartelletta doveva essere almeno dieci volte più forte.

Nonostante le sue impressioni, Hajime sa bene quanto Tooru di non poter cambiare partner nemmeno volendo; per questo cerca di limitare il danno a quella domanda inopportuna, liquidandola con un “non sono affari tuoi” quando Oikawa gliela pone una seconda volta.
In quell’occasione riesce a portare la conversazione altrove, chiedendogli nuovamente se abbia pensato a un tema o qualcosa che vorrebbe portare all’esibizione. Tooru sembra ben disposto a parlare di cose serie, e gli rivela il nome di una canzone pop occidentale, una che Iwaizumi è abbastanza sicuro di non aver mai sentito. Gliela fa anche ascoltare, una cuffietta del suo lettore mp3 che viene porta ad Hajime e l’altra tenuta per sé; Iwaizumi non va male, in inglese, ma non è nemmeno ad un livello tale da poter tradurre direttamente quello che sente: la voce della cantante è femminile, piuttosto alta – raggiunge note che Hajime sa quanto siano alte sulla scala musicale – e gli dà la sensazione che potrebbe trasmettergli la stessa canzone cantata da due persone diverse. Sembra quasi di ascoltare due personalità diverse raccontare la stessa storia.
«...Lo sai che non c’è una base di pianoforte in questa canzone, vero?» glielo chiede per esserne sicuro, anche se non ha davvero bisogno di una risposta per sapere che l’altro non lo ritiene un suo problema. A sorpresa Oikawa ridacchia: «Certo che lo so, non suonerò uno strumento ma la musica la sento anche io, Iwa-chan.» gli fa presente, e lui non ha voglia di perdere tempo a ripetergli che non vuole essere chiamato a quel modo, specie considerando che l’altro sembra del tutto intenzionato a ignorarlo su quel fronte.
«Pensavo, non potresti arrangiarla al piano?»
«Non potresti morire, per caso?»
«Iwa-chan!» esclama allibito «Sarebbe una grave perdita per il mondo della danza e per il mondo in generale. Mi amano troppe persone, non posso deluderle.» fa presente con fare melodrammatico, e a Iwaizumi scappa tra le labbra qualcosa da ridire prima che possa effettivamente trattenersi – e dire che non è una persona troppo irascibile, è solo Oikawa che tira fuori il peggio di lui.
«Mi risulta decisamente il contrario.»
«Oh, allora anche tu sai delle voci che girano su di me.» commenta quasi divertito, e quando Hajime riporta lo sguardo sul viso dell’altro aspettandosi l’aria da imbecille che gli associa dal primo incontro, si ritrova un sorriso quasi ferino e l’espressione di chi ha appena saputo esattamente ciò che voleva sapere. Iwaizumi mastica un insulto a mezza bocca.
«E dimmi un po’, quali conosci?»
«Ne girano parecchie.» non mente, perché non serve «Ma non mi riguardano. Quello che invece mi riguarda è che devo fare un’esibizione con te. Tu vuoi ballare bene, io voglio suonare bene. Non pretendere un arrangiamento quando non hai nemmeno idea di come si lavori per farne uno. Fai la prima donna nella tua classe di ballo, Shittykawa.» ribatte, usando volutamente l’inglese per insultarlo. Non sa di preciso a cosa debba attribuire lo stupore che attraversa gli occhi di Oikawa, ma non chiede, un po’ perché forse non vuole saperlo e un po’ perché Tooru gli rivolge un sorriso che sembra quasi sincero.
«Va bene. Puoi provare a vedere se riesci a fare un arrangiamento per il pianoforte?» chiede l’altro con un tono ben diverso da prima, mentre la musica nella cuffietta va scemando.
Hajime porta una mano a toglierla, porgendola all’altro: «Come mai ci tieni tanto? Di che parla?»
«Di una ragazza. Hai mai visto un film occidentale, magari americano, Iwa-chan?»
«Sì, qualcuno. Che c’entra?»
Oikawa gli sorride, ma non c’è più niente della gratitudine e della sincerità di poco prima; se sono ancora lì, le ha nascoste bene: «In quei film, in alcuni almeno, c’è sempre questa ragazza piuttosto sciocca e facile che va un po’ con tutti. Ci somigliamo, no? Lo dicono anche le voci.» afferma facendogli un occhiolino complice «Quindi ho pensato che avrei ballato meglio. E poi è uno spettacolo, devo intrattenere bene i miei spettatori.» conclude, il tono di chi la sa lunga e non ha fatto altro per tutta la vita.
La seconda volta che parlano Iwaizumi vorrebbe prenderlo a pugni, se non fosse che non ha alcuna intenzione di sfasciarsi le mani per uno come Oikawa, che parla di ciò che la gente dice di lui come se fosse la vita di un altro, e se non rispetta gli altri è solo perché non sembra riuscire a rispettare neanche se stesso.

Non lavorano sempre insieme, anzi; si accordano diplomaticamente per incontrarsi due o tre volte a settimana, discutere dei punti principali se ce n’è bisogno o darsi un termine per l’arrangiamento di Iwaizumi o la coreografia di Oikawa. Hajime non lo ha più trovato in situazioni ambigue con nessuno, con suo grande sollievo, e a parte un comportamento stupido di base Oikawa non gli ha più fatto domande scomode; anzi, se deve essere sincero, l’altro si è rivelato più vivibile di quanto credesse. Ci sono volte in cui gli sembra un bambino, gli occhi curiosi che scorrono sugli spartiti che Iwaizumi porta con sé, dandogli un’idea di come stia venendo l’arrangiamento canticchiandoglielo.
In diverse occasioni Tooru lo ha tempestato di domande, ma non gli è pesato rispondere, non quando leggeva vivo e sincero interesse nel suo sguardo – «Iwa-chan, come si legge questo?» «Eh? Ma è troppo complicata la musica, Iwa-chan!» «Non prendermi in giro, lo sai che non ho idea di come si legga uno spartito!»
Diversa è la volta in cui Tooru gli ha chiesto “perché non provi a ballare, Iwa-chan?” e lui non ci ha dovuto neanche pensare, perché l’unica cosa che sa muovere con grazia sono le dita sui tasti bianchi e neri, niente di più.
Stranamente Oikawa non ha tentato di convincerlo con il suo fare petulante – in compenso lo ha applicato a tutto il resto, quel modo di essere insopportabilmente insistente – e Iwaizumi ha pensato di poterne uscire bene, da quel progetto in coppia. Ci ha creduto per tre intere settimane, fin quando nella sala dove aveva appuntamento con Tooru questi gli aveva chiesto di dare un’occhiata alla coreografia fin dove l’aveva pensata.

Hajime non ne capisce molto, ma ha sempre creduto che una coreografia si costruisse sulla canzone e che quindi Oikawa si fosse fatto giusto una vaga idea in attesa che lui completasse l’arrangiamento; invece si ritrova a guardarlo posizionarsi al centro della sala, aspettando il suo cenno per far partire la musica pigiando sul tasto “play”.
L’inizio della canzone fa pensare a Iwaizumi che il ballo che Tooru ha intenzione di fare sia di dubbia origine. Avrebbe voluto leggere il testo ma l’altro glielo ha impedito, sostenendo che voleva da lui il giudizio di chi non sa cosa dica la canzone – «Sono io a doverti raccontare una storia, Iwa-chan», ha detto, e per una volta Hajime lo ha rispettato e compreso perché è quello che fa anche lui, suonare tasti bianchi e neri e provare a prosciugarsi l’anima per raccontare qualcosa.
Non si aspetta il primo cambio di ritmo, più veloce; non si aspetta il cambiamento di Oikawa, che sembra ballare come se dovesse liberare tutti i demoni che ha dentro, tutta la follia di una persona a cui la vita ha strappato troppe cose. La cosa che fa davvero sgranare gli occhi ad Hajime è che il ballo di Tooru rispecchia la stessa sensazione che lui ha avuto la prima volta che ha ascoltato la canzone: vederlo danzare è come vedere due persone diverse farlo, come se lui volesse ballare per raccontare qualcosa e venisse ostacolato – Hajime non è sicuro che si possa descrivere così, perché del ballo non sa nulla, non è nemmeno in grado di distinguere dal punto di vista tecnico una delle cose che Oikawa sta facendo.
Eppure quasi si aspetta di vedere Tooru sdoppiarsi, o scoprire che qualcuno di invisibile lo interrompe nel mezzo di un movimento e lo spinge via, poi a terra, poi lo tira bruscamente su, lo rimette in piedi perché non è ancora finita.
Oikawa danza e non c’è una storia, non c’è una persona, non c’è un’anima: Hajime vede troppe cose e non riesce a distinguerle con chiarezza, in un turbinio di movimenti che a volte gli sembrano quasi troppo bruschi e altre volte sono di una fluidità che lascia quasi senza fiato.
Quello che lo colpisce di più, però, è l’espressività di Tooru: non solo del corpo, che disegna linee ed evoca immagini, ma il viso; lo sguardo, il modo in cui incurva le labbra – passano per quel volto la disperazione, la frustrazione, il puro divertimento e l’estasi.
Persino l’abbandono, in ogni senso possibile.
Iwaizumi quasi non si accorge dei secondi che sono passati e della canzone che sta per finire; non riesce a staccare gli occhi da Oikawa, ed è qualcosa che non ha nulla a che fare con la sua fama di persona incline a “fare amicizia” facilmente, né si è fatto abbindolare da qualche parola.
Tooru fa passi e passi, va a terra e sembra così sbagliato che si stia fermando, che stia quasi strisciando come se non avesse più forza nelle gambe – gli ricorda un animale ferito che non ha intenzione di lasciarsi catturare, dovesse pure trascinarsi nel fango. È in quel momento che gli occhi di Oikawa incontrano i suoi e si rifiutano di interrompere il contatto visivo, e per un momento Hajime lo giustifica dicendosi che in fondo è lui l’unico pubblico del ballerino e che per questo è normale che sia così. Ma Oikawa si avvicina, si avvicina, e Iwaizumi quasi ringrazia quando sente quella che è palesemente la battuta finale di quella canzone – ringrazia, non sa bene chi, perché qualcosa gli ha stretto lo stomaco in modo doloroso e non vuole indagare, non vuole sapere.
Generalmente a Hajime non piacciono i brani che si interrompono dando l’idea di una nota che manca, come se chi li ha scritti avesse dimenticato di mettere il punto alla fine di una frase che ti dice come finisce la storia. Quasi non se ne accorge, di quel momento di sospensione che crea un’aspettativa destinata ad essere disattesa, perché gli occhi di Tooru sono incredibilmente vicini – tutto il corpo di Tooru è incredibilmente vicino.
Gli respira sulle labbra e il silenzio li ingloba; a Hajime sembra che il cuore stia uscendo dal petto, il viso che è troppo caldo per sperare che non stia palesemente mostrando l’imbarazzo per tanta vicinanza.
Tooru espira e quasi è un bacio, quello. Lo guarda come se Hajime dovesse non uscire mai più da quella dimensione fatta di respiri che si mescolano e una musica che ti lascia in sospeso una storia.
Oikawa lo studia quasi, si sposta di lato e per quanto ne sa Iwaizumi, potrebbe anche svenirgli tra le braccia; invece si ritrova nell’orecchio un sussurro caldo che lo fa vergognare di tutto: di se stesso, dei movimenti che ha visto, di aver pensato che la musica potesse comunicare senza inganno meglio delle parole.
Decide che Oikawa è esattamente la persona orribile di cui si vocifera: lo spintona, lo manda al diavolo, e lo evita per le due settimane successive.


Hajime sa che non è così che si lavora professionalmente con qualcuno, non importa quanto quel qualcuno non ti piaccia; sa che non è vero che Oikawa “non gli piace”, ma è qualcosa di più complicato. Forse è la sensazione di essere l’ennesima persona che si fa abbindolare da due moine e un sorriso più sensuale di altri, o forse è il fatto che quando ci pensa, si rende conto che ad averlo colpito di più non è stato il sussurro nell’orecchio, l’espressione di chi sembrava quasi volerlo inglobare. Iwaizumi ha impresso nella mente Oikawa che gli chiede come si legge uno spartito, un sorriso impacciato di chi è abituato a sapere tutto ciò che riguarda la sua materia ed è poco familiare con il chiedere aiuto, spiegazioni.
Quale sia il vero Tooru, Hajime non lo sa. E gli fa rabbia perché è per Tooru che deve comporre la musica, è per lui che deve suonare, e non ha idea di chi sia in realtà.
Ha sentito voci troppo discordanti tra loro – ha sentito di come lui e Kageyama si siano scontrati, scoprendo che esiste un Oikawa capace di perdere il controllo a tal punto; lo ha visto interagire con le persone nei corridoi, avvicinandoli con movimenti che sembrano cercare costantemente di affascinare e irretire i sensi degli altri; ha sentito persino storie di chi quel corpo lo ha toccato o vorrebbe toccarlo, non ha capito bene perché è andato via prima di poter ascoltare di più, di scoprire che forse Tooru ha le ombre di mille mani su di sé oppure di nessuna.
Si ritrova con il fiato corto quando questa immagine di Oikawa gli si forma nella testa e non sembra volersene andare mai più, lì con mani invisibili che si tendono verso di lui, e bocche che sussurrano parole vuote e occhi che guardano e scavano nella pelle – Hajime chiude i suoi, inspira forte e spera di riempirsi i polmoni e annebbiare la mente, svegliarsi domani e scoprire che non esiste un festival, non esiste Oikawa.
Purtroppo quando li riapre, tutto è ancora al suo posto; senza quasi capacitarsene, trova la storia che vuole raccontare.
Quando si presenta nella sala dove Oikawa gli ha mostrato la coreografia, lo trova proprio lì, e non è da solo: ha il braccio intorno alle spalle di quello che Iwaizumi è certo sia uno studente più giovane di cui ignora il nome, ha l’espressione di chi scherza ma in un certo qual modo è anche serio in quello che dice, e la prima cosa che fa è lanciargli contro la cartelletta rigida che ha tra le mani – peccato sia già mezza vuota, ma può almeno sperare in uno spigolo, no?
«I-Iwa-chan!» esclama, e non sembra convinto nemmeno lui che quello che ha davanti sia veramente il pianista; con ogni probabilità si era arreso all’idea che non avrebbe avuto un accompagnamento per il festival, visto il silenzio altrui. Non che Oikawa non avesse tentato in più occasioni di approcciarlo, ma Iwaizumi aveva dimostrato un’abilità naturale nel tenersi alla larga dalle cose o dalle persone con cui non voleva avere a che fare.
Copre la distanza tra loro con poche falcate, preoccupandosi innanzitutto di recuperare la cartellina e poi il braccio di Oikawa – rivolge al kohai niente più di un sguardo e un vago cenno del capo, con un borbottato: «Scusaci un attimo.» che sembra sollevare l’altro più che innervosirlo.
Non si cura di Oikawa che si lagna alle sue spalle, commentando quanto Hajime sia brusco e cattivo e antipatico. Lo guida fino al dipartimento di musica senza neanche rispondergli, senza curarsi degli sguardi incuriositi di chi non ha mai visto Iwaizumi tirarsi dietro qualcuno o Oikawa gironzolare in quell’area senza un motivo preciso. Quando si ferma è perché hanno varcato la soglia di un’aula vuota che ospita un pianoforte; è chiaro che abbia la stessa funziona di quella in cui lo ha portato Tooru due settimane prima, ma la sorpresa di quest’ultimo è maggiore e giustificata, rispetto a quella quasi assente di Iwaizumi l’ultima volta.
Hajime gli lascia il polso e si muove verso lo strumento, prendendo posto sullo sgabello: Oikawa si guarda intorno con circospezione, ma anche incuriosito, e non può che finire col soffermarsi su Iwaizumi intento a sistemare dei fogli sul leggio.
«...Cosa stai facendo, Iwa-chan?»
«Sicuramente qualcosa di più costruttivo di quello che facevi tu.» fa presente, secco – sarebbe bello dire “non sa nemmeno perché”, ma un vago sentore gli dice che non è così. Non è necessario che Oikawa lo sappia.
«Non stavo facendo nulla di male.» rimbecca Tooru imbronciandosi e incrociando le braccia al petto, come un ragazzino che pretende delle scuse formali per qualcosa di sciocco: «Kunimi-chan è solo un mio kohai. Sicuramente più carino di te, Iwa-chan.»
«Sicuramente più masochista, se non ti ha ancora preso a calci ogni volta che lo molesti.»
«Io non—» e sembra quasi indignato dalle parole di Iwaizumi; lui, in tutta risposta, gli rivolge un’alzata di spalle e un’occhiata seria subito dopo.
«Ho scritto la musica.» comunica, lo sguardo che viene rivolto ai tasti bianchi e neri. Resiste alla tentazione di cercare la figura di Oikawa per osservarne la reazione – sarebbe sicuramente fiero della confusione che leggerebbe nei suoi occhi se soltanto li guardasse.
«Pensavo non volessi fare più l’arrangiamento che ti ho chiesto.» borbotta Tooru, quasi sulla difensiva.
«Non l’ho fatto. Ho composto una canzone, e se vuoi ballare con me che suono lo farai su questa. Niente arrangiamenti di canzoni che pensi siano adatte, niente cose fatte da altri. Tu balli e io suono, Oikawa.»
La sua voce è asciutta, il tono quasi seccato, e Oikawa probabilmente non sa riconoscere se si tratti soltanto di testardaggine o se sia anche determinazione, magari l’orgoglio di un pianista; non può fargliene una colpa, Hajime, perché non sa dare nemmeno lui un nome a quel bisogno di suonare per lui. Azzarda in quel momento ad alzare gli occhi su Tooru, e ne trova un paio a fissarlo direttamente, la testa che fa un cenno affermativo.
Iwaizumi non sa se può considerare la cosa come un essere stato compreso o meno. Avverte però il bisogno di deglutire e mandar giù anche ogni altra cosa che potrebbe ronzargli in testa in quel momento. C’è qualcosa che vuole riuscire a comunicare.
Le dita di Hajime si posano sui tasti bianchi e cominciano a suonare. La prima cosa che colpisce Tooru, è il susseguirsi di note così simili da sembrare sempre le stesse, e che sembrino introdurre una storia. C’è un cambio di ritmo, poco dopo: le dita di Hajime si muovono molto più velocemente sui tasti e stavolta è Oikawa a dover immaginare, a dover cercare dentro di sé parole che potrebbero permettergli di raccontare quella musica come se fosse una favola per bambini. C’è un susseguirsi quasi frenetico, al punto da ricordargli il battito d’ali degli uccellini che ogni tanto si infilavano per errore nella serra del suo vicino di casa, attirati dalle piante all’interno. Non è sicuro che sia un’immagine libera, anzi; sente addosso l’ansia di chi è intrappola e non riesce ad uscire per quanto lo desideri o s’impegni.
Si chiede se Iwaizumi sia mai stato prigioniero di qualcosa, per riuscire a suonare in quel modo la musica.
Poche note più lente, e Tooru crede di essere salvo; di nuovo un ritmo sostenuto, e lui spera che non sia tutto in vano – di qualsiasi cosa si tratti. È quando crede di non poterne più, che la musica di Iwaizumi sembra interrompersi bruscamente e Oikawa sbatte le palpebre più volte perché sente quasi di annaspare in fondo all’oceano più buio senza riuscire a risalire: è come se improvvisamente battere i piedi con tutte le proprie forze non bastasse, perché qualcuno continua a trascinarlo giù. Sembra di guardarsi morire— no. Sembra di vedere se stessi arrendersi perché è troppo anche per la persona più forte.
Tooru guarda quelle dita che quasi affondano nei tasti e si chiede se Iwaizumi non stia cercando di affondargli una mano nel petto e stringere, stringere finché non riuscirà più a respirare.
In quel momento la musica riparte veloce, con ancora più foga, ancora più desiderio di qualcosa – e Oikawa non riesce a pensare ad altro che quello, un astratto “di più, di più, di più” che non sa bene neanche come raggiungere.
Sente gli occhi pizzicare, quasi li avesse tenuti aperti troppo a lungo, e non se ne stupirebbe perché non riesce nemmeno a sbattere le palpebre, la figura di Iwaizumi che improvvisamente acquista un senso: lui non sta affondando, non sta cercando di liberarsi.
Hajime sta tirando fuori qualcuno da un luogo che nemmeno la sua musica può dipingere appieno – uno di quei luoghi che rimangono sempre, inevitabilmente nella mente di chi ascolta.
Silenzio. Arriva così all’improvviso che Oikawa si guarda intorno spaesato e cerca in Iwaizumi una spiegazione, quasi aspettandosi che l’altro gli dica di aver sbagliato una nota e voler riprendere dall’ultima battuta. Ma Hajime non lo fa, si limita a fare un sospiro profondo e solo poi lo guarda, in cerca di un giudizio o almeno di una reazione.
Tooru sa di non avere un’espressione intelligente al momento, come sa di non poterci fare nulla: la canzone di Hajime si ferma proprio come se mancasse una nota. Lascia in sospeso una storia senza mettere la parola “fine”.
La musica di Hajime si agita, inciampa, si ferisce per salvare qualcuno e alla fine non sai se lo ha salvato davvero; è crudele.
«...Chiudi la bocca, Oikawa.» borbotta Iwaizumi, il fare burbero mentre si volta in modo da stargli di fronte pur rimanendo seduto dov’è.
«Ma… Iwa-chan, non puoi concludere una canzone così!»
«Non è conclusa. E penso di non finirla.» ammette, una mano che sale verso la nuca, con fare impacciato; sembra in difficoltà, per cosa Tooru non è assolutamente in grado di dirlo: «Penso che vada bene così, per te. Per come hai ballato» e c’è un imbarazzo palpabile, il motivo è chiaro per entrambi «per quello che io ho capito quando lo hai fatto. E anche se continuo a pensare che tu sia un idiota anche troppo contorto e con una faccia da schiaffi… questo brano è tuo.» conclude, e Tooru non sa se il pianista stia guardando i tasti per un motivo preciso o solo perché così non sarà costretto a guardare lui.
«Mh. D’accordo.» pronuncia e non c’è nessuna presa in giro, nessun falso imbarazzo di fronte a romanticismo che non esiste (o almeno Hajime non crede si possa definire esattamente romanticismo), nessuna battuta idiota: «Se è questo che vuoi suonare, allora suona questo.»
«Tu lo capisci il francese, Oikawa?» la domanda è così priva di senso che Tooru si ritrova ancora una volta perplesso e senza parole, a parte lo scuotere un poco la testa: «A parte i passi di danza con un nome francese, no.» confessa.
«Ok.» replica solo Iwaizumi, guardando lo spartito: «Ok.»


Le settimane che li separano dall’esibizione sembrano non bastare, e passare più veloci di quanto entrambi vorrebbero. Oikawa gli permette di stare in sala e suonare per lui quando la coreografia è in fase di sviluppo – potrebbe adattarla, gli ha spiegato una volta, ma vuole pensarla da capo se può. Per far cosa, Iwaizumi non lo sa e non lo domanda: a ognuno il suo, lui penserà alla musica, perché è così che funziona tra loro.
Tooru accenna soltanto i passi, Iwaizumi non li osserva quasi mai perché è occupato a ripetere fino alla nausea quel brano, suonandolo in continuazione per ogni volta che Oikawa glielo chiede; dovrebbe farlo comunque, per memorizzarlo alla perfezione, quindi non è che gli pesi più di tanto. A volte prova a sbirciare con la coda dell’occhio, ma non può permettersi di farlo a lungo mantenendo un suono pulito e preciso.
Oikawa, ad un certo punto, gli chiede di registrargli il brano in modo da potersi esercitare anche quando non è con lui; Hajime da quel momento non assiste praticamente mai alle prove dell’altro – Tooru si concede di passare anche un’ora ad ascoltare lui, ma cambia sempre il posto in cui si esercita e alla fine Iwaizumi non ha davvero voglia di girare tutto il dipartimento di danza solo per trovare quell’imbecille del suo partner.
Continuano così fino al giorno prima dell’esibizione, in cui Tooru decide finalmente che Iwaizumi deve guardarlo ballare senza essere occupato a sfiorare i tasti del pianoforte; lo obbliga a sedersi vicino a uno stereo con l’unico compito di pigiare il tasto “play” – «Voglio che mi guardi, Iwa-chan.» gli dice, e Hajime lo odia, perché non saprebbe distogliere lo sguardo da lui nemmeno volendo.
Oikawa balla in modo perfetto, e stavolta Hajime è sicuro che lo abbia irrimediabilmente reso suo, in un modo che è troppo difficile da spiegare.
Il giorno dopo, Hajime ne è sicuro, racconteranno la stessa storia.


Nell’auditorium regna un silenzio innaturale. Il petto di Oikawa si alza e si abbassa, il respiro veloce e la pelle sudata, lo sguardo brilla bramoso di fronte al pubblico.
Iwaizumi inspira dal naso e ha le mani che gli tremano – e pensare che si sono mosse sul pianoforte con un controllo invidiabile –, gli occhi cercano Oikawa e il suo corpo si alza quasi in automatico dallo sgabello; affianca il ballerino e con lui fa un inchino, pur senza sguardi d’intesa.
In un istante le orecchie gli si riempiono di troppe cose: gli applausi, gli apprezzamenti, il mormorio sommesso di chi si è già esibito e persino della sorpresa silenziosa di chi ancora deve prendere posto sul palcoscenico. Hajime non ne è sicuro, ma crede che in mezzo a tutti quegli sguardi stupiti che si sente addosso, ci siano anche quelli a cui l’invidia non ha mai permesso di vedere il talento puro di cui Oikawa sembra brillare.
Tooru si volta a guardarlo, le labbra stirate in un sorriso estasiato, incapace di contenere tutta l’adrenalina che gli circola ancora in corpo e che quell’apprezzamento da parte del pubblico sembra aumentare ancora di più. Hajime quasi si vergogna di quello sguardo che non sa come ricambiare – ma non ha nemmeno il tempo di pensarci, Tooru che lo prende per un braccio e lo trascina via dopo un secondo inchino.
Iwaizumi incespica nei suoi piedi a un certo punto, e lo richiama più volte, ma Oikawa non lo ha quasi mai ascoltato da quando si conoscono, perché mai dovrebbe cominciare ora. Quando sono altrove – non proprio in disparte, cosa che di lì a poco Iwaizumi preferirà di certo – Tooru fruga nella propria tracolla con fare febbrile e gli piazza sotto il naso il cd dove Hajime ha inciso il brano per lui. Il pianista fissa la parola scarabocchiata là sopra e storce appena il naso; sente il calore farsi strada dal collo al viso, ma preferisce fingere che non sia così.
Il cd recita “En-core”.
«...Non si scrive nemmeno così, idiota.»
«Oh andiamo, Iwa-chan.» rimbecca lui ed è di nuovo troppo vicino, al punto che anche se Hajime volesse mantenere lo sguardo su quello stupido cd, non ci riuscirebbe; Tooru sorride a pochi centimetri dal suo viso, gli occhi fissi nei suoi, il sorriso che sta per morire sulle labbra di Iwaizumi.
«Sai una cosa, Hajime?»

 

 

 

 

…sì, finisce così *muore*
Volevo creare una sorta di “richiamo” al brano di Iwaizumi che finisce come se mancasse una nota, e con la presunta storia di Oikawa, che non viene narrata nello specifico. Se ci sono riuscita o meno non si sa XD
Lo scambio riguardo il nome sul cd è un gioco di parole. Il brano di Iwaizumi si chiama “Encore” (da cui il titolo), che sia in inglese che in francese può significare “ancora, ripetizione” (e il brano di per sé sembra avere molte ripetizioni delle stesse note, ma si può leggere anche come “errori ripetuti” ed è un riferimento a Oikawa);  en-core” è una lettura che Oikawa dà, dove “en” è un francese “in” e “core” un dialettismo inglese per “cuore”. Ne potete dedurre voi il significato *ride*
A chi ha avuto la pazienza di arrivare alla fine nonostante la mia incapacità di descrivere un ballo, un biscottino XD

   
 
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