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Autore: alcunesere    15/01/2015    6 recensioni
«Sai, forse Platone c’aveva ragione, cazzo.»
«Eh?»
«Ma si, dai! Con quella stronzata di mito sull’anima gemella!»
«Calum, zitto, sei ubriaco marcio.»
«No, no, ha ragione, porca puttana. Altrimenti non penserei ogni istante a te.»
«Cal-»
«Cazzo, che sbandata paurosa che m’hai fatto prendere.»
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calum Hood, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno fiori! :)
Scrivo qui sopra perchè ho un paio di cose da dirvi, quindiii.
Sto lavorando a questa one shot da secoli e l’ho rivoluzionata talmente tante volte che, sinceramente, non ricordo neanche più l’idea originale. Il punto è che questa è la prima volta che scrivo interamente su questo kiwi maledetto e mi sento incollate alla pelle troppe ansie, probabilmente. ’Che queste 676 parole sono così mie che quasi mi spaventano.
Ho intitolato questa os “AM” perchè i fatti raccontati accadono tutti in un periodo preciso di mattina, anche se in giorni differenti, e perchè non avrei saputo trovare un altro titolo per questa “cosa”, per dirla tutta.
Spero veramente con tutto il cuore che ciò che andrete a leggere vi piaccia almeno un po’ e - soprattutto - che il finale non vi deluda, perchè, ve lo giuro, non avrei potuto scrivere diversamente.
Mi rendo conto di aver scritto un vero e proprio poema quindi vi lascio alla lettura, augurandovi il meglio per l’anno appena iniziato! <3
Ah, ringrazio con tutto il cuore foodporv per aver creato questo banner stupendo!
Un abbraccio,
Sara





AM
 
 
 
 
e scusami se rido, dall’imbarazzo cedo
ti guardo fisso e tremo

 
 
 
 
 
Sono le sei spaccate di mattina e Calum Hood si trova già in Stroget street, perchè proprio non ce la faceva a rimanere sotto le coperte, quella mattina.
É rannicchiato a terra, le guancie arrossate per il freddo più pungente del solito, le labbra piene screpolate e le mani - così come tutto il resto - già sporche di gesso. Il busto, ora mantenuto in una posizione innaturale, è fasciato da un maglione nero che probabilmente è un po’ troppo stretto, ma chi se ne frega. Un capellino in jeans, con la visiera rigorosamente rivolta all’indietro, è ben calato sulla testa e lascia intravedere solamente un paio di ciocche scure.
Sta lavorando ad un ritratto da tre quarti d’ora, più o meno, gli occhi che si stringono in due piccole fessure quando cerca di ricordare anche il più insignificante - che poi tanto insignificante non è - particolare e le guancie che si gonfiano d’aria per tirar via la polvere colorata.
I rari passanti che percorrono di tutta fretta la strada, la ventiquattrore ben salda tra le dita intirizzite e una paura folle di fare tardi a lavoro, gli lanciano comunque qualche sguardo colmo di stupore. ’Che Calum ha sì diciannove anni - compiuti da due giorni e settanta minuti esatti, tra l’altro -, ma ha un talento quasi spaventoso.
É proprio per coltivare questa sua enorme dote che si è trasferito a Copenaghen.
E okay, la Sidney nella quale è cresciuto gli manca, ma l’arte e la cultura che si respirano nella capitale della Danimarca sono senza alcuna ombra di dubbio incomparabili. E per uno come lui, che vede già così chiaramente la sua futura Galleria, non può essere altrimenti.
E okay, magari Copenaghen gli piace anche perchè c’è Océane. Ma magari, eh.
 
 
 
«Tu sei pazzo, Hood.»
«Mh?»
«Il mio ritratto, in Stroget street. Perché l’hai fatto?»
Perché mi sei inesorabilmente entrata fin dentro le ossa.
«Così, mi andava.»
 
 
 
Calum si trova a mezzo chilometro dalla periferia del quartiere e a meno di due metri dall’appartamento di Océane.
É seduto scompostamente alla sommità della panchina dove, proprio la settimana prima, Ashton ha inciso, tanto per prenderlo per il culo, un ridicolo O+C, immediatamente seguito da un cuore bislacco.
La periferia di Stroget non gli è mai piaciuta veramente, perché lui, che è cresciuto un po’ alla cazzo, in mezzo a tutto quel lusso e a quegli sguardi altezzosi ci sta stretto.
E proprio non può fare a meno di pensare di essere un po’ inadatto, ’che Océan c’è cresciuta in mezzo a quest’altra faccia della società.
L’ha chiamata, Océane, dieci minuti prima che scoccassero le due di mattina.
Ha dovuto attendere fino al settimo squillo - perché sì, li ha contati tutti -, prima di sentire quell’accento francese che riesce a mandarlo in palla ogni volta e il suo respiro calmo contro l’apparecchio. Ha riattaccato subito, però, ’che gli si era impastata la bocca e aveva sentito una morsa terrificante allo stomaco.
E okay, avrebbe potuto dare la colpa alla canna che teneva tra l’indice e il medio, ma perché prendersi ancora in giro?
 
 
 
Sono le quattro di mattina, Océane è seduta al suo fianco e lui  ha in circolo veramente troppo alcool. E forse è proprio questo a farlo rabbrividire e balbettare, ma.
«Sai, forse Platone c’aveva ragione, cazzo.»
«Eh?»
«Ma si, dai! Con quella stronzata di mito sull’anima gemella!»
«Calum, zitto, sei ubriaco marcio.»
«No, no, ha ragione, porca puttana. Altrimenti non penserei ogni istante a te.»
«Cal-»
«Cazzo, che sbandata paurosa che m’hai fatto prendere.»
E probabilmente non ha mai fatto così bene a parlare, perché se no, sul braccio ancora bollente, mica ce le avrebbe quelle dieci cifre.
 
 
 
 
Nuovo messaggio
A: Oc
Ma ti piaccio almeno un po’?
 
Nuovo messaggio
Da: Oc
No
 
Nuovo messaggio
Da: Oc
Non prendertela, però
 
 
 
Okay Océane, okay.
Le sei di mattina e Calum ha quaranta dollari in meno nel portafoglio, una nuova macchia nera sul braccio sinistro e un buco in più nel cuore.
 
  
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