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Autore: Lady Viviana    15/01/2015    0 recensioni
"Un giorno, però, mia madre, esausta, su consiglio di un professore, mi portò da un uomo. Aveva una trentina d’anni ed era di bell’aspetto, quel genere di persona che non puoi non notare quando ti passa per strada, se sei una ragazzina. O anche una donna come mia madre. O mio padre, ma solo per invidiare i suoi successi e nasconderti per i tuoi fallimenti. Capii che voleva fregarmi, ma era simpatico, così gli rivolsi anche un paio di parole. Quando uscii, mi strinse la mano come se fossi stato un uomo e mi diede appuntamento alla settimana successiva. Tornai lì diverse volte, ma ora non so quantificarle. Alla fine, disse soltanto una parola, ma questa cambiò tutto. Sociopatico."
Viaggio all'inferno senza ritorno. Storia di un ragazzo diverso dagli altri, segnato da un destino che non gli lascia scampo. Un ragazzo duro e inflessibile, come l'ossidiana. Ma, come per la pietra, anche per lui sarà possibile scalfire la superficie e tirarne fuori delle schegge.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Schegge di ossidiana


Ad E.P.
A V., come sempre

 

Fu un attimo: la lama saettò fuori, arrivando a pochi centimetri dalla gola del ragazzino, tanto che questo iniziò a tremare, sentendo il freddo del metallo a contatto con la sua pelle. Lo fissai, lanciandogli uno sguardo minaccioso, poi, con tutta la durezza di cui ero capace, sibilai «Dammi i soldi o ti faccio molto, molto male!».
Quello, ovviamente, non se lo fece dire due volte e, messa una mano in tasca, ne estrasse qualche spicciolo e un banconota da cinque euro, che mise nel mio palmo aperto. Poi scappò via più veloce che poté.
Sul volto, senza che lo volessi, mi si dipinse un ghigno soddisfatto, mentre contavo le monetine, ma questa distrazione mi fu fatale e presto esso si trasformò in un’orribile smorfia allorché una mano mi artigliò con presa ferrea il polso. «Ti ho preso, piccolo delinquente!»
Lentamente, mi voltai, osservando con attenzione e indifferenza il poliziotto davanti a me. Poi annuii e, senza dire una parola, mi lasciai trascinare via.

~

Trafelata, come se avesse appena finito di correre, nella stanza dell’ispettore entrò una donna che, scusandosi, si accomodò sull’unica sedia libera accanto a me, rivolgendomi appena uno sguardo di rassegnazione. L’uomo dall’altra parte della scrivania ci osservò per qualche istante, probabilmente stupendosi della somiglianza che avevamo io e mia madre: stessi occhi neri come l’ebano, stessi capelli scuri come la notte, ma diverso sorriso – remissivo il suo, glaciale il mio – e poi finalmente si decise a parlare.
«Mi dispiace averla costretta a lasciare il lavoro, signora, ma, purtroppo, abbiamo di nuovo colto Pietro in flagrante. E stavolta si è trattato di un ragazzino di dieci anni. Lei capisce che non possiamo più far finta di nulla, vero?»
Lei annuì, abbassando lo sguardo, incapace di dire una sola parola. Io, invece, sostenni quello dell’ispettore, per sfidarlo.
«Questa che gli diamo è davvero l’ultima possibilità. Ormai ha 15 anni, al prossimo reato saremo costretti a prendere provvedimenti. Le è chiaro?»
«Sì, certo. Mi scusi.. mi dispiace davvero, è colpa mia. Avrei dovuto controllarlo di più. Ci scusi tanto…»
Notai che all’uomo mia madre faceva quasi compassione, probabilmente perché conosceva la nostra situazione, ma questo pensiero non dovette occupargli la mente più di un paio di attimi, perché, subito dopo, ci congedò bruscamente e noi lasciammo la stanza.

Non appena fummo abbastanza lontani dalla centrale, dalla labbra di mia madre uscì un vero e proprio fiume di parole, a tratti disperate, a tratti supplicanti, ma, più di tutto, rassegnata.
«Perché l’hai fatto di nuovo? Avevi promesso di lasciar stare i ragazzini, Pietro! Cosa devo fare con te? Devo davvero mandarti in quell’istituto di cui parla l’ispettore? Ti prego, cerca di comportarti bene. Fallo per me…»
Per tutto il tempo, avevo tenuto lo sguardo basso, concentrato sui miei passi, la solita maschera di indifferenza sul volto. Per me erano soltanto parole vuote, l’ennesima recita di una donna che giudicavo scialba, insignificante e, sicuramente, non degna della mia attenzione. Comunque, ero abbastanza intelligente da aver imparato come comportarmi con lei e, per questo, quando terminò il suo monologo, la guardai negli occhi con uno sguardo di scusa, cercando di essere  sincero.
«Scusami davvero, mamma. Io… io ci ho provato, ma i ragazzi ce l’hanno con me. Sono… cattivi. Giuro che non lo farò più.»
Lei annuì, sconsolata, illudendosi per l’ennesima volta che quella fosse la verità, poi, senza dirsi altro, ci dirigemmo verso casa.

~~

Mi chiamo Pietro, domani compirò 18 anni e, finalmente, diventerò maggiorenne. Ma quel giorno non lo vedrò mai, perché sto per morire. E lo so con la stessa certezza con cui tu sai cosa farai domattina, perché l’ho scelto io. Intendiamoci, non sono pazzo, anche se molti mi definiscono così, semplicemente non trovo senso nell’andare avanti ogni giorno per anni, sempre immersi nella stessa routine. No, io sono diverso e oggi lo dimostrerò, in questo deserto pieno del rumore degli spari. Li senti? Amici, nemici, non importa. Sono altri soldati, ma, a differenza di me, loro vogliono vivere. Mi dispiace soltanto per il mio assassino, ma è un pensiero cui non voglio dedicare più di una manciata di secondi. Lascio queste ultime righe perché il mondo possa comprendere la mia storia e capire che il mio non è un suicidio, ma il compiersi di un destino.

  
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