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Autore: Stateira    21/11/2008    3 recensioni
Raccolta di shots varie ed eventuali, a tema romantico. Parings per tutti i gusti, yaoi e non, canon caparbi e crack stratosferici.
Mi scuso per non accennare alla trama, ma una trama, disgraziatamente, non c'è.
Genere: Generale, Romantico, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
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Oil on canvas

Oil on canvas(Sasori/Deidara)

 

 

 

 

- E smetti di usare questi stupidi fili. – gracchiò all’improvviso Deidara, scrollando un braccio. – Posso muovermi da solo, lo sai? Basta che me lo chiedi. –

Sasori sollevò impercettibilmente gli occhi opachi verso il soffitto.

La luce filtrava dal lucernario in modo splendido, ma sarebbe durata ancora per poco tempo, e lui aveva appena cominciato le rifiniture sulla campitura.

- Se te lo lasciassi fare. – spiegò senza perdere la calma. – Tu ti metteresti in qualche modo contorto. –

- E’ solo perché non vuoi che mi copra. – malignò Deidara. – Sei un maniaco. –

 

La provocazione non venne accolta. Sasori continuò imperterrito a sfiorare con la punta sottile del pennello la pelle candida di Deidara, che man mano veniva emergendo e delineandosi sulla tela.

Mentre il suo modello grugniva, in disappunto per essere così barbaramente poco considerato, dopo un’ora e forse più che si trovava lì in sua balia.

 

- Levati quel broncio dalla faccia. Mi rovini il chiaroscuro. –

- Oh, al diavolo il chiaroscuro. Accidenti, che noia! –

- Perché non guardi me, Deidara? Sarebbe l’occasione buona per imparare un po’ di arte. –

 

Deidara sbarrò gli occhi per un secondo, offeso. Sasori, comunque, non pareva per niente disposto ad intavolare uno dei loro collaudati dialoghi a base di teorie artistiche ed imprecazioni. Era troppo maledettamente concentrato su ciò che stava facendo, per ispirare sentimenti di stizza.

- Comunque. – osservò, suo malgrado colpito. – Non sapevo che fossi anche un pittore. –

E rimarcò tenuemente quell’”anche”, a voler concedere alle marionette di Sasori lo status di facenti parte, in un modo o nell’altro, della nozione di arte.

Uno sguardo fugace in sua direzione. Spento, non chiaro se fosse per le sue parole, o per il semplice bisogno di attingere a qualche altro dettaglio da copiare.

Il pennello volò. Nessun dubbio, doveva stare lavorando sui suoi capelli, in quel momento.

 

- Non sono armi. – specificò, riferendosi per ovvietà al quadro. – E’ semplicemente un piacevole passatempo. Ho fatto pratica di pittura, per dipingere le mie marionette. –

- Uff, a me non piace molto dipingere. Anche se le esplosioni di colore che si vedono in certi quadri sono davvero esaltanti. –

- Sempre il solito. Io mi interesso solo di paesaggi e di ritratti. Sono i generi più nobili, quelli che catturano un singolo momento per immortalarlo. –

- Uhn. Da appendere alla parete e contemplare in eterno. – sbuffò Deidara, incrociando le braccia. – Come piace a te, insomma. –

Sasori lo fulminò.

- Ahia, ahia, lasciami andare! – piagnucolò, stretto da un impietoso filo che lo costrinse a tornare com’era prima.

 

Sasori aveva scelto una posa assolutamente classica, per quel ritratto. Dopo averci riflettuto un po’ su, Deidara aveva realizzato che era anche tipicamente femminile, e questo lo aveva irritato non poco, ma ormai era troppo tardi. Sbatté le palpebre mentre Sasori si concentrava sul margine della tela, probabilmente sulle gambe o sui piedi. Per un attimo, l’idea che Sasori stesse dipingendo delle parti di lui così insignificanti, ed allo stesso tempo intime, lo face rabbrividire.

 

- Hey, Sasori-danna. Mi annoio da morire. –

- Non è affar mio. –

- Oh, ma sentilo! E io che ti sto facendo un favore. La prossima volta, ritrai Hidan. –

- Impossibile. –

Un altro tocco lieve, picchiettato.

- Hidan non è un modello all’altezza. –

- Perché, io lo sarei? –

- Sì, tu  sì. –

Deidara sgranò gli occhi, esterrefatto.

- Fermo così. – scandì Sasori. Ed era un ordine bello e buono, quello.

Riprese a dipingere, colore sulla tela, niente più che uno schizzo in carboncino da cinque minuti a fargli da guida. La luce stava reggendo, fortunatamente, ma ciò nondimeno non c’era nemmeno un minuto da perdere.

 

- Sasori-danna. –

- Non scocciarmi, per favore. –

 

Deidara si rimise in silenzio, docile. Ma lo guardava dritto, senza più divagare, ora. Con occhi grandi, incerti.

Sulla sua pelle soffiarono alcuni spifferi che dalla finestra se ne fuggirono verso la porta chiusa, penetrandone giusto le fenditure. Li poté cogliere solo perché era un ninja, ed era nudo.

Sasori non aveva voluto nemmeno un drappo sulle anche che coprisse la sua intimità.

 

Quando gli aveva chiesto di posare per lui, Deidara aveva pensato ad uno scherzo, sul serio. Poi si era ricordato che Sasori non scherzava mai, ed aveva avuto un po’ paura.

Ma, da artista ad artista, era stato relativamente semplice farsi convincere. Obiettivamente, non gli costava nulla.

E diventare egli stesso arte era una prospettiva che lo allettava sempre, anche se questa volta non si giocava con le sue regole.

 

- Mancano gli ultimi ritocchi sulla luce. È di fondamentale importanza che adesso tu non muova un muscolo, Deidara. Mi sono spiegato? -

- Perché, fino ad ora che cos’ho fatto? – si lamentò il povero ninja biondo, sgranchendo velocemente le braccia per prepararsi alla lunga e odiosa immobilità. Non era proprio roba per lui, quella. Proprio no.

 

Nella lunga mezz’ora in cui Sasori non lo degnò che di pochissimi sguardi fulminei, Deidara cercò di distrarsi con i suoi stessi pensieri. Non ne venne fuori granché, eccetto gongolanti considerazioni sulla maestosità di certe esplosioni molto riuscite degli ultimi tempi, e qualche fugace riflessione su Sasori, su niente in particolare di lui, solo, l’idea in sé che stesse lavorando ad un suo ritratto.

Era pieno di significati, questo fatto, Deidara ne era sicuro. Doveva per forza averne, ed averne un milione, solo che era difficile in modo assurdo tentare di addentrarsi in quella ragnatela senza uscirne a pezzi.

Bastava prendere ad esempio la nudità. Eh sì, era terribilmente indicativo che Sasori lo avesse voluto nudo. Lo aveva spogliato di qualsiasi simbolo dell’Akatsuki per farne niente più che un corpo, con la sua storia e le sue piccole cicatrici che, una volta prive dei vestiti, oltre a perdere il loro rifugio, perdevano anche il loro senso d’essere.

E poi, Sasori-danna un corpo non ce l’aveva. Non più. E chissà da quanto tempo non ne vedeva uno, se si eccettuavano quelli che usava per i suoi giocattoli, e che finivano trasformati in pochi istanti in burattini. Forse, pensò, forse Sasori aveva solo avuto voglia di vedere un corpo umano. Di osservare la pelle viva che reagisce agli stimoli esterni, di studiare i tanti, impercettibili movimenti di tutta quella miriade di muscoli chiamata in causa dal semplice fatto di vivere. Alcune delle sue marionette avevano delle strane forme, ma la più importante, quella che Sasori chiamava “sé stesso”, era perfettamente umana nell’aspetto, e questo particolare non poteva lasciare dubbi: Sasori amava il corpo umano, doveva amarlo moltissimo. Dopotutto, era un artista.

Improvvisamente si ritrovò a provare nei confronti del suo compagno un’empatia inedita. Era come se si fosse improvvisamente, stupidamente accorto di un filo rosso che scorreva molto al di sotto degli screzi superficiali fra loro, tenendoli uniti l’uno all’altro con forza, anche molto oltre il necessario.

 

- Ho finito. – proclamò Sasori, svogliatamente.

- Davvero? Finalm… -

- I colori non sono ancora al massimo della resa, visto che dovranno asciugarsi. -

- Ma posso vederlo, vero? -

- Puoi vederlo. -

 

Deidara corse da lui, ancora nudo e completamente dimentico di esserlo.

Sasori si scostò dalla tela con qualche vaga, incomprensibile reticenza, mentre lui vi si accucciava sopra per scrutarla.

 

Dal lungo lavoro di posa, di studio della luce, di estenuante concentrazione, ne era venuto fuori un giovane annoiato, rilucente, dal sorriso molle. Il suo corpo sdraiato era mosso da un candore assolutamente ambiguo; le curve del busto, era chiaro, erano state accentuate, ma non tanto da rendere meno maschile il suo corpo glabro, che si esponeva senza censure, persino con pigra civetteria allo sguardo dello spettatore. Gli occhi, entrambi azzurri, entrambi liberi, fiammeggiavano, come se avessero voluto impadronirsi di tutta l’attenzione, anzi di più, del mondo intero, mentre le mani, accoccolate sul materasso per sostenere il corpo, avevano il morbido nervosismo delle zampe dei felini. I piedi, poi, quei piedi così insignificanti ed intimi, erano piccoli e in qualche modo deliziosi, tuffati com’erano fra le pieghe del lenzuolo scostato, nemmeno fossero stati loro la sola cosa da celare a sguardi indiscreti.

Deidara singhiozzò, incredulo.

Era così, che Sasori lo vedeva?

Era questo che pensava di lui?

Il sé stesso di quel ritratto era bellissimo, molto più di quanto lui non fosse in realtà, ne era certo.

Sprigionava una sottile ma imprescindibile carnalità, come se chi l’aveva dipinto lo avesse plasmato a mani nude più che con il pennello, usando ogni gesto per toccarlo, accarezzarlo.

L’immagine che Sasori aveva immortalato, era quella di un Deidara inequivocabilmente suo.

 

- Un giorno. – mormorò, atono. – Farò di te la mia bambola più bella. –

- Cos…? -

- Mi dispiace. –

 

 

 

 

 

ANGOLINO!

 

 

Nota: il titolo è la dicitura inglese per “olio su tela”. Quella che normalmente trovate sui cartellini dei musei, per capirci.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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