PAURA
BIANCA
Scrivere
è spiccare il volo pur restando fermi,
sciogliere le briglie alla fantasia
immaginando posti nuovi,
giorni nuovi, mondi nuovi, in assoluta libertà.
Ecco,
scrivere è libertà.
Si
svegliò così, di soprassalto, sopra un letto duro
con lenzuola bianche.
Tutto
intorno a lui era bianco, muri, finestre, anche il mobilio scarno ed
essenziale: letto, sedia, scrivania.
Mancava
una porta, la porta da cui doveva essere entrato, la porta da cui
sarebbe
dovuto uscire, esistevano però delle finestre, con delle
inferriate, bianche
anch’esse e un quaderno ed una penna, abbandonati sulla
scrivania,
rigorosamente bianchi, estremamente pesanti.
Era uno scrittore?
Non
lo sapeva, non sapeva nulla di lui, non sapeva nulla del “di
fuori”.
Non
ricordava nemmeno il suo nome, era come se lui fosse nato in
quell’istante, in
quella stanza vuota e bianca, una forza però lo spingeva
verso quella carta,
quell’inchiostro scuro, come una forza sovrumana, come un
richiamo potente,
come un bisogno intrinseco e fisiologico che non l’avrebbe
mai abbandonato se
non dopo averlo colmato.
Così
si alzò da quel letto e si diresse verso la sedia, si
sedette e notò di essere
vestito interamente in bianco.
Si
lasciò sfuggire un mezzo sorriso, che stava a significare
“e come poteva essere
altrimenti?”.
Afferrò
la penna e le parole cominciarono a scivolare via, un po’
come il respiro o le lacrime
dopo un lungo e forte dispiacere.
Il bianco mi avvolge, come
una fredda e sterile coperta d’ospedale.
Ho mai visitato un
ospedale?
Non lo so, non so nulla,
ma so che in ospedale fa freddo, freddo dentro, un po’ come
il bianco che
adesso mi avvolge, o forse sconvolge.
Il bianco è inquietudine,
anche se tutti dicono che è puro.
Tutti chi?
Non so, ma è una leggera
percezione della mia vita al di fuori di qui che mi suggerisce questa
ferma
consapevolezza.
Il bianco è inquietudine,
perché nulla c’è di puro al mondo, il
mondo è caos, un caos infernale, un nero
denso che entra dentro, che addirittura cresce dentro e si ramifica al
di fuori
fino ad allacciarsi all’esterno, a qualcun altro.
Ma qui dentro… dentro
questa stanza essenziale c’è solo il bianco, il
bianco falso che cerca di
convincermi che questa sia normalità, ma la
normalità è rumorosa.
Altra piccola
consapevolezza interiore che mi porto dalla mia vita al di fuori.
La normalità, cosa sarà
mai, in fondo?
Potrebbe essere questa la
normalità, potrebbe essere questo bianco il centro di tutto.
Ma no, il bianco è
inganno, inganno spregiudicato e affabile che cerca di convincermi che
questo
sia ciò che di più consueto esista, ma le
sensazioni che mi legano al di fuori,
a ciò che le sbarre alle finestre mi lasciano intravedere,
sono più forti.
Io so che questa non è la
normalità.
Io so che il bianco non è
la normalità.
Il bianco è freddo, muto,
statico.
Il bianco non cambia, mai!
Resta lì, a farti
impazzire, a tenerti lontano da ogni cosa, quasi anche da te stesso.
E il me stesso che era
fuori dov’è?
Chi è? Dovrei chiedermi.
Ma il bianco è come se
anestetizzasse la mia memoria, come se mi impedisse di ripescare dalla
mente
tutto ciò che sarebbe il mio passato.
Ho una moglie?
Ho dei figli?
Un lavoro?
Una casa?
Da quanto tempo sono qui?
Anni?
Mesi?
Giorni?
Potrebbero anche essere
degli attimi, sarebbe comunque uguale.
Lo stallo in cui mi trovo
mi porta a non comprendere le condizioni dello spazio tempo.
È giorno, solo questo
riesco a comprendere, per il resto il nulla mi sorprende.
Perché il bianco è come se
tramutasse tutto ciò che lo circonda in nulla, un nulla
carico di angoscia,
l’angoscia dell’attesa, dell’ignoto,
della paura.
Quante cose mi sono perso
per il mondo?
Non lo so.
Non lo saprò.
So che mi piace quello che
sto facendo.
Mi piace il suono della
sfera che scorre su questo foglio totalmente bianco.
Mi piace l’inchiostro
nero, unica fonte di colore in questa stanza troppo tranquilla, troppo
silenziosa, troppo candida, troppo bianca… è come
se fosse finta, come se ci
fosse una sorta di quiete
prima della
tempesta e da un momento all’altro dovesse scatenarsi
l’inferno, pronto a fare
piazza pulita di ogni cosa.
Mi piace questa scrittura
ordinaria che riempie la stanza, come mi piacciono, in questa veste, i
miei
pensieri che prendono forma.
Il contorto che diventa
razionalità sopra una superficie ruvida.
Potrei urlare e agevolare
la follia che il bianco invita, anche se la follia potrebbe essere
già
arrivata.
Se così fosse, sarebbe una
delle beffe più grandi della mia vita: combattere la follia
pur essendo folle,
ma può un folle essere tanto razionale, tanto da chiedersi
se davvero è folle?
No, non sono pazzo, ne
sono certo.
Forse lo sarei già
diventato se non avessi avuto a disposizione questo quaderno e questa
penna, il
bianco innesca la follia, ma il nero dell’inchiostro la frena.
È l’antidoto
al peggiore dei veleni.
È la salvezza di una mente
che cerca un luogo in cui accasciarsi e darsi pace.
Non so chi sono,ma so con
chi sono.
Sono con me, il me stesso
che si perde in un foglio ma che non è in grado di
ritrovarsi senza il medesimo
foglio.
Sono in compagnia del me
stesso che sorride mentre scrive e che, in maniera del tutto insolita,
riesce a
non perdersi mentre il bianco che mi circonda sembra chiamarmi a
sé per
imprigionarmi.
Perché questo foglio e
questa penna sembrano alleviare i fastidi e le paure di una stanza
chiusa.
Quest’inchiostro sembra
avermi dato un solido appiglio per non sprofondare nei meandri della
mia mente,
così da immergermi in essa per poi uscirne, comunque, illeso
e vincitore.
Questa passione, che sento
innata in me, mi sta salvando.
Scrivere mi sta salvando
da me e dalla perdita di me stesso.
Queste parole, questi
pensieri mi proteggono da quel caotico e confusionario luogo che
è la mia
mente, queste righe ordinate e questo inchiostro dall’odore
pungente, mi stanno
mantenendo qui, in questa stanza.
Sono salvo.
Finché ci sarà qualcosa
che mi permetterà di scrivere, sarò salvo.
Poggiò
la penna sopra il foglio e si mise a fissare il soffitto, sorridendo.
Adesso
senza più paura.
Adesso
senza più timore.
Aveva
se stesso e tanto bastava a mantenerlo tranquillo.
Se siete giunti
fin qui, vuol dire che il racconto non vi ha poi fatto troppo schifo,
mi fa piacere.
Come
precedentemente h detto: il racconto è frutto di un progetto
in cui più
scrittori – giovani e non, emergenti e non – hanno
deciso di cimentarsi,
insieme. Il filo conduttore che fa da perno ai 100 racconti presenti
(tra cui
il mio, sì mi sto facendo pubblicità
>.<) è, appunto, l’ignoto.
Il
risveglio. Un luogo
sconosciuto. Carta e penna. Come reagiremmo se ci risvegliassimo in un
ambiente
dai contorni sfumati dalla conoscenza? Questa è la domanda
che si sono posti
gli autori dei 100 racconti che compongono il volume. I protagonisti di
tutti
gli scritti hanno fra le mani solo un quaderno dove imprimere con forza
una
realtà impossibile da comunicare in altro modo. Saranno in
grado di salvarsi?
Di sfruttare al meglio ciò che la vita ha concesso loro?
Qualora vi venisse la malsana voglia di leggere gli altri racconti, la raccolta è acquistabile qui: L’ombra dell’Ignoto.
A presto, Cinzia.