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Autore: Cinzia N Spurce    17/01/2015    0 recensioni
Racconto partecipante al progetto "L'Ombra dell'Ignoto" indetto dalla pagina facebook "Roba da Scrittori", nel 2012.
Una stanza chiusa, il bianco, un foglio e una penna e l'estenuante rumore del silenzio a fare da sottofondo.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Prima di lasciarvi alla lettura di questo piccolo racconto senza pretese ho la necessità di farvi una premessa: Paura Bianca nasce nel 2012 come racconto partecipante ad un progetto, L’ombra dell’Ignoto, indetto dalla pagina facebook “Roba da Scrittori”. Al progetto partecipammo in tanti, tanto da raccogliere i racconti in un volume e procedere all’auto-pubblicazione, tutti insieme. Il titolo è appunto: L’ombra dell’Ignoto. Vi auguro buona  lettura.


PAURA BIANCA

Scrivere è spiccare il volo pur restando fermi, 
sciogliere le briglie alla fantasia immaginando posti nuovi,
giorni nuovi, mondi nuovi, in assoluta libertà.
Ecco, scrivere è libertà.

 

Si svegliò così, di soprassalto, sopra un letto duro con lenzuola bianche.
Tutto intorno a lui era bianco, muri, finestre, anche il mobilio scarno ed essenziale: letto, sedia, scrivania.
Mancava una porta, la porta da cui doveva essere entrato, la porta da cui sarebbe dovuto uscire, esistevano però delle finestre, con delle inferriate, bianche anch’esse e un quaderno ed una penna, abbandonati sulla scrivania, rigorosamente bianchi, estremamente pesanti.
Era uno scrittore?                                                   
Non lo sapeva, non sapeva nulla di lui, non sapeva nulla del “di fuori”.
Non ricordava nemmeno il suo nome, era come se lui fosse nato in quell’istante, in quella stanza vuota e bianca, una forza però lo spingeva verso quella carta, quell’inchiostro scuro, come una forza sovrumana, come un richiamo potente, come un bisogno intrinseco e fisiologico che non l’avrebbe mai abbandonato se non dopo averlo colmato.
Così si alzò da quel letto e si diresse verso la sedia, si sedette e notò di essere vestito interamente in bianco.
Si lasciò sfuggire un mezzo sorriso, che stava a significare “e come poteva essere altrimenti?”.
Afferrò la penna e le parole cominciarono a scivolare via, un po’ come il respiro o le lacrime dopo un lungo e forte dispiacere.

 
Il bianco mi avvolge, come una fredda e sterile coperta d’ospedale.
Ho mai visitato un ospedale?
Non lo so, non so nulla, ma so che in ospedale fa freddo, freddo dentro, un po’ come il bianco che adesso mi avvolge, o forse sconvolge.
Il bianco è inquietudine, anche se tutti dicono che è puro.
Tutti chi?
Non so, ma è una leggera percezione della mia vita al di fuori di qui che mi suggerisce questa ferma consapevolezza.
Il bianco è inquietudine, perché nulla c’è di puro al mondo, il mondo è caos, un caos infernale, un nero denso che entra dentro, che addirittura cresce dentro e si ramifica al di fuori fino ad allacciarsi all’esterno, a qualcun altro.
Ma qui dentro… dentro questa stanza essenziale c’è solo il bianco, il bianco falso che cerca di convincermi che questa sia normalità, ma la normalità è rumorosa.
Altra piccola consapevolezza interiore che mi porto dalla mia vita al di fuori.
La normalità, cosa sarà mai, in fondo?
Potrebbe essere questa la normalità, potrebbe essere questo bianco il centro di tutto.
Ma no, il bianco è inganno, inganno spregiudicato e affabile che cerca di convincermi che questo sia ciò che di più consueto esista, ma le sensazioni che mi legano al di fuori, a ciò che le sbarre alle finestre mi lasciano intravedere, sono più forti.
Io so che questa non è la normalità.
Io so che il bianco non è la normalità.
Il bianco è freddo, muto, statico.
Il bianco non cambia, mai!
Resta lì, a farti impazzire, a tenerti lontano da ogni cosa, quasi anche da te stesso.
E il me stesso che era fuori dov’è?
Chi è? Dovrei chiedermi.
Ma il bianco è come se anestetizzasse la mia memoria, come se mi impedisse di ripescare dalla mente tutto ciò che sarebbe il mio passato.
Ho una moglie?
Ho dei figli?
Un lavoro?
Una casa?
Da quanto tempo sono qui?
Anni?
Mesi?
Giorni?
Potrebbero anche essere degli attimi, sarebbe comunque uguale.
Lo stallo in cui mi trovo mi porta a non comprendere le condizioni dello spazio tempo.
È giorno, solo questo riesco a comprendere, per il resto il nulla mi sorprende.
Perché il bianco è come se tramutasse tutto ciò che lo circonda in nulla, un nulla carico di angoscia, l’angoscia dell’attesa, dell’ignoto, della paura.
Quante cose mi sono perso per il mondo?
Non lo so.
Non lo saprò.
So che mi piace quello che sto facendo.
Mi piace il suono della sfera che scorre su questo foglio totalmente bianco.
Mi piace l’inchiostro nero, unica fonte di colore in questa stanza troppo tranquilla, troppo silenziosa, troppo candida, troppo bianca… è come se fosse finta, come se ci fosse una sorta di  quiete prima della tempesta e da un momento all’altro dovesse scatenarsi l’inferno, pronto a fare piazza pulita di ogni cosa.
Mi piace questa scrittura ordinaria che riempie la stanza, come mi piacciono, in questa veste, i miei pensieri che prendono forma.
Il contorto che diventa razionalità sopra una superficie ruvida.
Potrei urlare e agevolare la follia che il bianco invita, anche se la follia potrebbe essere già arrivata.
Se così fosse, sarebbe una delle beffe più grandi della mia vita: combattere la follia pur essendo folle, ma può un folle essere tanto razionale, tanto da chiedersi se davvero è folle?
No, non sono pazzo, ne sono certo.
Forse lo sarei già diventato se non avessi avuto a disposizione questo quaderno e questa penna, il bianco innesca la follia, ma il nero dell’inchiostro la frena.
È  l’antidoto al peggiore dei veleni.
È la salvezza di una mente che cerca un luogo in cui accasciarsi e darsi pace.
Non so chi sono,ma so con chi sono.
Sono con me, il me stesso che si perde in un foglio ma che non è in grado di ritrovarsi senza il medesimo foglio.
Sono in compagnia del me stesso che sorride mentre scrive e che, in maniera del tutto insolita, riesce a non perdersi mentre il bianco che mi circonda sembra chiamarmi a sé per imprigionarmi.
Perché questo foglio e questa penna sembrano alleviare i fastidi e le paure di una stanza chiusa.
Quest’inchiostro sembra avermi dato un solido appiglio per non sprofondare nei meandri della mia mente, così da immergermi in essa per poi uscirne, comunque, illeso e vincitore.
Questa passione, che sento innata in me, mi sta salvando.
Scrivere mi sta salvando da me e dalla perdita di me stesso.
Queste parole, questi pensieri mi proteggono da quel caotico e confusionario luogo che è la mia mente, queste righe ordinate e questo inchiostro dall’odore pungente, mi stanno mantenendo qui, in questa stanza.
Sono salvo.
Finché ci sarà qualcosa che mi permetterà di scrivere, sarò salvo.

 
Poggiò la penna sopra il foglio e si mise a fissare il soffitto, sorridendo.
Adesso senza più paura.
Adesso senza più timore.
Aveva se stesso e tanto bastava a mantenerlo tranquillo.

FINE

Se siete giunti fin qui, vuol dire che il racconto non vi ha poi fatto troppo schifo, mi fa piacere.
Come precedentemente h detto: il racconto è frutto di un progetto in cui più scrittori – giovani e non, emergenti e non – hanno deciso di cimentarsi, insieme. Il filo conduttore che fa da perno ai 100 racconti presenti (tra cui il mio, sì mi sto facendo pubblicità >.<) è, appunto, l’ignoto. 

Il risveglio. Un luogo sconosciuto. Carta e penna. Come reagiremmo se ci risvegliassimo in un ambiente dai contorni sfumati dalla conoscenza? Questa è la domanda che si sono posti gli autori dei 100 racconti che compongono il volume. I protagonisti di tutti gli scritti hanno fra le mani solo un quaderno dove imprimere con forza una realtà impossibile da comunicare in altro modo. Saranno in grado di salvarsi? Di sfruttare al meglio ciò che la vita ha concesso loro?


Qualora vi venisse la malsana voglia di leggere gli altri racconti, la raccolta è acquistabile qui: L’ombra dell’Ignoto. Vi ringrazio. Se mai qualcuno volesse rintracciarmi in qualche modo trovate tutti i miei contatti alla pagina autrice.
A presto, Cinzia.
   
 
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