Serie TV > Downton Abbey
Ricorda la storia  |      
Autore: Adeia Di Elferas    17/01/2015    3 recensioni
La vita di Edith è stata costellata da grandi e piccoli dolori che l'hanno travolta come macigni. Ora si trova di fronte ad una delle più grandi prove della sua vita e, nel cercare di superarla, la sua mente ritorna a tutti coloro che, negli anni, l'hanno lasciata...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edith Crawley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Upstairs & Downstairs Abbey'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Image and video hosting by TinyPic 
~~
 “Non staremo via molto.” Ecco cosa le aveva detto Patrick, l'ultima volta che si erano visti. Le aveva assicurato che sarebbe stato un viaggio breve e che al più presto si sarebbero rivisti.
 Non era stato così.
 Patrick aveva preso un'altra nave, aveva preso quel maledetto transatlantico, quel Titanic che aveva fatto parlare di sé in tutto il mondo.
 E non era più tornato.
 “Non staremo via molto.” così le aveva detta. Edith credeva che fosse una promessa scontata, ed invece non l'aveva mai più rivisto. Il mare non aveva dato nemmeno un corpo da seppellire. L'aveva inghiottito tra i suoi flutti gelidi per sempre.
 Per sempre.
 Così come avrebbe dovuto essere il suo matrimonio con Sir Anthony Strallan: per sempre. E invece non era nemmeno iniziato. Lui ci aveva ripensato, proprio all'ultimo, proprio quando ormai la felicità sembrava a portata di mano. Bastava sporgersi un po', stare in punta di piedi, e la si sarebbe potuta toccare con un dito, e invece... Era volato via tutto, spazzato nel vento da poche semplici parole: “Non posso farlo.”
 Sir Anthony aveva ceduto proprio all'ultimo, dandole un dolore immenso, inferendole un colpo dal quale non si sarebbe mai più ripresa.
 Ogni tanto ancora si svegliava in piena notte, tremante, scossa, con una sola immagine nella mente: se stessa, vestita di bianco, da sola all'altare, incapace di muoversi, piangere o reagire in qualche modo.
 E poi c'era stato Michael Gregson. Anche lui le aveva detto che sarebbe tornato presto. “Appena ho sistemato tutto, ritornerò da te.” le aveva detto.
 L'ennesima promessa disattesa.
 Non l'aveva più visto, ormai erano passati mesi e di lui non aveva notizie, se non qualche sconfortante ipotesi.
 Con lui non aveva avuto l'ingenuo attaccamento che aveva provato per Patrick, né la feroce voglia di un matrimonio tranquillo come era successo con Strallan. Con lui era stata una cosa completamente diversa, ma il finale era stato simile ai finali precedenti. Era come se una stella malevola la tenesse costantemente sott'occhio, decisa a precluderle ogni tipo di felicità...
 “Spingete, ora, signora...” le disse la levatrice, interrompendo i suoi pensieri. Edith spinse con tutta la forza che aveva in corpo e per poco non si mise a gridare. Non voleva gridare come un vitello sgozzato, era una Lady, doveva mantenere il decoro...
 “Avanti, ci sei quasi...” stava dicendo zia Rosamund, mentre le accarezzava lentamente la fronte bagnata di sudore. Edith ancora non credeva possibile che sua zia fosse davvero lì, nella stanza con lei che stava dando alla luce una creatura nata da una relazione che nessuno avrebbe mai approvato nel suo mondo.
 Rosamund, pur con un'espressione di terrore e disgusto, aveva insistito ed era rimasta al suo fianco. Anche ora, che erano al momento cruciale, la zia non si muoveva di un centimetro, cercando di infondere nella nipote un pizzico di coraggio in più.
 “Spingete, ancora...!” la incitò la levatrice, concitata, mentre sul suo volto si formava una ruga dovuta alla concentrazione del momento.
 Mentre il dolore fisico lacerava Edith, che mai avrebbe creduto potesse esistere qualcosa di simile, il dolore spirituale tornò a tormentarla.
 Davanti agli occhi, malgrado le palpebre chiuse, rivide in un istante la sua amata sorella minore, Sybil. Si ricordò della preoccupazione che aveva accompagnato il suo parto. Si ricordò il primo momento in cui aveva visto la sua nipotina, il modo in cui Sybil, ancora stremata dal travaglio, aveva stretto a sé la piccola...
 E poi si ricordò dei momenti di sollievo che seguirono alla nascita della bambina, i sorrisi, i brindisi, la sincera aurea di pace e beatitudine che era scesa su tutti loro.
 E poi c'erano stati i pianti, le urla, l'incredulità e anche Sybil se n'era andata.
 Così come se n'era andato Matthew, l'unico della famiglia che sembrava non disprezzarla, l'unico che non l'allontanava, l'unico che credeva in lei e che aveva cercato di sostenerla nella sua nuova carriera da giornalista...
 E mentre nella sua memoria i vividi occhi di Matthew la guardavano con la loro espressione pacata, ma intensa, le scappò un urlo.
 “Ci siamo, signora! Un ultimo sforzo!” urlò la levatrice, alzando la voce per sovrastare le urla di Edith che ormai coprivano qualsiasi altro suono.
 Edith sentì le mani di zia Rosamund stringere la sua, e poi staccarsi di colpo. A fatica aprì gli occhi e vide che sua zia teneva le dita premute sulle labbra, gli occhi spalancati rivolti all'ostetrica. Non aveva parole e la sua espressione era indecifrabile.
 “Zia...?” disse Edith, con voce roca e affannosa. La levatrice, intanto, stava tagliando qualcosa e poi prendendo in braccio qualcos'altro...
 Un piantolino sottile sottile comunicò a tutti che in quella stanza c'era qualcuno in più.
 “Volete vedere?” chiese l'ostetrica, con un sorriso soddisfatto. Edith dapprima scoppiò in lacrime, scuotendo il capo, ma poi cedette: “Sì.”
 La levatrice, allora, si mosse verso la testa del letto: “Eccoci qui... Si tratta di una bellissima bambina.”
 Edith guardò il viso arrossato ed interrogativo della piccola e le sue minuscole mani che cercavano di afferrare l'aria. Aveva gli occhi chiari e cercava di sorridere o forse di fare una smorfia...
 Edith non sapeva cosa fare o cosa dire. Era stanca, triste e felice tutt'insieme. In cerca di aiuto guardò verso zia Rosamund, che però non si accorse della tacita richiesta della nipote. La donna stava fissando la neonata con le lacrime che scendevano sulle guance e le labbra strette, come le mani allacciate in grembo.
 Vedendo che Edith non accennava a prendere con sé la bambina, la levatrice disse: “Va bene... Ora l'infermiera la laverà, mentre noi aspettiamo la placenta.” e così dicendo passò con estrema cura la neonata all'infermiera che era scattata in avanti come un soldato.
 Rosamund ricominciò ad accarezzare la fronte di Edith: “Sei stata bravissima, piccola mia...” le disse, con la voce strozzata: “Davvero bravissima...”
 Abbandonandosi ad un momento di torpore, Edith ripensò una volta di più a tutti quelli che se n'erano andati, per sempre o per scelta e si rese conto che presto l'avrebbe fatto anche lei.
 Sua figlia non avrebbe serbato ricordo di lei, l'aveva deciso da tempo. La vita di quella povera bambina sarebbe cominciata nel modo peggiore, con un abbandono. Tutta la vita di Edith era stata costellata da abbandoni. Anche la nuova arrivata ci avrebbe fatto il callo, con il tempo...
 Forse sarebbe stato più semplice per la bambina che per lei. Glielo doveva, però. Non avrebbe avuto una vita agevole, se fosse stata presentata come la figlia illegittima di un giornalista scomparso e di una lady dello Yorkshire...
 Sì, doveva lasciarla in Svizzera. Era l'unica cosa che poteva fare per lei, ormai. Era un ultimo sforzo che doveva fare, per il bene di sua figlia...
 Ricominciando a piangere in silenzio, Edith chiuse gli occhi, nella speranza che tutto – il dolore, la stanchezza, la consapevolezza di quello che le stava accadendo – finisse in fretta, molto in fretta...
Image and video hosting by TinyPic
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Downton Abbey / Vai alla pagina dell'autore: Adeia Di Elferas