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Autore: _Arya    17/01/2015    2 recensioni
[OS vincitrice del 2° contest dal titolo "La pirateria NON è un reato", indetto dal gruppo “Klaroline and Klaus Fanfiction addiced” su facebook]
Era una pessima idea, ma la paura che mi strattonasse e mi gettasse ancora in quella stanza buia, fu più forte. Spinta dai modi bruschi che avevo visto possedevano i pirati, sguainai la spada, puntandogliela contro.
< Siete sicura di saperla maneggiare? >, mi domandò tra l’incuriosito e il beffardo, senza sollevare gli occhi su di me, continuando ad osservare la mappa.
A quell’accenno di ironia, come unica risposta a quella domanda, inclinai la testa di lato e con un sorriso e un passo verso di lui, mossi veloce la lama, procurando un graffio alla manica della maglia larga, strappandola.
< Questa era nuova >, disse lui, facendo svanire quel sorrisino e guardando il graffio nella camicia e poi me, < ma se proprio avete intenzione di sfidarmi con quel bel faccino >.
Si mosse veloce, troppo veloce per difendermi in qualsiasi modo. Avvertii la sua mano scivolare improvvisa sulla mia, su quella che impugnava l’elsa della spada, e con un piccolo movimento rapido, mi ritrovai con la lama che sfiorava la mia gola.
[Secondo capitolo: os in Pov Klaus].
Genere: Dark, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline Forbes, Klaus
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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  Il tintinnare continuo di chiavi, provocato dall’ondeggiare della nave, si intrecciava al lento russare dei pirati. Il suono rauco strisciava oltre le pareti legnose di una porta, accompagnato dal cigolio dell’imbarcazione, che echeggiò nel corridoio, lungo e stretto, illuminato dalle deboli fiammelle delle lampade ad olio.
Quella sera avevo decisamente superato i limiti. Con fervore e lingua velenosa, avevo ardito obbiettare gli ordini impartitimi dal capitano del veliero sul quale mi ero ritrovata. Massaggiandomi distratta il polso, ricordai la sua stretta salda e forte, i suoi occhi ridotti ad un’unica linea, quell’aria pericolosa che minacciava di assalirmi. Avevo osato sfidarlo con sguardo e parole, davanti alla sua ciurma, sulla sua nave, e lui, furioso, aveva dato ordine di lasciarmi senza cena, segregandomi in una stanzetta buia e fredda.
Adesso, spinta dalla fame e da una sottile inquietudine, avevo abbandonato il mio posto sicuro alla ricerca di qualcosa che potesse conciliarle fame e sonno. Ad intraprendere quella fuga furtiva, mi aveva incoraggiata il silenzio che avvertivo oltre la porta del mio piccolo abitacolo. Immettendomi nel corridoio, il mio coraggio era vacillato per via del buio e del suono cigolante, tanto tetro da mettermi in soggezione. Stavo cercando di fare il meno rumore possibile, ma nella tranquillità in cui l’interno del vascello era immerso, un gorgoglio rumoroso mi gettò totalmente nel panico. Mordendomi il labbro inferiore, portai le mie mani a coprire la pancia, mentre un'altra imprecazione poco velata partì verso il capitano di quella nave e di quei suoi modi scontrosi. Prendendo un respiro per cercare di sostituire coraggio alla sensazione della fame, all’ennesimo corridoio stretto, mi arresi all’idea di essermi persa. Avvertendo un sottile strato di sudore imperlarmi la fronte, cercai di calmarmi per ritrovare la giusta strada per il mio posto sicuro.
Ad un tratto, da una porta in fondo al corridoio di quel piano della nave, una luce rosata catturò l’attenzione della coda dell’occhio, iniziando al col tempo a stuzzicare la mia parte curiosa. A piccola passi, scoprendo che l’interesse aveva preso il sopravvento, mi diressi verso quella luce.  Sbirciando dentro la stanza, dove in essa sorgevano due colonne in legno, notai che era vuota. Per qualche secondo, i miei occhi rimasero incantati nel cogliere alcuni oggetti che non avevo mai visto, provenienti da chissà quale parte del mondo. Entrando nella stanza e iniziando a vagare in questa come una bambina curiosa, mi avvicinai ad un tavolo, dove sulla sua superficie vi era aperta e stesa una mappa raffigurante il Nuovo e Vecchio Mondo. Sul lato più alto, a sinistra, vi era disegnata una rosa dei venti. La mia mano scivolò curiosa su quelle terre sconosciute e mai viste, quando le dita si arrestarono su una piccola scritta: New Orleans. Era lì che ero nata, era lì che dovevo tornare. I ricordi della notte della tempesta che aveva sorpreso la nave diretta in Inghilterra e sulla quale mi trovavo, arrivarono prepotenti, improvvisi come l’acqua che si era abbattuta su di noi, aizzandoci contro l’oceano.
Alle luce delle candele, un nuovo riflesso catturò l’interesse dei miei occhi. Alzando lo sguardo nella direzione dello scintillio, incuriosita, mi ritrovai a socchiudere la bocca: all’angolo più estremo del grande tavolo, da sotto un panno rosso, si intravedeva un piccolo scrigno. Era aperto. Quel poco che si riusciva a scorgere, bastò per dimenticare i ricordi del naufragio di non più di quattro giorni addietro. Nel piccolo scrigno, vi erano custodite pietre di ogni colore e gioielli, alcuni incastonati con pietre dalle schegge brillanti, altri in semplice oro.
Avvicinandomi, scostando il panno leggero, una luce prese a brillare ai miei occhi. Con mano tremante, raccolsi una pietra rossa. Rimasi sorpresa nel constatare che pesava pressoché nulla, intanto che la luce fievole delle candele generava sulla superficie levigata della pietra giochi di luce, che soggiogarono per un momento i miei occhi. Rigirandola tra le mani, la studiai, cogliendo in essa sfumature nuove ogniqualvolta che cambiavo la gradazione della pietra nella mia mano.
 < Vi piace? >
A quella voce calda e vellutata, cogliendomi alla sprovvista, la pietra scivolò dalle mie mani, cadendo per terra con un tonfo secco, attutito da un tappeto dai mille ricami. Voltandomi di scatto, spalancando gli occhi e chiudendo le mani a pugno, davanti a me vi era un uomo seduto su una poltroncina. I lineamenti del volto erano in ombra, ma la maglia bianca svettava su un paio di pantaloni scuri, dove a dividere i due indumenti vi era una cintura nera e spessa. L’orlo degli stivali neri si perdeva a contatto con i pantaloni del medesimo colore.
Cogliendo nel volto dell’uomo un accenno di sorriso, il sollievo che mi pervase nel costatare che non si trattava del capitano, mi fece sospirare di sollievo.
< Presumo che sia rubata >, debuttai, inginocchiandomi per raccogliere la pietra e riporla nel mucchio delle altre con disinteresse. < Quindi no, ai miei occhi perde tutto il suo fascino >.
< Dipende dai punti di vista, Miss >, controbatté l’uomo, alzandosi e portando le mani dietro la schiena, muovendo un passo verso di me ed esponendosi alla luce delle candele.
Le parole che stavano per ribattere pungenti, svanirono. La sicurezza che la mia voce trasmetteva e quell’aria vagamente saccente che assunsi, vacillò. I capelli corti del pirata che mi fronteggiava erano dorati al chiarore diffuso della stanza. Gli occhi apparivano due pozzi limpidi, nonostante non riuscissi ad identificare con precisione il loro colore. I profili del volto e quel mezzo sorriso disegnato su di esso, gli conferiva un’aria affascinante e allo stesso tempo arrogante. Metabolizzando la sua figura, avvertii invadermi una strana sensazione, come se qualche fiamma calda avesse iniziato ad attrarmi al suo calore.
Ma era un pirata e come tale non potevo trovarlo affascinante.
< Se il punto di vista è il vostro, quello di un fuori legge e assassino, permettetemi di dire che la pietra che si trova nel mio giardino ha più valore >, dissi, soddisfatta della mia risposta.
Il volto del pirata si fece serio, ma ai suoi occhi sfuggì un lampo di divertimento.
< È questa vostra tendenza a non rimanere al vostro posto che vi ha messo nei guai. Se non erro, voi adesso dovreste essere nella vostra stanza >, soffiò l’uomo al mio indirizzo, aguzzando la vista.
Spalancando gli occhi per la paura che mi riservasse lo stesso trattamento del suo capitano, feci qualche passo indietro. Il pirata fece un passo verso di me, tamburellando con le nocche della mano sul tavolo, concentrando il suo sguardo sulla carta geografica aperta su di esso. Io cercai di indietreggiare ancora, quando la mia mano si ritrovò ad accarezzare l’elsa di una spada. Era una pessima idea, ma la paura che mi strattonasse e mi gettasse ancora in quella stanza buia, fu più forte. Spinta dai modi bruschi che avevo visto possedevano i pirati, sguainai la spada, puntandogliela contro.
< Siete sicura di saperla maneggiare? >, mi domandò tra l’incuriosito e il beffardo, senza sollevare gli occhi su di me, continuando ad osservare la mappa.
A quell’accenno di ironia, come unica risposta a quella domanda, inclinai la testa di lato e con un sorriso e un passo verso di lui, mossi veloce la lama, procurando un graffio alla manica della maglia larga, strappandola.
< Questa era nuova >, disse lui, facendo svanire quel sorrisino e guardando il graffio nella camicia e poi me, < ma se proprio avete intenzione di sfidarmi con quel bel faccino >.
Si mosse veloce, troppo veloce per difendermi in qualsiasi modo. Avvertii la sua mano scivolare improvvisa sulla mia, su quella che impugnava l’elsa della spada, e con un piccolo movimento rapido, mi ritrovai con la lama che sfiorava la mia gola. Quello che forse mi gettò più  nel panico, fu sentire la mia schiena a contatto con il petto dell’uomo, l’altra sua mano ad abbracciare la mia vita. Una vampata di calore si irradiò dalla mano dell’uomo a contatto con la mia pelle, facendola diramare in ogni dove nel mio corpo. Scoprendo il mio cuore impazzito, dovetti sforzarmi nel cercare di calmarlo, portando il respiro veloce ad essere regolare.
< Lezione numero uno, Miss: non incrociare mai le lame con un pirata se non sapete come usare la spada >, sussurrò l’uomo a pochi centimetri dal mio orecchio.
Brividi, quella voce bassa e delicata riuscì a trasformare ogni mia agitazione in tremiti deliziosi. Solcando la mia pelle – collo, braccia, gambe –, essi andarono a stuzzicare e ad alimentare quel calore, quell’attrazione inspiegabile che mi portava a pensare che la temperatura intorno a me, ad un tratto, si fosse alzata. Il suo tocco era così leggero ed educato, un semplice gesto che ebbe il potere di contorcere il mio stomaco all’ennesimo brivido, solcante libertino la mia schiena. Nell’avvertire il respiro leggero dell’uomo e la sua mano sul mio fianco creare una carezza sulla mia pancia, pensai di stare per bruciare. Una vocina nella mia mente iniziò a urlarmi contro l’ordine di scansarlo. Era un pirata, un assassino.
 < Fino a prova contraria >, iniziai, ribellandomi alla stretta di lui, che mi lasciò andare, < è la vostra maglia ad essere strappata >.
< Pregate piuttosto che non sia io a strappare la vostra >, precisò l’uomo con semplicità.
Socchiudendo la bocca per lo sdegno, circondandomi con le braccia il mio busto, come per difendermi da quegli occhi che solo in quel momento mi accorsi mi stavano studiando avidi, scossi la testa con un’espressione infastidita e mi avviavi verso la porta. Seppur l’idea di un buco e freddo mi metteva ansia, non sarei stata un secondo di più in presenza di quel pirata. Riuscii appena a fare qualche passo e un suono sordo saettò nell’aria, bloccandomi all’istante. Ad ostacolare la mia uscita, vidi quella stessa lama lucente rimanere sospesa nel vuoto. Voltandomi lentamente verso l’uomo, lo vidi ammiccare al mio indirizzo e tenere la spada alzata. Senza proferire parola, cercai di muovermi oltre, ma la lama picchiettò sul mio fianco. Rivolgendo uno sguardo di sfida al pirata, aguzzando gli occhi, qualcosa nello sguardo bianco mi suggerii che stavo giocando con il fuoco.
< Vorrei tornare nella mia stanza se non vi dispiace >, dichiarai, portando il mio sguardo dritto verso la porta, che solo ora mi accorsi essere chiusa.
< E la mia maglia chi la rammenda? >.
Con occhi furenti e sconcertati mi voltai lentamente verso l’uomo, fulminandolo con lo sguardo in un chiaro messaggio visivo che non avrei preso in mano né ago, né filo. Sospettando che l’unico modo per liberarmi di quel pirata fosse quello di disarmalo e uscire alla svelta dalla stanza, muovendomi cogliendolo di sorpresa, afferrai un pugnale, scansando con forza la spada. Con mio stupore e con quella del pirata, la lama in mano a questo cadde per terra.
Io, trionfante, puntai il pugnale sotto il mento dell’uomo.
< Non vi è bastato una volta? >, disse l’uomo, sorridendo e facendo comparire due fossette ai lati delle labbra.
< Chi vi dice che io non abbia alcuna esperienza con le armi? >.
Sospirando spazientito e alzando gli occhi al cielo, vidi il pirata muoversi con agilità e afferrarmi per la vita con una mano e portandomi via l’arma con l’altra. Prima che riuscissi ad allontanarmi, l’uomo mi costrinse a retrocedere per far incontrare la mia schiena contro una delle colonne di legno. Tra di noi, che a dividerci c’erano non più diventi centimetri, frappose il pugnale. Con sorriso arrogante e soddisfatto, il pirata fece scivolare la lama fredda sulla mia pelle, lungo il collo. Trattenni il respiro e alzai il mento per la paura, per cercare di allontanare la minaccia tagliente da me. Quando alzai il mio sguardo su di lui, per la prima volta i nostri occhi si legarono davvero, senza separarsi. Inumidendomi distratta le labbra, ritrovandomi immersa in un mare blu con riflessi argentei e verdi, riuscii a catalogare il colore delle iridi. Il potere che emanavano ed esercitavano, superava la bellezza delle striature di un colore tra il verde e il blu, rendendo gli occhi magnetici e allo stesso tempo stuzzicanti. Il pirata inclinò il volto e la mia attenzione si spostò sulle sue labbra. Erano rosse, rosse e piene. Erano invitanti, come quegli occhi che lanciavano un accenno di malizia.
< Chi dice che non avete esperienza con le armi? >, ripeté seducente, facendo scivolare la lama del pugnale a scostarmi i capelli dorati oltre la mia spalla. < Io, dolcezza >.
E come una ventata di aria fresca, vidi l’uomo avvicinarsi d’impeto e toccare le mie labbra con le sue, quelle stesse linee che avevo trovato stuzzicanti da chiedermi solo in parte che gustava avessero. E adesso lo sapevo. Quelle labbra erano sulle mie.
Trattenni un respiro. Il battito del mio cuore si fermò un istante, ma quando avvertii il suo corpo scontrarsi con il mio, prese a battere, a ricordarmi cosa fosse un tuono in mare aperto. Con occhi spalancati per la sorpresa, assaporai quelle labbra rosse ed invitanti premere contro le mie, e con mia sorpresa, alle mie bastò qualche secondo per rispondere a quei tocchi, iniziando a danzare e rincorrersi con esse. Sapevano di mare: acqua marina e salsedine.
Quando le labbra si spostarono lungo la mia mandibola, ricollegandomi alla realtà, aprendo gli occhi, misi a fuoco le figure che mi circondavano e la situazione che mi aveva spinta fino a lì. Vergognandomi per quel momento di debolezza, scostai per la seconda volta l’uomo da me, interrompendo quella magia.
< E io significa persona arrogante, insolente, sfrontata, maleducata, sicura di sé e  … >, alzando lo sguardo d’impeto per colpirlo, incontrai quei due occhi famelici e quel sorriso, che fecero crollare ancora ogni mia protesta.  < E … >.
Due braccia mi avvolsero ed intrappolarono, fermando ogni mio colpo furioso.
< E? Continuate, vi prego >, sussurrò l’uomo, avvicinandosi ancora alle mie labbra. < Lo sapete che vi arrabbiate con passione? >, disse, lasciando una leggera carezza sulle mie braccia.
C’era qualcosa nel suo sguardo, qualcosa di immortale ma allo stesso tempo di giovane. Un qualcosa da attrarmi al punto da dimenticare chi fossi.
Era un pirata. Aveva sicuramente visto il mondo, luoghi di cui non immaginavo neanche la loro esistenza. Aveva incontrato persone di culture e lingue diverse. Era forse quello che gli permetteva di essere così sicuro di sé?
< Credete di conoscere le donne? >, lo provocai.
Mentre il mio cuore batteva veloce, vidi il suo sorriso allargarsi fino a quando non comparvero ancora quelle due fossette a donargli un’aria innocente quanto furba e scaltra.
< Non solo, dolcezza, conosco il mondo tanto da poter dire che i vostri orizzonti dovrebbero essere allargati >, disse, confermando i miei pensieri.
Vedendolo muovere qualche passo lontano da me, accolsi con piacere la frescura che mi circondò e mi toccò le guance, che sentivo essere in fiamme.
< Cosa vi fa pensare di avere qualche ascendete su di me? >.
< Io non ho detto niente, state facendo tutto voi >, disse, scoccando un’occhiata divertita al mio indirizzo, < ma vorreste forse negare ciò che è evidente? >.
< Forse funziona con le altre donne, ma non con me >, precisai, ricambiando la sua occhiata. < Non mi incantate con i vostri modi e la vostra voce affascinate >.
< Quindi mi trovate affascinante >.
< Non ho detto questo >, ribattei all’istante, increspando la fronte.
< Ma lo avete pensato, anzi non oso nel dire che lo state pensando anche adesso. Potete dire quello che volete, ma il vostro corpo non mente >.
Rabbrividii per quella sicurezza tale da farmi credere che riuscisse a leggermi l’anima.
< In ogni caso domani sarò libera e potrete incantare altre donne >, dissi, cambiando argomento, e pensando alle parole del capitano e alla sua promessa che l’indomani mattina, appena la nave avesse attraccato al porto, mi avrebbe lasciato ritornare a casa.
< Attenta Miss, il capitano ha detto che vi lascerà andare, non che sarete libera >.
< Cosa intendete dire? >, dissi con una nota di panico, rammentando i volti freddi del capitano.
Ad un tratto, avvertii il mio stomaco controbattere nel silenzio. La fame era tornata. Abbassando il mio sguardo imbarazzata al sorriso di lui, lo percepì muoversi e alzando di poco lo sguardo, vidi l’uomo dirigersi verso l’estremo della stanza e tornare.
< Lezione numero due: i pirati sanno bene come usare le loro parole e per quanto mascalzoni, siamo uomini d’onore. Siete una sciocca se credete davvero che domani il capitano vi lascerà tornare alla vostra vita come se nulla fosse >, disse lui, porgendomi una mela.
Studiando la sua espressione e apprendendo le sue parole, presi la mela, dandole un morso timido.
< Quindi cosa ne farà di me? >, domandai non troppo sicura di voler conoscere la risposta.
Lo sguardo e gli occhi del capitano mi tornarono in mente, quella sua stretta ai polsi da credere ancora che avesse le sue mani addosso a me. Tremai al pensiero di che cosa potesse farmi.
< Con ogni probabilità? Vi venderà come schiava al miglior offerente >.
Ad un tratto tutta la fame sparì. Il succo dolce della mela e il suo sapore, nella mia bocca divennero amari, come se ad un tratto il frutto fosse diventato marcio. 
< Come … schiava? >
A New Orleans, avevo visto uomini e donne di ogni età sporchi e con gli occhi spenti. Al loro collo vi era appeso una targhetta di legno con un numero scritto in nero. Un signore basso e grasso urlava dei prezzi, indicando con un dito l’uomo, che con lo sguardo basso veniva venduto, come se fosse stato un oggetto esposto all’asta.
Avvertendo una vertigine cogliermi, posai la mela sul tavolo.
< Non temete, dovete solo riuscire ad abbandonare la nave >, disse l’uomo, avvicinandosi e accarezzandomi con gli occhi.
< Solo? >, chiesi ironicamente, alzando lo sguardo e vedendolo sorridere.
< Venite con me >, disse lui, porgendomi una mano. < Potete fidarvi >.
E in quel momento, guardando quei suoi occhi, qualcosa dentro di me mi disse che sì, di lui potevo fidarmi.
 
 


All’esterno, mi aspettavo di avvertire tra le vele spiegate il fruscio del vento, invece dovetti ricredermi; la leggera presenza della corrente, faceva scivolare la nave tranquilla, sospinta in vanti dalla brezza marina che si innalzava dalle acque scure. Osservando l’orizzonte, in quell’ora oscura era impossibile distinguere la linea che divideva le acque nere dalla volta celeste. Ispirando a pieni polmoni quella fragranza che mi avvolse, facendomi per un attimo rabbrividire, con passi timidi e guardandomi intorno, mi avvicinai al pirata dagli occhi blu e dai capelli cenerini.
Poco prima, nascosta dalla vista di tre pirati di vedetta, lo avevo sentito disporre di lasciare il posto assegnatoli. In quell’ordine breve, la sua voce mi era parsa autoritaria, così diversa da quella calda che mi aveva stuzzicato nella stanza della mappa. Al pensiero delle sue labbra sulle mie, quella luce provocante nei suoi occhi, un delicato formicolio  mi invase tutto il mio corpo.
< Aiutate tutte le prigioniere del vostro capitano a fuggire? >, chiesi a bassa voce, vedendolo indaffarato a slegare cime e cavi di una scialuppa.
Ignorando quelle sensazioni scomode, nate dentro di me, catalogandole come l’adrenalina e il fermento che sentivo per ciò che mi aspettava, conoscevo abbastanza le regole che vigevano trai pirati per chiedermi cosa spingesse quell’uomo ad aiutarmi.
< Siete gelosa, Miss? >, domandò lui, guardandomi senza interrompere le sue azioni veloci, ma cogliendo nel suo tono di voce un briciolo di malizia. < A donne e a fanciulle non è permesso salire a bordo >, sancì, rivolgendomi uno sguardo veloce. < Voi siete la prima >.
Inarcando un sopracciglio, rifiutai di pensare che non fosse conscio del pericolo che stava correndo. Se qualcuno lo avesse visto, se qualcuno avesse capito cosa stava cercando di fare, far scappare una prossima fonte di guadagno per il capitano e per la ciurma, lo avrebbero ucciso o abbandonato in mare aperto per tradimento.
< Perché lo state facendo allora? >.
Dopo un breve sguardo, come se fosse in lotta con se stesso, la sua attenzione scivolò di nuovo alle cime. A quella mancata risposta, nacque in me un accenno di irritazione e delusione, che non faceva altro che aumentare il risentimento; con amarezza, ammisi che mi era difficile leggere cosa si celasse davvero dietro quel volto.
Emettendo un sospiro un po’ troppo marcato, accarezzando il parapetto, sbirciai l’acqua che si scontrava con il fianco della nave, provocando un rumore continuo ed ipnotico.
< Non sono un amante delle regole imposte da quello che si fa chiamare erroneamente capitano >.
Voltandomi verso di lui, trovandolo più vicino, il primo pensiero fu quello di indietreggiare, ma non lo feci. Vi era qualcosa che mi attraeva in modo quasi oscuro verso di lui.
Alla sinfonia degli elementi marini si venne a sostituire quel calore e quel formicolio. Insieme mi pervasero il corpo, sentendo le mie mani iniziare a sudare, e il rumore dell’acqua, della brezza che sfiorava il mio viso ad intervalli regolari, sembrarono svanire. I miei occhi si erano legati ancora una volta a quelli di lui, intensi e fissi, come se stessero osservando un’altra scena lontana.
< Vi state per caso ammutinando contro di lui? >, dissi con voce bassa, indossando ancora quella maschera provocatoria per impedirgli di riuscire a cogliere e leggere altro di me.
< Noto un accenno di rimprovero e giudizio pungente nelle vostre parole >, iniziò, sfoderando quel sorriso sghembo e assottigliando gli occhi per poi sospirare e attorcigliare le cime in nodi che mai sarei riuscita a riprodurre, < ma se volete che obbedisca agli ordini allora dovrei essere a dormire a quest’ora, e anche voi dovreste riposare per domani >.
Quando lo vidi voltarmi le spalle ed incamminarsi lungo il ponte, diretto verso l’entrata dalla stiva, percepì la paura crescere ed invadere la mia mente, aiutata dal panico di rimanere ancora sola in un posto a me sconosciuto.
< No, vi prego >, dissi, allungandomi per afferrare un suo braccio.
Con la visione di quel destino che mi aspettava e che si sarebbe compiuto con il sorgere del sole, accarezzando la camicia, strinsi il suo braccio, cercando di girarlo. Tra le mie dita il tessuto era caldo e liscio, ma la sensazione del tatto venne sostituta da quella della sorpresa. In una frazione di secondo, lui si girò di scatto e fece passare la sua mano intorno alla mia vita, avvicinando pericolosamente i nostri corpi, che si scontrarono, dando origine ad una collisione di energie capaci di smuovere ogni mia certezza. Vedendomi riflessa nei suoi occhi, in questi vidi brillare quella luce che riaccese in me quel calore e quel formicolio prima ignorato, più insistente, più presente. Le labbra rosse e provocanti svettavano invitanti sulla sua pelle chiara.
< E poi voi siete straordinariamente bella >, sussurrò sulle mie labbra, accarezzandomi una guancia, < non mi piace pensarvi a servire qualche uomo o prendere ordini da donne che fanno di tutto per apparire eleganti e fini, come lo siete voi >.
Fui cosparsa da elettricità ed eccitazione. L’effetto che quell’uomo aveva su di me era pura energia  emotiva, capace di destabilizzare ogni mio pensiero, ogni mio valore, perché il fiato si accorciò, sazio di sentire il respiro di lui sulla mia pelle, desideroso di essere mozzato e spento da un altro suo bacio. Inconsapevole e sotto quel suo flusso magnetico, mi avvicinai al suo volto, sfiorando le sue labbra, pregustano quel sapore accattivante, e una parte di me, quella segreta ed insicura che nascondevo al mondo e a me stessa, si chiese se lui avrebbe risposto con la stessa voracità con cui mi aveva colpito la prima volta, o se mi avrebbe scansata e allontanata. Al pensiero di un suo rifiuto, strinsi la sua maglia, avvicinandomi al suo corpo. 
< Cosa ci fai ancora sveglio? >.
La voce maschile che ruppe il silenzio e la magia, quel torno rude che riconobbi solo in un secondo momento, gelò ogni mio muscolo. Con mio orrore, dall’oscurità emerse il capitano con al seguito tre pirati dall’aria minacciosa e dalle espressioni fredde e allo stesso tempo incredule.
Gli occhi azzurri del capitano, due punti ghiacciati in mezzo al calore che mi attraversava il corpo, mi studiavano gravi. Si chiamava Mikael, e bastava il suo nome per far tremare gli uomini della sua ciurma, me compresa.
< Glielo avevo detto che Klaus stava architettando qualcosa, capitano >, disse uno dei tre pirati, scoccandomi un’occhiata, < ma non mi sarei mai immaginato una relazione clandestina >.
Vedendo Mikael studiare la scena che gli si presentò, vedendo il suo sguardo intercorrere tra me e la scialuppa, il pirata al mio fianco, Klaus, si scostò da me, portandomi dietro di lui e fronteggiando il suo capitano. Con la mia mano ancora stretta alla camicia bianca di Klaus, nel vedere lo sguardo di odio che il capitano trasmetteva, il terrore iniziò ad essere la mia compagna, conscia di che cosa sarebbe potuto accadere.
< Vedo >, proferì Mikael per poi voltarci le spalle e compiere qualche passo. < Prendetelo >.
Una sola parola e due dei tre uomini si gettarono addosso a Klaus, riuscendolo ad immobilizzare, prima che cercasse di estrarre la spada che gli pendeva da un fianco. Toccò al terzo assestargli un pugno in pieno viso per stordirlo e a prendere la sua spada, mentre li altri due, prendendolo da sotto le ascelle, lo trascinarono lontano da me. Ebbi la percezione di cadere in un vortice nero.
< No! >, urlai con più voce che possedevo in corpo, senza riuscire a fare un passo che una mano, quella del terzo pirata, mi bloccò ferrea.
L’odio e la rabbia che provai, mi portò a rivolgere uno sguardo carico di ostilità all’uomo, mentre gli stivali neri di Mikael provocavano un rumore sempre più inquietante sul ponte della nave man mano che si avvicinava a Klaus. Poggiando i miei occhi sul capitano, vidi i suoi profili del viso trasmettere una rabbia che faticava a contenere e controllare. Sembrava un predatore pronto ad attaccare e ferire solo con l’intento di uccidere.
< Per quello che stavi per fare, dovrei tagliarti la gola e gettarti in mare, ragazzo, ma è troppo poco per quello che definisco tradimento >, disse alzando il mento di Klaus.
< Va all’inferno, Mikael >, sputò, alzando maggiormente la testa con aria di sfida, innescando una silente battaglia di avvertimenti e minacce.
Il pugno che sferrò Mikael, improvviso e veloce, spaccò il labbro inferiore di Klaus, che passandosi la lingua su di esso, gettò un grumo di sangue dalla bocca, sorridendo beffardo.
< Nostromo, trenta colpi di frusta e poi gettatelo in cella, né acqua, né cibo per tre giorni >, ordinò Mikael con disprezzo, dove non vi era spazio per il ripensamento.
Io, io ammutolii, pietrificata dal suono dello schiocco di dita e un uomo che, facendo la sua comparsa, afferrò una frusta, nera come se fosse un’arma mortale. I miei pensieri si erano spenti all'unisono con le mie paure, quando si diresse da Klaus. Scuotendo freneticamente la testa, i miei occhi non stavano assistendo a quello stesso uomo che, sorridendo, sferzò l’aria con la frusta e con un movimento secco della mano la fece fischiare. I miei occhi non stavano assistendo inermi ed impotenti a dei pirati che misero ai polsi di Klaus delle catene, legandolo all'albero maestro e togliendogli la camicia, gettandola a terra, come se fosse un inutile panno lurido e vecchio. 
< Lasciatelo, vi prego >.
Feci un passo, quando la frusta si alzò e con la stessa velocità precipitare sulla schiena liscia e bianca di Klaus, emettendo un suono selvaggio. Bastò quello per pietrificarmi, emettendo un piccolo lamento strozzato e spalancando gli occhi. Lui, Klaus digrignò i denti, arrestando l’urlo che costrinsi a rimanere intrappolato nella sua gola e non uscire.
Una seconda frustata ed ebbi la sensazione che il mondo vorticasse e ogni oggetto e presenza si incanalasse nell'immagine di Klaus imprigionato, alla mercé dell’arma del nostromo.
Alla seconda si aggiunse la terza, e quel ticchettio che prese a scandire i secondi cambiò, mutò e al posto del tempo, il suono prese a contare i colpi. Quattro … cinque … sei.
Sette. Ancora quel rumore e sulla schiena di Klaus iniziarono a svettare linee rosse ed innaturali. Osservando quella scena, dove il silenzio strisciante ed angosciante era spezzato solo dall’arma e dal suo colpo, le catene stridettero, creando un suono agghiacciante. Iniziai a tremare.
< Basta >, urlai, < Basta! >, gli occhi mi iniziarono a pizzicare e il desiderio di stringere a me quel corpo, quell’uomo capace di farmi provare emozioni sconosciute ma così deliziose, divenne tale da muovere le gambe: iniziai a corre, ma avvertendo un singulto proferito da Klaus, mi bloccai e una mano mi afferrò e strattonò, intrappolandomi. 
Otto.
Immaginai il suo volto straziato dal dolore. Gli occhi serrati, il sorriso malandrino scomparso. Lui che cercava di non dare la soddisfazione di urlare e chiedere pietà ad un capitano malvagio, che sul volto aveva dipinto un sorriso sadico e soddisfatto.
Nove.
La mia vista si appannò e gli occhi iniziarono a bruciarmi per le lacrime. I miei occhi volevano scostarsi da quella visione, ma al pensiero di socchiuderli corrispondeva il senso di abbandonarlo. Non potevo. Era colpa mia. Il senso di colpa arrivò con l'ennesimo colpo.
< Basta >, urlai, < basta così lo uccidete > .
Ma in risposta arrivò un altro colpo. Dieci. 
Il mio respiro aumentò vedendo il sangue iniziare a fuoriuscire dalla pelle. Lo avrebbero ucciso.
< Lui non vi chiederà mai pietà >, urlai disperata, guardando Mikael. < Lo faccio io, vi prego, date ordine di smetterla. È colpa mia, non sua >.
Mai, mai il tempo mi era parso infinito. Un momento sospesa nel nulla, in un precario equilibrio.
< Continua >, ordinò Mikael.
Undici.
Mare e cielo presero a vorticare, invertendo e tornando nella loro posizione più e più volte.    Guardavo avanti, come se scostare lo sguardo avesse significato cadere, perdere quell'equilibrio e precipitare nel vuoto.  
Dodici.
E lui non gridava, al contrario della mia mente che sembrava esplodere di urla e preghiere. Agitandomi nella presa dell'uomo, questo strinse di più il mio polso. La sua stretta, quella di Klaus era così gentile, così protettiva.
Tredici.
Scostai gli occhi e il freddo della notte minacciò le mia gambe tremanti di farmi crollare a terra, schiacciata da quei colpi che nell'oscurità riecheggiavano minacciosi. 
Quattordici.
Chiudendo gli occhi ebbi la sensazione di poter sentire la sua mano sulla mia pelle, le sue labbra sulla mia bocca, il suo profumo circondarmi. Una lacrima solcò la mia guancia, vedendolo resistere e soffrire in silenzio. Per me. Con gli occhi serrati, il rumore della frusta sembrò intensificarsi. 
Quindici.
All’ennesimo colpo, con il respiro che aumentava, iniziai a divincolarmi e ad assestare una gomitata all’imboccatura dello stomaco del pirata al mio fianco. Alzando gli occhi, questi vedevano solo lui, Klaus. Iniziai a correre, e una mano mi sfiorò.
< Lasciami, non toccarmi >, dissi scandendo ogni singola parola, scostando la mano con uno schiaffo e sentendo la rabbia ribollirmi dentro.
Correndo, ignorando il nostromo in piedi, mi inginocchiai sul corpo di Klaus. Al mio tocco, sussultò e il mio cuore sembrò perdere un battito. Prendendogli il viso tra le mani, vidi il suo sguardo spaesato. I suoi occhi, i suoi bellissimi occhi, stanchi e doloranti. 
< Mi dispiace, mi dispiace così tanto >.
< Spostati, ragazzina. Non credere che mi asterrò nel colpirti solo perché sei una donna >, sputò l’uomo alle mie spalle, facendo scricchiolare la pelle della frusta tra le sue mani.
Guardandolo, nel suo sguardo vibrava l’assoluta veridicità delle parole. Per spavalderia o per l’adrenalina che sentivo scorrermi in corpo, mi frapposi tra Klaus e il pirata, sfidandolo con lo sguardo. L’uomo scosse la testa e alzando la frusta, serrando la mandibola, sperai che vedesse nei miei occhi la sicurezza che non mi sarei spostata. Quando la frusta calò, chiusi gli occhi, ma non mi arrivò a colpirmi. Socchiudendoli dopo qualche secondo, scorsi Klaus davanti a me, la frusta arrotolata sul suo braccio. Con uno strattone deciso tolse l’arma al pirata. Assestandogli un pugno sotto il mento, gli sfilò la spada, ferendo di striscio le gambe.
Nello stupore dei presenti, Klaus puntò la spada verso il capitano, che annuendo, estrasse la sua.
< Finiamola qui, ragazzo >.
< Non aspettavo altro, padre >. 
Mentre le lame dei due pirati si incrociarono, nella mia mente risuonava quell’ultima parola.
Mikael era il padre di Klaus.
Mi sembrava di essere finita in un incubo. Quella non era la mia vita, era così lontana dall’essere accostata ai giorni tranquilli che trascorrevo. Ad un tratto mi ritrovai anche io tra un Vecchio e un Nuovo mondo, così selvaggio e inesplorato, sconosciuto e pericoloso da rimpiangere la vecchia terra. Volevo tornare a casa. Volevo dimenticare ciò che avevo conosciuto dal momento in cui realizzai di trovarmi su una nave pirata.
Quando un urlo mi strattonò dai miei pensieri, vidi Klaus ferire con la sua lama il padre.
In quel frastuono di ricordi, emozioni e dolore, tra tutto quel Vecchio e Nuovo, io non volevo dimenticare Klaus.
Quella rivelazione arrivò nell’attimo esatto in cui la lama di questo trapassò l’addome del capitano, di Mikael, del padre di Klaus.
Vidi solo le labbra di Klaus muoversi, e poi, con un unico gesto e ultimo sforzo, spinse il corpo di Mikael oltre il parapetto della nave.
Allo scontro del corpo con l’acqua ghiacciata calò il silenzio.
< Qualcun altro vuole seguirlo? >, urlò rabbioso Klaus, inchiodando i suoi occhi su ciascun volto presente.
Con il respiro veloce e tremante, gli occhi blu, in fine, toccarono anche me. Nel vederlo con quello sguardo infiammato, pericoloso, così selvaggio da far indietreggiare alcuni uomini, pensai che assomigliasse ad un angelo vendicatore, bello e letale, pericoloso e allo stesso tempo dannato. A quello sguardo che mi diede l’impressione di guardami dentro, dentro la mia anima, crollai. Le mie ginocchia toccarono l’anonimo legno del ponte. Priva della forza per abbassare lo sguardo, interrompendo quel legame visivo che correva tra di noi, lo vidi avvicinarsi a me ed inginocchiarsi.
Distaccata dal mio volere, la mia mano si sollevò, accarezzando quel viso deturpato dalla fatica e dalla stanchezza, ma straordinariamente bello e rassicurante.
< Mi dispiace >, sussurrò, inclinando il viso, cogliendo nella sua voce un accenno di dolore.
Mi limitai ad accennare un sorriso e a scuotere la testa.
Quando si alzò offrendomi la sua mano, lo vidi chiudere gli occhi per un secondo. Un capogiro lo colse e prima che riuscissi ad alzarmi, Klaus si accosciò a terra, privo di sensi. 
 
 


Mi ritrovai in un sogno. La scena che ero intenta ad osservare, dove nessun pensiero solcava errante la mia mente, mi aveva indotto ad abbandonare quell’inquietudine che aveva attanagliato il mio cuore. Con l’aiuto di Elijah, ero riuscita a pulire le ferite sulla schiena di Klaus e a bendarle. Il volto contratto dal dolore era così in opposizione con quello sereno di adesso, illuminato dalla luce delle candele. In un’aurea dorata, le mie iridi scivolarono silenziose lungo il volto di Klaus. Disteso a pancia in giù, sulla spalla destra, a contrasto con la pelle rosea e le bende bianche, svettava un piccolo tatuaggio: un triangolo nero la cui punta era rivolta verso l’alto. Avevo notato quel suo marchio, insieme ad un secondo sul petto, solo quando cercai di lottare contro la sua opposizione nell’allontanarmi per impedirmi di medicarlo. Senza che me ne accorgessi, sospirai, abbassando le spalle e la testa.
< Siete preoccupata per me, Miss Forbes? >.
A quel suono basso e stanco, alzai la testa di scatto. I miei occhi leggermente spalancati, rivelatori della sorpresa che mi assalii e ancor di più della felicità che provai nel poter riascoltare la sua voce, ne incontrarono due socchiusi, influenzati dalla luce malandrina irradiata dal sorriso tirato sul volto di Klaus.  
< Caroline >, dissi, mentre dentro sospiravo di sollievo.
< Come? >, domandò lui, increspando la fronte e puntando i gomiti sul materasso nell’intento di mettersi a sedere. Notai il grande sforzo nella contrazione dei muscoli e una smorfia appena accennata di dolore nel viso. Quando il suo braccio iniziò a tremare sotto il peso e lo sforzo che gli veniva richiesto, mi affrettai a portare una mano all’altezza della spalla di Klaus per aiutarlo a sedersi. Udii solo di sfuggita i sui piccoli lamenti; il suo profumo mi inondò i sensi, come una ventata improvvisa sul viso, fresca a profumata. Il pizzico di elettricità ricomparve nel momento in cui realizzai che la mia mano era a contatto con il suo corpo. Il calore che la pelle di Klaus iniziò ad emanarmi, accelerò i battiti del mio cuore, come se bastasse quel torpore straniero iniziò ad immettere e a pompare sangue nelle mie vene. Rompendo quel legame, discostando la mia mano dal suo braccio, sentii i suoi occhi ceruli su di me fissarmi, chiamarmi a loro. Io non potei che rispondere a quel richiamo. Perdersi in quegli occhi, ritrovarsi ammaliati da essi come se fossero degli incantatori, mi provocò altro calore. La sensazione che Klaus riuscisse a leggere la mia anima, sentendomi esposta davanti a lui, guidò i miei occhi ad abbassarsi e il mio corpo ad allontanarsi.
Qualcosa dentro di me protestò per quella decisione di mettere una nuova distanza tra noi.
< Caroline, è il mio nome >, ripetei piano, ritrovandomi a rigirare tra le dita quello stesso indumento che avevo sgualcito per puro orgoglio. < Vi ho ricucito la camicia >.
Mordendomi il labbro inferiore, lanciando solo una rapida occhiata e cogliendo divertimento nell’espressione del pirata, gliela porsi. Quando le sue dita sfiorarono le mie, cogliendo la leggera scarica elettrica e che incominciava a divenire per me familiare,mi parse che quel tocco si protraesse nel tempo il più del dovuto. Lasciando la camicia, allontanai il mio sguardo, facendolo vagare per la piccola cabina. Anonime candele bianche erano accese per rischiarare gli angoli bui. Ad un lato della stanzetta, vi era un bacile ricolmo di acqua e uno specchio. Libri e altri innumerevoli oggetti erano sparsi nell’ambiente.
Quando sentii un frusciare ovattato, vidi Klaus in piedi. Dandomi la schiena e ricordandomi cosa le bende nascondessero, ferite di un rosso vivido e dolore, mi si formò un nodo in gola.
< Ho sentito che adesso siete voi il capitano >, dissi sicura, lasciando che quel triste ricordo sbiadisse nella mia mente ancora prima di comparire con un’impronta insistente.
< A si? >, disse, guardandomi da dietro la spalla.
Con passo lento e tirato, il pirata si diresse vicino al catino, posando la camicia su un ripiano in ombra. Poggiando le mani all’estremità del recipiente pieno di acqua, abbassò la testa, inspirando profondamente.
Se provasse e sentisse dolore, lo nascondeva con somma maestria.
Con movimenti lenti, Klaus immerse le mani nell’acqua, portandosela al volto e rimanendo per alcuni secondi fermo, in silenzio.
< Vorrà dire che come mio primo ordine sarà la promessa che domattina vi lascerò libera >, proferì, asciugandosi il volto con un panno bianco e girandosi verso di me.
La sua immagine mi colpii come una di quelle illuminazioni improvvise e rare. Alla luce soffusa e scarsa delle candele, Klaus mi apparse nel suo fisico asciutto, i muscoli del petto e delle braccia accentuati dal gioco della luce e delle ombre. I pantaloni neri erano di qualche centimetro più lunghi, andando piegarsi sui piedi nudi del pirata Rimasi incantata ad osservarlo, intanto che nella mia mente la sua voce ripeteva quella sua promessa.
Quel suo tono che sapevo orami mi avrebbe tormenta anche nei miei sogni, seguendomi nei miei pensieri e desideri più nascosti, riuscì ancora a sorprendermi.
Lui mi avrebbe liberato. Mi avrebbe lasciato libera.
Avrei dovuto dirgli grazie, mostrargli gratitudine, dire qualcosa, ma non lo feci. La mia bocca era semiaperta, da essa fluiva il mio respiro leggero, a volte calmo per aver udito quella promessa, a volte accelerato per … per cosa non lo sapevo neanche io davvero.
Lo vidi avvicinarsi timoroso.
< Cosa c'è, Miss? >.
Quando si avvicinò, quando mancavano solo pochi passi a dividerci, notai che il bendaggio meticoloso con cui avevo cercato di coprire le ferite, era macchiato dal sangue secco, all’altezza della spalla. Una mia mano tremante si sollevò nel vuoto indipendente, protraendosi verso il petto del pirata. Come se fosse dotata di volontà propria, osservai la mano entrare in contatto con la pelle calda e, senza che io mi allontanassi o alzassi i miei occhi, iniziò a muoversi lungo le clavicole. Con occhi persi trai pensieri e le sensazioni che animavano quel mio vorticare di desideri, seguii l’indice tracciare il contorno fittizio del secondo tatuaggio, una piuma dalla quale si distaccavano petali e i petali mutavano in uno stormo di uccelli neri.
Mentre tracciavo il contorno del disegno, Klaus trattenne il respiro. I suoi occhi puntati su di me. Fissi e attenti, per quanto in quel momento non li stessi guardando, intuivo brillassero di quella luce che avevo colto nella stanza della mappa, così calda ed invitante. Al pensiero del suo bacio, dei suoi sospiri sulla mia bocca, rabbrividii. Per combattere il barlume di un nuovo desiderio, iniziai a girargli intorno. Lenta e cauta, mi ritrovai a ridisegnare quel triangolo per poi spostarmi lungo il trapezio, scendendo e risalendo la collana vertebrale. Osservando la sua schiena, sfiorandola delicata, un suono lontano risuonò nella mia mente. Mi parse di sentire ogni frustata colpire quel corpo che avevo davanti, ogni lamento trattenuto, portato via con il sangue che gli macchiava la schiena. In quei momenti, avevo desiderato stringere tra le mie braccia Klaus.
Senza che me ne accorgessi, posai ciascuna delle mie mani sopra le sue spalle e avvicinai la mia guancia a contatto con la sua schiena. Rimasi così, chiudendo gli occhi.
I suoi muscoli si pietrificarono di colpo, come se una parte di lui non riuscisse a rilassarsi, ma necessitasse di rimanere in allerta.
< Cosa state facendo? >, mi chiese con voce rauca ed incredula.
La paura di ricevere un nuovo colpo inaspettato, di doversi difendere da esso e dal dolore, di doversi difendere da me, mi provocò un moto di ribellione.  Eppure, quel suo rimanere fermo senza allontanarmi o scansarsi, portò nella mia mente un pensiero: con il mio tocco, con quel passo avanti, forse, avevo trovato il modo per leggere quella sua anima imperscrutabile? 
< Avete subito quasi trenta frustate, avete ucciso vostro padre e l'unica cosa che vi rimarrà di me saranno queste cicatrici >, dissi, sentendomi colpevole nel profondo, incapace di alleviargli quel dolore che sapevo, stava provando, < e la camicia rammendata >.
Una risata spezzò il silenzio.
Quando la sua mano sfiorò la mia, rinchiudendo gentile le mie dita in un intreccio, Klaus si voltò verso di me, riducendo il più possibile il vuoto che creò quel movimento. In quel frangente, la  mia mano libera accarezzò il corpo di Klaus per poi depositarsi sul suo petto. Mi ritrovai a sollevare di sua volontà il mio volto e, mentre mi perdevo nelle sensazioni che mi provocava la sua vicinanza, lui mi accarezzò una guancia, facendo scivolare il dito lungo il collo, sul braccio per infine stringere la mia vita.
Senza che vi fossero parole tra di noi, riuscii a cogliere una luce scura nei suoi occhi limpidi. In me si fece avanti un moto di inquietudine, chiedendomi quanto gli fosse costato macchiare la sua spada del sangue di suo padre.
Desideravo che quella sua nota venuta ad adombrare i suoi occhi svanisse. Desideravo sentirlo vivo, come lo avevo sentito nella stanza della mappa. Desideravo cogliere quel bagliore nei suoi occhi, perché quella parte di lui, quella dove pensieri e dolore si annullavano, c’era e questa volta, lo decisi in quell’istante, avrei combattuto io per vederla divampare di nuovo.
< Siete sicura che io non abbia alcun ascendete su di voi, Miss? >, soffiò, avvicinandosi.
Mi chiesi cosa mai avesse letto nel mio sguardo o cosa il mio corpo gli stesse trasmettendo. Ancor di più mi chiesi cosa un uomo come lui, un pirata che aveva viaggiato e conosciuto altre donne, avendo avuto avventure o storie con queste, vedesse in una ragazza come me, che passava i suoi giorni ad organizzare eventi per la città, a curarsi che queste fossero perfette.
< E io? Io ho qualche ascendete su di voi? >, sussurrai, assottigliando gli occhi.
Lui sorrise, avvicinandosi al mio volto. 
< Lezione numero tre … Caroline: non portare mai un pirata a desiderare qualcosa, perché se lo prenderebbe senza chiedere il vostro permesso >.
Mi ritrovai in balia di una tempesta, quando il suo volto si avvicinò al mio, quando le sue mani mi strinsero a lui,  tornando ad  aizzare quel pizzico di elettricità.
< E voi cosa desiderate, capitano? >, sussurrai, mentre provavo ad agitarmi per non affondare nel blu dei suoi occhi.
< Lo avete chiesto, adesso mi spingete ad ignorare le buone maniere >.
Le sue labbra accarezzarono la mia guancia, trasformandosi in un bacio delicato sulla mandibola, un altro sul collo, costringendo il mio petto ad abbassarsi e alzarsi sempre più veloce.
< Siete un pirata, è usanza per voi non osservarle, come anche chiedere il permesso per qualcosa >. Ascoltando più il rumore del mio cuore contro il petto che quello che aveva la mia voce, chiusi gli occhi ad un’altra carezza sul collo. Le sue mani, dalla mia vita, iniziarono a muoversi lungo la mia schiena, ad accarezzarmi i capelli, come se volesse sfiorare i miei desideri e pensieri più nascosti. 
< Invece devo se si tratta di una donna come voi >, soffiò sulla pelle, scostandomi una ciocca dorata dalla spalla.
Il mio cuore iniziò a veleggiare verso quel richiamo che avvertivo tormentarmi da quando quella sua voce aveva interrotto il silenzio nella sala della mappa. Eppure, arrendermi a ciò che volevo, avrebbe significato finire in acque territoriali che neanche io conoscevo.
Ero pronta a finire per questo? 
Quando incontrai i suoi occhi, profondi e oscuri abissi, così pieni di tentazione da farmi rabbrividire, notai quanto anelassi esplorare quelle acque sconosciute da cogliere i miei pensieri e il mio cuore completamente fuori rotta. Ancora prima di pensarlo o di rendermene conto, mi ero arenata  sulle coste sconosciute della sua terra.
< Allora lasciate che sia io a non osservarle >.
Accarezzandogli il volto, sentendo un sottile strato di barba sotto i miei palmi, le mie labbra si posarono sulle sue e il loro sapore, la loro morbidezza, la loro consistenza e presenza perfino, mi rapirono, depravandomi della mia anima. Dopo un attimo di esitazione, Klaus iniziò a stuzzicare, a cercare le mie, e in un ondeggiare di respiri e sospiri, quelle labbra erano diventate leggere come le onde, gentile come l'acqua che accarezza la spiaggia in un'eterna consolazione. Quel formicolio pari ad sfrigolii sparsi in tutto il mio corpo, non erano altro che la spuma di quelle onde
Mi lasciai scivolare sul materasso, accogliendo con un brivido di eccitazione il suo peso sul mio corpo. Fu allora che Klaus si distaccò da me, privando le mie labbra del suo tocco. Lo osservai studiarmi e cercare nei miei occhi una nota di incertezza che sapevo non avrebbe trovato. 
Inumidendomi le labbra, per dargli conferma di quella voglia e speranza che leggevo nei suoi occhi e che il suo corpo mi trasmetteva, mi avvicinai a lui e accarezzandogli l'addome, lanciandogli una veloce occhiata, premetti le mie labbra sulla sua pelle. Ancora e ancora.
Lo avvertii sorridere e quella consapevolezza di essere riuscita a fargli dimenticare la sua vita libertina, di essere riuscita a sovrastare quel bagliore di oscurità nei suoi occhi con un po’ di luce, era pari alla voglia che io avevo di lui.
Sorridendo a mia volta, gli accarezzai il petto, portando le mie mani ad allacciarsi dietro al suo collo, mentre percepivo le sue mani fermarsi sul mio ginocchio e un secondo dopo risalire lungo la coscia, sotto il vestito. Quando la bocca di Klaus mi abbandonò per depositarsi famelica sul mio ventre, non riuscii a capire se a farmi rabbrividire fu il freddo o il troppo caldo. Contorcendomi nel buio che mi circondava, sotto le labbra e il respiro di Klaus, mi accorsi solo vagamente l’attimo in cui mi privò del mio vestito e ripercorse ogni centimetro del mio corpo con baci e carezze.
Quei tremiti e quel calore tornarono ancora più forti, vorticanti ed intensi, quando mi ritrovai a baciare di nuovo le sue labbra. Insieme al trambusto e al chiasso, assaggiai le labbra, spinta da quell’onda di desiderio improvviso che portarono con sé. Esperte, le due linee rosse e calde si impadronirono del mio controllo in precario equilibrio, piegandomi ad esse e a quel sapore di selvaggio e di libertà, elementi di cui erano plasmate.
Riavendolo vicino, iniziai a giocare con i suoi capelli, corti e ricci. Assaporai l’emozione che nacque in me, quando ogni ciocca dei suoi capelli passò tra le mie dita e le mie labbra rubarono al pirata un nuovo caldo bacio. Quando la sua mano mi fermò, alzando il mio viso, una vertigine mi colse di sorpresa. Ebbi la sensazione di andare a fuoco sotto lo sguardo di Klaus, carico di desiderio.
Lo vidi chinarsi alla mia altezza, depositando un bacio sulle mie labbra, dapprima innocente, vellutato, trasformandosi in successivamente in un rude bisogno di sentire di più, di volere di più. Agitandomi sotto il suo corpo, sospirando, la sua lingua accarezzò umida le mie labbra, introducendosi nella mia bocca. Lo lasciai fare, bramosa di cogliere le reazioni che provocavano in me i suoi atti di devozione.
Senza che me né accorgessi, Klaus riuscì a districare le mie mani trai suoi capelli e, senza distaccare le sue labbra dalle mie, portò le mie braccia sopra la mia testa.
Un suo sussurro. Il mio nome, e il mio stomaco si contorse, costringendomi a stringermi a lui, ad aggrapparmi a quel corpo come se si trattasse della mia ancora incagliata negli scogli.
Il suo corpo si adagiò maggiormente sul mio, mandandomi in estasi per il contatto.
Quando interruppe il bacio, facendo scivolare le sue labbra sulla mandibola, sentendolo mordicchiarmi e stuzzicarmi, una vampata di calore mi spinse ad abbandonarmi ancor di più a quelle sensazioni. E allora mi convinsi  che in balia di quel mare in tempesta, l’unico modo per salvarsi era perdersi.
< Sei profumata come la spuma del mare >, sussurrò, respirando nell’incavo del mio collo, facendomi reclinare la testa all’indietro, < delicata come il vento sul viso >, con ogni fibra del mio essere sentii la sua bocca scendere, baciami trai seni e sul ventre, < calda come il sole sulla pelle >, e il suo corpo fu di nuovo sul mio, le sue labbra premute sulle mie. < Inizio a pensare che le sirene abbiano il tuo aspetto >, disse, sussurrandomi piano all’orecchio, intrecciando al suo dito una ciocca dei miei capelli dorati.
E io iniziavo a pensare che quelle creature misteriose potevano avere la sua voce, quel timbro sensuale che riusciva a rendermi completamente instabile, tentandomi e ammaliandomi come il canto di vere sirene.
< Dovrò limitarmi a baciarti >, disse, Klaus portando un suo dito sulle mie labbra per accarezzarle, < sono rosse e gonfie, incredibilmente provocanti per rinunciare a stuzzicarle. Vuoi che mi fermi, Caroline? >.
Volevo solo che mi facesse sua. Questo volevo e desideravo.
Come risposta alla sua domanda, unii ancora le mie labbra alle sue. Lo sentì mordere il mio labbro inferiore, tirandolo leggermente. Come reazione spontanea strinsi le mie gambe intorno alla sua vita, ancorandomi con le braccia alle sue spalle larghe.
Lanciandomi un’occhiata, sorridendomi beffardo, mi ritrovai a gemere quando la sua bocca si spostò sui miei seni, iniziandoli a torturare in una scia di baci e carezze.
< Klaus >.
Lo chiamai. Per la prima volta.
I baci si fermarono per un secondo, di colpo. I suoi occhi furono su di me. In quello scambio di sguardi, c’era solo il mio respiro veloce. Ricevetti un bacio dolce, come se in esso vi fosse riversato la luce della prima alba e l’ultima del tramonto, quell’attimo che ti congela parole e pensieri. E con esso, con quella nuova unione, divenni consapevole che gli avevo consegnato le chiavi per aprire il mio scrigno nel quale avevo custodito il mio cuore.
Uno spostamento di aria, veloce e fresca, colse il mio volto, seguito dal fruscio dei pantaloni di Klaus cadere in qualche angolo della stanza.
Avvertii di nuovo le sue mani sul mio corpo, il suo peso su di me, e all’improvviso il mare divenne terra, la terra divenne mare. Acqua e cielo si invertirono di posizione.
Accarezzai il caos, ma al col tempo trovai il mio posto, riacquistando il mio equilibrio, conquistando il mio mondo.
Klaus si iniziò a muovere dentro di me, e la sensazione di pienezza e di amore si propagò oltre il tempo e lo spazio, oltre il mare e la terra.
Forse pronunciai il suo nome ancora, ma lo strinsi a me, come se avessi paura di perderlo, come per impedire alla corrente del mare sotto di noi di portarlo via da me.
Con un sorriso che gli illuminava il volto e gli occhi, lo vidi scivolare al mio fianco. Voltandomi verso di lui, guardandolo, vidi una piccola fitta di dolore passargli il viso, come un lampo improvviso in mezzo ad un cielo limpido.
Le ferite. Il sangue. Quella scena.
Mordendomi il labbro inferiore, raccolsi la coperta ai miei piedi. Ignorando lo sguardo curioso che mi iniziò a seguire in ogni mossa, lo scavalcai e prima che potesse dire o fare qualcosa, lo avvolsi nella coperta. Non so se lo feci per proteggerlo o per rassicurarlo, ma lasciando piccoli baci sulla pelle fredda, mi avvicinai alla sua schiena, sperando che con calore del mio corpo, della mia vicinanza, quel dolore gli venisse meno.
Prima di chiudere gli occhi, lo vidi sorridermi e rilassare il volto del viso in un’espressione finalmente felice.
 
 

 
Dando le spalle alla nave, osservavo oltre la figura di Elijah, in direzione del porto. Klaus si era rifiutato di accompagnami e aveva affidato al suo secondo di aiutarmi a rintracciare Marcel Gérard. Con il suo aiuto, sarei riuscita a tornare a New Orleans, a casa, dalla mia famiglia.
Per la prima volta dalla notte del naufragio, non riuscivo a pensare a loro, loro che avevano occupato gran parte dei miei pensieri.
La mia mente risuonava del nostro addio.
< Ti rivedrò un giorno? >.
< Forse >.
Abbassando lo sguardo, accarezzai il bracciale che alla luce del sole scintillava.
< Addio Caroline Forbes >.
Un addio.
No, per me non era un addio. Lo avrei rivisto un giorno, me lo sentivo.
< Arrivederci, mio Capitano >.
 







Note Autrice.

E dire che il mio pirata per eccellenza è Jack Sparrow, poi sono arrivate Vittoria ed Elisa con la loro idea di darsi alla pirateria, ed eccoci qua…
Questa volta niente note o precisazioni su ciò che è la storia. Forse dovrei chiamare quest’ultima parte I Ringraziamenti dell’Autrice.
Voglio solo ringraziare di cuore le ragazze che hanno letto la mia storia, chi l’ha votata e le admin del gruppo,  poiché senza la loro idea questa storia non sarebbe mai stata scritta.
Quindi: GRAZIE!
Anzi, siccome il modo migliore che ho per dirvi grazie, è scrivere, a breve potrebbe arrivare una piccola sorpresa!
 
Lily 
  
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