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Autore: Dani85    18/01/2015    2 recensioni
“Questa è la vita! / Un oscillare eterno / Fra paradiso e inferno / Che non s'accheta più.”
(Dualismo - Arrigo Boito)
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Questa è la vita di Remus Lupin, tra inferno e paradiso, dall'inizio alla fine.
Raccolta di istanti, pensieri e sensazioni; attimi per raccontare carezze e schiaffi di una vita intera, orribile e meravigliosa tutt'insieme.
[Famiglia Lupin | Malandrini | Remus/Dora]
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Dalla storia:
#1. Oltre la finestra, la notte continuava a stingere e la stanza cominciò a rischiararsi di bagliori azzurrati: l'alba del 10 marzo si apriva sul sonno dell'ultimo arrivato in casa Lupin.
#3. Era Greyback e sarebbe stata la fine del mondo.
#4. Cinque, come gli anni di Remus. Cinque, come i desideri di Lyall.
#6. Tutto tornò improvvisamente triste, come nella casa di prima e in quella prima ancora.
#7. «Remus sta per compiere undici anni e a settembre sarà a Hogwarts», Silente si strinse nelle spalle come se quello bastasse a spiegare tutto.
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Storia Incompleta
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hope Howell, I Malandrini, Lyall Lupin, Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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N.d.A. Salve e, anche se ormai a metà gennaio, buon 2015 a tutti! Ormai è tantissimo che non aggiorno e non faccio promesse, nemmeno ipotetiche, su quando arriverà un altro capitolo, però almeno l'ho ripresa XD
Il capitolo non mi piace più di tanto, credo non dica un granché, ma avevo bisogno di sbloccarmi e quindi tutto sommato mi va bene. Entriamo nel periodo di Hogwarts, qui siamo a poco prima che arrivi la lettera e il plot della storia è un'informazione presa dalla biografia di Remus su Pottermore. Il registro è volutamente spensierato nelle parti che lo riguardano, questo per sottolineare il lato leggero dell'episodio - Silente che appare in casa dal nulla e gli frega le frittelle, la partita di gobbiglie, Hogwarts che diventa incredibilmente reale XD Dopo sicuramente c'è stato il tempo delle crisi di panico, le raccomandazioni, le paure e tutto il resto, ma qui prevale la gioia del momento. Tra l'altro è la prima volta che scrivo di Silente facendogli dire più di una battuta, spero non sia impresentabile e chiedo scusa per il titolo ma proprio non mi veniva niente di meglio XD
Grazie a Fri Rapace per le recensioni a questa storia: sono state un notevole incentivo :) Buona lettura|
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di J.K. Rowling; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Gli elementi di mia invenzione, non esistenti in HP, appartengono solo a me.
Note: Infanzia di Remus - Citazione iniziale di Arthur Haley.

 

Questa è la vita

Di gobbiglie e frittelle

 
Di gobbiglie e frittelle


Hope tirò con forza l'angolo del grembiule che era rimasto chiuso nella porta ma non ottenne nulla. Solo la stoffa si lamentò appena, lo strappo in agguato da qualche parte ancora troppo lontana.
«Che facciamo?» chiese affannata, il cuore che le pompava in gola quasi a toglierle l'aria, come un pugno invisibile che si stringeva sempre un po' di più.
«Che facciamo?» chiese di nuovo, spingendo contro la porta chiusa e contro il panico nella sua mente.
«Aspettiamo che se ne vada» rispose Lyall, la fronte un tutt'uno col legno nudo della porta, una mano serrata sulla maniglia e l'altra sulla bacchetta.
«E se non se ne va?»
«Certo che se va! Porta e finestre sono bloccate e nessuno gli aprirà: dovrà andarsene per forza.»
Le parole di Lyall erano piccole esplosioni, scoppi di ansia in mezzo a un mare di pause, e Hope si rese conto che stava per andare tutto a rotoli. Stavano per finire a pezzi, come la calma di suo marito.
«Se n'è andato?»
Hope ingoiò dolorosamente aria e parole, mentre rilassava le spalle contratte, e Lyall scivolò furtivo verso la finestrella del corridoio a spiare dallo stipite. Sembravano due ragazzini che giocavano a guardie e ladri e Hope tremò di una risata isterica che le valse un'occhiataccia così tagliente da farla sentire in colpa.
«Scusa, è che sono in panico» si giustificò, gli occhi enormi e allarmati.
Lyall si sporse un po' di più per avere una visuale migliore. Vesti color lillà e un paio di mani incrociate dietro la schiena passarono tranquillamente davanti alla minuscola finestra.
«Se ne vada, su! Che diamine aspetta?» mormorò al vetro e poco ci mancava che buttasse all'aria tutti i suoi buoni propositi di riservatezza e uscisse di lì per afferrarlo per un braccio e mandarlo via a forza.
Le vesti si fermarono per un attimo, ondeggiando appena nell'aria fredda di marzo, e poi si allontanarono. Lyall appoggiò una tempia contro la finestra, il corpo teso in un sospiro di sollievo che non vedeva l'ora arrivasse, poi le vesti voltarono bruscamente l'angolo e il sollievo non arrivò più.
«La porta sul retro!» sbraitò scattando lungo il cortissimo corridoio, la cucina che, però, non gli era mai sembrata così lontana. Hope lo imitò solo per rimbalzare seccamente contro la porta. Il colpo la colse di sorpresa tanto da toglierle il fiato, il dannato grembiule sempre chiuso nella porta.
«Dannazione!» imprecò e poi tirò, strattonò, strappò finché la stoffa non cedette e lei fu libera. Il contraccolpo la sbilanciò e non fu capace di correre in fretta come Lyall. Incespicò un po' per ritrovare l'equilibrio ed ebbe il tempo, nella sua corsa, di incrociare la piccola figura del suo Remus, chino sul tavolino del minuscolo soggiorno, esattamente come lo aveva lasciato prima che iniziasse il delirio, tutto preso dalle gobbiglie e dalla merenda. Non si è accorto di niente, meglio così, pensò, il profilo del bambino che spariva dallo sguardo, grata che lui potesse restarne fuori. Non aveva bisogno di sbattere la faccia contro quello che gli sarebbe stato negato, una cattiveria inutile di cui nessuno di loro aveva bisogno. Quando sbucò in cucina, Hope vide bagliori di luce colpire la porta e la finestra, le nocche di Lyall bianchissime nella morsa sulla bacchetta. Stavolta fu lei ad acquattarsi furtiva all'angolo della finestra e a sbirciare fuori, per quanto il vetro chiuso le permettesse, e non vide altro che un pezzo di campagna inglese che agonizzava in quell'ultimo spicchio di inverno. Niente vesti lillà, niente mani incrociate dietro la schiena.
«Non c'è nessuno!» sospirò guardinga, allungando appena il collo.
Lyall la raggiunse appoggiandosi con tutto il peso al suo profilo destro, la spalla all'altezza precisa del suo cuore inquieto. Martellava, come il sangue che lei sentiva batterle sotto la pelle pallida delle tempie e dei polsi.
«Se n'è andato!» concordò alla fine, dopo aver guardato con attenzione la campagna silenziosa fuori dalla loro porta. «Finalmente!» sospirò e poi crollò contro la moglie, la testa nascosta nell'incavo del suo collo. Furono due respiri profondi e mani che si stringevano, giusto il tempo di rimettere insieme i pezzi, quanto bastò per capire che il pericolo era passato.
«Credi che tornerà?» azzardò Hope quando si furono separati, di nuovo in piedi nel loro piccolo mondo di segreti e porte sbarrate.
«No... no!» assicurò Lyall, i dubbi tenuti ben nascosti perché, se conosceva quell'uomo - e lo conosceva -, poteva star certo che sarebbe tornato. Sperava solo di riuscire a tenerlo fuori come oggi. Hope annuì, sforzandosi con tutta se stessa di credere a quel no.
«Andiamo a controllare Remus!»
Lyall si lasciò trascinare per mano, col battito che finalmente rallentava e la presa sulla bacchetta che si ingentiliva. Era come riemergere un po' alla volta da un incubo furioso che si lasciava dietro una scia di stanchezza e gambe molli. Gli ci volle tutta la sua forza di volontà per non rovinare addosso a Hope quando le sbatté contro, immobile come pietra sulla soglia del soggiorno.
«Come ha fatto?» sussurrò lei, sconvolta, la mano che stritolava quella del marito.
Lyall aprì la bocca e boccheggiò comicamente, sembrava lo avessero trasfigurato in un gigantesco pesce.
«Posso averne un'altra?»
Albus Silente si leccò le labbra e indicò con un dito sottile e nodoso il piattino ormai mezzo vuoto che sembrava dover precipitare da un momento all'altro giù dal bordo del tavolino. Remus ridacchiò e si allungò per afferrare il piatto e tenderlo verso l'imponente mago.
«Sono proprio deliziose!» dichiarò e fece schioccare la lingua prima di mordere la frittella.
«Le ha fatte la mamma!» esclamò il bambino, impettito d'orgoglio. Silente piegò la testa in un segno riverente.
«Le farò i miei complimenti non appena la vedrò!»
Remus sembrò sinceramente soddisfatto e con un gran sorriso incrociò le braccia sul tavolino e ci si appoggiò dondolandosi. Le sue gobbiglie erano messe meglio di quelle dell'altro e doveva ragionare attentamente sulla prossima mossa per non sprecare il proprio vantaggio. Quando poi le sue biglie decimarono quelle dell'avversario, lui si premiò con la più grande delle frittelle rimaste nel piatto. Silente incrociò le mani sulle ginocchia e da dietro delicati occhiali a mezzaluna studiò il campo di gioco e la sua solitaria gobbiglia sopravvissuta.
«Mio caro ragazzo, credo tu mi stia stracciando!» esclamò solenne.
Remus raddrizzò le spalle con gli occhi che luccicavano, verdi come l'acqua di un laghetto sotto il sole. Era una bella sensazione vincere, soprattutto considerato che era la prima volta che giocava con qualcuno che non fosse papà. Poi gli venne il dubbio che non fosse proprio cortese battere un ospite – il primo dopo tanti anni - e la bella sensazione si incrinò.
«È arrabbiato, Signore?» chiese serio, la mano destra che tormentava il polso sinistro, lì dove una vecchia cicatrice gli segnava la pelle.
«Oh no, ragazzo mio, ho imparato da tempo ad accettare le sconfitte quando sono meritate» e il vecchio mago gli strizzò un occhio.
Remus si rilassò di colpo e tornò a concentrarsi sulle gobbiglie, senza sentirsi nemmeno un po' in colpa.
Dalla porta, Lyall e Hope continuavano a fissare la scena come fossero sotto l'effetto di un Petrificus Totalus. C'era qualcosa di profondamente spaventoso in quell'uomo che era riuscito ad entrare in casa nonostante tutti gli incantesimi protettivi di cui traboccava eppure, allo stesso tempo, sembrava incredibilmente al posto giusto lì, nel loro salotto, a giocare a gobbiglie con Remus e a mangiare frittelle.
«Lyall.»
Hope lo strattonò per la mano che ancora gli stringeva e quasi lo catapultò nella stanza, tanto chiassosi quanto erano stati invisibili fino ad allora.
«Professor Silente» tossicchiò Lyall, incapace di improvvisare uno straccio di convenevole che non suonasse ipocrita o inopportuno come la porta che in pratica gli aveva sbattuto in faccia.
«Buonasera, Signor Lupin» salutò cordialmente il mago, la lunga veste lillà che toccava terra mentre si alzava per stringergli una mano tra le sue. Remus li osservava curioso dal basso del tavolino.
«Come posso aiutarla, professore?» tentò, sfoderando il sorriso più convincente che gli riuscì di tirare fuori.
«Vorrei parlare di Remus, se me ne concedi l'occasione!» sorrise incoraggiante, ignorando il bambino che si appiattiva intimorito contro il divano e Hope che sobbalzava rumorosamente una poltrona più in là.
«Innanzitutto, devo assolutamente complimentarmi per le meravigliose frittelle che Remus ha così gentilmente condiviso con me» sviò, gli occhi azzurri limpidissimi dietro gli occhiali a mezzaluna che la fissavano con l'innocente impertinenza dei bambini. La donna ebbe appena la presenza di spirito di annuire per dare cenno che aveva ascoltato, mentre Lyall se la tirava vicina come una bambola di pezza.
«Cosa vuole da Remus?» chiese, scontroso d'istinto, sulla difensiva senza neanche accorgersene.
«Remus sta per compiere undici anni e a settembre sarà a Hogwarts», Silente si strinse nelle spalle come se quello bastasse a spiegare tutto.
Lyall scosse la testa e si odiò, si odiò davvero per essere costretto a farlo davanti al suo bambino, il sole scomparso dal laghetto verde dei suoi occhi, spazzato via come tutti i suoi sogni. E quante volte era già successo?
«Non andrà a Hogwarts» sussurrò, la voce impigliata in gola come un uccellino in una trappola, Hope che si agitava inquieta accanto a lui, le mani che stropicciavano il grembiule, un labbro martoriato tra i denti.
«Non può!» disse solo, le parole ruvide di pianto trattenuto, di rabbia che ribolliva e di impotenza. E di colpa, di una colpa così profonda che annientava tutto. E nessuno poteva farci niente, neanche il grande Albus Silente, neanche per quanto volesse e per quanto ci provasse.
«Certo che può, ragazzo mio!» ribatté però l'uomo, la voce così ferma che Remus fu tentato davvero di crederci. Lui lo sapeva, lo sapeva da un sacco di tempo, che i suoi undici anni sarebbero arrivati e sarebbero passati senza che nessun gufo picchiasse alla sua finestra, senza nessuna lettera scritta in inchiostro verde, senza nessun elenco di libri da comprare, senza nessuna Hogwarts a cui andare. Lo sapeva e ci si era rassegnato, così come si era rassegnato a tutto ciò che la maledizione si era portato via e che mai avrebbe avuto, masticato e digerito come un boccone di carne e sangue e niente più.
«Non può e se lei è venuto qua di persona suppongo sappia benissimo il perché» ripeté Lyall, il tono semplicemente letale, come di minaccia sottintesa, come di sfida a insistere, a creare castelli di carta troppo fragili per la realtà. Sarebbe finita male, anche se era Silente, con buona pace del rispetto e della stima e dell'ammirazione che gli aveva sempre portato.
«Capisco i vostri timori, davvero, ma non vedo perché Remus non debba venire a scuola. È un mago, ne ha tutti i diritti e sarebbe ingiusto, profondamente ingiusto, che una tragedia di cui non ha colpe lo privasse dell'istruzione e della compagnia che gli spettano» dichiarò Silente e tirò fuori da una manica larghissima un rotolo di pergamene pregiate che stese tra quel che restava delle gobbiglie abbandonate. «Ho un piano!» sorrise cospiratore e indicò il castello di Hogwarts, il villaggio di Hogsmeade nell'angolo basso della pergamena, una sgraziata casupola nel centro e un lungo sentiero che univa tutto, brillante di intensissimo inchiostro verde. Remus si chinò sulle carte emozionato e pieno di aspettative, come se tutta la sua giovanissima vita dipendesse da quello. Di sicuro ne dipendeva il suo più grande sogno fino a quel momento, la scuola e gli altri bambini e un po' di solitudine in meno, e la consapevolezza colpì Hope e Lyall come mai prima d'ora. Forse perché mai prima di quel momento era stato possibile o lo era solo lontanamente sembrato, mai c'era stato un piano, mai nessuno aveva saputo, mai. E ora invece c'era questo strano mago che vestiva di lillà e ti capitava tra capo e collo a mangiare le tue frittelle e una casa costruita apposta per Remus, con una storia tutta per lui e qualcuno con cui condividere il segreto.
«Allora, mio caro ragazzo, pensi possa funzionare?»
Silente aveva parlato senza sosta negli ultimi dieci minuti, illustrando con generosità ogni dettaglio del suo piano, la casa costruita al limitare del villaggio di Hogsmeade dove trasformarsi in tutta sicurezza, il lungo tunnel sotterraneo nascosto nella pancia del parco della scuola, il terrificante e folle Platano Picchiatore che sarebbe stato piantato a fare da guardiano con i suoi incontrollabili rami e poi Madama Chips e la sua infermeria pronta a tutto e i permessi mensili per saltare le lezioni. Sembrava aver pensato a tutto e Hope si chiese quanto tempo ci avesse dedicato, quante ore ci avesse sprecato su quelle carte, su quel piano. Lyall si chiese se invece, davvero, tutto sarebbe andato liscio come diceva il professor Silente, se Remus avrebbe, davvero, potuto affrontare tutto quello da solo.
«Ma se gli altri sapessero...» si lasciò scappare, le spalle che tremavano al solo immaginare quel che sarebbe potuto accadere se non fosse stato più un segreto e tutti avessero saputo del morso, della maledizione, del lupo che reclamava il suo piccolino ogni stramaledetto mese.
«Non tutti, Lyall, solo i professori e l'infermiera, nessun altro. E vi garantisco che nessuno parlerà, che nemmeno una parola uscirà da Hogwarts. D'altronde, sono d'accordo che, per il bene di Remus, sia meglio che nessun altro sappia che è un Lupo Mannaro. Puoi farlo, vero, Remus? Intendo non dire a nessuno delle trasformazioni.»
Il professore si rivolse direttamente a Remus, puntando gli occhi azzurrissimi nel delicato verde acqua dei suoi.
«Certo, Signore, so che non devo dirlo a nessuno.»
E Silente ebbe il flash di un bambino piccolissimo, di occhi lucidi di dolore e di un padre distrutto che costruiva un rifugio di segreti a forza di Sarà meglio che tu non giochi più con gli altri bambini. Era così dolorosamente familiare che fu un sollievo distogliere lo sguardo e riempirlo del sorriso infinito di Remus.
«Perché fa tutto questo per noi? Per Remus?»
Hope non riuscì a trattenere la curiosità, la gratitudine sorpresa che le aveva arrossato le guance sotto le ciocche di capelli sfuggiti dalla treccia.
«Suppongo che sia perché voglio essere un buon preside» minimizzò Albus facendole di nuovo l'occhiolino e sistemandosi la lunga barba tra le pieghe della veste.
Lyall sbuffò una mezza risata di incredula e vaga gelosia.
«Quindi andrò davvero a Hogwarts?» chiese Remus, giusto per esserne sicuro davvero, per non svegliarsi e scoprire che era solo un sogno, un'illusione che sarebbe morta con il buio della notte.
«Assolutamente sì, senza ombra di dubbio!» ammiccò Silente e non ci furono più domande, nulla che avesse più importanza di Remus che era esploso di gioia, letteralmente, come un piccolo fuoco di artificio e miliardi di scintille accecanti.
«Andrò a scuola, andrò a scuola anche io e ci saranno un mucchio di altri bambini» rise euforico e praticamente si schiantò contro Lyall, un tornado in miniatura che si sbracciava incontenibile verso Hope.
E nemmeno si accorsero di Silente che andava via, in uno sbuffo di lillà così come era arrivato, tutto intorno a loro che traboccava di una felicità nuova, sconvolgente, calda come gli abbracci di Remus, vibrante come la sua litania di Hogwarts, Hogwarts, Hogwarts che non riusciva a frenare, incredibile come i bambini che avrebbe finalmente incontrato. Magari non sarebbero stati amici, quello non si poteva comunque, ma andava bene così, gli bastava.

 
Benché dia ben poca luce,
un lucignolo che sfrigola
è immensamente più luminoso
delle tenebre assolute

[Arthur Haley]
  
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