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Autore: Saroyan    18/01/2015    5 recensioni
[Creepypasta]
[Mi passai stancamente la mano destra sul viso, quasi sperando che ne scaturisse una qualche magia per farmi dormire. Niente. Per qualche secondo rimasi immobile, guardando il soffitto della mia camera, con la mano ancora poggiata sulla fronte. Era quella stupida sensazione a non permettermi di riposare, lo sapevo. Non c’era nessuno nella mia stanza, era solo immaginazione.]
Genere: Horror, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Notte.
Era una notte di agosto. Faceva caldo, ma non troppo da impedirmi di dormire con le lenzuola, fresche di bucato. Ero reduce da una giornata pesante e l’unica cosa che volevo era gettarmi sul fresco letto e riposarmi. Così, dopo essermi liberato dei vestiti, esclusi una canottiera bianca e un paio di boxer neri, mi stesi sul materasso. Non mi ero neanche curato di togliermi gli occhiali da vista e posarli da qualche parte: me ne accorsi solo dopo aver affondato il volto nel morbido cuscino. Mi girai, stendendomi sulla schiena, per poi togliere gli occhiali e poggiarli con ben poca delicatezza sul comodino in legno accanto al mio letto. Sbuffai, chiudendo gli occhi, e mi dissi che potevo finalmente riposare. Pensavo che, data l’enorme stanchezza, mi sarei addormentato subito. Non fu così.
Mi sentivo inquieto. Ogni volta che ero sul punto di scivolare nel mondo dei sogni, una strana sensazione mi risvegliava. Era come se avessi paura di qualcosa… di qualcuno. Sbattevo le palpebre in continuazione, come per accertarmi della presenza di quel qualcuno. Ma al buio non vedevo niente. Forse non c’era davvero nulla, nella mia stanza.
Spesso mi giravo e rigiravo, tanto che il cuscino su cui poggiavo la testa era silenziosamente caduto a terra, insieme a parte delle coperte. Non ci feci molto caso, pensando pigramente che avrei sistemato tutto il giorno dopo, o che l’avrei fatto fare a mia madre. Ogni volta che compivo un movimento, fosse anche il più semplice, il mio vecchio letto scricchiolava. Prima o poi avrei costretto i miei genitori a comprarmene un altro. Avevo provato ad addormentarmi in ogni modo, perfino utilizzando quel vecchio metodo del “contare le pecorelle”. Tutto inutile. Mi sembrava impossibile prendere sonno. Passai diversi minuti a cercare la posizione più comoda per cadere nel mondo dei sogni, sperando di riuscirci al più presto. Ma, evidentemente, Morfeo aveva deciso di non lasciarmi riposare, quella notte. Sbuffai infastidito. Avrei voluto riprendere il cuscino, stringerlo fra le braccia e addormentarmi serenamente, come sempre. Perché quella notte era così diversa? Forse perché era più buio, dato che la luna era nascosta dalle nuvole. Ma no, non era la luce. Forse…era quella strana sensazione di sentire un paio di occhi fissi su di me. Quella continua sensazione di inquietudine che mi assaliva ogni volta che chiudevi gli occhi, C’era qualcuno…qualcuno che mi osservava in silenzio. Ma no, ma no! Cosa pensavo? C’ero solo io nella mia stanza. Io e quei dannati rumori che mi infastidivano in continuazione.
Uno dei rami dell’albero piantato davanti a casa mia sbatteva in continuazione contro il vetro della finestra, mosso dal flebile vento che soffiava. Era un suono quasi inquietante. I muri sottili della mia casa mi permettevano di sentire il respiro debole di mia madre. L’orologio ticchettava in continuazione.
 

TIC-TAC-TIC-TAC
 

Che fastidio. Sembrava che tutti i rumori si fossero alleati contro di me, costringendomi a restare sveglio. E quell’assurda sensazione di essere osservato continuava a perseguitarmi.
Mi passai stancamente la mano destra sul viso, quasi sperando che ne scaturisse una qualche magia per farmi dormire. Niente. Per qualche secondo rimasi immobile, guardando il soffitto della mia camera, con la mano ancora poggiata sulla fronte. Era quella stupida sensazione a non permettermi di riposare, lo sapevo. Non c’era nessuno nella mia stanza, era solo immaginazione. Potevo accendere la lampada, per dimostrare a me stesso che avevo ragione, che non c’era niente di cui aver paura. Ma ero troppo stanco –o pigro?- per allungare il braccio e accendere la luce. E poi…non ne valeva la pena. Presto mi sarei addormentato, ne ero certo. Era una notte come le altre e presto avrei iniziato a dormire. Ma allora, perché continuavo a sentirmi osservato?
Stupidaggini! Tutte stupidaggini! Ero da solo nella mia stanza e quella sensazione di “sentirmi osservato” era solo frutto della troppa stanchezza. Forse dei troppi film horror visti prima di andare a letto. Mia mamma l’aveva sempre detto che dovevo smetterla di guardarli la sera tardi. Sospirai. Eppure ero sicuro, sicurissimo, che ci fosse qualcuno. Lo sentivo, il mio sesto senso diceva che dovevo stare all’erta. Ma io non avevo mai ascoltato il mio sesto senso. Quindi no. Non c’era nessuno, dannazione! Dovevo smetterla con tutte quelle seghe mentali. L’ennesimo sospiro sfuggì dalla mie labbra, mentre con la mano sinistra scostavo una ciocca di capelli castani. E mentre pensavo a cosa potesse tenermi sveglio a quell’ora e tentavo inutilmente di dormire, l’orologio non accennava a smettere. Continuava a ticchettare, con quel rumore fastidioso, che mi trapanava i timpani. Se non fossi stato così pigro, e così stanco, mi sarei alzato e avrei scagliato quel dannato orologio a terra.
 

TIC-TAC-TIC-TAC
 

E quel ticchettio si faceva sempre più insistente, come se l’orologio da cui proveniva fosse sempre più vicino a me. L’avrei rotto, giurai, l’avrei rotto la mattina dopo. Il respiro sottile di mia madre, nella stanza accanto, si faceva più rumoroso…no, non più rumoroso. Più vicino. E mentre il pensiero di mia madre che riposava beatamente nel suo letto mi sfiorava la mente, un ricordo ben più orribile si affacciò nella mia testa. Mia madre non era in casa.
Lei sarebbe tornata fra due giorni, a causa del suo lavoro. C’ero solo io.
Quel respiro…quel respiro! Non apparteneva a mia madre, no! Era di qualcuno. Quel qualcuno che mi osservava. Quel qualcuno che silenziosamente si era avvicinato al mio letto. Quel qualcuno che in quel momento mi respirava sul collo. Non era mia madre, non lo era affatto.
Non riuscivo a muovermi, paralizzato com’ero dalla paura. Non riuscivo a parlare, anche solo ad urlare dal terrore. Il mio cuore batteva all’impazzata. Il ticchettio dell’orologio era assordante. Mi entrava nell’orecchio, era a pochi centimetri da me. Iniziai a tremare come una foglia. E un secondo pensiero, ancora peggiore del precedente, mi balenò in mente. Io non avevo orologi in camera.
 

TIC-TAC-TIC-TAC
Il respiro di quella persona sul mio collo.
 

TIC-TAC-TIC-TAC
Il suono dell’orologio di quella persona nelle mie orecchie 
 

TIC-TAC-TIC-TAC
La lama affilata del coltello di quella persona sotto il mio collo.
 

TIC-TAC-TIC-TAC
La voce femminile e spaventosa di quella persona…
 

TIC-TAC-TIC-TAC
“…Your time is up…”
 

TIC-TAC-TIC-TAC   
Il mio sangue sulla lama del coltello di quella persona… di quell’assassina.

 



TIC-TAC-TIC-TAC
Il mio tempo era finito.


 

  
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