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Autore: StrychnineTwitch    18/01/2015    1 recensioni
Michel B. cominciò un diario per il semplice motivo che fu la sua perfettina madre francese a consigliarlielo. Amava scrivere, una volta, poi aveva smesso in favore di altri tipi di sfogo, ma ricominciare non era stato un peso.
Sapeva che nessuno avrebbe letto quelle pagine, se non lui a distanza di anni, ma questo non gli impediva di mettere tutto se stesso in ciò che faceva.
Michel si sentiva una persona diversa dalle altre, e amava dimostrarlo a se stesso, ecco tutto.
-Capitoli-
-Giorno 1 - Il bicchiere di liquore
-Giorno 2 - Il filo d'erba
-Giorno 3 - La fase REM del kraken
-Giorno 4 - Bianco per il Re, blu e rosso per la Francia
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Diario degli sfortunati eventi di Michel B.
e di come un giorno qualsiasi possa trasformarsi nell'incubo peggiore



11/1/2015 - Bianco per il Re, blu e rosso per la Francia

 

Siedo in un bar attendendo che la gente si ammucchi nella piazza dov’è situato “Caffè della Loggia”. Sono qui da solo, ma so che presto riuscirò di nuovo a sentirmi in un mondo di persone che posso definire tali, persone che tengono a loro stesse, che tengono agli altri, e questo non potrà che farmi bene. E posso dire così perché è domenica, e la gente non manifesta di domenica se non ci tenesse veramente, perché mai disturbarsi quando si potrebbe rimanere a letto a riposare tutto il giorno e rifocillare la batteria esaurita dalle fatiche di una lunga settimana?

Il campanello trilla ed io mi volto verso la porta: è appena entrato un uomo, sembra essere conosciuto dai proprietari, che lo salutano cordialmente. Ora parlano, parlano dell’argomento più temuto dopo la morte, parlano della guerra. Ma ormai ci siamo abituati anche a questo, la guerra ci scorre addosso come acqua senza nemmeno riuscire ad inumidirci, siamo chiusi in buste di plastica idrorepellenti, ma non basta, ci hanno anche dotati di comodissimi ed efficientissimi paraocchi per poter evitare l’argomento scomodo. La guerra è un argomento che non ci riguarda, non lo sentiamo nostro, e questa è una fortuna per noi singoli uomini. Ci preserviamo da un terrore che potrebbe inghiottirci. “È fortuna nostra che qui non ci siano attentati.” Dice il vecchio che si è messo comodo contro il bancone; forse ordinerà il caffè, o forse è qui solo ad aspettare che la manifestazione cominci, un po’ come me. Ora parlano di cristiani, di crociate. Sarei tentato d’intromettermi e ricordargli l’inquisizione e la caccia alle streghe, ma per oggi preferisco stare in silenzio ad ascoltare ciò che gli altri hanno da dire. Gli adulti. Almeno alcuni tra loro sanno di cosa parlano, anche se la condanna più diffusa è che dopo i trent’anni si aspetti solo con tanta ansia che arrivi la morte.

Son felice di essere qui, non c’è altro posto dove vorrei o potrei essere in questo momento. Solo qui. Mi hanno sbattuto fuori di casa, così come qualche giorno fa mi hanno sbattuto fuori da scuola. Tanto meglio. Non ho nulla da spartire con questa realtà. Devo andarmene al più presto, nonostante ora sia confinato in questo luogo, incatenato con manette d’oro – per amor di Dio, non si può dire che non mi facciano vivere nel lusso – ma pur sempre manette restano. Anche le catene e i ganci sono preziosi, ma il loro valore è l’ultimo dei miei problemi. Se solo riuscissi a liberarmi. Il problema è che non è facile spezzare qualcosa che è cresciuto con me e aderisce perfettamente al mio corpo. Non posso tagliare catene che si sono allungate seguendo i miei passi. È il brutto delle prigioni emotive, delle briglia famigliari che, anche se possono sembrare inizialmente un sostegno, col tempo diventano obblighi che odiamo rispettare.

Mancano 40 minuti, ho ancora 2400 secondi per pensare alle lacrime che scorrevano sul volto di mia madre oggi, quando sono entrato in casa con i lividi sulle braccia e sul volto. Non riesco ancora a capire cosa sia successo, e perché, è come se la strage francese si fosse rimpiccolita e adattata alla mia vita. Mi sono spezzato come la punta delle 12 matite che ora non respirano più, ma sono comunque qui, ad una marcia di solidarietà per Parigi, nella speranza che il favore mi sia restituito.

La Loggia è un edificio antico e perfetto nella sua magnificenza, la sua stazza e compattezza gli conferiscono tutta l’importanza di cui necessita. Una cupola dai costoloni morbidi copre i due piani in pietra, tre finestroni la bucano al piano superiore, e sotto di essi tre grandi portali arcuati, ma senza porte. Lo spazio coperto che si apre oltre gli archi è circondato da pilastri decorati, targhe e incisioni, ma non è questo il meglio che offre oggi, poiché tre grandi teli colorati con i colori della nazione colpita corrono sulla sua facciata, la incorniciano quelli laterali, mentre quello centrale è l’ennesimo ricordo di quello che viene definito come il nuovo 11 Settembre. Bianco per il Re, blu e rosso per la Francia, anche se oggi quest’ultimo sembra voler essere sangue.

In piazza non s’è ancora vista la folla, solo alcune persone stanno incollate allo schermo posto sotto il porticato, per carpire ogni dettaglio dell’ultima atrocità umana.

Gli unici che sembrano non curarsene sono i piccioni, che infreddoliti scorrazzano avanti e indietro sulla pietra. Ma a loro non importerebbe nemmeno dei piccioni francesi morti perché una macchina troppo veloce li ha travolti un attimo prima che potessero volare lontano. Essere un umano è troppo difficile a volte, non ne vale nemmeno la pena. Nel mondo in cui siamo finiti, essere un uomo è la peggiore delle disgrazie.Dover pensare, e quindi trovare uno scopo a quello che in realtà vedo come un inutile lampo nella volta celeste del mondo. Ma è difficile raggiungere uno scopo quando non hai più nemmeno un tetto sotto il quale dormire, non un amico che ti possa accogliere, non una manciata di soldi sufficiente a mantenere te stesso. E potrei finire come quegli uomini che non possiedono altro che una coperta ed un cane, e che, quando fa tropo freddo, scelgono di sacrificare un bene per la sopravvivenza dell’altro.

 ***

 
Dopo la manifestazione mi sono diretto in stazione, ed ora ho ancora tempo da perdere prima che arrivi l’autobus che sto aspettando. Ancora una volta non mi restano che 40 minuti, un lasso di tempo infinitesimale a pensarci bene, ma infinitamente lungo da trascorrere in compagnia solo di una matita e di un taccuino.

Il mio caro e brillante groviglio di neuroni non mielinizzati (quella che comunemente definiamo come materia grigia) proprio non ne vuole sapere di collaborare. Sarà solo che ha voluto prendersi una vacanza dopo le percosse di oggi. Sì, la testa mi duole ancora, ma almeno ho avuto altro a cui pensare in quella piazza non poi così gremita. I volantini che io e il mio amico avevamo hanno costellato ognuno dei sei lampioni davanti alla Loggia, ho perfino sorriso quando un bambino pakistano ha seguito con il ditino ogni lettera delle due righe scarse, forse senza nemmeno capirne il significato. Che cosa può saperne un bambino della libertà di stampa? Forse anche più di me. Sotto la scritta, uno dei disegni che ha fatto il giro del mondo in sole poche ore: due matite verdi che si ergono in un cielo sconfinato, in cui l’unica compagnia sarà quella di un aereo che si avvicina nascosto da una nube. Ci sono anche io in quello scenario che procede verso la distruzione. Mi sto arrampicando sulla matita di destra, quella che per prima verrà colpita. Sono il punto d’impatto e questa è la mia fine. Attendo, con impazienza, di sentire la pelle bruciare, l’eterno istante che precederà la fine fare capolino nella mia linea temporale. Non ci sono speranze di sopravvivere, il metallo scottante brucerà la mia carne in men che non si dica, eppure quell'attimo costituirà la mia esistenza da lì innanzi. Non avrò più niente, se non quella lunga rotaia del terrore celata dalla nebbia, e come al solito la percorrerò, arriverò al precipizio e mi lancerò sperando, ameno questa volta, di schiantarmi al suolo in un fragoroso impatto i organi molli e asfalto.

Ancora 20 minuti mi separano dalla partenza, e questo, per quanto monotono, è l’unico pensiero a cui permetto di affiorare tra le nuvole che coprono i miei occhi. A breve anche una nuova sigaretta si accenderà per poi consumarsi, bruciando tutta se stessa per unirsi al sottoscritto. Vorrei piangere tanto da poterla spegnere, questa sigaretta, ma no, le gocce umide sono bloccate nei meandri dei miei condotti lacrimali e nessuno potrà smuoverle da lì.

Non so ancora se sono un ragazzo profondamente diverso, o se questo è solo un principio di depressione congenita che sta prendendo possesso del mio corpo, ma questo non è il mio problema principale ora. Quello è la punta ormai consumata della matita, che non mi consentirà di scrivere ancora a lungo. È l’unica cosa di cui mi stia interessando in questo tempo, sì, anche più dell’orario e del pullman. Le pagine invece non sembrano terminare, sono tante, e il diario è solo all’inizio. Non ne vedo l’utilità. Trascrivo solo i pensieri di un folle su pagine bianche, senza nemmeno utilizzare l’inchiostro.

A volte mi chiedo se il mio problema non sia l’essere solo, il non avere nessuno accanto, se si capisce cosa intendo. Forse è solo una scusa, ma solo dopo l’ultima volta ho deciso di smettere di innamorarmi. Il mondo non appartiene più ai romantici. Ora se vuoi farti strada nel cemento devi esser fatto d’un materiale altrettanto duro, cinismo rinforzato d’assenzio. Devi essere amaro come l’aceto, e aggiungere un pizzico d’acidità di limone. O non funziona, amico mio, non funziona più di una molla che non si tira né si restringe.

Michel B.


 



NB. Avrei voluto, almeno per questo capitolo, lasciare le cose come stavano, senza commentare nulla, ma lasciando fare agli altri. Putroppo però, sento la necessità di chiarire alcuni punti, partendo dalla data che non è quella del giorno corrente, ma quella della settimana scorsa. Motivo? Semplice, la manifestazione di solidarietà per Charlie Hebdo si è tenuta l'11 e non il 16 Gennaio. 
Questa volte l'autrice ha fatto qualcosa che non si può assolutamente perdonare, si è sostituita al personaggio. Motivo? Semplice anche questa volta, la settimana scorsa sentivo il bisogno di scrivere il mio diario, e non quello di Michel, penso se ne capisca il perché facilmente, se si ha letto il capitolo. Non è certo per la manifestazione, se non per i fatti personali sparsi qua e là nel testo.
Chiedo quindi umilmente perdono per questo sgarro, ma purtroppo, come ha detto una volta la Fallaci, uno scrittore scrive la maggior parte delle volte di sé. 
Non penso ci sia molto da aggiungere, se non che non vorrei che questo passasse per il capitolo tributo a ciò che è accaduto in Francia, o meglio, ovviamente l'argomento è affiorato, ma non come la solita banalità. Intendo dire che ha le sue ragioni, come c'è una ragione per cui ero lì anche io a quella manifestazione, e certo non era per perdere tempo. Penso che invece sia molto importante per una persona che scrive difentere la libertà di stampa. Spero condividiate, oppure pensatela a modo vostro, non è importante.
Natalie B.
   
 
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