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Autore: Melian    18/01/2015    9 recensioni
"Vi avverto ancora: guardatevi da Alessandro. Il suo fuoco vi divorerà tutti, dissolvendo per sempre il vostro mondo. Nulla di ciò che possedete vi apparterrà per molto, neppure le vostre vite. Avete perso al Granico e perderete ancora."
[Prima classificata al contest "Battlefield", indetto da passiflora91 sul forum di EFP]
Genere: Azione, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
- Questa storia fa parte della serie 'Alexandros'
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Macedone nel cuore

 

 

 

Dymmachos vi saluta, buoni amici.


Non c'è molto da dire, dall'ultimo dispiaccio. Quello che c'era da sapere, lo avete visto con i vostri stessi occhi.
Il “cucciolo” ha mostrato i denti e voi avete saggiato il suo morso, pagando lo scotto di chi, impunemente, sventola la mano davanti al predatore.
Cosa dovrei aggiungere, più di quanto abbiate potuto vivere sulla vostra stessa pellaccia?
Date retta a me, avreste dovuto ascoltare il consiglio di Memnone: far terra bruciata e scappare, chiudendovi nelle vostre roccaforti nel cuore delle Persia. Avete letto bene: scappare.
Il lupo di Macedonia ha annusato la vostra paura e assaggiato il vostro sangue: credete che adesso molli il colpo e vi lasci in pace?
Siete degli illusi, se credete davvero in questa storiella: non si fermerà fino a che non avrà bussato alle vostre porte di persona e spinto giù dai vostri seggi, solo per il gusto di ascoltare il rumore che fate mentre cadete con le chiappe per terra.
Anche adesso stiamo marciando per venirvi a stanare, correndo come dannati accalcati sulle rive dello Stige, sotto il sole che balugina sullo scudo di bronzo di questa piana polverosa, dove il cielo e la terra si confondono nella linea dell'orizzonte, disorientandoci. Quando il sole tramonta, sembra che un improvviso incendio stia per divorarci, piovendo sulle nostre teste; l'esercito è sgomento e tutti si chiedono cosa ci riserverà l'alba.
Forse dovreste approfittare di questa incertezza.

Devo ammetterlo: mi fa sorride pensaste si sarebbe fermato al Granico.
Speravate che gli sarebbero tremati i polsi e se ne sarebbe tornato uggiolando a casa sua, se avesse visto l'esercito del Gran Re schierato sulla riva del fiume?
Credevate... credevate davvero di conoscere Alessandro?
Lasciatevelo dire, amici, voi non avete capito niente, di questo ragazzo.
Il figlio di Filippo II non gioca a fare il soldato, lui è un condottiero; non gioca nemmeno a travestirsi da re, lui è un sovrano che sa trascinare i suoi uomini, molto più di quanto voi possiate mai fare.
I suoi amici – sì, amici, non sottoposti, nè servi – lo seguono perché lo amano, lo rispettano e non possono fare a meno di sentire il sangue infiammare nelle vene quando lui li incoraggia e cavalca al loro fianco.
Alessandro non resta fermo nella sua lucente armatura a dare ordini, aspettando che dei poveracci si facciano scannare al suo posto come fanno i vostri satrapi, no: lui mangia come i soldati, dorme come loro, marcia assieme a loro e, quando visita personalmente tutti i reparti, quelli lo salutano come un fratello e lo invitano accanto al fuoco a bere e ad ascoltare vecchie storie.

Alessandro. Come faccio a dirvi chi è Alessandro?
Alle volte, ho come l'impressione che sia solo un ragazzo dalla smisurata intraprendenza e dall'ego ancor più spropositato; molte altre mi interrogo, chiedendomi se non assomigli ai vecchi eroi di Omero. Ma che ne sapete voi, di Omero? Alessandro ci dorme, con l'Iliade sotto al cuscino. Pare che sia una copia di gran pregio che gli ha regalato Aristotele, suo precettore.
Avreste dovuto vederlo quando siamo stati a Troia, prima di attraversare l'Ellesponto. Piccolo appunto: avete fatto un grosso errore a permettergli di passare senza alcun intoppo. Pensateci su, per la prossima volta che qualcuno decide di gettarsi alla conquista dei vostri domini, mh?
Callistene, il nipote di Aristotele e storico personale di Alessandro, ha calcolato che il nostro arrivo a Troia è avvenuto il giorno stesso in cui, mille anni prima, gli Achei sbarcarono davanti alle Porte Scee. Insomma, per Alessandro e la sua spedizione, si scomodano grandi segni e fauste circostanze: gli Dei lo vogliono.
L'ho visto correre nudo e coperto di unguenti profumati assieme ad Efestione, attorno alle tombe di Achille e Patroclo.
Avreste dovuto vedere i suoi occhi illuminarsi, quando i sacerdoti di Atena gli hanno portato il vecchio scudo, la spada e l'armatura che, si dice, fossero appartenute a quella mitica epoca.
Non so se fossero quelli veri, né ho idea di cosa Alessandro abbia mai detto a proposito dell'autenticità di quegli orpelli bellici, ma in quel momento, mentre li contemplava e sorrideva, sembrava perso in un sogno antico, fatto di duelli e onore, ferocia e ispirazione ultraterrena, come solo Omero aveva saputo cantare.
Quanto Alessandro voglia assomigliare ad Achille, voi non potete immaginarlo. Ma a quello ci pensa Callistene coi suoi scritti, dopotutto.
Queste informazioni non valgono mezza dracma, mi direte. Può darsi, ma – se non siete del tutto pazzi – cercherete di tenerle in conto: "conoscere come pensa e vive il proprio nemico è il primo passo verso la vittoria". Vi sorprenderà sapere che è stata una cosa che ha detto Alessandro alle truppe? Il ragazzo è intelligente e colto.
Dopotutto, non avete ascoltato Memnone e siete finiti male. Fidatevi di un elleno, una volta tanto.
Cercare di comprendere la natura di Alessandro, infatti, è la vostra sfida. Se non riuscire a venirne a capo, sarete perennemente destinati alla sconfitta.
Alessandro è tutto, è ovunque, sa tutto, conosce tutto, vede tutto. Ha una straordinaria capacità di adattarsi, un intuito da stratega e una flessibilità che ha ereditato da suo padre, ma che è riuscito ad affinare in modo straordinario in maniera del tutto naturale. Lui combatte e appronta strategie con la facilità con cui io respiro.
Guardarlo negli occhi significa essere nudi, esposti al suo giudizio, cadere in suo potere: è capace di soggiogarti, ma anche di distruggerti. Non c'è molta gente disposta a tenergli testa, a parte i suoi fidi generali e i suoi compagni.
Tra questi, Parmenione è sicuramente il più anziano ed esperto, già consigliere e comandante dell'esercito sotto Filippo: è un vecchio che si batte come un ventenne, con il corpo pieno di cicatrici e lo sguardo fiero e saggio; è un uomo schietto e, forse, questo potrebbe costargli caro, se un giorno il nostro macedone dovesse montarsi la testa, dato che non apprezza poi tanto essere contraddetto. Ad Olimpiade, la madre di Alessandro, tanto per dirne una, non va a genio. Ma chi può andare a genio a quella donna, non si sa.
Clito il Nero è l'altro uomo di fiducia dell'esercito: grande amico di Filippo, si è sempre preso cura di Alessandro e lo segue come un'ombra. Certo, non ha il carattere più facile del mondo, ma in battaglia sa il fatto suo: è un tipo passionale e feroce.
La Cavalleria degli Eteri raggruppa tutti i compagni del re: sono amici di infanzia di Alessandro, cresciuti con lui ed educati a Mieza, ma anche i principi del fiore della gioventù macedone. Sono abili nelle cariche a cavallo, armati di lance e spade, e costituiscono la formidabile Punta con cui si insinuano negli schieramenti nemici, come una lama che taglia la carne.
Nel cuore di Alessandro, tra tutti loro, però, spicca Efestione.
Quei due sono legati da un'amicizia quale non ne esiste uguali, che affonda le sue radici nell'infanzia. Ma sembra anche che vada oltre il lecito: si mormora che giochino a fare sul serio Achille e Patroclo...
Comunque, sappiate che Alessandro lo tiene nel palmo di una mano. Efestione sembra un altro Alessandro, forse un po' più alto e prestante, eppure non ha lo stesso fuoco ad ardergli nelle vene, né lo stesso sguardo magnetico e impossibile. Non ha lo stesso fascino del suo re.
Il fuoco: Alessandro somiglia ad un incendio indomabile, ma anche alla fiammella dolce che illumina il buio. È strano, è un uomo fatto di continui opposti: li raduna tutti in sé e li annulla.
Una volta, parlando fittamente tra di loro, Aristotele e Aristandro di Telmesso, il sacerdote a cui sono affidati gli aruspisci e i rituali della spedizione, hanno affermato che Alessandro è abitato da diecimila nature, miriadi di daimos che si agitano inquieti nel suo cuore: può divenire tanto benevolo quanto crudele; tanto incline al riso quanto colto da terribile malinconia; tanto saggio quanto istintivo.
È un uomo che, forse, non ha pace, spinto su un sentiero impervio da una sete inestinguibile, da una fame di vita e di gloria e conquista inesauribile che nemmeno lui può spiegarsi. Si trova ad un'altezza tale, rispetto agli altri uomini, che lo relega alla solitudine.
Puoi guardarlo e scoprire di amarlo, odiarlo, commiserarlo e temerlo nello stesso momento.
Mi domando se davvero tutti lo seguono solo per la buona paga in argento sonante, la pensione assicurata, la percentuale sui saccheggi, i bottini di guerra, i premi e le regalie, l'esenzione fiscale che potrebbero sistemare intere famiglie per tutta la vita... oppure perché credono davvero in lui, nel suo disegno, nel suo genio.

Il Granico. Torniamo al Granico.
Un fiumiciattolo da niente, che corre tra due rive infami, scoscese e fangose, con le sue acque fredde e ribollenti di schiuma che tagliano la Frigia e la Troade e trovano sfogo solo nel mare.
Chi diamine avrebbe mai dato importanza ad un fiume simile? Ora ve lo ricorderete tutta la vita.
“Mi vergognerei se, dopo aver attraversato l'Ellesponto, mi facessi fermare dalle correnti del Granico.”, ho sentito dire da Alessandro in persona, mentre era in riunione con i suoi generali per decidere la strategia da adottare, incerta fino all'ultimo.
Due eserciti schierati e accampati, che si spiano aspettando che ciascuno sferri il primo colpo: che spettacolo!
Voi, convinti della vostra imbattibilità e vestititi delle belle corazze lucide e degli elmi con i pennacchi orgogliosi, schierati manco foste in parata: la cavalleria pesante nelle prime fila e, nelle retrovie, la fanteria leggera, dotata di lance troppo fragili e corte.
Contavate sul fatto che fossimo molti meno e che aveste potuto batterci con uno schiocco di dita, vero? Anzi, a sfregio, avete mandato le truppe delle satrapie della periferia dell'impero, perché il leone di Persia è troppo orgoglioso per accettare la sfida di un impudente ragazzino e il Gran Re non vuole scomodarsi in prima persona, no?
E, invece, il ragazzo che vi combina?
Attende la notte, una notte dove il buio inghiotte la luna come nei peggior auspici e non si vede ad un palmo dal naso. Una notte in cui voi, senza assolutamente immaginare quello che sarebbe accaduto di lì a poco, vi eravate spaparanzati a riposare a poca distanza dalla riva del fiume, senza armi e armature, con i cavalli legati davanti al campo, in modo che non fuggissero. Usanze persiane risapute, insieme a ottime spie, vi hanno fregato.
Io ero lì e ho visto i fuochi del vostro accampamento trasformarsi in pigre braci, mentre le sentinelle armate di arco si muovevano lungo la sponda senza aspettarsi nessun attacco: sarebbe stato da pazzi guadare il fiume al buio, in fondo.
Avevate ragione, ma con Alessandro non funziona pensare in modo ortodosso, non serve la logica che usereste contro un qualsiasi altro avversario. Alessandro sovverte tutto, cambia sempre le carte in tavola, si piega alle esigenze del momento.
Quella notte, vidi radunare silenziosamente l'esercito.
Lui avrebbe tenuto l'ala desta della cavalleria degli Eteri armata di lancia e spada, guidandone la punta. A Parmenione era affidata l'ala sinistra, comprendente la pesante cavalleria tessala, i traci e gli alleati elleni. Quindi erano stati disposti gli arcieri, gli Agriani armati di giavellotti e abilissimi nel tirarli e gli ipaspisti che, invece, coprivano il fianco destro della falange con grandi scudi legati all'avambraccio. Infine, la compatta falange macedone, con le lunghe e robuste sarisse dai manici in legno di ciliegio, era sistemata al centro, pronta ad intervenire, simile ad un enorme porcospino dagli aculei affilati.
Alessandro cavalcava un cavallo baio; aveva scelto di risparmiare Bucefalo, probabilmente per timore che potesse spezzarsi una zampa sul terreno irregolare. Avvolto in un mantello scuro, fece correre gli occhi sui ranghi ordinati dei suoi uomini e sollevò la mano: era il segnale.
Come un solo, gigantesco uomo, la macchina macedone si mise in moto.
Alessandro fu il primo a gettarsi in acqua – è sempre il primo a cercare scontro: guidò il cavallo giù per la sponda con risolutezza.
La cavalleria leggera lo seguì e, in quell'esatto momento, una pioggia di frecce fu scoccata verso il vostro accampamento. Prima che potessero accorgersene, le vostre sentinelle si ritrovarono spiazzate sotto quell'assalto improvviso. Quanti cavalli avete perso, per quel primo attacco? Erano i precisi piani di Alessandro, in modo da creare confusione.
Sorrisi quando si udì l'allarme nel vostro accampamento e il trambusto del convulso movimento dei soldati che cercavano di organizzarsi e dar battaglia; le urla in non so quante lingue che si rincorrevano nel buio; le fiaccole che sfrecciarono come luci impazzite da un punto all'altro.
Alessandro irruppe nelle vostre fila non nel punto in cui credevate sarebbe arrivato allo scontro, cioè dall'ala sinistra guidata da Parmenione, ma in diagonale e più a sud, proprio dove – nella sua cavalcata attraverso le acque del fiume – in un solo attimo aveva scorto la falla, la debolezza nel vostro schieramento. Ci si insinuò assieme ai suoi, menando fendenti con la spada e aprendosi un varco a forza, creando un cuneo.
Fu in quel momento preciso che il sole sorse e, mentre ascendeva, tutti noi vedemmo il mantello sulle spalle di Alessandro scivolare e la sua armatura riflettere il barbaglio dei primi raggi, il cimiero bianco sul suo elmo agitarsi al vento come ali di un gabbiano. Fu come se fosse apparso un dio. E sentii l'eccitazione improvvisa e lo stupore di tutto l'esercito. Ne fui contagiato e mi sorpresi ad urlare, con quanto fiato avevo in gola, il grido di battaglia.
Ci gettammo tutti nell'acqua: era il nostro momento.
La falange avanzò compatta, come un sol uomo, le lunghe sarisse inclinate e il passo cadenzato che dava l'idea di far tremare la terra.
Alessandro dava battaglia, mentre i satrapi si litigavano il diritto di affrontarlo in duello e si facevano avanti, sprezzanti, con l'unico desiderio di abbatterlo.
Su una piccola altura, in attesa, cinquemila opliti elleni, in file ordinate e rilucenti, attendevano sotto il comando di Memnone: mercenari al soldo della Persia che non avevano in diritto, o il privilegio, di prendere parte allo scontro, non prima che i principi persiani avessero rivendicato il loro primato. Mercenari ellenici.
I miei compatrioti hanno proprio una gran faccia di culo: nessuno, nemmeno un Ateniese sotto il comando di Alessandro; i Lacedemoni nemmeno a parlarne: piuttosto che stare sotto il comando di un re “barbaro”, avrebbero preferito gettarsi da una rupe.
Demostene deve avere avuto proprio un bel seguito, ad Atene. Non vi compiacete? C'è ancora qualcuno che prova a screditare Alessandro e vi fa buon gioco. Non è che avete pagato anche lui?

Certi particolari di quella battaglia li avrei carpiti solo in seguito, come per esempio la pressione esercitata dalla cavalleria sul fianco sinistro dello schieramento persiano che, ancora, aprì un altro varco, in cui la falange ebbe ottimo gioco.
Bagnato fin nelle ossa, brandivo la spada che, nella mischia, trovava carni da mordere con estrema facilità.
In quegli attimi concitati, non vidi più niente, non seppi più nulla, come se la vista mi si fosse annebbiata e nelle orecchie ruggisse solo un ronzio insistente, quello del mio cuore che batteva come un tamburo.
C'era solo l'ebbrezza dell'uccisione, la potente frenesia della mattanza, l'eccitazione di un furore selvaggio e gutturale. Ero divenuto un animale; eravamo tutti delle belve senza freni.
Vidi il sangue ruscellare dai corpi feriti dei soldati che si abbrancavano come bestie selvatiche; lunghe lance trapassare gole come fuscelli; arti tranciati con una foga spropositata e lo zampillo scarlatto sprizzare dai monconi che gli uomini agitavano in preda al panico, cadendo di schianto nel fango; cavalli crollare e trascinare sotto di sé i cavalieri; frecce conficcate nel mezzo di facce ormai irriconoscibili e bucare occhi.
Sentì il suono delle ossa che si frantumavano sotto i miei sandali borchiati quando inciampai sulla faccia di un morto; le urla straziate dei feriti come di maiali scannati; mille richiami in mille lingue che non compresi; il sibilo delle spade che mulinavano; lo schiocco delle pietre, brandite da chi aveva perso le armi, contro i crani che finivano spappolati nella melma.
Il puzzo degli escrementi, del fango, del sangue, del sudore, della paura...
Un soldato si premeva le viscere fuoriuscite da un orrendo squarcio sul ventre, macinando passi sconclusionati con espressione ebete.
Uccisi e uccisi. Tagliai gole e immersi la spada nei corpi dei persiani, trovando sotto l'ascella il punto debole delle corazze; tranciai dita e mani; lottai anche quando persi la lama e dovetti cercarla a tentoni, quando miriade di ferite superficiali mi ricoprirono le braccia e le gambe; combattei a mani nude, rompendo nasi e mascelle a suon di pugni.
Brama smisurata di sangue. Voglia di uccidere. Voglia di vivere. Desiderio di vedere un altro giorno ancora, solo un altro giorno...
La follia orgiastica della guerra regalava cadaveri ammonticchiati e urla e nitriti e cozzare di lame, mentre l'acqua del Granico si tingeva di rosso e la falange macedone spingeva, premeva, sfondava le difese nemiche e disperdeva chiunque si parasse sul suo cammino.
Fissai in faccia il mio nemico e vidi la luce spegnersi nei suoi occhi vitrei, avvertì sulla faccia l'ultimo, fetido alito di vita esalato dalla sua bocca contorta in una smorfia quando gli conficcai una lancia spezzata nel petto e torsi l'asta per il solo gusto di rendere quella ferita più dolorosa, più devastante. Il suo corpo cadde ai miei piedi e io passai oltre, senza più curarmene.
Alzai finalmente lo sguardo al cielo allagato di luce.
Alessandro era stato accerchiato dai principi persiani che sgomitavano per prendersi il merito della sua sconfitta. Solo un attimo prima, il re aveva conficcato la lancia nel cranio di Mitridate ed era stato sbalzato da cavallo dopo l'impatto.
In un attimo che non scorderò mai finché campo, il tempo parve quasi fermarsi e scorrere con una lentezza spropositata.
Scorsi una scimitarra ricurva infrangersi contro l'elmo del re e spaccarlo, portandosi via uno dei candidi pennacchi.Il respirò mi si mozzò in gola, mentre Alessandro barcollava, intontito, e si voltava giusto in tempo per affondare la spada nel ventre di Resace, con un colpo dettato dalla rabbia e dall'istinto; quasi perse la presa sull'elsa della lama.
Alle sue spalle, Spitridate urlò come una bestia e calò lo spadone sulla testa di Alessandro: lo avrebbe ucciso e l'elmo squarciato non avrebbe potuto proteggerlo.
Pensai che fosse tutto finito, che avremmo visto il ragazzo spacciato come un vitello sacrificale. Urlai e urlai, scioccamente. E corsi persino, illudendomi di poter raggiungere la mischia.
Poi il braccio che aveva menato il fendete cadde assieme alla spada, tranciato di netto, e Clito il Nero apparve al fianco di Alessandro come una furia, un segugio che aveva scovato la volpe. Si ritrovarono e si sorrsero – come se ci fosse agio per farlo, in quel marasma di fuoco, acqua e cadaveri – e combatterono spalla a spalla.
Risi, risi come un idiota, con le braccia incrostate di sangue e la spada sporca di cervella persiane.
Dopo questo, c'è da dire che è stato facile: tagliata la testa al serpente, il resto del corpo è capace solo di agitarsi ancora un po' negli spasmi di una morte inevitabile. Così siete voi, il vostro punto debole è sempre lo stesso: fatti fuori i comandati, il resto dell'esercito, affatto compatto, è allo sbando.
Parmenione ebbe vita facile: la sua cavalleria tessala arrivò di volata, con una carica assordante, spazzando via il resto dei ranghi disorganizzati e privi di coesione. La falange infilzò chiunque si era messa sul suo cammino.

La battaglia fu nostra. Il sole ci regalò la vittoria.
Alessandro era irriconoscibile, lordo da capo a piedi; animato dal furore di Ares, si spinse fino all'altura dove i mercenari elleni erano stati ricacciati dal primo assalto macedone e da dove avevano osservato ogni cosa, senza intervenire, aspettando che a Memnone, al loro comando, fosse dato il segnale dai satrapi, segnale che giunse troppo tardi.
Fu una carneficina. Quelli che non vennero ammazzati, furono catturati come monito per gli altri elleni.
Volete sapere che ne è stato?
Questa devo raccontarvela: è gustosa.
Certe trovate fanno parte del carattere di Alessandro: è un astuto e sarcastico diplomatico, un uomo arguto e irriverente, ma estremamente raffinato nella sua sottile e insinuante cortesia.
Dopo aver diviso trecento ateniesi dal resto dei mercenari sopravvissuti, tolse dal bottino di guerra e dai prigionieri trecento panoplie da spedire ad Atene con accanto un bel biglietto che recitava così:

 

«Alessandro, figlio di Filippo, e gli Elleni, eccetto i Lacedemoni, dedicano queste spoglie tolte ai barbari che vivono in Asia»



Trecento corazze, poiché trecento erano stati i Lacedemoni al comando di Leonida contro Serse. Voi ve lo ricordate, vero? Oh ma certo, vi leccate ancora quella ferita nell'orgoglio, in fondo.
I Lacedemoni, intanto, si saranno mangiati il fegato, poco ma sicuro. O forse avranno persino apprezzato la sottile ironia, pur nell'orgoglio che impedisce loro di dare credito ad una spedizione panellenica che non sia guidata da Sparta?
E che tocco di classe, per gli ateniesi, questo gran riguardo verso la loro Pallade Atena! Avrebbero avuto di che inghiottire bile dietro sorrisi di cortesia! Mi immagino anche la faccia di Demostene...
In ultimo, notate la finezza: "figlio di Filippo". Alessandro si è presentato umilmente, come il figlio del garante della Lega di Corinto e non imponendosi come re.
Beh, cosa potremmo aspettarci da Alessandro, uno che, contro il parere dei generali più anziani che gli sconsigliavano di scendere in guerra nel mese di Daisio, aveva ordinato di cambiare il calendario e chiamare quel mese “secondo Artemisio”, risolvendo ogni problema?
Semplice, diretto e conciso. Faccia tosta, sfrontatezza e fortuna. O forse no, non si tratta di fortuna, ma di genio, di ispirazione, di talento?
Il ragazzo, l'ho già scritto, ha nelle vene un fuoco divino: sa incantare, sa farsi amare, sa farsi ascoltare e seguire. I suoi amici e i suoi soldati morirebbero per lui, con lui, se glielo chiedesse.
Cambio nomi e facce ogni volta che l'argento scivola tra le mie dita, con la facilità disarmante di un uomo disilluso dalla vita, ma lui ha irretito anche me.
Ricordatevi chi sono: mercenario, spia, manolesta e truffatore, giocatore incallito e incauto bevitore. Ho quasi quarant'anni e li ho passati vagando, inchinando la mia spada al soldo e la mia lealtà al miglior offerente, compresi voi. Cinico e miscredente, frequentatore di osterie e bordelli, forse sono l'ultimo uomo sulla faccia di questa terra a poter parlare di ideali.
Vi avverto ancora, l'ultima volta: guardatevi da Alessandro. Vi divorerà tutti, dissolvendo per sempre il vostro mondo. Nulla di ciò che possedete vi apparterrà per molto, neppure le vostre vite. Avete perso al Granico e perderete ancora.
Ricordatevi di quello che vi ho appena detto, quando un macedone vi trapasserà da parte a parte con la sua sarissa, sul prossimo campo di battaglia.
Ricordatevi di Dymmachos, figlio di Menedes di Naxos: elleno per nascita, persiano per interesse, macedone nel cuore.

 

 

 

 

 

 

_______________________________

Note dell'autrice:

 

questa storia è stata scritta per il contest “Battlefild”, indetto da passiflora91 sul forum di EFP.
Il contest, infatti, richiedeva di narrare una battaglia e io ho scelto quella del Granico, tra l'esercito di Alessandro e quello persiano, la prima della serie di scontri che porterà Alessandro a conquistare l'Asia che si svolse nel 334 a.C. Nel periodo di maggio-giugno (mese macedone di Daisio).
Tuttavia, non sono particolarmente brava nelle storie di guerra e nelle strategie militari, tanto che questo è stato un po' un esperimento, la prima volta che affronto questo genere più da vicino e ho cercato di informarmi sulle strategie messe in campo sia in giro per il web, sia tramite “La vita di Alessandro” di Plutarco, sia nel libro “Alessandro Magno” di Lane Fox.
Il compito è stato arduo, perché della battaglia si hanno moltissimi versioni diverse: c'è chi dice che i macedoni arrivarono al fiume nel tardo pomeriggio e attaccarono subito, chi invece che aspettarono il giorno dopo guadando il fiume la notte, chi che attaccarono di notte e proseguendo fino al mattino con lo scontro.
Alla fine, ho voluto seguire la terza versione, in quanto viene riportata come la più verosimile nel libro di Lane Fox.

Ho voluto provare a creare una storia che avesse come punto di vista quello di Dymmachos, una spia greca al soldo dei persiani e infiltrata nell'esercito macedone di cui ho letto non ricordo dove, come dovevano essercene tante, da un parte e dall'altra. Quindi la one-shot è tipo un resoconto di Dymmachos ai persiani.
Altra cosa: tutti i personaggi citati, tra gli uomini di Alessandro e tra i satrapi persiani, sono personaggi davvero esistenti e ripresi, appunto, da fonti storiche, così anche l'episodio della visita a Troia, delle trecento armature inviate con tanto di dedica ad Atene e tutti gli altri “aneddoti” citati e la geografia del Granico.

 

Non so se il risultato sia o meno adeguato, forse non è proprio come doveva essere nella mia testa, ma... ci ho provato!

 

 

Melian




GIUDIZIO DI PASSIFLORA91 SUL FORUM DI EFP:

Macedone nel cuore:

Molto particolare come scelta, ma portata avanti con una certa maestria. Ha un buon ritmo e un retrogusto epico che mi sono molto piaciuti. Tratta in inganno, all’inizio mi sono chiesta dove fosse la battaglia, ma poi mi sono ravveduta! Un plauso per esserti così bene documentata!

La battaglia:
Ti faccio i miei complimenti perché hai scelto una soluzione che a mio parere è piuttosto difficile: narrare quello che è già accaduto. Mi spiego: se devi inventare da zero la battaglia puoi farlo come vuoi, mettere i fiumi e le pianure e gli avvallamenti dove ti viene più comodo e far muovere gli eserciti come vuoi tu, ma se devi narrare eventi storici devi stare molto attento alla coerenza, sia a livello di come viene condotta la battaglia sia nel ricreare l’atmosfera. A mio parere, tu sei stata molto brava e il tuo lavoro è stato molto accurato! Si vede che ti sei impegnata e che hai cercato le informazioni, combinandole in modo molto intelligente e ricreando la vicenda da un punto di vista particolare.
All’inizio ero un po’ dubbiosa, ma proseguendo nella narrazione ho cambiato idea e mi sono lasciata prendere. Infatti, all’inizio mi dicevo: ma quando arriva la battaglia? Non vorrà mica narrarmi in modo indiretto molte piccoli accenni alle battaglie compiute da Alessando? E invece poi la battaglia è arrivata e l’ho trovata molto ben narrata. Hai dato l’idea della foga e della violenza. Ben fatto!

Stile:
Niente da dire, scrivi molto bene e sai come usare grammatica e punteggiatura. Non cadi nemmeno nella trappola della “frase giusta ma costruita male” (ad esempio, una frase ammorbata dagli avverbi o da aggettivi messi ad cazzum o da metafore trite o frasi fatte), per cui la lettura risulta scorrevole e per nulla appesantita.

Ho trovato alcune parole/frasi che personalmente avrei evitato. Ho capito che lo scrivente non dev’essere la persona più raffinata dell’impero, ma queste espressioni risultano un po’ disneyane, un po’ fuori posto (ripeto: secondo me. Se vuoi lasciarle, nessuno te lo vieta).
-chiappe → sai che secondo me altri sinonimi altrettanto “volgari” ci sarebbero stati meglio?
-Ma che ne sapete voi, di Omero? Alessandro ci dorme, con l'Iliade sotto al cuscino. → disneyano
-Queste informazioni non valgono mezza dracma, mi direte. → disneyano
-Tanto per dirne una, → un po’ colloquiale
-Nnel cuore di Alessandro → erroruccio di battitura
-schierati manco foste in parata → mah
-gran faccia di culo → mah, forse è un’espressione un po’ moderna… o almeno mi suona tale.

Stile 9
Coerenza 9
Gradimento 8
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