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Autore: Walter_Larini    19/01/2015    0 recensioni
A volte un dettaglio della tua infanzia, prima sfocato, si fa nitido, e acquista enorme importanza.
Un cancello, una musica, una storia..
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Genere: Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutti i negozi sono chiusi, alla domenica. Assurdamente, l’unico giorno della settimana in cui si ha tempo pensare e comprare quello che serve, è l’unico giorno in cui non puoi. Cartolerie chiuse, supermercati chiusi, negozi di abbigliamento chiusi.. L’unica attività possibile è rimanere in casa, con una tazza di the in mano, a leggere un libro. O guardare la televisione tutto il giorno: ci sono le partite di campionato, la maggior parte degli uomini ha un passatempo ben preciso.
Oggi però, con un sole cosi bello, proprio non me la sento di rimanere in casa.
-Mamma, credo che andrò a correre, ne sento il bisogno.-
Mia madre mi sta rifacendo il letto, nonostante le abbia detto per la millesima volta che non voglio: quello che voglio fare, lo faccio da solo, se non lo faccio c’è un motivo. Tanto alla sera lo disfo comunque.
-Ci credo che ne senti il bisogno, sei flaccido, stai sempre sul letto, inizi a rammollirti.-
-Ma se sono 80 kg!Il mio peso forma.-
È davvero il mio peso forma: sono alto un metro e ottanta, e sono sempre stato magro, più del normale. Da quando ho smesso di fare calcio, però, nonostante non abbia preso che un paio di kili, mia madre insiste nel dire che sono ingrassato. Ho perso muscoli, quello si, ma non sono ingrassato. Non tanto.
-Comunque andare a correre non ti farà male, prendi su il cellulare?-
-No non prendo su nulla, rimanete in casa.-
Appoggio il cellulare sulla scrivania, che occupa la zona studio della mia camera. Ci sono due zone preponderanti: la zona studio, con scrivania, computer, libri, penne, e tutta la roba che quasi non tocco, e il letto, che invece occupa tutto il resto della stanza, che costituisce la zona svago.
Mando un messaggio alla mia ragazza, dicendole che andrò a correre un oretta, e che non prenderò su il cellulare.
Poi vado in bagno, mi vesto ed esco.
Appena uscito mi accorgo che la temperatura è più fredda di quello che sembrava, nonostante il sole. Quindi torno in casa, e prendo guanti, scalda collo e cuffia.
Poi comincio a correre.
O meglio, ci provo.

Sono due mesi che non faccio attività fisica, quindi il mio tentativo nel giro di un quarto d'ora appare piuttosto goffo e disperato. I muscoli iniziano a farmi male, il fiato si fa asmatico, il naso dolorante per l’aria fredda, e una stretta mi attanaglia lo sterno. Devo fermarmi.
In mia difesa, ho smesso di fumare da circa due settimane, e ho affrontato una strada in salita come primo obiettivo. Diciamo che, più che in salita, la strada era perpendicolare al terreno. E che continuo a fumicchiare almeno una sigaretta ogni due giorni. Si, sono un po’ un coglione.
Mentre mi insulto moderatamente per la mia scarsa volontà “acciderbolina Marco, sei uno stupidino, ahiahiahi, totò sul sederino”, decido che camminare sarà comunque un ottimo modo per fare attività fisica, e qualcosa dovrà pur fare, no?Così, come il ciccione che sono (nell’anima) inizio ad arrancare per la salita, sperando che nessuno abbia visto il mio triste e penoso cambio di andatura.
La strada che sto percorrendo porta ad un sentiero per raggiungere la sommità della collina. I miei genitori lo percorrono spesso, e sono andato con loro fin da piccolo, ma ci siamo sempre fermati prima di raggiungere la cima. Un grosso cancello arrugginito ci bloccava la strada.
Un ricordo si fa strada nella mia testa mentre imbocco il sentiero:
-Mamma, cos’è?- chiedevo ogni volta, sperando che mi dicesse per quale motivo non potevamo proseguire oltre.
-Il punto di arrivo marcolino, è ora di tornare indietro. Lo vuoi un panino alla nutella?”
E cosi, corrotto dalla merenda, tornavo sui miei passi, a volte anche correndo, perché anche da piccolo ero goloso.
Sorridendo fra me e me, continuo a camminare su quel sentiero, che piano piano si inoltra nella foresta.
I raggi del sole sono filtrati dagli alberi, scaldando ancora meno di quanto non facessero prima. Ringrazio la mia felpa termica sotto il kway, reduce dagli allenamenti di calcio, e lo scalda collo, che prontamente alzo, in modo da scaldare l’aria che entra nel mio naso.
I boschi mi hanno sempre tranquillizzato. Abito in un paesino dell’Emilia Romagna, non lontano da Parma, ma abbastanza da potermi considerare “in campagna”. Ho un fiumiciattolo vicino a casa, e una collina proprio di fronte, sulla quale scivolare in inverno, quando viene imbiancata dallo zucchero a velo. Per respirare aria, invece che smog, basta fare due passi, e ci si ritrova in magnifici boschetti, circondati da alberi sicuramente più vecchi dei nostri nonni.
Loro rimangono li, qualsiasi cosa succeda, e questo aiuta a ridimensionare i pensieri, dandoti una visione ottimista della vita. Sarà per questo che mi considero tale. Il bicchiere è sempre mezzo pieno, perché è una fortuna anche solo che ci sia qualcosa dentro.


Appena vedo il cancello, riemergo dai miei pensieri, constatando che “ne ho fatta di strada”.
Mi fermo e guardo la vallata attraverso gli alberi. Sono in alto, riesco a vedere Parma da qui, grazie al cielo chiaro. Respiro dell’aria pulita, che ormai è un miracolo trovare, e osservo il cancello: è proprio come lo ricordavo.
Il colore, un tempo metallico, ora è rossiccio, per via della ruggine. Una catena spessa, con un lucchetto grande quanto la mia mano, è avvolta attorno al cancello, chiudendolo saldamente. Anche avendo la chiave, sarebbe impossibile entrare, il lucchetto è arrugginito.
Le colonne che reggono il cancello dovevano terminare con due guglie appuntite, ma ora ne esiste solo una, rovinata per via del tempo. L’altra è stata distrutta in qualche modo. Dal cancello parte un muro da entrambi i lati, abbastanza alto da non poter vedere oltre e non poterlo scavalcare, ma c’è qualcosa di strano in quel cancello, anche se non capisco cosa. Qualcosa che mi turba, qualcosa di assolutamente innaturale e illogico, che però non riesco a capire…  
Accarezzo una colonna ricoperta di muschio, pensando a cosa possa disturbarmi tanto, quando fra le dita sento qualcosa di metallico, che esce dalla colonna. Qualcosa di piccolo, lungo circa due centimetri, nascosto fra il muschio. Tolgo il muschio dalla colonna, e sotto trovo la cosa più ovvia al cancello di ingresso di una dimora. Il campanello.
Non un campanello come lo intendiamo noi, sia chiaro: nessuna targhetta con sotto il nome della famiglia, nessuna fessura da dove poter ascoltare e rispondere. A dire il vero, nemmeno sono sicuro che sia un campanello, è la cosa a cui immediatamente ho pensato vedendolo. Per quello che posso sapere, potrebbe essere un pulsante che apre una botola sotto i miei piedi, o un meccanismo di antifurto che lancia una nube di frecce nella mia direzione, o fa rotolare un gigantesco masso a forma di palla giù per la collina..
Il fatto che io ieri sera abbia rivisto Indiana Jones non compromette assolutamente la mia immaginazione.
Il dilemma. Lo suono?
Mi do dello stupido. Sono su una collina, in altissimo, di fronte ad un cancello arrugginito chiuso con un enorme lucchetto, che da accesso ad una casa che non vedo, distante chissà quanto, e circondata da mura enormi. Anche se suonassi, probabilmente il meccanismo sarebbe rotto, e sarebbe un atto fine a se stesso. Nonostante ciò, qualcosa che posso riassumere nella mia “buona educazione” mi impedisce di farlo. Sono assolutamente sicuro di non poter disturbare nessuno, ma mi sembra sbagliato, e me lo sento nello stomaco. Mi giro, do le spalle al cancello e al campanello, e mi incammino per tornare indietro. Poi mi fermo.
Ecco cosa non va in quel cancello.
Dietro di esso si vede il bosco. Non un sentiero, non un giardino. Bosco, come se fosse costruito in mezzo al nulla.
Mi giro, guardo oltre al cancello. Nulla, bosco fino a dove si può estendere il mio sguardo.
A questo punto guardo di nuovo quel campanello. Ora che lo vedo bene, è placcato in quello che sembra essere oro, ma più probabilmente è ottone, e, cosa ancora più strana, non sembra arrugginito.  Chissà se è grazie al muschio che si è conservato bene, chissà se, in qualche modo, l’ottone lo ha protetto dal tempo, per qualche assurdo motivo.. Questo però lo rende appetitoso.
La curiosità, d'altronde, è figlia dell’uomo, e in me è assolutamente incontenibile, come quella volta che volevo capire perché i capelli della mia maestra erano cosi lucidi e colorati.
I capelli erano una parrucca e lo scopri tirandoglieli di fronte a tutta la classe, ma questa è un’altra brutta storia. In questo caso forse potrei anche trattenermi. Ma perché dovrei?
Premo il campanello. 
   
 
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