Tu quale stella hai scelto?
Genere: Drammatico, Generale, Romantico
Personaggio Principale: Aldebaran del Toro
Altri personaggi: Mu di Aries, Aioria del Leone, Niobe della Puzzola, Mamaloa
Rating: Verde
In proposito: Lui che non indietreggiava mai, che si metteva a gambe larghe e a braccia incrociate sulla strada di qualunque avversario, davanti a un fiore si irrigidì. Le stelle non raccontano come si fronteggiano i boccioli. Davanti, lei gli disse: “Tieni, è per te”. E arrossì, con quel fiore in mano, arrossì in quel modo così dolce che Aldebaran di Taurus fu spacciato.
Disclaimer: I personaggi naturalmente non mi appartengono e sono di masami Kurumada. Ma ancora per poco.
Cose: Mamaloa è il termine tipico della religione Cadomblè brasiliana. Per comodità l'ho abbinato al voodoo haitano anche se non sono la stessa cosa, ma nell'immaginario comune il voodoo è più conosciuto. Il Cadomblè è una religione legata agli spiriti divini, gli orisha, che i popoli africani hanno portato nell'america latina dall'Africa, quando vi vennero condotti in schiavitù. Per poterla continuare a praticare, nonostante il veto cristiano, nascosero ogni orisha sotto un santo cattolico. Ad ogni santo corrisponde un orisha, tanto che con il passare del tempo le caratteristiche dell'uno e dell'altro si sono sovrapposte irrimediabilmente.
Exu è l'orisha più conosciuto e tirato in mezzo quando si pratica. Potrebbe essere definito come un incrocio tra il diavolo cristiano e il protettore dei viaggiatori e delle comunicazioni. In italia, quindi, potrebbe essere sovrapponibile alla Telecom.
Lui che non indietreggiava mai, che
si metteva a gambe
larghe e a braccia incrociate sulla strada di qualunque avversario,
davanti a
un fiore si irrigidì.
Le stelle non raccontano come si fronteggiano i boccioli.
“Sei scemo? Vai avanti, bestione!”
sibilò qualcuno alle sue
spalle e lui ci mise un po’, nella confusione, a riconoscere
la voce di Aioria,
la sua mano sulla schiena che lo spingeva. Mu non rise con le labbra,
ma con il
Cosmo, e il gorgoglio leggero di energia lo colse alla sprovvista.
Davanti, lei gli disse: “Tieni, è per
te”. E arrossì, con
quel fiore in mano, arrossì in quel modo così
dolce che Aldebaran di Taurus fu
spacciato.
Era stato un attacco incrociato.
Nelle strade polverose di São Paulo dove l’estrema povertà si
affacciava
sull’estrema ricchezza, si alzavano gli occhi al cielo e
tutto – a parte i
fiori – veniva raccontato lassù. La volta celeste
era scura di notte, come il
fondo dell’inferno, si diceva, come gli occhi di Exu che
presiede ai crocicchi.
Ma sul nero gli astri rilucevano con una ferocia che faceva male agli
occhi e
li faceva lacrimare per la bellezza. Tutto veniva raccontato
lassù: le storie
di miti antichi, il passato e il futuro degli individui, le scelte che
sarebbero state fatte o non fatte, se si fosse scelta una stella in
favore di
un’altra. Tutto, ma non i fiori.
“Tu quale stella
hai scelto?”
“Mamaloa! Mamaloa!
Fanno il carnevale a Rio!”
“Lo fanno tutti gli
anni. Tu quale stella hai scelto?”
“Mamaloa, lo
fanno tutti gli anni, ma noi non ci andiamo mai!”
Mamaloa,
sacerdotessa di voodoo e candomblé,
lo faceva sedere, nella
stessa stanza piena di fumo in cui teneva le galline nelle gabbie e
l’odore era
acre più che in tutta São Paulo,
in mezzo ai sassi e alle candele. Sulla
stufa nell’angolo c’era sempre una pentola di
fagioli e manioca, più profumata
di tutte le pentole di São Paulo.
Mamaloa lo faceva sedere sui tappeti
intrecciati e gli prendeva le mani. Erano grandi le mani che Mamaloa
prendeva,
ma lui era sempre stato un bambino grande per la sua età.
Per questo gli altri
ragazzi della sua strada gli volevano così bene, quando lui
si metteva tra loro
ed altri, in cerca di grane. O se sollevava le lamiere dei tetti delle
baracche, quando il calore eccessivo scollava le giunture, con la forza
inimmaginabile delle sue braccia infantili.
Quando gli
chiedevano perché fosse così gentile, rispondeva
che lui doveva proteggere un
bene superiore, che nelle sue mani risiedeva la giustizia, che Mamaloa
gli
aveva sempre detto così.
Gli aveva detto di
mettersi a gambe larghe e incrociare le braccia sul petto, per
raccogliere il
potere.
Mamaloa si sedeva
con lui e sembrava tanto più piccola, così
vecchia, magra e sottile, con la
pelle scura, e invocava Exu dei crocicchi.
“Si invoca sempre
Exu, quando si inizia e quando si finisce” gli spiegava, gli
occhi ingialliti
dagli anni e dal fumo “perché è lui che
trasmette alle divinità i desideri,
buoni o cattivi. Gli si dà onore, così non
interferisce con quello che viene
celebrato. Quando abbiamo finito, prendi questo èbò,”
e gli dava l’obolo
del sacrificio in bastoncini, sassi e paglia legati insieme,
“e vallo a mettere
dove le strade si incrociano, che è il posto che Exu
preferisce”.
Poi Mamaloa gettava
le conchiglie sul panno rosso e sulla polvere che entrava dalla strada,
scrutava l’ordine e invocava gli orisha,
tutti, anche Exu.
Spesso non riusciva
a finire quello che iniziava, perché venivano a chiamarla.
“Mamaloa!”
entravano di corsa, affannati, spostando le cortine di plastica sulla
porta,
mossa dal vento caldo. “Mamaloa c’è
bisogno di voi! Mamaloa, ci hanno fatto una
maledizione! Gli orisha sono arrabbiati!”
C’era chi la
chiamava per scagliare maledizioni nel sangue e chi per scioglierle e
lei
andava sempre. Portava il ragazzo con sé,
affinché imparasse la cattiveria
umana come la bontà, la sofferenza e la pietà,
perché il ragazzo sarebbe stato
Cavaliere della Vergine de la Mercedes, un giorno. Cavaliere
d’Oro.
Nelle notti
entravano insieme nelle favelas, le case dei
più poveri di lamiera, e
nella sola stanza di calore e polvere Mamaloa metteva
le mani su fronti
surriscaldate o ventri gravidi, cantava sommessamente e sgozzava polli
dalle
piume scure, il petto ricoperto da fiori scarlatti e profumatissimi.
E si portava dietro
il bambino, anche se qualcuno scuoteva la testa, che il voodoo
non era
roba per i piccoli, anche se quello era grande per la sua
età.
Mamaloa guardava
quei sacrileghi con occhi roventi e faceva cantare anche il ragazzino,
che aveva
un potere grande nelle mani e nel petto.
Insozzava di sangue
gli abiti di entrambi, rovesciava gli occhi all’indietro
offrendo il proprio
corpo alle divinità, e gli orisha
penetravano in lei, squassandogli voce
e membra, mentre lui guardava e la guidava come poteva con il potere
che aveva
nelle mani e che aveva nel petto.
Si muoveva in una
danza forsennata e non pareva più Mamaloa. Fuori accendevano
i falò per le
strade, inondandole di luce fiammeggiante. Tutti cantavano a voce alta
per
placare gli orisha e i loro poteri divini,
suonavano i tamburi di pelle
facendo tanto rumore da sembrare che il divino Exu camminasse per São
Paulo su
suole di ferro.
Sapeva che gli
orisha, in Brasile, si nascondevano dietro i nomi dei Santi del Cristo,
per non
essere scoperti. Ma gli dèi greci di chiamavano Zeus, Apollo
e Hera e nessuno
somigliava a Sant’Antonio, che nascondeva Exu, né
a nessun altro.
Una volta Mamaloa
gli aveva detto che lui apparteneva, per volere delle stelle,
all’orisha
Obatalà, nascosto dietro
Così continuava ad
allenarsi nella foresta fuori São Paulo,
come diceva Mamaloa,
incrociando le braccia al petto e poi spingendo le mani in avanti,
aspettando
di diventare prontissimo. E rimaneva sconvolto quando così
facendo apriva
voragini nelle rocce.
In Grecia, Obatalà
si chiamava Athena. E chissà come mai, ogni volta che
sentiva quel nome nuovo,
lui sentiva il cuore spalancarsi d’amore e un universo intero
implodere nel suo
petto.
“Che stella ho
scelto? Cosa vuol dire, Mamaloa?”
“Guarda lassù. Le
stelle raccontano tutto e devi scegliere la tua, per andare avanti
nella vita”.
A falò spenti lei gli
mostrava la volta celeste. São Paulo non
era mai silenziosa, ma in quei
momenti era come se tutto l’universo si raccogliesse sul
palmo di una mano
di una vecchia che
indicava il cielo e le figure che
tratteggiavano le stelle.
Gliene mostrava
una, brillante, e gli chiedeva se l’amasse più
delle altre e lui chissà perché,
rispondeva:
“Sì”.
“Aldebaran”.
“Si chiama così?”
“È il lume più
importante della costellazione del Toro che è tua. Tutti i
Santi che ti hanno
preceduto hanno preso per loro quel nome. L’uomo che
combatté per
“Perché, Mamaloa?”
“Perché c’è
abnegazione nell’abbandonare sé stessi per il nome
di una stella che è il nome
di tutti i guerrieri di aprile e di maggio, che hanno servito
“Lo voglio
anch’io”.
“Come i Santi che
ti hanno preceduto?”
“Santi come Exu e
gli orisha?”
“Santi più piccoli
degli orisha. Ma che hanno dentro tutto
l’universo”.
"Voglio essere
Aldebaran, Mamaloa”.
Aldebaran si lasciava
alle spalle le danze di notte e i falò che divoravano la
sera con lingue di
fuoco, le litanie sconnesse e l’odore denso del sangue che
era morte e vita,
quello dei polli, dei fagioli e della manioca.
Rimanevano lì i
bambini della strada con le gambe piene di polvere e gli occhi scuri e
caldi,
come i suoi; rimanevano gli oboli di paglia e legno e stoffa da portare
nei
crocicchi, i fumi densi e le foreste pluviali. Rimaneva Mamaloa,
vecchia
sacerdotessa sottile e scura che era andata a salutarlo con lo sguardo
brillante di lacrime, fiera del suo Aldebaran, ultimo di una catena di
Aldebaran e delle loro memorie racchiuse in una stella.
Non avrebbe più
avuto una sacerdotessa, ma un Grande Sacerdote e da rincorrere
dall’arena al Tempio,
con gli altri bambini d’Oro. Lo avrebbe chiamato Papaloa
e il vecchio
Shion, all’inizio, avrebbe faticato a capire
perché.
Dove andrà ci sarà
Athena ad aspettarlo, che in Brasile si nasconde dietro
Si sarebbe detto
fosse più facile il contrario e per chiunque così
sarebbe stato, ma per lui no,
che non indietreggiava mai.
Girava tra le dita
un bocciolo e interrogava le stelle che non sapevano rispondere, le
labbra
generose increspate in un sorriso, lo sguardo velato di sogni
silenziosi sotto
l’elmo d’oro.
“Sei scemo? Vai avanti, bestione!” aveva sibilato
qualcuno
alle sue spalle e lui ci aveva messo un po’, nella
confusione, a riconoscere la
voce di Aioria, la sua mano sulla schiena che lo aveva spinto. Mu non
aveva
riso con le labbra, ma con il Cosmo, e il gorgoglio leggero di energia
lo aveva
colto alla sprovvista.
Davanti, lei gli aveva detto: “Tieni, è per
te”. Ed era
arrossita, con quel fiore in mano, arrossita in quel modo
così dolce che
Aldebaran di Taurus fu spacciato.
Era stato un attacco incrociato.
Quello di Niobe, lo
Specter di Hades no. Il suo fu un attacco alle spalle.
Sarebbero morti
entrambi. Taurus in piedi, come un eroe che non indietreggia mai.
L’altro annientato
dal potere degli orisha che Aldebaran, - anello
ultimo di una catena di
Aldebaran iniziata da una stella - aveva nelle mani e nel petto.
L’ultima cosa che
vide fu il bocciolo tra le sue dita che appassiva, come fosse
già vecchio, e
sbiadire il volto della donna che gliel’aveva messo tra le
mani: una bambina
che arrossiva, fosse lode alla Vergine de