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Autore: BlueWhatsername    19/01/2015    5 recensioni
" Fuori il cielo è caligine e luce offuscata, pure se c’è il sole. Fa caldo, è afoso, ma tutto pare coperto da uno strano cupolone di pioggia a stento trattenuto. A Luglio di solito non fa quel tempo, non alle otto della sera, almeno.
E non quando lei sta per uscire per la prima volta con un ragazzo, constata amareggiata [...] "
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[Liam Payne/fem!Zayn Malik non esplicito]
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Payne, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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First date
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Non ricorda nemmeno come sia successo.
Si spazzola i lunghi capelli neri allo specchio e l’unica cosa che le viene di fare è sorridere, e tentare almeno in parte di non mangiarsi tutto il lucidalabbra alla pesca che si è messa e che gliele rende estremamente brillanti e corpose, quasi la sua bocca non fosse quella di una diciottenne ma di una donna che di baci ne ha dati fin troppi.
Che non sia troppo, si domanda incerta, abbassando lentamente la spazzola e rimirandosi allo specchio con incertezza, quasi con titubanza.
Arriccia le labbra, arrotondandole quasi a formare un’immaginaria ‘o’ che si perde in una smorfia disorientata, confusa, placidamente stanca.
Esamina i propri lineamenti allo specchio: gli occhi castani marcati da una leggera matita nera che dà loro quella poca profondità tale da farli sembrare profondi e lucidi, sfocati ancora di più per colpa di quella matita color bronzo che le tratteggia lievemente la palpebra.
Non troppo, non troppo poco… Un compromesso, come le piace sempre definirlo, quello di truccarsi: non essere troppo esagerata per non apparire diversa, semplicemente mettere in rilievo quei pochi trattati che le piacciono del suo viso.
Gli occhi, per esempio, che sembrano ogni volta più grandi, di un tenue colore castano che si esaurisce facilmente nel rame e nell’oro, quando sono sotto la luce; le guance rosate che non hanno mai necessità di un trucco particolare e che sono lisce e fresche, almeno fin quando non bruciano per l’imbarazzo o per il caldo, cosa assai facile che succeda; gli zigomi alti che si tendono nei davvero rari sorrisi sinceri che le escono per i pochi che sono in grado di strapparglieli senza fatica – dote rara, quella, qualcosa di davvero complesso.
Riprende la spazzola, dandosi un ultimo colpetto ad un ciuffo particolarmente ribelle di capelli che tende sempre a sbagliare direzione ed a mettersi per i fatti propri, rovinandole l’umore, oltre che quel precario ordine che i suoi capelli rispettano per un lasso di tempo che vale quasi un battito delle sue lunghe ciglia.
Sbuffa ancora, passandosi le mani sulle guance ed emettendo un gemito – quasi un ringhio – che dovrebbe servire a farle scaricare un po’ di tensione. In ogni caso non accade, visto come le rulla forte il cuore in petto, e l’ansia la divora, maligna.
Con le dita afferra una ciocca di capelli, attorcigliandola tra pollice e indice con lentezza, quasi volesse essere sicura che non ci siano imperfezioni in quel colore che si impegna a curare con shampoo e crema in un modo che sembra quasi maniacale.
Sbuffa, annoiata, distendendo il viso in un’espressione che dovrebbe essere rilassata, ma che non lo è affatto.
Respira, stupida, respira…
Riprova, abbozzando un sorriso che pare solo una smorfia mal riuscita.
No, non va bene, sembra che le abbia preso un piede sotto ad una ruota, non pare proprio sia contenta di ciò che sta per succedere.
Tenta ancora, inarcando gli angoli della bocca rossa ancora di più, esponendo anche i denti superiori, almeno quel poco che le permetta di simulare un’espressione rilassata. Tutto crolla quando si rende conto che non ha più respiro e che quasi le fa male la gola per la costanza di tenere quella faccia da scimmietta ammaestrata.
Un disastro, un vero disastro.
Chiude gli occhi, inspirando ed espirando con profondità – se solo potesse si chiuderebbe in bagno a piangere, si negherebbe al mondo, manderebbe in frantumi il telefono e sprangherebbe le finestre pur di non farsi notare da nessuno, ma le mattonelle si sollevano per caso? No, perché nascondercisi sotto non pare una cattiva idea.
Quando li riapre, lo specchio sta ancora là, la fissa, la sua figura riflessa le rimanda uno sguardo acquoso ma calibrato, deciso e stranamente combattivo: pare quasi di guardare un’altra sé, la cosa la fa quasi innervosire se solo si ferma ad osservarne i tratti, pare o no più carina di lei, quella lì? Sembra più sicura e tranquilla, estremamente graziosa e derisoria, con quel sorrisetto stampato in faccia e quell’espressione da gingillo delicato, intoccabile quasi. E si sente infinitamente stupida quando si rende conto che è proprio se stessa che sta guardando in quella superficie, che farsi determinati complessi nemmeno serve, che non esiste rivale che debba combattere nel proprio io, ma solo fuori di sé.
Il vestito che ha deciso di indossare per quella sera è semplice, le lascia scoperte le ginocchia bianche e sottili, il verde smeraldo delle gonna e delle maniche si sposa perfettamente con la trama bianca del bustino, così stretto da non lasciar quasi respirare bene quel suo giovane corpo di fanciulla da poco sbocciata in donna: i seni piccoli ma proporzionati, la vita snella che scende dolcemente verso quella curva meravigliosa che pare arrotondarsi davvero alla perfezione nel ventre che un giorno ospiterà qualche altra vita. E le caviglie sottili, i piedi stretti in un paio di scarpe nemmeno esageratamente alte, ci è voluto un po’ per convincere mamma a prendergliele, rammenta mentre compie una mezza piroetta per assicurarsi che il vestito non si alzi troppo ad ogni movimento, ma alla fine l’importante è averle nell’armadio.
Non che sia mai stata troppo vanitosa, le viene da pensare, mentre prende una forcina dal mobile vicino allo specchio e tenta di sistemarsi alla ben’e meglio la quella famosa ciocca indisciplinata che non vuol proprio stare al suo posto. Il primo tentativo si annulla quando per poco non se la caccia nell’occhio, ed il secondo quando quasi non si spezza un’unghia per far forza contro l’oggetto di metallo che sembra deciso più che mai ad opporsi al lavorio delle sue dita.
Il terzo tentativo manco esiste, gettato nel disprezzo quanto quella forcina stupida che finisce all’angolo della stanza.
Fuori il cielo è caligine e luce offuscata, pure se c’è il sole. Fa caldo, è afoso, ma tutto pare coperto da uno strano cupolone di pioggia a stento trattenuto. A Luglio di solito non fa quel tempo, non alle otto della sera, almeno.
E non quando lei sta per uscire per la prima volta con un ragazzo, constata amareggiata, andando ad aprire i cassetti del comò per estrarne il bellissimo portagioie in legno inciso che le ha regalato la nonna e che non fa toccare a nessuno, nemmeno alla madre. Si siede sul letto, le molle producono un cigolio sordo, la infastidiscono perché sembrano volersi intromettere col loro suono orrendo nella magia di quel momento. Solleva delicatamente il coperchio – nota che quello smalto che si è concessa di mettere non le sta poi così male, è la prima volta che lo prova sulle unghie, ma il risultato le piace molto – scoprendo quella miriade di collanine e braccialetti a cui è affezionata più di ogni altra cosa. Gentilmente, afferra la sua preferita, quella di perle.
Il risultato è tremila volte migliore dell’aspettativa, si dice poi, rimirandosi nella superficie riflettente e sentendosi stranamente bella come la sua copia allo specchio, sentendo che ormai non ha più niente da invidiarle, visto che quella che uscirà col ragazzo dei suoi sogni, sarà lei.
Due gocce di profumo dietro l’orecchio e si sente davvero perfetta.
Afferra la giacchina nera attaccata allo schienale della sedia vicino alla scrivania ed esce in corridoio, guidata dal profumo della cena che sua madre sta portando in tavola ma che questa sera non gusterà, persa in tutt’altri passatempi. La cosa la eccita e la spaventa nello stesso momento, se ne rende conto con drastica realtà non appena nota la porta di casa, ancora chiusa: non appena la varcherà, tra poco più di mezz’ora, la sua vita cambierà, tutto si trasformerà, in un modo o nell’altro. Potrà dire di essere uscita con un ragazzo, per la prima volta, di aver intrapreso un qualcosa di nuovo, lei, sola, senza nessuno se non l’istinto a guidarla. Perché di certo portarsi appresso la ragione non è consigliabile, ragiona ancora, mentre corre a dare un bacio a sua madre e poi scocca un’occhiata penetrante al padre, seduto a capotavola, le mani incrociate davanti a sé ed un sorrisetto ad incurvargli le labbra.
“A che ora passa?” le chiede solo, e dal suo tono si capisce quanto non voglia parere soffocante o preoccupato – pure se lo è – e quanto non vorrebbe che lei, la sua bambina che sta per sbocciare in donna, si perda in quel meandro di dedali confusi chiamato amore. Per paura, per istinto di protezione, perché vederla così cresciuta lo rende combattuto tra l’essere il genitore liberale che non la opprime troppo e quello responsabile che la mette in guardia.
Ma lei sa badare a se stessa, e questo lo sanno entrambi.
“Tra poco… “ risponde solo, guardando ansiosa l’orologio da parete e facendo mentalmente il conto di quanti minuti – secondi – manchino perché lo riveda e… Ah, cielo, che stupida.
Il padre annuisce solo, aggrottando le sopracciglia in un’espressione che pare minacciosa e rassegnata nello stesso momento. Ma anche tanto buffa, a dirla tutta.
“Non fare tardi” le dice allora la madre, e lei annuisce, senza manco pensarci a ciò che vorrebbe davvero rispondere “E se per caso…”
“Lo so” dice solo, non potendosi trattenere dal sorridere – che motivo ha?
Il campanello suona, facendola sobbalzare.
In anticipo, è in stramaledetto anticipo.
E non dice parola, quando imbocca l’ingresso, prendendo dei respiri lunghi per non svenire. Se lo sente, sta per svenire. Cadrà sul tappeto, come la peggiore delle idiote, facendo la più brutta figura del secolo.
Le mani le sudano, la gola è così secca che sente anche l’amore in bocca – da quanto non beve? Secoli? – e le ginocchia le stanno tremolando insistentemente.
E non che abbia mai avuto chissà che belle gambe, poi, chissà che le ha detto la testa di prendersi quel vestito che… Un'altra scampanellata la riporta alla realtà, mentre si costringe a muovere un passo più veloce dei precedenti, afferrare la maniglia e tirare.
Spera con tutta se stessa che suo padre e sua madre non facciano capolino in corridoio o chissà…
“Non ti senti bene?”
E prende un bel respiro, prima di alzare gli occhi e decidersi a respirare nuovamente.
“Tutto… A posto?”
Sbatte le palpebre un paio di volte, costringendosi ad annuire e balbettare senza fiato: sta solo muovendo le labbra, nemmeno un suono le esce di bocca che non sembri lo stupido lamento di un pesciolino fuor d’acqua.
Liam la sta squadrando da cima a fondo, sembra perplesso, come dargli torto?
I suoi grandi occhi scuri sono lucenti, liquidi, stranamente più belli del solito – e non che sia possibile, insomma, umanamente parlando, come possono quegli occhi esseri più belli di come sono sempre? Roba da pazzi.
Liam ha gli occhi più fondi e incantevoli del mondo, splendono come raggi di luce, non ricorda momento in cui si sia trovata a pensare che fossero la cosa che per prima aveva notato in lui.
Oltre ai suoi modi gentili, ovviamente, ed alla sua risata sempre pronta a scioglierla fin nelle più remote zone del suo essere.
Prende un bel respiro, annuendo senza nemmeno un motivo valido. E Liam ride, scuotendo il capo, e facendo baluginare i suoi folti capelli castani di un riflesso dorato che dona ancora più luce al suo viso pieno, gioviale, sempre sorridente.
Può emettere luce un viso?
Ebbene, quello di Liam può.
Così come le sue grandi mani possono essere calde e sicure, o i suoi mille sguardi ogni possono essere ogni volta diversi. Ma come fa? Se lo chiede spesso – ultimamente, poi! – ma non ha ancora trovato una risposta soddisfacente.
“Andiamo?” le domanda a quel punto, stringendole un polso con delicatezza e guidandola fuori casa, lasciando che la porta si richiuda da sé.
È frettoloso, impaziente.
Così come lo è lei.
Che non sia male, questo primo appuntamento.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Spazio autrice.
Sì, insomma.
Domani ho un esame maledetto – ed è da stamani che penso di boicottarlo andando invece al Colosseo per una giornata ricreativa in giro per Roma – e quindi AVEVO BISOGNO DI DISTRARMI.
Quindi mi son detta che mi andava di scrivere, qualunque cosa.
Ergo. Sì. Questa cosa non so nemmeno da dove sia uscita e cosa voglia significare.
Ora… Quella è fem!Zayn, yeah.
E quello è Liam. Già.
Quindi nulla, me ne vado.
Pregate per me perché la situazione è quanto mai critica e disperata e se sopravvivo ed avrò successo, potrei fare nonsobenechecosayup, sì.
Ciao.
Blue <3
  
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