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Autore: Alexiel Mihawk    19/01/2015    4 recensioni
Avremmo dovuto vincere, pensa trattenendo un singhiozzo.
«Ma non è stato così» sibila una voce fredda alle sue spalle e Ginevra socchiude gli occhi per non vederlo.
Ed è così inutile, lui è sempre nella sua testa.

Lord Voldemort/Ginevra Weasley | Partecipa al contest "Di Dei Superbi e Fragili Mortali" indetto da Ireide sul forum di EFP
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Tom Riddle/Voldermort
Note: Nonsense, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da Epilogo alternativo
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Autore: Alexiel Mihawk | alexiel_hamona
Titolo: Desire was born early, as was regret
Pacchetto Scelto: Hades&Persephone
Rating: sfw/arancione
Contesto: post battaglia finale, in un mondo dove il nemico ha vinto
Genere: angst, nonsense, introspettivo
Avvertimenti: implied!psychological abuse, implied!physical abuse, psychological manipulation, ust, implied!mind control (più o meno), implied!underage
Parole: 1454
Prompt: rapimento di sangue
Introduzione: Avremmo dovuto vincere, pensa trattenendo un singhiozzo.
«Ma non è stato così» sibila una voce fredda alle sue spalle e Ginevra socchiude gli occhi per non vederlo. Ed è così inutile, lui è sempre nella sua testa.
Note: Come sempre le mie note sono troppo lunghe. Questa storia partecipa al contest "Di Dei Superbi e Fragili Mortali" indetto da Ireide sul forum di EFP.
- prima di tutto è doveroso citare Lolita di Nabokov a cui ho fatto più richiami nel corso della storia, il più evidente è subito qui all’inizio, con una ripresa dell’incipit famosissimo del romanzo – questa parte nella storia è al passato, perché fa riferimento a come veniva chiamata PRIMA che qualcuno pronunciasse il suo nome per intero, quindi anche prima che lei e Harry si conoscessero davvero, quando era ancora solo “la sorella di Ron”.
- altra cosa che mi è stata di fondamentale ispirazione per questa storia sono stati gli Otto Preludi (tanto che questo doveva essere il titolo inizialmente, ma era troppo complicato da capire) di Olivier Messiaen, composizione di musica classica a cui ci sono ripetuti riferimenti nel corso della storia alcuni esplicitissimi (dalla colomba, al canto d’estasi, al riflesso nel vento) altri più sottili.
- le ripetizioni dei nomi sono tutte volute, in particolare quelle Tom/Voldemort che dovrebbero rappresentare come ancora Ginevra tenda a sovrapporli, anche se si rende (razionalmente) conto che è come se fossero due persone diverse.
- le parti in corsivo sono tutti pensieri o di Ginny, o di Tom, o in condivisione, salvo in alcuni casi in è volto a evidenziare singole parole.
- Il titolo si riferisce a quello che c’è stato tra Ginny e Tom nella camera dei segreti e quello che accade dopo; come si trasforma in rimpianto (e poi disgusto e terrore) quella che all’inizio era la sua attrazione per Tom.

 
 
Desire was born early, as was regret
 
 

Ricorda perfettamente la prima volta che qualcuno ha pronunciato il suo nome per intero.
Era come un canto, come un mantra o una litania.
Gi-ne-vra.
Era stata Ginny per sua madre, Gin per i suoi fratelli più grandi e per qualche tempo anche per il bambino sopravvissuto, quando ancora non erano amici e troppo spesso si riferiva a lei come “la sorellina di Ron”, ma per Tom era sempre stata Ginevra.
Quando il giovane Riddle, con il suo sorriso ammagliante e i suoi occhi freddi, chiamava il suo nome, lei sentiva che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa. E l’aveva fatta; la colomba era uscita dal nido e nel farlo era caduta a terra, accorgendosi di non essere in grado di volare.
Si era fatta male quell’anno, era rimasta scottata nel cuore e nell’animo e, anche se non ne aveva ancora idea, non si sarebbe mai più ripresa. Tom era entrato in lei come un virus, attaccando ogni cellula, ogni organo e rimanendo lì, sopito, in attesa. Almeno finché la guerra non era cominciata e lei aveva iniziato a percepirlo dentro sé, ne aveva avvertito il risveglio e si era spaventata, così era scappata, barricandosi tra le mura di quella scuola dove tutti sostenevano sarebbe stata al sicuro.
Poi era arrivata la battaglia.
A distanza di settimane, ciò che Ginevra ricorda meglio di quel giorno sono le urla.
Per tutta la vita ha pensato che la cosa che più l’avrebbe impressionata alla fine, quando l’ultimo scontro fosse giunto (e lei sapeva che prima o poi sarebbe avvenuto), sarebbe stato il sangue – e a volte è incredibile come i nostri timori si rivelino infondati per lasciare spazio a incubi peggiori – ma non c’è sangue in un combattimento tra maghi, solo incantesimi e scie luminose che, sfrecciando come saette da un lato all’altro delle vaste sale di Hogwarts, hanno stordito e privato della vita chiunque si parasse sulla loro strada.
Avremmo dovuto vincere, pensa trattenendo un singhiozzo.
«Ma non è stato così» sibila una voce fredda alle sue spalle e Ginevra socchiude gli occhi per non vederlo.
Ed è così inutile, lui è sempre nella sua testa.
È sempre presente; sono mesi che vive in ogni cosa che fa, in ogni suo gesto, in ogni suo sogno. Quel che è peggio è che, apparentemente, lei e Tom – no, non Tom, perché quella cosa non è Tom, è Voldemort e Tom non esiste più e forse non è mai esistito – lei e Voldemort hanno stabilito una sorta di legame. O forse il legame c’è sempre stato e lei non se n’è mai accorta perché prima c’era Harry.
Harry che catalizzava l’attenzione e l’energia del Lord Oscuro su di sé, Harry che le sorrideva e riusciva a spazzare via ogni sua preoccupazione, Harry che la chiamava, guardandola con occhi traboccanti d’amore, e le faceva capire che a lui andava bene così: Ginevra, Ginny, Gin, non aveva importanza, i nomi erano soltanto convenzioni per loro.
Harry che ora è morto e lei non riesce a smettere di pensare ai suoi occhi vuoti e senza vita, privi di qualsiasi colore, scevri di quella scintilla che per prima l’aveva conquistata.
Mani fredde si posano sulle sue guance, percorrendole lentamente, lasciando graffi brucianti là dove scorrono le unghie (e Ginny si chiede quanto il suo tocco possa essere velenoso).
«Dovresti essermi grata, Ginevra».
Gi-ne-vra.
Canto d’estasi in un paesaggio triste.
Il modo in cui pronuncia il suo nome è sempre uguale e lei si sente tremare, maledicendosi per questo.
«Hai ucciso mia madre, hai torturato mio padre e ammazzato i miei fratelli. Tu hai ucciso Harry Potter» sibila piano, trovando la forza di alzare il capo (perché sì, lei è Ginevra Weasley e non indietreggia, non si piega, non cede e lancia fatture Orcovolanti degne di un Auror) «Di cosa, esattamente, dovrei esserti grata?»
L’uomo ride e la sua risata ha lo stesso effetto del gesso che stride sulla lavagna, perfora le orecchie e fa serrare i denti.
«Sei ancora viva».
E lei sa che ha ragione. Lo sa perché ha visto la fine che ha fatto Hermione (e al solo pensiero le viene da piangere), ha visto ciò che ne è stato di Luna ed è consapevole di quello che è accaduto a chiunque si sia trovato dalla parte sbagliata della barricata.
«Sono viva solo perché hai ordinato a Dolohov di rapirmi e mi hai obbligata a guardare mentre gli altri morivano».
Lord Voldemort sorride, il suo volto si piega in una maschera fredda e la sua pelle eburnea si tira, mostrando alla ragazza le due fessure sottili che gli attraversano il viso, là dove dovrebbe esserci il naso.
Al volto che ha di fronte si sovrappongono, solo per un istante, altri visi.
Occhi verdi che le sorridono gentili, mentre una cicatrice a forma di saetta attraversa la fronte del bambino sopravvissuto; basta un battito di ciglia e gli occhi diventano azzurri, così blu da farle quasi male. Gelidi, la trapassano senza davvero vederla e solo ora Ginevra se ne accorge, eppure il suo sorriso era così luminoso e sincero un tempo – e come tutto il resto non era che una recita, un artificio volto a ingannarla.
Si riscuote debolmente e le pupille che si riflettono nelle sue ritornano rosse e crudeli.
Si chiede come possa, anche solo per un momento, avere sovrapposto il viso di Harry a quello. Il bambino sopravvissuto che ha combattuto per salvarli ed è morto in un istante, il giovane ragazzo che l’ha baciata in un pomeriggio d’estate e le ha detto di amarla, Harry Potter, è lui che si è erto a difesa del mondo magico ed è sempre lui che Ginny dovrebbe portare nel cuore. Non Voldemort. Non Tom. Non l’uomo che per primo ha accarezzato le sue labbra sottili con le proprie, non colui le cui mani hanno esplorato il suo corpo in una stanza buia e umida, mentre un basilisco attendeva in silenzio nell’ombra. Ginevra ricorda, anche se non vorrebbe, e per la prima volta sente le lacrime solleticarle le ciglia, pensando a tutti i momenti vissuti con Harry – e tutte le prime volte che ha vissuto con un altro.
«Se avessi saputo prima di essermi radicato così profondamente nella tua anima non avrei atteso tanto a lungo per portarti via».
La voce del Lord Oscuro assomiglia a un sibilo e i molteplici significati delle sue parole penetrano dentro di lei come la lama di un coltello: ti avrei rapita prima della fine, prima che tutti morissero, prima della guerra, prima che il bambino sopravvissuto iniziasse a scaldare il tuo letto. E lei ringrazia che non sia stato così, ringrazia di avere avuto quei momenti di gioia, di libertà, di vita a cui appigliarsi ora che ha perso ogni speranza.
«Cosa vuoi da me?» domanda stancamente, o forse lo urla, non ne è sicura.
Di una cosa sola è certa: si sente svuotata e la sua voglia di lottare e di liberarsi sta lentamente sparendo, lasciando spazio al tormento e alla consapevolezza dell’assenza. Assenza di emozioni, di affetti, di motivi per cui continuare a vivere. Cosa rimane a Ginevra Weasley se non la sua vita? E che vita è un’esistenza legata a una sedia, in una casa antica quanto il mondo, alla mercé dell’uomo – del mostro – che ti ha portato via ogni cosa?
«Non voglio niente da te, Ginevra».
Gi-ne-vra.
Ancora una volta. Dillo ancora una volta.
«Ma mi servi, perché dentro di te vive una parte della mia anima».
E potrebbe vivere una parte del mio futuro.
Ginny vorrebbe artigliarsi le tempie e urlare, quella connessione mentale, che diventa sempre più forte, la sta facendo impazzire e non capisce come facesse Harry, come riuscisse a mantenere l’equilibrio. Ogni volta che chiude le palpebre, davanti ai suoi occhi scorrono immagini, pensieri e non capisce se sono suoi o di Tom – e dovrebbe smetterla di chiamarlo Tom, lui è Voldemort, Voldemort non Tom – e la cosa la terrorizza. Così come la spaventa a morte il pensiero che percepisce giungere da lui, in quel momento preciso, perché non vuole condividere nulla con quel mostro, non la sua mente, non il suo letto, non un erede.
«Ginevra. Ginevra. Ginevra. Non puoi scappare da me».
Gi-ne-vra.
La litania ritorna, come un riflesso nel vento. Parte dalle sue labbra in tre semplici sillabe e, solcando l’aria che li divide, la raggiunge di nuovo.
Gi-ne-vra.
Pronuncia il suo nome come se fosse un tesoro, ma anche come fosse un oggetto e lei non è sicura che ai suoi occhi ci sia differenza. Perché per il Lord Oscuro la vita umana non ha valore, nessuna vita ne ha, soprattutto non quella di Ginny Weasley e il suo è possesso e ossessione ed egoismo cieco.
Ne è terrorizzata.
Gi-ne-vra.
«Oramai sei mia».





   
 
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