Anime & Manga > Magi: The Labyrinth of Magic
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Autore: Alex Wolf    20/01/2015    1 recensioni
Nessuna introduzione per questa storia.
Nessun racconto per questa ragazza.
Nessuna certezza di un finale felice, in questo mondo corroso dalle tenebre che soffocano la luce.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Sinbad, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo I
 

Ballando nel buio.
 

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Abbiamo più punti interrogativi che punti di riferimento.”
 
— Fedez.

 

3 anni prima.

Non era solito far alloggiare gli stranieri nel suo palazzo. Gli trovava una sistemazione adeguata, gli forniva tutto quello di cui avevano bisogno, ma non gli permetteva di entrare nella parte del castello adibita a se stesso e i suoi generali. Mai. Era più forte di lui; lo faceva sentire come se così facendo potesse custodire come una parte di loro tutta per se. Un ricordo, una certezza a cui solo lui e quelle otto persone potevano accedere. Tutta via, non si era fatto scrupoli ad ospitare un gruppo di fuggitivi dall’Impero di Kou –sebbene questo lui ancora non lo sapesse. Quegli uomini e quelle donne gli avevano solo detto di essere dei mercanti –falso- naufragati sulle coste di Sindria successivamente a un turbinoso temporale –vero-, e di non essere riusciti a trovare rifugio in nessuna locanda in quanto nessuno dei cittadini di quell’isola se la sentiva di ospitare una ferita grave. Lui, ascoltata quella storia, non aveva potuto dire di “no”. Dopo tutto, come ne avrebbe risentito la sua immagine se avesse chiuso fuori dalle porte della pacifica Sindria della gente bisognosa d’aiuto? Perciò, fece portare sette di quelle persone negli alloggi liberi della servitù, procurò loro bagni caldi, vestiti puliti e cibo, mentre depositò la ragazza ferita in una delle stanze antecedenti a quelle di Yamuraiha,  in modo che la maga potesse tenerla d’occhio.
La fece depositare sul letto, con molta calma, e aspettò con calma che l’amica dai capelli turchini  si facesse viva. Per quanto ricordava, quel giorno gli aveva detto che sarebbe stata al porto per provare un nuovo, semplice incantesimo. Li avrebbe raggiunti in poco tempo, se il messaggero avesse corso veloce. Così, mentre attendeva, il giovane Re Sinbad si sedette su uno sgabello e rimase a osservare la giovane donna. Non le avrebbe dato più di ventitré anni, sebbene sul viso, contornato da lunghi capelli talmente chiari da sembrare bianchi, riportava alcuni segni di vecchie ferite che mascheravano alcuni tratti. Forse si sbagliava, magari era una sua impressione, ma gli parve di distinguere fra le tumefazioni una cicatrice che le attraversava il ponticello del naso. Chissà che le era accaduto? Non poteva vederle gli occhi in quanto le palpebre nivee erano abbassate, e questo significava che era chiuso fuori da una specie di mondo interiore che quelli aprivano, da un passato e da delle emozioni che si sarebbero potute leggere solo li, perciò per passare il tempo iniziò a immaginarseli. Pensò che sarebbero potuti essere dello stesso colore del cielo quel giorno, azzurro terso e brillante, e vispi; di un verde più intenso di quelli di Sharrkan, e magari più seri; oppure, potevano essere neri e lucenti, come le ciglia che le sfioravano a malapena le guance, e intensi. Magari… Proprio mentre si apprestava a poggiare una guancia sul pugno chiuso, la diretta interessata tremò un poco nel sonno. Che avesse freddo? Mosso dall’altruismo, che quel giorno sembrava più enfatizzato che mai, il ventiseienne si alzò e con molta delicatezza prese a tirare verso l’alto i lembi della coperta. Poi fu un attimo. Come sotto comando, le mani della giovane scattarono verso l’alto e andarono ad arpionare i polsi dell’uomo. Un movimento veloce –e praticamente invisibile- di gambe e, puf!, il Re si ritrovò steso sul materasso con la sua stessa spada puntata alla gola.  Il peso della ragazza che gravava su di lui, era la prova consistente che non si era addormentato aspettando il suo Generale. Anzi, era bello sveglio. E, per di più, con le mani imprigionate da una stretta di ferro che pensava la ragazza non avesse, visto che pareva fragile come lo stelo di un fiore. Arricciò le labbra, corrugò le sopracciglia e rimase in silenzio. Non che non volesse, eh, ma come ci si poteva aspettare che alzasse gli occhi verso quelli di lei quando il suo seno era così vicino? Era pur sempre un uomo.
Come se gli avesse letto nel pensiero, la ragazza gli diede un piccolo calcio contro la gamba con la propria, attirando la sua attenzione.
Lui alzò lo sguardo, e per un attimo gli sembrò che il sole stesse inondando il volto di lei. Poi si accorse che il sole non c’entrava nulla, erano i suoi occhi a illuminare quei tratti nascosti dai lividi. Aveva uno sguardo serio, spaventato persino –ma questo era logico, dopo tutto si era svegliata in un posto sconosciuto con un estraneo-, e tanto diverso da come lui si era immaginato. Non aveva nulla del cielo, ne tanto meno del nero delle ciglia o del verde del suo amico. Aveva uno sguardo da cui colava oro, tanto denso e intenso da far venire i brividi e sorgere il sorriso al tempo stesso. Uno sguardo che, lui lo sapeva, si poteva incontrare una sola volta nella vita. Ipnotico come la danza che le ballerine sindriane facevano le sere di festa.
Qualche ciocca pallida le ricadde oltre le spalle, andando a mischiarsi con quelle viola di lui, creando un contrasto quasi fastidioso agli occhi. «Dove siamo? Chi sei? Perché sono qui?» Aveva anche una bella voce, constatò il reggente, graffiante quasi.
«Buon giorno anche a te» sorrise lui, con la sua solita calma garbata. Lei sborbottò una risposta spiccia spostando lo sguardo verso il suo petto, quasi si sentisse in obbligo. «Mi chiamo Sinbad, e sei qui perché siete naufragati l’altra notte», la sentì irrigidirsi un poco, mentre con voce pacata gli domandava dove fosse esattamene questo “qui”. «Sindria. Sei a Sindria, e io sono Re Sinbad.» La vide sospirare prima di rilassarsi del tutto e abbandonare la presa sui suoi polsi, e la spada da un lato.
Chiuse gli occhi per un momento, la ragazza, quasi si stesse assaporando quelle parole con gusto. Non le sembrava vero, finalmente era libera. La sua vita sarebbe finalmente cambiata. Avrebbe voltato pagina. Ma che stesse pensando questo Sinbad non lo sapeva. Si limitò a osservarla per bene, ad analizzare le sue curve non troppo marcate e a farsi domande sulla sua forza fisica. Chissà da dove aveva attinto per riuscire a bloccarlo? Poi, per la prima volta, i suoi occhi castani andarono a concentrarsi sua bocca: fine, non troppo piena, col il labbro superiore leggermente più piccolo. Un’attrattiva niente male, in generale. Forse… Ma che andava a pensare? Lui e la sua mania per le belle donne, che veniva fuori nei momenti meno opportuni. Però, non è che la loro posizione fosse così casta da potersi permettere chissà quale pensiero puro. Insomma, forse lei non se ne rendeva conto, ma gli era praticamente seduta sopra e la cosa era alquanto equivoca.
Sinbad socchiuse le labbra, pronto a domandarle qualsiasi cosa pur di non pensare alla posizione, ma prima che potesse parlare, la porta d’entrata si spalancò e la maga entrò senza troppi complimenti. Il sorriso che le adornava le labbra scomparve quando si posò su di lui e, al contrario, si accese nei suoi occhi una scintilla di malevolenza. Oh, il Re sapeva cosa Yamuraiha stava pensando e le avrebbe volentieri spiegato che era tutto un equivoco, che era stata la ragazza a metterlo alle strette, ma prima che riuscisse anche solo a spiccicare un parola lei lo prese e lo fece volare oltre il portone, letteralmente, accompagnato da un «VERGOGNATI!» di sottofondo. Così, il giovane Re si ritrovò esiliato da una delle stanze della sua stessa casa, a causa di un malinteso davvero stupido. Si accarezzò la parte destra del viso contro la quale era caduto, mentre si avviava ai giardini. Prima o poi avrebbe spiegato alla turchina che era stato tutto un malinteso.
 

  ҉                           


 
«Il mio nome è Yamuraiha, tu come ti chiami?» Era davvero bella, constatò la giovane mentre osservava la maga tutta intenta a scansionarle il viso con lo sguardo. Quegli occhi chiari, tendenti al verde acqua, avevano una luce naturale che li rendeva, almeno per quanto pensava lei, simpatici e dolci. Tutto il contrario rispetto a quelli del sovrano che aveva conosciuto prima. Già. Quelli dell’uomo gli erano parsi più adatti a custodire segreti dietro una falsa maschera di fierezza e felicità. Non riusciva ancora a convincersi che poteva fidarsi di lui, anche se l’aveva accolta e aveva risposto a ogni sua domanda le faceva strano; mentre la ragazza, Yamuraiha, sembrava una figura semplice di cui fidarsi. Sarà stato il sorriso che le rivolgeva, sarà stata la luce che aveva scorto nei suoi occhi, sarà stata la tranquillità che riponeva nella voce, la giovane bionda decise di rivelarle il proprio nome.
«Tennah» sussurrò, osservando le mani pallide e curate della donna intente a fasciarle il braccio ferito. «Il mio nome è Tennah.»
La giovane maga lasciò per un attimo il proprio lavoro, rivolgendole un’occhiata sorridente. «Piacere di conoscerti, Tennah.», fece una piccola pausa, «Ti andrebbe di raccontarmi come ti sei procurata questi?» chiese con naturalezza, indicando alcuni lividi.
La bionda si irrigidì, scostando lo sguardo in direzione della finestra. Non voleva parlarne, non adesso almeno, perciò si limitò a ignorare la domanda e osservare il panorama. Dalla stretta e alta finestra entrava una luce pallida che si rifletteva sui tappeti colorati sostanti sul pavimento, segno che il cielo fuori doveva essere terso e senza nubi –poteva vederlo, nonostante i forti raggi solari-; sentiva i gabbiani stridere, e poteva scorgere con semplicità le onde del mare che s’increspavano al largo e creavano molteplici, abbaglianti giochi di luce. Tanto simili alle squame di un serpente variopinto.
«Dov’è la mia gente?» sussurrò più per dovere che per interesse, rapita da quel mondo nuovo che si apriva appena fuori dalla finestra. Gli odori erano tanto diversi da quelli che aveva conosciuto durante la sua vita, così freschi e speziati; persino le voci della gente, che arrivavano sin a quell’altezza, parevano diverse da quelle che aveva sempre udito: più vive, allegre. Si ritrovò a sorridere, trepidante all’idea che avrebbe potuto visitare la città, l’intera Sindria uno di quei giorni.
Così, immersa nei suoi pensieri rivolti alla libertà, non fece minimamente caso alle parole che le stava rivolgendo la maga. Udì solo che stavano tutti bene, che avevano ricevuto delle cure e nulla di più.
Quando Yamuraiha smise di parlare e ebbe finito le medicazioni, s’issò in piedi appoggiandosi ad uno strano bastone, e rimase ad osservare la nuova venuta. Le sembrava impossibile che fosse sopravvissuta a un naufragio, ridotta praticamente in fin di vita da quei colpi che le avevano lasciato lividi vecchi e nuovi sulla pelle pallida. Tennah aveva di certo una pelle dura, e sue questo la maga non aveva dubbi. Sospirò, senza accorgersene neppure. «Sai, potresti rivederli già domani, i tuoi amici» le rivelò segretamente, mettendosi persino una mano a lato della bocca per paura che qualcuno li sentisse. Che poi non c’era motivo di nascondere quell’informazione a nessuno, solo che le era sembrato carino fare quel gesto, quasi fosse una cosa di cui solo loro due erano a conoscenza.
Tennah l’osservò, sorridendo distrattamente. Ora che aveva visto una misera parte di quella nuova terra non vedeva l’ora di esplorarla del tutto, anche da sola. Non ci pensava nemmeno più a quelle persone con cui, certamente, aveva vissuto, ma che alla fine di tutto non erano così importanti come i suoi desideri. Era gente con cui aveva passato tanti brutti momenti, ma che non l’aveva mai aiutata seriamente perché troppo paurosi delle conseguenze. L’avevano caricata sulla barca con loro per caso, dopo che era venuta a sapere del loro piano di fuga da quel luogo e li aveva pregati di non lasciarla indietro. Alla fine, non era neppure vero che gli importava di loro. Non così tanto.
«Sono felice di questo, davvero, ma quando potrò visitare la città?» La maga caracollò per un attimo, sorpresa da quella richiesta inaspettata. Insomma, aveva pensato che la giovane avrebbe preferito rivedere la sue gente invece che la città.
Sbatté le palpebre intontita, per poi ricomporsi. «Domani» asserì, annuendo con il capo. Sul viso della straniera si aprì un largo sorriso.
«Non vedo l’ora di esplorare Sindria» ammise la forestiera, alzandosi dal materasso. Poggiò i piedi su un morbido tappeto finemente ricamato e vi rimase ferma sopra per molto tempo. Non aveva mai sentito nulla di più morbido; la sensazione che emanava era splendida, come una carezza delicata. «Sembra così… magica.» Piegò lievemente il capo a sinistra mentre stiracchiava gli arti indolenziti, poi zampettò verso la finestra dove la luce del sole la inondò con una doccia pallida e calda, illuminando i suoi capelli di sfumature bianche e lucenti. Persino gli occhi, dentro i quali la giovane maga aveva scorto un’anima trepidante, sembrarono brillare più di prima. L’oro che li adornava si colorò di sfumature d’ambra, che pareva sul punto di liquefarsi.
«Ah, questo paese è così bello. Non avevo mai visto un luogo così incantevole, prima di adesso.»
La turchina strinse un poco il bastone fra le lunghe dita, poggiandovi un po’ del peso. «Già, Sindria è meravigliosa.» Poi, cambiando argomento, disse: «Quanti anni hai, Tennah?»
«Ventitré» si affrettò a rispondere l’interessata, senza però degnarla di uno sguardo. Era troppo concentrata sul panorama, come un’infante che riceve un gioco nuovo. Yamuraiha ridacchiò un poco, attirando su di se uno sguardo curioso. «C-che c’è? Ho fatto qualcosa di sbagliato? Avrei dovuto dire che ne avevo di meno?» si allarmò subito l’altra, dando un motivo in più alla maga per ridacchiare.
Ripreso il contegno, la donna fece qualche passo in avanti e raggiunse la bionda. Come lei, si perse a studiare quel paesaggio che ormai aveva imparato a conoscere. «Non hai fatto nulla di sbagliato. Ho solo pensato che sei davvero buffa mentre guardi il panorama con quell’espressione da bambina, come se fosse la prima volta che ne vedi uno simile.»
Silenzio. Un silenzio che si prolungò per qualche minuto, finché Tennah non lasciò andare il davanzale dalle presa ferrea e le sorrise, chiudendo le palpebre come a voler nascondere qualcosa. «Già, a volte esagero un po’ con l’euforia. Scusami.» Si accarezzò i capelli con imbarazzo, piegando nuovamente il viso verso sinistra. La turchina sorrise a sua volta, prima di darle le spalle e dirigersi verso l’uscita. Quella giovane la incuriosiva: chissà cosa nascondeva?
«Tennah-san, ti andrebbe di fare un bagno rilassante? Il viaggio deve essere stato davvero stancante, per non contare le tue condizioni fisiche attuali. Penso che un po’ di relax possa farti bene, che ne dici?»
La bionda tentennò un poco, prima di annuire. La ringraziò e poi si volse nuovamente verso l’orizzonte, mentre Yamuraiha la lasciava sola. Quando la porta si richiuse alle spalle della maga, Tennah non perse il sorriso ma si ritrovò a chiedersi quando sarebbe dovuta partire. Immaginava già se stessa su una nave diretta nelle terre lontane, più lontane possibili da quel luogo che lei aveva denominato “inferno”. Una cosa era certa, abbandonare Sindria sarebbe stato faticoso. Se n’era già innamorata. Era bastato un breve sguardo a quel luogo per sentire il cuore venire perforato da una freccia di cupido. Ma non poteva neppure privarsi della scoperta del mondo che ancora non aveva visto. Ah! Che brutta situazione era quella! Così, prima di prendere una decisione, Tennah decise che avrebbe fatto il bagno. Magari un po’ di acqua calda la avrebbe schiarito le idee, oppure sarebbero state offuscate a causa del vapore.
 
҉
 
«Non che mi dispiaccia, eh, ma perché c’è una ragazza seminuda affacciata dal balcone della tua camera, strega?» Sharrkan indicò, con tanto d’occhi, la figura di una giovane donna contro sole fasciata da un’unica coperta.
Aveva subito intuito che non si trattava di Yamuraiha, le forme di quel corpo non erano così prosperose come invece erano quelle della maga, e i capelli alla luce parevano bianchi mentre quelli del Generale sembravano fili di acqua limpida. Perciò, la domanda gli era sorta spontaneamente. Non aveva nulla in contrario, come aveva già fatto notare, solo che gli pareva strano. Non si ricordava che Yamu avesse delle amiche, o roba del genere.
«Strega a chi, spadaccino del mio barbecue?» Sibilò allora la diretta interessata lasciando cadere nel piatto la forchetta, alzando lo sguardo nella stessa direzione del compagno. Gli altri li seguirono a ruota. Qualcuno s’irrigidì, qualcun altro ingoiò troppo velocemente il boccone colto alla sprovvista, altri ancora –come Ja’far- sbarrarono gli occhi e poi si apprestarono a farlo a Sinbad, più per abitudine che per necessità.
«Non sarà quella ragazza di cui ci hai parlato prima, vero? Quella che ha tre anni più di te?» S’incuriosì Pisti, animando la sua domanda con movimento della forchetta munita di carne. Qualche goccia di sugo ricadde sulla tovaglia macchiandola, ma lei non ci fece caso.
«Si, è lei» annuì ancora sotto shock la donna, piegando lievemente la testa a destra, come se quel gesto l’avesse aiutata a capire cosa stava pensando Tennah. Assottigliò lo sguardo e le inquadrò il viso raggiante, perso ad osservare l’orizzonte. Si stava godendo quegli attimi di pace, ignara che qualcuno la stava osservando da sotto un gazebo. Sembrava felice, leggera come i capelli che le accarezzavano le spalle e volavano nel vento.
«Ma, non avevi detto a Sinbad che il tuo terrazzo era ancora pericolante? Non è che sarà pericolos-» un urlo squarciò la domanda di Drakon, lasciandola a metà. La maga non ebbe neppure il tempo di gridare a sua volta, che uno degli otto generali stavano correndo verso la figura che precipitava. Senza pensarci, scostò malamente la sedia e si alzò. Le labbra socchiuse dallo stupore.
Un tonfo. Una nube di polvere. Silenzio.
Tennah si ritrovò dolorante, ovunque, mentre apriva le palpebre protette dalle mani. Cercò di non respirare finché la maggior parte della polvere non si fu diradata, poi tossì leggermente. Poggiò la mano alle sue spalle convinta di trovare la terra e l’erba, quando invece si andò a scontrare con freddo metallo. Irrigidì i muscoli e voltò lentamente il busto, mentre uno strano senso di comprensione andava a inondarle il cervello. Incontrò due occhi castani, più meravigliati dei suoi se possibile così vicini da potervi scorgere tutti i riflessi che il sole vi creava. Ingoiò un fiotto di saliva, stringendosi quel lenzuolo al petto –perché non si era vestita subito appena uscita dalla vasca?! Ah, già, le ancelle erano andate a cercarle abiti che potessero entrarle- e restò muta. Sentiva il viso diventare gradualmente più caldo, più rosso, più imbarazzato.
«Od---. Mi dis----. I-io s-scus---» ma le lettere le morivano in bocca, incapaci di fuoriuscire come si deve. Non si era mai trovata in una situazione simile, non di sua volontà almeno. Non avrebbe mai voluto trovarcisi.
«N-no, figurati.» Anche il ragazzo sembrava imbarazzato, tanto che distolse lo sguardo dal suo con velocità. Era carino, con dei tratti del tutto nuovi ai suoi occhi. Lineamenti che lei non aveva mai visto prima di allora. Un fascino diverso da quello del Re di Sindria e di Yamuraiha, che a loro volta ne possedevano due altrettanto attraenti.
«Tennah! Tennah, cielo, stai bene?» Come se l’avesse chiamata, eccola che arrivava. Con una mano a reggere il capello nero, la giovane maga si precipitò verso di lei e l’aiutò ad alzarsi, coprendola accuratamente con il lenzuolo e le braccia.
«Si» affermò la giovane, sempre molto imbarazzata. Poi, rivolgendosi al ragazzo con l’armatura aggiunse: «Io… grazie. Mi spiace se ti ho fatto male cadendoti addosso.» Ancora una volta lui arrossì e diresse lo sguardo altrove. Doveva essere molto timido.
«Hai capito che presa! Sei migliorato in velocità, Spartos!» Un ragazzo  rifilò al giovane uomo una pacca sulla spalla coperta dall’armatura, sorridendogli con fraternità. Aveva i capelli bianchi, letteralmente, e una pelle color nocciola che faceva invidia a Tennah. Oh, quanto le sarebbe piaciuto abbronzarsi fino a raggiungere quello splendido colore caramellato, per liberarsi del pallore che l’opprimeva.
Tuttavia, non era importante pensare all’abbronzatura. Adesso c’erano altre questioni da risolvere, prima fra tutte: doveva vestirsi. Con la consapevolezza di indossare solo un lenzuolo come abito, la bionda sussurrò nell’orecchio della maga: «Scusami tanto, Yamuraiha, ma vorrei andare a cambiarmi. Non mi sento a mio agio indossando questo lenz-»
«Hai ragione! Hai ragione! Hai. PERFETTAMENTE. Ragione.» squittì la turchina, come risvegliatasi da uno strano stato di limbo. «Pisti, ti andrebbe di aiutarmi a scegliere qualcosa da far indossare alla nostra ospite?»
«Con piacere!» e udita quell’affermazione, la maga iniziò a spingere con delicatezza la bionda verso l’interno del palazzo. Avrebbe volentieri usato la magia per arrivare direttamente in camera sua, ma non le sembrava il caso visto l’abbigliamento di Tennah e gli occhi di Sharrakan nei paraggi.
Dopo una buona mezz’ora passata a scusarmi per l’accaduto, finalmente Tennah decise di tacere. Yamuraiha le aveva ripetuto che non doveva preoccuparsi perché non era stata colpa sua; che non poteva sapere che quel terrazzino era un attentato alla vita, oppure che qualcuno la stava osservando. Eppure, la giovane non poteva fare a meno di sentirsi in colpa. Era arrivata a Sindria da nemmeno un giorno e già aveva assalito il regnante, ed era bruscamente atterrata su uno dei suoi otto generali –per di più praticamente nuda. Evidentemente persino pensare ai progetti per il futuro faceva male. Una se ne stava tranquillamente poggiata alla balconata a rimuginare sulle scelte da prendere –convinta di essere sola- e, puff!, si ritrovava a precipitare letteralmente nel vuoto.
Sospirò, Tennah, abbracciando le gambe e portandole al petto per poi poggiarci sopra il mento. Rimase ad osservare le due ragazze, entrambe più piccole di lei, esaminare gli abiti che avrebbero dovuto prestarle. Quelli di Yamuraiha non le sarebbero andati bene, in quanto il suo seno e la sua statura erano decisamente diverse; quelli della piccola Pisti… beh, era piccola e troppo piatta. Non che lei abbondasse di seno, però aveva almeno una forma che i vestiti lasciavano intravedere a contrario dell’altra. Quando la ragazzina se ne rese conto un’ombra le calò sul viso, offuscando quei grandi e graziosi occhi neri che si ritrovava. Si accarezzò poi i capelli biondicci, più scuri di quelli di Tennah, e uscì dalla camera con la pretesa di andarle a comprare abiti adeguati in città. Non ci mise molto, ma nel tempo che fu via la giovane naufraga ripartì alla carica con le scuse. Le dispiaceva aver fatto fare quella fine al balconcino della maga.
«Non ti preoccupare, davvero» la turchina potò le mani in avanti, muovendole velocemente, «tanto avrebbe fatto quella fine in ogni modo. Mi spiace solo che tu abbia dovuto affrontare quel volo. Già con i tuoi ammaccamenti non si può dire che sei in forma, e posso solo immaginare come dopo la botta di oggi ti senta meglio.»

  ◊

 
La notte prima non aveva avuto incubi, cosa che l’aveva lasciata felicemente sorpresa, e aveva potuto dormire come un pascià. Si era svegliata di buon umore, che aveva visto riflettersi sul paradiso esterno che la circondava. Aveva indossato gli abiti procuratele da Pisti –una semplice gonna rosa confetto, decorata con una striscia d’oro a delimitarne il bordo - molto corta, certo, ma alquanto comoda- e un top con l’ennesimo motivo, sormontato da uno scialle perlato.
Tennah si riconciliò con gli uomini e le donne con cui era fuggita. Li salutò tutto, sorridendo ogni qual volta loro iniziavano a elencarle i servigi con cui i domestici di Re Sinbad li avevano accolti. Nessuno sembrava interessato più del dovuto al suo stato di salute, ma questo non le importava. Dopo tutto non era nei suoi progetti continuare a viaggiare con loro, figurarsi sapere cosa gli premeva e cosa no. Perciò, dopo che ebbe mangiato e li salutati tutti si avviò silenziosamente fuori dalle mura del palazzo, con unico accompagnatore il sole. Sorrideva come non aveva mai fatto. Ai piedi aveva sandali sindriani leggeri e splendidi nell’oro con cui erano ricamati, ma avrebbe voluto tanto toglierli per sentire sotto la pelle il caldo della terra. Tuttavia non sarebbe stato molto educato, pensò. Così, si limitò a osservare estasiata tutte le novità che quella terra le offriva, finché non si ritrovò al porto.
Il mare era una distesa di cobalto perlaceo. Il sole, come il giorno precedente, giocava fra le onde colorandole dell’arcobaleno e le barche dei pescatori ravvivavano il tutto facendo assomigliare il paesaggio a un quadro vivente. Le urla e le risate dei pescatori si confondevano con quelle dei bambini e delle donne, tutte indaffarate a comprare il cibo per la cena, o per i mariti che si preparavano a salpare. Era così diverso dal mondo in cui aveva vissuto prima della partenza. Sembrava finto. E se lo fosse stato?  E se, in realtà, lei stava solamente sognando? Per eliminare ogni dubbio si tirò un pizzicotto sul braccio: ci mise poco e nulla il dolore a venir fuori, affermandogli che era tutto vero. Sorrise ancora, come se quella fosse l’unica cosa che le riuscisse di fare quel giorno. Forse avrebbe potuto domandare loro…
«Oh, vedo che qualcuno è fel-» Spaventata da quella voce improvvisa, Tennah girò su se stessa e afferrò con entrambe le mani il collo dell’interlocutore prima di colpirlo al ventre e farlo voltare, costringendolo così con il busto verso terra. Affondò un braccio contro la schiena, spingendolo contro l’asfalto con le ginocchia.
Il ragazzo gracchiò, attirando su di se gli sguardi sorpresi dei passanti. Solo allora, dopo aver passato gli occhi sul vestiario del giovane ed essere arrivata ai suoi capelli capì di chi si trattava. Sbiancò, anche se più bianca di così non credeva fosse possibile esserla, e lasciò andare la preda. Ingoiò a vuoto, grattandosi la guancia imbarazzata.
«Mi scusi. Di nuovo.» Abbassò lo sguardo soleggiato per non incontrare quello castano miele di lui. Si massaggiò una spalla. Che brutta figura aveva fatto.
«Colto di sorpresa due volte, in due giorni. Non penso che ci fosse mai riuscito nessuno prima di adesso» rise Sinbad. Dietro di lui, visibilmente contrariato da quell’atteggiamento sornione, un giovane albino scosse il capo. I corti capelli pallidi rifletterono i raggi del sole.
«Già, lo immagino» sussurrò quella, non del tutto sicura delle sue parole. Non pensava fosse vera quell’affermazione di prima, però non poteva contraddirlo dopo tutto era il regnante. «Cosa ci fate al porto, mio signore?» Ah, che domanda idiota! La città la governa, lui, è logico che la visiti. Si sarebbe volentieri data uno schiaffo da sola per la stupidità di quella frase.
«Ho sentito dai vostri compagni che eravate uscita a visitare Sindria, così ho pensato di venire a farvi compagnia. Che stavate pensando di fare?» Quella schiettezza la lasciò spiazzata. Annaspò silenziosamente, sperando che gli occhi del sovrano non se ne accorgessero visto che adesso stavano fissi all’orizzonte. Alla fine, raccapezzate le idee, disse: «Pensavo di andare a domandare se ci fosse una nave che salpi entro sera, così da poter partire.»
«Oh. Volete già andare via? Pensavo che Sindria allietasse i vostri sensi» curiosò l’uomo, sorridendole a metà.
Allora lei, corrucciando le sopracciglia rispose immediatamente. «Certamente, Sindria allieta ognuno dei miei cinque sensi. E’ davvero un luogo magico. Ma, prima di fermarmi in un posto solo mi piacerebbe esplorare questo vasto, vasto mondo.» Si rivolse nuovamente al maro, congiungendo le braccia dietro la schiena spensieratamente. «Sa, sono sempre stata curiosa di conoscere i segreti che custodisce» e arricciò le labbra.
Sinbad la osservò segretamente, soppesando le parole che gli stava riferendo. Sebbene l’avesse messo alle strette due volte, con una forza sovraumana per una donna di quella corporatura così magra, si ritrovò a pensare che alla luce del sole pareva come una farfalla. Fragile. Bella. Sfuggente. Non aveva nemmeno passato un giorno nel suo regno e già prospettava di partire. Magari, poteva riuscire a convincerla a restare. Sinceramente, quella donna lo incuriosiva e voleva sapere di più su di lei e sulla gente che aveva salvato. La sua sete di sapere era incolmabile, così come quella per le belle donne. E, lui poteva giurarlo, scomparsi quei lividi e messo su un po’ lei sarebbe diventata di sicuro molto, molto bella.
«Tutta via, visto che ne ho l’occasione Re Sinbad, vorrei chiedervi una cosa» Tennah alzò il viso a guardarlo. Aveva uno sguardo serio, senza nessuna traccia di vergogna o altro sentimento. Nei suoi occhi aleggiava una scintilla di autorità celata.
«Dimmi pure» affermò l’uomo, girandosi nella sua direzione.
«Una volta che la mia scoperta del mondo sarà conclusa, potrò tornare a Sindria per visitarla come si deve? Vorrei che fosse questa l’ultima meta del mio viaggio.» La sua mascella s’irrigidì mentre aspettava una risposta. Cosa le avrebbe detto il sovrano? Avrebbe accettato quella sua richiesta tanto egoistica oppure no? Incrociò segretamente le dita.
«Sicuramente» affermò lui, rivolgendole un leggero sorriso compiaciuto. Era bello quando sorrideva, constatò la bionda. E per la prima volta in sua presenza si ritrovò ad arrossire lievemente, stupita da quel pensiero improvviso. «Allora vado a cercare un trasporto. A più tardi, Re Sinbad.» Si voltò, avviandosi verso il molo dove stavano ormeggiate le barche.
Il vento le accarezzò i capelli e cullò il suo profumo fino ai due uomini ancora fermi sulla banchina. Ja’far fece un passo avanti, accostandosi all’amico. «Almeno lei è scappata dalle tue grinfie» borbottò, nascondendo una vena di ilarità.
«Io non ho “le grinfie”» rispose prontamente il più alto, incrociando le braccia muscolose al petto. Con gli occhi ancora fissi sulla figura pallida, sorrise. «Ad ogni modo, non vedo l’ora di sapere come sarà andato il suo viaggio.»
 
 
 
 
 
 
  
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