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Autore: WandererS    20/01/2015    0 recensioni
Mondi differenti, luoghi lontani, persone diverse, ma uno stesso evento, la guerra, e sentimenti simili: solitudine, nostalgia, disperazione, senso di colpa. In questa storia, ispirata alla canzone "Empty chairs at empty tables" del musical Les Miserables e suddivisa tra la Parigi del 1832 e l'Inghilterra di Harry Potter, l'Uomo affronta la sofferenza peggiore: la perdita delle persone a lui più care.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Grantaire, Marius Pontmercy, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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There's a grief that can't be spoken.
There's a pain goes on and on.
Empty chairs at empty tables
Now my friends are dead and gone.

 
Ci aveva provato. Aveva tentato di parlarne con qualcuno, di sfogarsi, ma le parole gli erano rimaste incastrate in gola.
Le lacrime non avevano mai solcato la sua pelle pallida, costellata di cicatrici, ma erano restate nel suo sguardo, e con il loro stillicidio continuo, come in una grotta, avevano scavato una voragine sempre più profonda nel suo animo.
Con il tempo il dolore non si era affievolito, ma lui vi si era in un certo senso abituato, come una bestia selvatica che si acclimata pian piano ad un elemento estraneo. Continuava, però, a non riuscire ad esprimerlo a parole, nemmeno a quella strana e folle donna a cui aveva aperto il suo cuore. Se la immaginò in quel momento, a casa, con in braccio suo figlio - loro figlio - i capelli viola pettinati in maniera sbarazzina e l'espressione ansiosa. Era contento che non fosse lì, a prepararsi per la battaglia.
Gettando uno sguardo intorno, vide facce preoccupate, spavalderia ostentata, passi frettolosi, movimenti decisi... Ma a dominare la sala era l'immobilità del cielo stellato e del legno massiccio dei grandi tavoli.
Vuoti.
Nessuno si attardava, ora, sulle panche di quercia levigate dal passaggio di innumerevoli studenti. Nessuno indugiava a quei tavoli dove un tempo - una vita fa, sembrava - aveva riso, scherzato e chiacchierato con i suoi amici, i primi, per quel che riusciva a ricordare. Avevano commentato le loro avventure, pianificato burle ai danni di compagni e insegnanti, ridacchiato alle stupide battute dell'uno o dell'altro e scambiato idee e opinioni sugli argomenti più disparati (dal censimento delle creature della Foresta Proibita al colore che avrebbe donato di più al moccio di Piton).
E ora i tavoli erano vuoti, le panche deserte.
I suoi amici se n'erano andati, lasciandolo solo in quella grande sala, la cui immobilità era a stento turbata da coloro che si stavano preparando a combattere, come formiche nella vastità del deserto.
Remus si riscosse, cacciò dalla mente gli spettri di sorrisi ormai spenti e si affrettò a fuggire dai dolorosi ricordi di un passato spensierato e felice.
 

Here they talked of revolution.
Here it was they lit the flame.
 
Gli sembrava di vederli, riuniti lì, nella saletta sul retro del Caffè Musain.
Gli sembrava di sentirli parlare, discutere, confrontare idee ed esperienze.
Combeferre che spiegava pacatamente gli ultimi progressi della scienza in questo o quel campo; Courfeyrac che discorreva di miti e bellezza; Feuilly che si scagliava contro Suvorov in difesa di un popolo di cui si sentiva parte; Bahorel che non perdeva occasione per scatenare una rissa o aiutare un amico; Jean Prouvaire, con le guance arrossate in pari misura dal fervore e dalla timidezza, che elogiava Dante o declamava versi sui colori della primavera, con uguale energia e trasporto; Bossuet che aveva sempre una risata sulle labbra nonostante le persecuzioni del destino; Joly che descriveva innumerevoli sintomi delle più svariate malattie a chiunque volesse ascoltarlo; Grantaire, ubriaco, che pareva capitato lì per caso, contestava ogni frase e ogni idea degli Amici, contrapponeva al loro entusiasmo il suo scetticismo e alla loro fiducia in alti principi e ideali la sua mancanza di certezze, ma ritornava sempre, come legato da un filo invisibile; Enjolras.
Gli sembrava di sentire soprattutto i discorsi appassionati di Enjolras, fanciullo e uomo a un tempo, infiammato d'amore per la Patria e la Libertà, che con le sue parole aveva guidato gli Amici ad abbracciare i più alti ideali e aveva fatto divampare l'incendio della rivoluzione.
 

Here they sang about tomorrow
And tomorrow never came.
 
“Domani esci di nuovo con la Evans?”
“Sì, domani esco di nuovo con Lily.”
“Fate sul serio allora?”
“Beh... forse. Sì.”
“E bravo il nostro Ramoso! Hai messo la testa a posto, allora? Vi sposerete, avrete quattro o cinque bambini, una decina di nipoti almeno...”
“Ehi, ehi, piano, non correre, per ora siamo solo fidanzati, e solo da pochi giorni!”
“Come li chiamerai? Non Cygnus per favore, so che dare ad un bimbo il nome del nonno è tradizione, ma ci sono abbastanza stelle e costellazioni qui da bastarmi per tutta la vita... Comunque non importa, ci penseremo. Ehi, quando i tuoi figli saranno a Hogwarts potremo venirli a trovare di nascosto! Pensa, tornare a correre nei prati, guidare di nascosto un giovane James nella Foresta Proibita... ci divertiremmo un mondo! E magari al settimo anno potrebbe essere in grado di assumere la forma di un animale, come noi! Pensa, una tua copia, un giovane cerbiatto, che corre con noi vecchi matusa!”
“Ma mi ha sentito?”
“Ho come l'impressione che la risposta sia 'no'...”
“Non vedo l'ora! Lo guarderemo crescere, gli insegneremo le magie, lo aiuteremo con i problemi di cuore, gli daremo una mano con i compiti, gli spiegheremo come cavalcare una scopa e come giocare a Quidditch, lo sosterremo negli esami e nella carriera (diventerà un grande mago, lo so), piangeremo al suo matrimonio, faremo da baby-sitter ai nipotini... Mi raccomando, domani datti da fare con la Evans, mica voglio avere la barba lunga come Merlino quando dovrò giocare con tuo figlio! Voglio essere lo zio figo io, per quello barboso c'è già Remus.”
“Ehi!”
Ma ormai anche James si era lasciato trascinare dall'entusiasmo dell'amico, e parlava di quanto sarebbe stata entusiasmante, un domani, la prima partita di Quidditch di suo figlio (che naturalmente sarebbe stato un campione). Remus non poté fare altro che lasciarli fantasticare e seguirli, scuotendo teatralmente la testa e cercando di nascondere un sorriso divertito.
Sbatté le palpebre e mise a fuoco il paesaggio reale, privo di ragazzi allegri e dominato dalla sagoma del Platano Picchiatore che aveva evocato quei fantasmi dalle profondità della sua memoria.
Cercò di non pensare alle tappe della vita di Harry a cui suo padre e il suo padrino non avevano assistito, ai consigli che non avevano potuto dargli, al tempo che non avevano potuto passare con lui. E cercò di non pensare anche alle esperienze che il ragazzo avrebbe potuto non vivere, se qualcosa fosse andato storto quella notte.
Pensò al domani, che sarebbe potuto non arrivare mai per lui e per Harry e per tutti gli altri, come non era giunto per i suoi amici: il sole era tramontato su James, e poi su Sirius, portando una notte oscura e senza fine.
 

From the table in the corner
They could see a world reborn
And they rose with voices ringing
And I can hear them now!
The very words that they had sung
Became their last communion
On this lonely barricade at dawn.
 
Era in una strada di Parigi. Però, stranamente, non era una strada stretta, buia, sporca... Non sembrava quasi di essere davvero nella capitale francese. A est, tra le case, si intravedeva sorgere il sole... Ma una luce diffusa illuminava tutta la via, così che poteva distinguere chiaramente ogni cosa, e riconoscere persino i singoli combattenti. Strano, molto strano.
Ma non aveva tempo di scervellarsi su quel mistero: stava accadendo qualcosa di importante! La Rivoluzione! Quella Rivoluzione che tutti gli Amici sognavano e che lui, scettico per natura, non credeva possibile. Pareva proprio che si sbagliasse: spari e rombi, come di tuono, facevano da sottofondo alle eroiche gesta di studenti e popolani, che difendevano le barricate e ricacciavano con successo i soldati della guardia municipale.
Udì la voce di Jean Prouvaire esclamare “Viva la Francia! Viva l'avvenire!” e lo vide sparare un colpo di fucile e abbattere un nemico, col sorriso sulle labbra.
Pareva che nessuno degli Amici potesse essere ferito, che fossero inarrestabili, che la bandiera rossa che sventolava sulla barricata facesse loro da scudo e incitamento al tempo stesso. Ma, più ancora, la guida e il faro degli insorti era un dio biondo che, proprio in cima al cumulo di mobili, assi e pietre, colpiva con la carabina un uomo dopo l'altro, senza essere nemmeno sfiorato dalle pallottole. Il sole nascente lo illuminava, incendiando d'oro puro i suoi capelli ed esaltando la grazia dei suoi movimenti, quasi recidesse fiori e non vite umane. Pur mantenendo lo sguardo fisso su quell'Apollo di marmo vivo, alle sue orecchie continuavano a giungere i rumori della battaglia e le urla dei combattenti.
Poi, all'improvviso, vide il giovane dai capelli d'oro girare il viso verso di lui e sorridergli con un'espressione strana, quasi malinconica, che non riuscì a decifrare del tutto.
Calò il silenzio, e capì che c'era qualcosa che non andava.
Aprì gli occhi.
Vide il suo braccio, avvolto nella manica bianca di una camicia, l'angolo di un tavolo consunto e le assi sporche di un pavimento.
Non udì nulla.
Alzò il viso, sbadigliò, si strofinò gli occhi.
Improvvisamente all'erta e lucido, vide, oltre le schiene di alcune guardie, il suo dio biondo.
Capì all'istante la situazione, si maledisse per non aver combattuto al fianco dei suoi amici e comprese che c'era solo un'ultima cosa che gli restava da fare.
Non aveva lottato per l'ideale degli Amici dell'ABC, ma poteva morire per ciò (o meglio, per colui) in cui credeva lui, e ricevere l'ultimo sorriso di un dio mortale.
“Viva la Repubblica!”
 

Oh my friends, my friends forgive me
That I live and you are gone.
There's a grief that can't be spoken.
There's a pain goes on and on.

 
Tutti i suoi tentativi erano falliti.
Non riusciva ad arrestare il flusso dei suoi pensieri e sperava quasi che l'imminente attacco finalmente cominciasse, così da costringerlo a concentrarsi sul presente e non sul passato.
Il presente. Un presente in cui lui era vivo, sebbene forse non per molto ancora, mentre i suoi amici erano morti, svaniti per sempre.
Non avrebbe voluto che andasse così. Se avesse potuto, si sarebbe sacrificato per loro.
Se ci fosse stata giustizia, in questo mondo, gli avrebbe permesso di morire al posto di James, che era giovane, buono, coraggioso, ed era appena diventato padre.
Se il destino non avesse voluto giocare con le loro vite, avrebbe consentito che donasse la sua a Bellatrix Lestrange al posto di quella di Sirius, che meritava di godere più a lungo della compagnia del suo figlioccio, di riscattarsi agli occhi del mondo dei maghi, di crearsi una famiglia, dopo tutto quello che aveva passato.
Lui, Remus, invece, era segnato. Fin da quella lontana notte di luna piena, il suo destino era tracciato: una vita breve, maledetta, l'esistenza di un mostro. Sapeva di non meritare né l'amicizia né l'amore, perché li avrebbe contaminati e avvelenati, ma la sorte gli aveva concesso entrambi.
Aveva perso gli amici più cari e avrebbe potuto non vedere più la sua amata Ninfadora, né suo figlio Teddy, ma non riusciva a non provare gratitudine nei confronti del destino che li aveva messi sul suo cammino, e allo stesso tempo era in collera con le stelle per non aver preso lui al posto di Sirius e James. In tal modo, avrebbe ripagato la sorte per il suo dono, che considerava addirittura superiore alla maledizione che si era abbattuta su di lui da bambino. E poi avrebbe potuto salvare anche Ninfadora, impedendo che si innamorasse di lui, così vecchio, così povero, così pericoloso.
“Perdonatemi, perché non ho potuto sacrificarmi per voi. L'avrei fatto con il cuore contento e un sorriso sulle labbra.”
 

Phantom faces at the windows.
Phantom shadows on the floor.
Empty chairs at empty tables
Where my friends will meet no more.
 
Per un po' evitò quella casa. Anzi, rimase alla larga dal paese intero.
Poi, in una grigia giornata di autunno, capì che era giunto il momento. Doveva affrontare gli spettri del passato, guardare la grigia lapide che copriva i miseri resti di James e Lily, e accettare il fatto che non li avrebbe mai più rivisti.
Depose un mazzo di fiori color giallo pallido sulla tomba, accanto a numerosi altri, per la maggior parte più elaborati e costosi. Pensava però che a Lily non sarebbe dispiaciuto qualche semplice giglio, ed era sicuro che a James non sarebbe fregato nulla dei fiori e delle composizioni.
Si avviò poi con un sospiro triste lungo la strada, fino ad arrivare in vista della villetta dei Potter.
Naturalmente sapeva cos'era successo quella notte e com'era stata distrutta la casa, grazie ai racconti dei membri dell'Ordine della Fenice (si era rifiutato di leggere la Gazzetta del Profeta), ma lo colpì vederla ridotta ad un guscio vuoto, sventrato dalla maledizione.
Soprattutto, lo sconvolse il contrasto con quello che era prima. Subito dopo il matrimonio, lui, Sirius e Peter venivano spesso a trovare James e Lily, e trovavano sempre la casa accogliente e ordinata (almeno finché Sirius e James non cominciavano con i loro stupidi giochi). Lily si affacciava alla finestra che dava sul cortile non appena sentiva trillare il campanello incantato, sorrideva con calore e li invitava ad entrare per gustarsi una fetta di torta appena sfornata, un caffè... “o una burrobirra”, aggiungeva il più delle volte il marito, guadagnandosi un'occhiata di finta riprovazione. Durante i primi mesi di vita di Harry, invece, era più probabile trovare i neo-genitori in soggiorno, incantati dal piccolo. Spesso James, seduto o disteso sul pavimento, intratteneva il figlio con sbuffi di fumo colorato e strane sfere fluttuanti, che Harry cercava di acchiappare muovendosi incerto sul tappeto.
Adesso, i fiori e le torte di Lily erano spariti, il soggiorno coperto di polvere, il tavolo da pranzo e le sedie con i cuscini a fiori desolati e vuoti.
Entrando, sembrò a Remus di vedere con la coda dell'occhio un movimento alla finestra, come di lunghi capelli che fluttuano nella brezza, e dall'ingresso vide il soggiorno popolato di ombre spettrali.
Voltò i tacchi e fuggì, incapace di sopportare oltre gli sguardi invisibili che percepiva sulla pelle.
 

Oh my friends, my friends, don't ask me
What your sacrifice was for
Empty chairs at empty tables
Where my friends will say no more


 
Il popolo di Parigi non si è ribellato. I cittadini francesi continuano a vivere nella paura. I poveri rimangono nella miseria, i ricchi seguitano a non curarsi di loro.
Dal 5 al 6 giugno nulla è cambiato in Francia. Il re e i nobili non sono stati toccati dai tragici eventi di quella notte, forse non si sono nemmeno accorti di cosa stava succedendo.
Ma dei francesi sono morti. Studenti, operai, guardie municipali, donne... persino un bambino.
Per cosa si sono sacrificati?
Per un ideale, per lealtà, per amicizia, per amore.
E a loro non è rimasto nulla di tutto ciò. Solo freddo e buio.
Eppure hanno pagato consapevolmente il prezzo delle loro scelte e delle loro azioni, sperando, forse, che il cammino lungo il quale sono caduti venga ripreso da altri.
La Storia non ricorderà i loro nomi o le loro vite, ma porta su di sé le cicatrici lasciate dalle loro idee, roventi come scintille di speranza per il futuro.








Nota dell'Autore: è una ff un po' particolare, non è nemmeno un vero e proprio crossover perchè i due "mondi" non si toccano nemmeno, se non tramite la canzone (che è naturalmente "Empty chairs at empty tables", dal film/musical Les Miserables, cantata da Marius Pontmercy). L'idea l'ho tratta dalla pagina facebook "Diario di una fangirl", che per questo ringrazio, sperando che non ce l'abbia con me per averla rielaborata. Vorrei solo aggiungere, per amor di completezza, che le parole di Jean Prouvaire sono quelle che ha pronunciato nel libro di Hugo subito prima di essere fucilato, e il colpo che Grantaire sente è naturalmente quello dell'esecuzione. Come accennavo, è stato un esperimento, forse azzardato, per cui mi farebbe molto piacere avere critiche e commenti!
 
   
 
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