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Autore: Mirin    21/01/2015    3 recensioni
«Una storia d’amore e di guerra. Di dolore e di perdita. Di sotterfugi e di tradimenti. Di bugie e mezze verità» gli suggerì Ino.
Vuoi sentire la nostra storia, piccola?
«Va bene» si arrese, e cominciò a raccontare.
A Francesca, in ritardo.
Shikamaru&Ino, ShikaTema/SaiIno.
Genere: Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ino Yamanaka, Shikamaru Nara, Un po' tutti | Coppie: Shikamaru/Ino
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la serie
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Felice diciotto anni, Emily, sperando che tu sia rimasta
abbastanza bianca da goderti questo stralcio di schifo.

Shikamaru osservò il proprio riflesso grottesco nel bicchierino di ceramica bianca finissima, il liquido all’interno dondolava pigro al ritmo del pigro movimento da lui esercitato sul contenitore. Da sopra il bordo liscio e tondo, i suoi occhi coglievano stralci della scena che lo attorniava, senza individuarvi il senso o il fine.
L’alcol scorreva a fiumi, quella sera. Shikamaru era al nono bicchiere di saké, e dire che ci vedeva doppio è poco. Temari, seduta sulle sue gambe, gli accarezzava il collo con atteggiamenti provocatori e lascivi, e Shikamaru poteva quasi starci.
Di fronte a lui, Ino poggiava il capo sulla spalla di Sai. Ecco perché quasi.
«E fatti un cicchetto, Yamanaka!» Kiba le ficcò in mano uno shot di tequila, chiaramente dispiaciuto e scandalizzato dalla sobrietà della ragazza.
Ino era stranamente bella quella sera; non che normalmente non fosse ben al di sopra della media delle altre ragazze di Konoha, ma quella sera vestiva in modo distinto, spiccava tra i loro amici come una stella fulgida: il suo abitino striminzito era sui colori del violetto, qualche sfumatura blu notte sulla gonna, fasciava attillato ogni centimetro della sua pelle ed abbracciava tutte le curve di quel corpo sbocciato violentemente nella primavera tardiva della loro adolescenza.
«Lei non beve» intervenne Choji, tanto ubriaco da parlare con il cane anzicché di rivolgersi a Kiba, «lasciala stare, Akamaru.»
«Al futuro Hokage di Konoha!» brindò Tenten, abbastanza brilla da essere addirittura avvicinabile, indirizzando il proprio boccale di birra verso Naruto Uzumaki.
«E al suo sfaccendato consigliere!» soggiunse la bionda sopra di questi, il calice di vino rosso alzato verso il cielo.
Tutti gridarono festosi, elargendo pacche sulla spalle dei due uomini celebrati e suggerimenti svariati. Lee gli consigliò due volte di tagliarsi il pizzetto, ma a Shikamaru piaceva. Oltre a ricordare quello del defunto padre, gli rammentava ogni giorno che passava la vita a nascondersi dietro un ciuffo di apparenze e menzogne. Era giusto così.
«Qualcuno racconti una bella storia!» saltò su all’improvviso Sakura, ebbra di whisky e di Sasuke Uchiha in egual misura.
«Sei impazzita?» biascicò Sai. Era assurdo che fosse tanto pallido anche dopo le quattro vodka che aveva ingollato.
«Shino è l’unico meno fatto in questa stanza» osservò Naruto, aveva ancora la maglia sporca di cognac.
«Hinata non ha bevuto nulla» suggerì Karui, che aveva appena raggiunto Choji con una nuova bottiglia di champagne.
«Un flûte di spumante» fece presente Kiba con un sorriso idiota. Hinata era a rischio collasso.
«Perché non Shikamaru?» disse Meyame, la ragazza gatto, sedendosi con grazia in groppa ad Akamaru che -povera bestia!- barcollava a causa dei fumi dell’alcol, «almeno non ha il cervello in pappa.»
Nuovi cori entusiasti e fischi belluini accolsero la proposta della fidanzata dell’Inuzuka.
«Naruto è l’Hokage» si oppose Shikamaru, poco convinto.
«Significa che questo è il primo compito che ti delego!»
Gli sguardi del Nara e della Yamanaka si incrociarono. Era abbastanza ubriaco da potersela immaginare sulle proprie ginocchia mentre lo baciava, e probabilmente questo lei lo sapeva, perché ricambiava quell’occhiata con la stessa intensità.
«Una storia d’amore e di guerra. Di dolore e di perdita. Di sotterfugi e di tradimenti. Di bugie e mezze verità» gli suggerì Ino.
Vuoi sentire la nostra storia, piccola?
«Va bene» si arrese, e cominciò a raccontare.

Cominciai a raccontare. 


Sette anni prima, da qualche parte nel Paese del Fulmine
Cadaveri bianchi disseminati sul campo di battaglia come schegge di uno specchio rotto, dolore alla schiena che giurava di non avere fino a due secondi prima, odore ferrigno di sangue che appestava l’aria e la rendeva irrespirabile, briciole di terra insinuate permalosamente in un occhio e che pertanto lo facevano bruciare in modo molto fastidioso: come poteva un sedicenne figlio di famiglia condividere lo stesso corpo di un mercenario omicida impeccabile e silenzioso? Gli scoppiava la testa soltanto a pensarlo.
Il piede incappò in una pietra sul terreno, cadde a peso morto. Era talmente stanco di camminare, correre, saltare, raccogliere chakra, elaborare strategie, provare emozioni, parlare, guardarsi intorno, sentirsi in perenne ansia, stare all’erta; voleva soltanto dormire come un sedicenne normale, su un letto vero -o che almeno non fosse una brandina-, con un tetto sulla testa, una madre che gli rimboccasse le coperte -anche se dubitava che un sedicenne si facesse ancora rimboccare le coperte-, e un padre. Possibilmente vivo, e che non fosse un ninja geniale che passasse il suo tempo libero ad addestrare il figlio per farlo diventare il più brillante stratega di Konoha.
Un tuono risuonò sopra di lui, che suonava quasi come un ammonimento. Scusa, pà.
Voleva che qualcuno si prendesse cura di lui. Era debole e stanco. Voleva fare i capricci come un bambino. Non voleva essere lì, non gli importava un cazzo di quella fottuta guerra finalmente finita, che poteva tornare a casa dalla madre -che tra l’altro non sapeva neanche di essere diventata vedova, urrà!-, lui non voleva mai essere partito. Dannata Akatsuki, dannato Obito, dannati Uchiha, dannati Senju, dannato Juubi, dannati i volti di coloro che, ne era certo, per tutta la vita avrebbero tormentato le sue notti.
Voleva un angelo che lo portasse via da quella follia, che cancellasse tutte quelle ore di sangue versato ed acciaio stridente.
«Mangia» il sussurro sopra di lui era quasi impercettibile, a differenza del profumo delizioso del pane che gli veniva offerto. Grazie, pà.
Shikamaru si girò in posizione supina, sopra di lui galleggiava brumoso il volto di Ino, lercio e scarmigliato. Aveva un taglio sulla guancia, il labbro inferiore martoriato e la fronte incrostrata di sporcizia. Era più bella che mai.
«Non ce la faccio» era vero: aveva lo stomaco tanto chiuso e le braccia tanto doloranti che il solo pensiero di dover portare alla bocca quella pagnotta bastava a farlo desistere, nonostante avesse un odore così appetitoso.
Ino non demorse. Si lasciò cadere su di lui delicatamente, prima poggiando le ginocchia sulla terra nuda ai suoi fianchi, poi scivolando giù sul suo corpo di piombo. La testa di Ino giaceva da qualche parte vicino all’orecchio di Shikamaru, la sentiva respirare e, chissà come, ogni ferita smetteva di pulsare tanto forte.
«Mi fa male ogni parte del corpo» Ino commentò, la voce ancora bassa -Shikamaru sospettò che il fumo l’avesse arrochita-, aveva un tono talmente serio che lo fece sorridere, almeno finché i muscoli del viso non protestarono indignati.
«Credo di aver scoperto delle nuove ossa soltanto perché mi fanno male» rincarò il Nara, facendo scoppiare a ridere Ino, «sai, tra il polso e la mano? Oppure tra la piega del gomito e la spalla? O tra la calotta cranica e il tallone?»
«Hai reso l’idea» lo frenò la ragazza, sforzandosi di soffocare il riso, probabilmente per lo stesso motivo per cui era stato costretto lui. Staccò con una certa difficoltà un moncone di pane dalla forma che portava con sé, ed aiutò Shikamaru a mandarlo giù. Era raffermo, insipido, farinoso, bruciato e sapeva di legno secco, ma a Shikamaru parve la cosa più buona che avesse mai assaggiato.
Stettero zitti per un po’, l’una sopra l’altro, assaporando l’assoluto silenzio di quel momento, lontani dalle grida di festa, lontani dagli schiamazzi e dal giubilo, lontani da quella felicità che non apparteneva loro, che era del tutto estranea. Avevano perso due genitori, due padri, in quella guerra maledetta. Avevano perso compagni, amici, futuri conoscenti, speranze, sogni, ma nulla era più reale come quel dolore vorace che, ancorato alle loro caviglie, tentava con tutte le sue forze di trascinarli giù con sé. Ma Shikamaru aveva due motivi per tenere duro, a tutti i costi: uno lo aspettava a Konoha sulla soglia di casa, l’altro gli stava scompostamente addosso e gli premeva sul petto.
«Dov’è Choji?» chiese il Nara, un brivido di paura gli attraversò la colonna vertebrale. Con la guerra aveva imparato che domandare ad alta voce la sorte di un proprio compagno era il più potente dei sortilegi. Era successo così con Neji, che era caduto per salvare Hinata da una fine tremenda. Una lacrima dondolò impudica giù dai suoi occhi scuri, ma la mano di Ino provvide a spazzarla via con la punta delle dita.
«Con alcuni ninja di Kumo» rispose la ragazza, il suo viso recava le tracce di un ghigno spezzato, di quello che nella loro vita di prima sarebbe stato un sorrisetto malizioso. Avevano perso troppo per permettersi ancora la malizia, l’ingenuità, la speranza, la gioia, il lieto fine. Probabilmente doveva avere uno sguardo decisamente vacuo, perché le sue mani tornarono a scuoterlo dal torpore con un buffo leggero, le sue iridi lapislazzuli trasmettevano la stessa sofferenza sorda, cheta e dilaniante che sentiva dentro.
«Hai già un’idea di come dirglielo?» Ino spezzò il silenzio con un mormorio fragoroso come una bomba. Shikamaru chiuse gli occhi ed inspirò profondamente: «sarà devastante lo stesso, comunque glielo dica. A Yoshino non piace essere raggirata con un bel discorso.»
«Ed hai intenzione di piombarle davanti e di dirle che… di dirle… che Shikaku-san è… è…?» la voce di Ino si spezzò sull’ultima sillaba, la lingua le si annodò: non voleva dire quella parola. Era così tremendamente sbagliata. Come poteva Shikaku-san essere morto?
«Non lo so» la voce di Shikamaru era piatta e monocorde, stanca ai limiti dell’umano. Ino lo sapeva, comprendeva quanto fosse provato e svuotato, ma mai come in quel momento aveva bisogno di punti stabili, di fondamenta su cui costruire di nuovo la sua vita, sperando che nulla sarebbe piombato a distruggerla come negli ultimi sedici anni. Aveva bisogno di certezze; anzi, di una sola. Fece pressione sulla sua guancia facendogli voltare il viso, e lo fissò con aria decisa nonché insicura al tempo stesso, i loro respiri erano tanto vicini da mischiarsi in un solo fiato.
«Rimarrai con me, vero?»
«Qualunque cosa accada. Te lo prometto.»

Sei anni prima, sezione Nord della Grande Foresta, confini di Konoha
Una calda estate scottava la pelle di Shikamaru, che nonostante il sole a picco era costretto ad andarsene in giro con la maglia a maniche lunghe della divisa da Jonin, più il giubbotto verde scuro abbottonato sul davanti. Oh, avrebbe schiacciato dolorosamente una ad una quelle zanzare che con palese sardonico divertimento scivolavano giù lungo il colletto e gli pungevano le spalle, si sarebbe vendicato su tutte quelle maledette.
«Aoba-san» Shikamaru richiamò il collega davanti a lui con voce sfiancata, reggendosi a stento col supporto di una roccia, «per oggi va bene così, eh?»
«Veramente l’Hokage ha…»
«L’Hokage non lo saprà.»
Il tono di Shikamaru era così definitivo che convinse l’altro shinobi a desistere, così l’occhialuto girò i tacchi e se ne tornò dritto da dov’era venuto. Shikamaru ringraziò il proprio rango: primo stratega, comandante della Squadra Jonin e capoclan della nobile stirpe Nara, molti dei suoi ex-sempai sentivano di dovergli molto più rispetto da quindici mesi a quella parte. A lui non era mai interessato di ricevere una tale stima da parte del villaggio, ma ogni tanto aveva i suoi vantaggi.
Seduto a gambe incrociate, si accoccolò contro il profilo aguzzo della roccia e lasciò libera la sua mente di vagare nel nulla: troppo spesso infatti il suo cervello era la meta turistica preferita di elucubrazioni fastidiose che gli garantivano un mal di testa da pachiderma in meno di cinque minuti d’orologio.
Le fronde degli alberi lo riparavano dalla corona di raggi ustionanti, e un leggero cinguettio si levava dal folto. “Il primo pisolino dell’estate” pensò, estasiato, ma prima che riuscisse davvero ad addormentarsi, da sotto le palpebre percepì un’ombra scura profumata alle cosmee che gli si stagliava innanzi.
«Tu dovresti fare il tuo lavoro!» lo sgridò l’Ombra con quella sua voce stridula ed acuta da fare invidia ad un violino male accordato.
«Il mio lavoro è dirigere le operazioni dalla mia comoda poltrona, alla magione dell’Hokage» ribatté il Nara, aprendo infastidito un occhio per squadrare la sottile figura che era piegata verso di lui con le mani sui fianchi. I lunghi capelli biondi le accarezzavano la schiena in un dondolio ipnotico, le sopracciglia chiare scavavano un solco profondo nella fronte perlacea, segno del suo totale disappunto e sconcerto per ciò che l’ex compagno di squadra era capace di fare. Che donna degenere gli aveva aveva affibbiato il destino, incapace di riconoscere quando un povero martire comandato a bacchetta da tiranne intransigenti sentiva il dovere di cedere alla propria natura pigra di maschio alfa dominante!
«Beh» Ino fece schioccare la lingua contro il palato nervosamente, avvicinandosi ancora al suo volto con fare minaccioso, «sei stato tu a scegliere i nuovi percorsi di pattugliamento per la sorveglianza dei confini, quindi è più che giusto che sia tu a collaudarli!»
Shikamaru singhiozzò. Era la stessa identica cosa che aveva suggerito l’Hokage quando lui aveva presentato il progetto: sei chilometri di scarpinata tra alberi, insetti, sassi e serpenti per dimostrare che la sua idea era giusta, quando era ovvio che fosse giusta. Quando mai aveva sbagliato? D’altronde era risaputo che Tsunade-sama, consigliera dell’Hokage in carica Kakashi Hatake, si divertisse alle sue spalle.
«Tu che ci fai qui?» lo shinobi decise di cambiare argomento, sperando di placare l’irritazione della ragazza, «credevo che oggi fossi di turno al negozio.»
Pessima scelta: Ino scoprì i denti come per azzannarlo. «Avrei dovuto» chiarì inacidita, inarcando ancora di più le sopracciglia rifinite, «ma alle quattro e mezza del mattino sono stata scaraventata giù dal letto per unirmi al gruppo di ronda! Ti rendi conto di che seccatura sia farsi la doccia alle quattro e mezza? E di quanto sia seccante avere i piedi gonfi per i colpa di tutti i dannati insetti che infestano questo posto?»
Shikamaru ghignò, serafico. «Hai detto la parola “seccatura” due volte consecutive.»
«Aaaah!» Ino sbraitò, agitando le mani in aria furiosamente, pestando i piedi sul tappeto erboso, «sei un idiota, Shikamaru!»
«D’accordo, d’accordo» si arrese lui, sbuffando come un bue permaloso, Ino era insopportabile quando faceva la vittima in quella maniera, cosa che a lui non sarebbe mai saltato in testa di fare «cosa vuoi?»
Il volto di Ino si illuminò come il sole stesso. «In effetti, una cosa ci sarebbe…»

[Due ore più tardi]
«Negozio di fiori Yamanaka, cosa posso fare per lei?» sottofondo decisamente tetro per le vetrine sgargianti che esponevano centinaia di varietà diverse di corolle variopinte. Il ragazzo in grembiule dietro il bancone decisamente non apprezzava il profumo meraviglioso che tutti quei fiori spandevano nell’aria, anzi, probabilmente odiava ogni singolo secondo speso in quel luogo. «Più gioia, Shikamaru, più gioia!» lo redarguì Ino con un sorriso a trentadue denti, prendendo a braccetto le due clienti appena entrate, «cosa posso fare per voi?»
Choji -il cui coinvolgimento era ancora inspiegabile- spolverava una scaffalatura con un piumino nero e gli scoccò un’occhiata solidale. Anche lui indossava un grembiule, il suo era a fiorellini blu e bianchi con la scritta “Il mio orso preferito”, il quale sicuramente era stato cucito da Ino apposta per quell’occasione. Quello del Nara era decisamente meno allegro: nero come il carbone, a caratteri cubitali si leggeva l’avvertimento: “Nemico numero 1”.
«Mi dispiace» disse per l’ennesima volta il moro, tornando a controllare i conti del negozio da far quadrare. Ah, se solo le donne fossero state semplici come l’aritmetica…!
«Non è colpa tua» rispose bonario il suo migliore amico, che si muoveva in punta di piedi come una cameriera francese oversize, «è Ino, che è carina ma del tutto fuori di testa.» Shikamaru non poteva non concordare. Molto carina e molto fuori di testa.
«Shikamaruuuu~!» lo chiamò lei con voce squillante, facendolo tremare da capo a piedi, «puoi prendermi quelle peonie che sono giù in magazzino? Grazie.»
Visto che quel “grazie” finale equivaleva ad un “se non vuoi che renda la tua vita e quella dei tuoi discendenti un totale inferno”, Shikamaru presunse di doversi attenere agli ordini, pur non avendo la più vaga idea di come fosse fatta una peonia.
«Se ti serve una mano chiamami» si offrì Choji, ma Shikamaru scosse la testa.
«Sai cos’è una peonia?»
«Ehm… credo sia viola… ma forse sbaglio…»
Shikamaru sospirò: se avesse portato a quella strega i fiori sbagliati, sarebbe scoppiato un pandemonio e non avrebbe visto la luce del sole per i successivi sei mesi. Con l’aria di un condannato che si dirige al patibolo, strascicò i piedi giù per i sette scalini che separavano il magazzino sotterraneo dal negozio fronte strada. Con tutta l’umidità ed il buio che c’erano là sotto non riusciva a capire come i fiori facessero a mantenersi freschi. Non si vedeva ad un palmo dal naso e ci volle poco prima che Shikamaru inciampasse in una vetrinetta, che ovviamente gli cadde addosso.
Prima di essere schiacciato da una ventina di chili di mogano e vetro dannatamente tagliente, la parte alta del mobile cozzò contro la parete, mantenendolo inclinato a quarantacinque gradi. La caduta del primo armadio comunque innescò un effetto domino e ben presto parte del mobilio lo sovrastò completamente impedendogli di scivolare sotto la vetrinetta.
“Oh, ma dai?!” pensò il ragazzo, sfiduciato. Errata corrige: non avrebbe visto la luce del sole per i successivi sei anni. Dopo il trambusto provocato dai mobili, passi leggeri come quelli di un cinghiale arrabbiato risuonarono sui gradini di pietra.

«NARA!» urlò Ino, infuriata come non mai. «Che diavolo hai fatto?!»
«Aiuto…» pigolò di rimando, cercando in tutti i modi di apparire piccolo ed inoffensivo, proprio come si fa con gli orsi.
Ancora una volta, pessima scelta: «aiuto un fico secco, Shikamaru Nara! Ora vengo lì e ti spacco tutte le ossa!»
Shikamaru chiuse gli occhi e cominciò ad elaborare il proprio necrologio: “Io, Shikamaru Nara, lascio questa landa di infelici e violenti…”
«Giuro che stavolta ti ammazzo!»
“…per mano della mia amica di infanzia, Ino Yamanaka. Lascio i miei averi a mia madre ed ad il mio più caro compagno d’armi, protagonista assieme a me medesimo di mille avventure, Akimichi Choji, in parti uguali…”
«Aspetta solo un attimo, credo di avere il piede incastrato in…»
“…al funerale, dispensarsi dai fiori, poiché essi sono stati il punto fermo conclusivo nella pagina linda e immacolata della mia esistenza. Se qualcuno osasse presentarsi con delle peonie, verrà perseguitato per il resto dei suoi giorni dal mio fantasma.”
«Oh cielo! Aiuto!»
Ino si schiantò a peso morto su Shikamaru, mozzandogli il fiato. Tossendo per recuperare il respiro, cercò di ricostruire la dinamica degli eventi, senza successo.
«Ti sei fatta male?» domandò premuroso il Nara.
«Credevo di averne fatto a te!» rispose veementemente la Yamanaka.
«Come sei caduta?» Shikamaru si stava impegnando a non ridere: Ino era cascata come una pera cotta proprio davanti a lui, un evento memorabile da raccontare finché viveva; il leggiadro fiore di Konoha che si sfracelava al suolo come la più maldestra degli stolti.
«Ho il piede incastrato in un maledetto mobile» ringhiò quella, dimenandosi per liberare la gamba ma senza risultati.
«Sta’ calma» le intimò Shikamaru, sollevandosi per quanto possibile nello spazio angusto, senza comunque riuscire a GUADAGNARE un centimetro in altezza, «ora chiamiamo Choji e cerchiamo una soluzione, okay?»
«Aspetta!» le guance della ragazza erano in fiamme mentre gli stringeva un braccio ad occhi spalancati, «non voglio che ci veda così! È… equivoco!»
“Oh, dannazione!” pensò l’altro, sentendo il proprio viso scaldarsi a sua volta. Erano al buio, da soli, vicinissimi, lei sopra di lui… chiunque avrebbe pensato lo stesso. Perché Ino doveva sempre complicare le cose?!
«Va bene, uhm…» Shikamaru tentò di ragionare, ma era diventato all’improvviso molto arduo, «non ce la fai proprio ad alzarti?»
Ino si morse il labbro.
«Ad andare indietro?» chiese lui allora, solerte.
La ragazza scosse la testa.
«Prova a venire verso di me» non era esattamente la sua soluzione preferita, ma almeno così avrebbero guadagnato un po’ della mobilità necessaria ad alzare qualcuno dei mobili che li schiacciavano, «io ti tiro e tu strattoni più forte che puoi, intesi? Uno, due, tre!»
Entrambi digrignando i denti, fecero forza per liberare Ino dalle grinfie del mobile. Al quarto tentativo, finalmente la bionda fu sbalzata verso il compagno, ma con un tale slancio da ribaltare le posizioni: ora era Shikamaru a stare sopra di lei e questo costituiva un enorme problema; se era vero che Ino era abbastanza minuta da stare seduta in quell’anfratto minuscolo, era pur vero che Shikamaru non poteva muoversi di un millimetro senza cozzare contro qualcosa. Di andare indietro non se ne parlava, non ce l’avrebbe mai fatta, per quanto riguardava l’alzarsi in piedi… beh, peggio che andar di notte.
«E ora?» sussurrò Ino, i suoi grandi occhi azzurri sfavillavano nel buio del magazzino. Shikamaru si trovò a deglutire: era già stato molto vicino ad Ino in altre circostanze, ma mai da solo, al buio, o con lei cosciente.
«Non ho idee» il Nara era in bambola, totalmente. Non c’era molto da fare in effetti, se non aspettare i rinforzi. Le labbra carnose di Ino erano a meno di un centimetro dalle sue, i loro corpi erano praticamente appiccicati, le braccia gli tremavano per lo sforzo di reggere i suoi settanta chili di peso. Era come fare le flessioni con Choji e Chouza sulla schiena, tremendamente doloroso, eppure doveva resistere: se avesse ceduto sarebbe finito addosso ad Ino e quella era l’ultima cosa che voleva, proprio perché lo desiderava maledettamente.
La ragazza si mosse sotto di lui, a disagio, forse per dargli più spazio, ma così non faceva che peggiorare le cose, poiché ad ogni minimo spostamento la frizione lo faceva impazzire. «Sta’ ferma, Yamanaka» la supplicò con voce roca, stringendo la mandibola per frenare gli istinti irrazionali che sconvolgevano quel ragazzo molto razionale -ma comunque un ragazzo, diamine!-.
Lo sguardo celeste della sopracitata era pieno di curiosità. «Perché?»
«Aehm…» “sempre più geniale Shikamaru, davvero, sempre più geniale”, «perché ci fai cadere tutta questa roba in testa, ecco perché.»
Ino era molto scettica. «D’accordo che sei alto, Shika, ma se stai piegato così non ci tocchi. Senti, se ti abbassi ancora un po’, magari io—» «NEANCHE PER IDEA!»
Gli era uscito più brusco di quanto avesse voluto, ma perlomeno era riuscito a zittire quell’incosciente della sua amica d’infanzia. Non riusciva proprio a capire cosa poteva provare un ragazzo di diciassette anni così rannicchiato sopra una ragazza tanto attraente? Per lei non significava nulla, ma per lui… un mondo di sensazioni soffocate per anni si stavano risvegliando di colpo, con lo stesso sibilo flebile di un serpente a sonagli chiuso in una cesta.
Dannata adolescenza, dannati ormoni, dannate cotte, dannati timori, dannate farfalle, dannata Ino che ad ogni battito di ciglia diventava sempre più bella, ancora più bella, bellissima.
«Qualcosa non va?» Ino parve sinceramente preoccupata, si chiedeva se Shikamaru non fosse uscito di senno. Il che era quasi possibile, date le circostanze..
“Sì, tu.” «Niente, lo sai che soffro di claustrofobia»
«No, non è vero.»
“Perché deve conoscermi così bene?!” «Beh, non mi piace il buio.»
«Sembra strano, detto da un manipolatore d’ombra.»
“Beh, in effetti…” «Qui fa freddo. Il freddo mi da fastidio.»
«Ma se fino a dieci minuti fa ti lamentavi del caldo!»
“Sei sempre difficile, tu!” «Ascolta, chiamiamo Choji e facciamolo venire giù, gli facciamo tirare su tutto questo CASINO e lui ci tira fuori di qui.»
Il ghigno di Ino non prometteva niente di buono. «Sei nervoso, vero? Quando ti innervosisci, ti mordi le labbra.»
“È una battaglia persa in partenza, con questa qui.” «D’accordo, miss detective, sono nervoso. Parecchio nervoso.»
«È a causa mia?»
«Sì.»
«Ascolta, se è per i mobili, davvero, non c’è problema…»
«Non è per i dannati mobili, Ino.»
Questo bastò ad incollarle le labbra pudicamente. Una stilla di sudore scivolò giù lungo la tempia del ragazzo, che deglutì una seconda volta. Così calda era Ino sotto di lui, così bello il suo viso, così vicino…
Troppo vicino. Era certo che prima non fosse tanto vicino.
«Non ti muovere…» sillabò la ragazza con un filo di voce appena, le iridi cerulee scintillavano di un colore nuovo, mai visto prima. Shikamaru era paralizzato, non gli riusciva nemmeno di spostarsi.
“No, seccatura, non mi muovo.”
Lo baciò. Sembra assurdo descriverlo così, ma è esattamente come andò. Niente flashback della vita passata, niente vaticini di quella futura, niente romanticherie assurde. Ino sollevò di qualche centimetro la schiena e premette le labbra su quelle di Shikamaru, mentre il suo cuore di questi galoppava impazzito nel petto ampio.
Le mani si strinsero ai fianchi di Ino da sole, per alzarla ancora un po’ e permettere una migliore aderenza dei loro corpi. La nuca cozzò con violenza contro il legno sopra di lui, producendo un rumore sordo, ma a lui non importò. Non sentì neanche dolore, a dire il vero. C’erano solo lui ed Ino, punto.
«Ino? Shikamaru?»
Quest’ultimo sobbalzò talmente di scatto da sbattere di nuovo la testa. Due botte del genere erano un trauma cranico assicurato.
Un ululato lupesco -o meglio, cervino…- si sollevò dalla catasta di mobili sotto cui i due erano sepolti, mentre Ino lo sgridava per l’irruenza con cui faceva ogni cosa. Come al solito.
«E io che pensavo di aver interrotto qualcosa!» bofonchiò Choji, avvicinandosi a grandi passi verso la fonte dei rumori molesti. 
Non lo sapeva, e forse nemmeno loro lo immaginavano, ma aveva appena decretato la loro separazione definitiva.

Cinque anni prima, taverna di Goro, Konoha
«Ino, non farlo» la voce di Choji era un mordersi di parole più o meno fluide nel suo orecchio, copriva a malapena gli schiamazzi degli avventori ubriachi che si erano ammassati ai bordi del suo tavolo. Alla sua sinistra, Chouza si guardava intorno abbacinato, forse ancora cercando di capire cosa fosse successo in quella frazione di secondo, alla sua destra, Shikamaru stava rigidamente a braccia conserte, gli occhi erano più gelidi del ghiaccio stesso. Ghiaccio nero… che assurdità.
Ino sapeva che non era d’accordo, ma non le importava affatto: lui non era suo padre. Ognuno andava per la propria strada, e poco importava se si fossero incrociate una volta, oppure centinaia: Ino era Ino, Shikamaru era Shikamaru.
Ed Ino in quel momento voleva bere.
Dall’altra parte della lunga superficie di legno scadente e malconcia, il tizio sfregiato dall’acne le sorrise con aria di sfida e scherno, sollevando il suo shot di Stock 84.
«Ino, quello non è saké» Chouza intervenne con aria ferma, posando una delle sue mani pesanti sulla spalla esile della ragazza. Ino lo apprezzava per questo: Chouza non l’aveva mai chiamata “Ino-chan” quasi fosse una bambina. Chouza l’aveva sempre trattata al pari dei suoi ex compagni di squadra, e mai le aveva fatto un occhio di riguardo a causa del seno gonfio. Per lui, lei era Ino Yamanaka, la figlia di Inoichi, capoclan -beh, tecnicamente non ancora, perché, essendo una donna, avrebbe dovuto aspettare di compiere ventun’anni prima di diventare legalmente la guida della sua gente- degli Yamanaka.
«Lo so» rispose Ino serafica, reggendo tra le dita il proprio bicchiere. Già l’odore che sprigionava il brandy era rivoltante: acido, forte, bruciante… le avevano detto che un bicchiere bello pieno poteva liberarti le vie respiratorie per una settimana. 

Quella era la prima volta che Ino ingeriva alcol nella sua vita da diciottenne: il vecchio trio aveva promesso ai pupilli di Asuma di portarli a sbronzarsi quando fossero diventati maggiorenni. Allora, Ino aveva dovuto protestare a gola spiegata prima che accettassero di portarsi appresso la “piccolina di famiglia”. Chouza, essendo l’unico membro ancora in vita dei primi Ino-Shika-Cho, aveva mantenuto il patto, ma Ino aveva dovuto faticare non poco per convincerlo a trascinarsela con lui; sapeva che Inoichi non sarebbe stato d’accordo, ma in fondo un bicchierino non le avrebbe fatto poi così male se fosse stata sotto la sua supervisione.
Avevano scoperto che Shikamaru beveva vino di riso quasi come il latte della madre, -“voi Nara ce lo avete nel sangue” aveva commentato l’Akimichi maggiore con un sorriso nostalgico-, Chouji a stomaco vuoto ne sopportava cinque prima che la testa iniziasse a girargli come una bandierina segnavento, -“questione di abitudine”, lo aveva rassicurato il padre con aria affabile dopo avergli assestato una pacca fra le scapole talmente forte da ribaltare una pariglia di rinoceronti, “alla tua età me ne facevo un paio prima di crollare”-, e Ino… lei era un totale disastro. All’inizio non era neanche riuscita a deglurire, tanto fastidioso era il pizzicore che le raschiava la gola. «Non c’è nulla di meno forte?» aveva chiesto al barista, il vecchio Goro, che si vociferava avesse la stessa età di Hashirama Senju, il primo Hokage -comunque fosse, nessuno degli anziani si ricordava quando di preciso la locanda storica di Konoha avesse aperto i battenti.
«Acqua e limone» aveva risposto il signore canuto, sorridendole coinciliante con quella sua bocca sdentata. Choji e Shikamaru erano scoppiati a ridere, Ino era avvampata. Stupido vecchio scorbutico!
Aveva buttato giù tutto d’un fiato il saké nel suo bicchiere, salvo poi tossire come una fumatrice asmatica dopo il quarto pacchetto di sigarette della giornata. Choji le aveva battuto dolcemente una mano sulla schiena per farla riprendere, mentre Shikamaru si sganasciava dalle risate sul bancone sgangherato.
«Cos’è, Chouza-san? Adesso ti trascini appresso anche le mammolette?» aveva commentato da un angolo un uomo con la faccia talmente incrostata di sporco da non riuscire a riconoscere il colore reale della carnagione. I lunghi capelli cadevano più o meno ricci sulla faccia allungata, aguzza, scavata e bucherellata dai fori di un’acne devastante, tanto neri e tanto unti da sembrare olio per motori usato. «Le ragazzine della tua età alla mia epoca se ne stavano a casa a filare i vestiti per i figli che avevano nel ventre. Scommetto che tu sei una “kunoichi”», -aveva virgolettato pesantemente la parola, pronunciandola con voce stridula-, «e credi nella “parità dei sessi”, non è cosi?»
«Oh no, nemmeno per idea», Ino lo aveva accecato con un sorriso splendido e furbesco, «gli uomini sarebbero ingovernabili altrimenti!»
Quella frase l’aveva portata lì, ad una gara di bevute con un sconosciuto per stabilire chi dei due fosse più forte; proprio tutto ciò che una signorina perbene come Ino non avrebbe mai dovuto fare.
«Questo al primo bicchiere ti spedisce all’altro mondo, figliola» anche Goro le si avvicinò, guardandola preoccupato come un nonno con la sua nipote preferita, «lui vuole solo farsi beffe di te. Ho visto Fiato Morto bere sei bottiglie di cognac da solo e mantenersi ancora in piedi.»
«Io lo voglio fare» Ino zittì definitivamente l’intera sala, detrattori e solidali, sbattendo il bicchiere sul tavolo. «Il primo che non ce la fa più perde.»
«Quando vuoi, dolcezza» la invitò Fiato Morto, il viso incavato era tronfio. 
Tutto d’un fiato, Ino. Se esiti, non ne tocchi neanche una goccia.
Intorno a lei si levarono cori scimmieschi e decisamente rozzi, il più educato dei quali diceva: “bevilo tutto, bevilo tutto, bevilo tutto, tutto, tutto!”
Pensò allo sguardo raggelante di Shikamaru, al ghiaccio nero che le bruciava la pelle tanto era freddo. E bevve.
Dire che la ustionò è poco. Si sentì la gola totalmente in fiamme mentre il brandy come lava scivolava giù lungo l’esofago, temeva quasi che la sciogliesse dall’interno.
Di fronte a lei, il suo avversario lo centellinò con calma, facendola infuriare per il ghigno soddisfatto che galleggiava sul suo viso scheletrico.
«Uno pari!»
Secondo bicchiere, stessa storia. La testa le girava vorticosamente, lo stomaco le faceva male da impazzire, sentiva le lacrime sgorgarle dagli occhi, inarrestabili.
«Due pari!»
Non riuscì mai a bere il terzo. A metà del primo sorso, le sfuggì di mano con un brivido. Aveva la faccia talmente livida che Chouza se la caricò di peso sulle spalle e corse fuori. Ino lo sentì gridare un nome con fare perentorio e concitato, e trattenere a fatica qualcuno per il colletto. Si sentiva tanto male da morire. «Per favore…» sussurrò fiocamente, sentendo Chouza sotto di lei accelerare. Lo sballottamento le fece salire un tremendo conato di vomito, ma per fortuna riuscì a ricacciarlo indietro abbastanza a lungo da permettere al suo salvatore di deporla sull’aiuola esterna.
Ino rimise il quantitativo di sei mesi di vita biologica. Chouza le stringeva la fronte più forte che poteva, ma Ino continuava a piegarsi, vergognandosi come una ladra. «Butta fuori, dai, brava, così…» lui la incoraggiava per quanto possibile, rassicurandola tacitamente. “Non avere paura” sembrava dirle, “sono qui per aiutarti.”
Le risate erano udibili fin da fuori. Ino era tanto imbarazzata da piangere: che figura! Che orrenda figura! Mai più, si ripromise, non berrò mai più.
«Io li ammazzo» qualcuno ringhiò nel buio della tarda sera, ma la voce era così intrisa di risentimento che Ino stentò a riconoscerla.
«Vi faranno a pezzi» Ino intuì dal tono di Chouza che era almeno la decima volta che lo ripeteva, «due contro dieci? Non avete speranze.»
«Non mettermi in mezzo» si schermì Choji, «è lui che vuole uccidere tutti.»
Shikamaru?
«Quegli idioti l’hanno costretta ad ubriacarsi!» Shikamaru scattò come una tigre indomita, la voce vibrava di rancore e vendetta, «se fosse stata da sola…!»
«Ino si lascia provocare troppo facilmente» intervenne l’uomo dalla folta chioma rossa, e lei non poteva che dargli ragione: era passata per l’ochetta facilmente manipolabile, irragionevole e spaccona. Era una sfaccettatura del suo carattere, senza dubbio, ma non le faceva piacere mostrarsi così agli occhi di coloro che la deridevano.
«Lui l’ha chiamata “mammoletta”!» Shikamaru tornò all’assalto con furore, digrignando i denti, «e quando siamo usciti quel cane bastardo l’ha chiamata “sgualdrinella”!»
«Calmati!» gli impose Chouza, fulminandolo con lo sguardo, mentre Ino riprendeva a respirare a fatica. «Accompagnala a casa, Shikamaru. Choji, tu vieni con me.»
«Papà ma io—» «Non discutere. A casa, adesso!»
«Oppure torni dentro tu ad ammazzarli?» Ino consumò il poco fiato accumulato per quella battuta di dubbio gusto. 
La mancanza di risposta non la colse di sorpresa.

Aveva il fiatone. Shikamaru la stava quasi trascinando per la strada, le teneva un braccio attorno alla vita per sorreggerla, ma il resto del corpo ciondolava come fosse sonnambula. Aveva la testa leggera come un palloncino, in bocca sentiva ancora quel sapore disgustoso, il fegato le faceva tanto male da farle sospettare che fosse marcio.
«Shika?» singhiozzò lei con voce incerta, si sforzò al massimo per riuscire a distinguere i contorni della figura dell’amico.
«È la quinta volta che mi chiami, Ino» Shikamaru sembrava quasi aver perso la pazienza, si sentiva da quanto si sforzava di mantenere la calma. Lui era sempre calmo, e se lottava per riguadagnare quello stato di imperturbabilità, significava quasi sempre guai in arrivo.
«Davvero?» si sorprese la ragazza, ridacchiando stupidamente. Non ricordava che cosa dovesse dirgli, ma aveva il vago sospetto che fosse importante. 
«Dopo tutto quello che hai vomitato, sei ancor
a ubriaca?» sibilò, tagliente.
«Non prendertela con me, Shia… Shila… Shima… insomma, tu» rispose questa, spingendolo via. Il Nara non si aspettava una mossa del genere, così d’istinto la lasciò cadere per non perdere l’equilibrio, facendo così finire la bionda a terra.
Ino battè le palpebre un paio di volte, stupita, la scena davanti ai suoi occhi era sfocata e vaga, inconcepibile, estranea, sentiva sotto di sé la durezza del cemento, l’umidità le si infilava fin dentro le membra, tutto tremava quasi come se fosse in arrivo un terremoto.
«Ino…» Shikamaru era scioccato. Un lampo di genio improvviso, come quelli che solo la saggezza dell’alcol poteva generare, colpì Ino con la stessa violenza di una scarica elettrica: in diciotto anni, Shikamaru non l’aveva mai fatta cadere, mai. Ecco perché quella situazione era così poco familiare, poiché mai nella propria vita aveva saggiato l’effettiva durezza del terreno col proprio corpo quando Shikamaru la stringeva a sé. Non era la terra a tremare, era lei.
«Mi hai lasciata» Ino si concentrò sulle ombre che vibravano sull’asfalto, la luna a tre quarti si ergeva pallida sopra nuvole sottili, «papà non mi avrebbe mai lasciata… Asuma non mi avrebbe mai lasciata… Sakura non…»
M
entiva. Sakura l’aveva lasciata così tante volte, era stata bugiarda così tante volte, le aveva fatto male così tante volte. Ma lei le voleva bene…
«Mi dispiace» mormorò Shikamaru, annientato.
«Non serve» ribatté con un sorriso, «è la storia della mia vita. Mi affeziono sempre a chi inevitabilmente se ne andrà. A chi mi lascerà.»
«Io non me ne vado, seccatura» Shikamaru si inginocchiò di fronte a lei, prendendole una mano fredda tra le sue, grandi e calde, «te l’ho promesso.»
Ino scosse la testa. «Te ne andrai.»
«Smettila!» Shikamaru sembrava quasi turbato dalla rassegnazione che vedeva in Ino, sempre così tenace, così combattiva, che in quel frangente piegava la testa malinconica e mormorava frasi profonde, «perché mai dovrei andarmene?»
Ino sollevò lo sguardo color indaco in quello nero di Shikamaru. La tenebra della notte si stemperava nel primo scorcio di blu al sorgere dell’ultima alba per la loro tragicomica storia, quella dei due ragazzi nati a distanza di un respiro l’uno dall’altra. Ino era sempre quella che arrivava dopo, Shikamaru la prendeva in giro in questo modo, e lei aveva sempre tentato di essere la più puntuale, la più attenta, la più sveglia, soltanto per togliergli quel sorrisetto da maestrino dalla faccia a suon di schiaffi; eppure, per una volta, desiderava soltanto non esserci mai arrivata, non essersi mai ubriacata tanto da essere onesta con sé stessa, non aver ripensato a quel bacio di cui Shikamaru non aveva mai fatto parola.
«Perché mi sono innamorata di te, Shikamaru» la sua voce era tremendamente calma, piena di malinconica nostalgia, come quella di chi non veda mai nave partire dal porto e farci ritorno. Una realtà cruda e greve affilò la propria lama sulle ossa gracili di Ino, che si ritrovò a tremare forte. L’attimo successivo stava già dormendo.

Un raggio di sole andò ad importunare sfacciato le palpebre della ragazza dai capelli d’oro, che infastidita voltò le spalle al dispettoso molestatore, finse di non essersi mai svegliata, sebbene fosse attanagliata da un lancinante mal di testa. Il sapore amaro della bile si fece sentire di nuovo nella sua bocca, così con un gemito infastidito si sollevò a sedere, scrollandosi via dal corpo la notte di sonno. Addosso aveva soltanto una sottoveste decisamente poco coprente, il che era assurdo, dato che non sarebbe mai andata a dormire con una cosa tanto imbarazzante. Ad ogni modo era troppo intontita per pensarci su troppo, e si limitò a dirigersi con passi strascicati verso il bagno che aveva in camera per lavarsi i denti.
Mentre rimuoveva quel cattivo gusto dalla bocca armata di spazzolino viola, si chiese cosa fosse successo la sera prima. Ricordava soltanto Chouza che le versava il saké nel bicchiere, poi il resto era il nulla più totale. Sperava soltanto di non aver fatto nulla di cui si sarebbe pentita…
…e quando mai aveva avuto ragione in diciotto anni di vita?
Shikamaru Nara dormiva sul fianco sinistro del letto, scomposto e con un braccio sugli occhi per proteggersi dalla luce. La finestra era aperta e le tende spalancate filavano col vento gelido, altro dettaglio assurdo, visto che lei non avrebbe mai sopportato tutto quel freddo mentre riposava.
Il ragazzo si rigirò sul materasso, mugolando qualcosa indolentemente. Ino si affrettò a chiudere le imposte, maledicendo quello stupido del suo ex compagno di squadra e sé stessa: ma che diavolo era successo la notte prima? Ti prego, dimmi che non abbiamo fatto l’amore… ti prego, ti prego, ti prego, non voglio aver perso la mia verginità da ubriaca…
Si avvicinò di soppiatto al ragazzo, gattonando sul letto come quando da bambina giocava a fare gli agguati al padre che dormiva. Ciocche bionde lambirono la fronte scura e le labbra screpolate di Shikamaru mentre lei teneva sospeso il proprio volto su quello del Nara, cercando qualche stralcio di indizio sugli avvenimenti precedenti, eppure non faceva che tornarle alla mente quel pomeriggio uggioso di due anni prima, alla fine della guerra, quando lui aveva promesso di non lasciarla.
“Di non lasciarmi…”
Mi hai lasciata…
Te ne andrai…
Perché mi sono innamorata di te, Shikamaru.

Nelle sue orecchie echeggiò il rumore di vetro andato in frantumi. Avrebbe tanto voluto un altro giro di Stock 84, perché all’improvviso faceva un freddo tremendo. Gocce di sudore gelido si rincorsero l’un l’altra giù dalla sua tempia nivea, il viso bronzeo di Shikamaru era diventato impossibile da guardare, accecante, terribile.
Un respiro più profondo degli altri le fece turbinare la lunga frangia attorno alla faccia, dopodiché, con un leggero fremito, il Nara aprì gli occhi. La scena lo stranì per un momento, era facile evincerlo da come aggrottò le sopracciglia scure, poi i muscoli del viso si tesero in un tipico sorrisetto sarcastico e pigro. «Buongiorno, Ino.»
La ragazza si ritrasse tanto in fretta da cascare giù dal letto.
«Ti senti bene?» Shikamaru alzò di poco il capo dalla posizione in cui era spaparanzato, sulla faccia di bronzo aleggiava ancora quel ghigno da stupido che la faceva infuriare.
«Mi fa male la testa» fu la brillante risposta a mezza voce di Ino. Continuò a guardarlo in cagnesco dal pavimento per un quarto d’ora, le guance in fiamme, prima che quel vichingo con gli occhi a mandorla si decidesse a capire a cosa l’occhiata di Ino alludesse. «Devo scendere dal tuo letto?»
Cupo annuire. «E perché, di grazia?»
«Perché lì ci dormo io.»
«…»
«Non possiamo starci in due!» sbraitò Ino, il suo viso candido aveva raggiunto la tonalità melanzana.
«Ma andiamo, abbiamo condiviso lo stesso sacco a pelo per mesi!» il tizio qui si è alzato ostinato stamattina, eh? «figurati se mi scandalizzo per un letto a due piazze!»
«Shikamaru Nara!» il ringhio che produsse dalle profondità più recondite della gola bastò a fargli rizzare tutti i capelli sulla nuca. Ino ebbe la soddisfazione di vederlo impallidire, mentre con la coda tra le gambe prendeva posto sul pavimento.
Sorniona, la ragazza prese posto fra le proprie coltri di buon grado, rotolandosi sfacciatamente sulle lenzuola fresche, prima di congelarsi sul posto. Oh, no.
La vestaglia.
Si coprì il petto con un grido spaccatimpani, ma non era ancora abbastanza, così si lanciò le ginocchia in gola e il movimento fu tanto brusco da toglierle in fiato. Tossicchiando, nascose il viso contro le cosce, era troppo imbarazzata per urlargli contro. Lei era una stupida, una stupida imbecille con la sindrome di Peter Pan, che si comportava sempre da bambina capricciosa e che non ne faceva mai una giusta.
«Non ti ho guardata» bofonchiò il Nara, attirando la sua attenzione. Anche lui aveva le guance leggermente colorite.
«Nel senso, è ovvio che ho visto come eri vestita» precisò subito, evitando ogni possibile fraintendimento, «però, ecco… non ti ho osservata in modo maniacale o… strano. Tua madre ha detto che visto com’eri conciata ti serviva stare quanto meno al caldo possibile, quando ti ho portata a casa eri quasi febbricitante.»
Ino annuì, ma non se la sentiva ancora di girarsi verso di lui. Il cuore le batteva fortissimo nel petto: ho dormito da sola con Shikamaru, nel mio letto, con giusto qualcosa in più dell’intimo. A differenza di molte delle sue coetanee, Ino non pensava molto all’amore fisico. Certo, anche lei sentiva le pulsioni, ed ogni tanto si ritrovava a fantasticare sul sesso opposto, ma essendo cresciuta praticamente fra soli uomini, avendo dormito con due ragazzi nella stessa tenda per sei anni, avendo fatto la lotta nel fango con loro, avendo condiviso tutte le esperienze di vita con affianco i propri due migliori amici maschi, le riusciva difficile entrare in una dimensione in cui una donna ed un uomo diventassero tanto intimi da unirsi in un turbinio di passione. Ogni volta che pensava ad un ragazzo, le sovveniva istantaneamente Shikamaru o Choji. Choji era il fratello orsacchiotto che non aveva mai avuto, e Shikamaru… Shikamaru era Shikamaru: misogino, maschilista, pigro ed anti-romantico per antonomasia. Come poteva unirsi in un turbinio di passione ad uno come lui?
Eppure quel bacio è stato così intenso…
Ricordava bene quando l’anno precedente aveva fatto il passo più lungo della gamba e, in uno slancio di desiderio adolescenziale, aveva baciato Shikamaru nel magazzino del negozio. Si era sentita così viva quando lui aveva risposto a quel contatto, e nel momento in cui le aveva afferrato i fianchi era certa di aver avuto le palpitazioni. Tutto era durato meno di cinque minuti, ma dopo un anno da quell’avvenimento ad Ino erano rimasti solo pochi istanti, ed ancor meno ricordi: la viscosità delle labbra del Nara umide della sua saliva, i suoi denti che gli mordevano timidamente il labbro inferiore, la carezza languida lasciata sul petto di lui poco prima di essere interrotti.
Shikamaru non ne aveva mai fatto cenno con lei. Magari non gli era piaciuto, o lei non aveva insistito abbastanza, e… «ti vuoi cambiare?»
«Cosa?» la voce del moro l’aveva catapultata di nuovo alla realtà presente, ma ci volle un po’ per capire di cosa stesse parlando.
«No, cioé, se ti vuoi cambiare, non c’è problema» argomentò quello, Ino riusciva a sentire che era teso quanto una corda di chitarra, «prometto che non spio.»
«Giuri?»
«Sul mio onore. Non ti guardo, davvero.»
Quando Ino sollevò la testa, Shikamaru aveva già premuto il viso contro le braccia, come fanno i bambini per giocare a nascondino. Ino ridacchiò e scosse la testa, recuperando una vecchia maglia stinta ed un paio di calzoncini ingrigiti, capi d’abbigliamento decisamente demodè, ma abbastanza innocenti per una chiacchierata tra amici, o almeno sperava con tutto il cuore che fosse così.
«Pronta.»
Shikamaru sollevò la testa e sembrò molto più sollevato. «Sei inguardabile come sempre.»
«E tu un maleducato!» Ino gli fece la linguaccia, schiantandosi sul materasso con la stessa eleganza di un elefante in una cristalleria.
«Devo sempre stare per terra?» chiese il ragazzo.
«Dai idiota, vieni qui.»
Si arrampicò sul letto in maniera guardinga, non si fidava di lei. Poteva sempre decidere di scaraventarlo giù, ma Ino lo lasciò salire. Voleva stare vicino a lui.
La folta criniera di capelli biondi trovò subito il proprio posticino preferito, nell’incavo della scapola di Shikamaru, con la mano di questi mollemente appoggiata sulla schiena. Stava così comoda da potersi perfino addormentare, se non fosse stato per le farfalle nello stomaco.
«Mia madre come l’ha presa, sai, la cosa che hai dormito qui stanotte?» domandò Ino, chiedendosi come madame Intransigenza Hoshi Yamanaka avesse permesso ad uno Shikamaru Nara qualunque di spendere la notte sotto lo stesso tetto della figlia.
«In realtà, non è che ne sia del tutto consapevole» biascicò Shikamaru con aria allusiva, assumendo un atteggiamento vago
«Ti sei intrufolato?» gli occhi di Ino luccicarono, brillanti. Ecco perché la finestra era aperta!
Shikamaru non rispose, ma Ino era certa che stesse ghignando.
«Che cattivo ragazzo» commentò la kunoichi, scuotendo la testa in segno di dissenso.
«Scusa se mi preoccupo per te» fece il “cattivo ragazzo”, fingendosi offeso, «tu prima ti ubriachi per colpa del primo idiota che tira fuori una battutaccia, poi ti sale la febbre e mi svieni praticamente tra le braccia!»
Il cuore di Ino ebbe un tuffo. Ti preoccupi per me?
«Ti svengo sempre tra le braccia, idiota» lo corresse Ino, punzecchiandolo con l’unghia dell’indice, «si chiama “Shintenshin no Jutsu”.»
«Non fare la stupida, Ino» il tono di Shikamaru si fece all’improvviso drasticamente serio, anche la sua presa sul corpo della bionda si rinsaldò, «mi hai spaventato a morte. Non ti reggevi in piedi, ridevi da sola come una maniaca, poi hai incominciato a dire cose assurde…»
«Cose assurde… tipo?» Ino era titubante. Shikamaru non le aveva creduto, quindi?
«Ma non lo so, ti era partita una specie di sbronza triste» il tono del Nara diventò considerevolmente più cauto e prudente, anche lui sapeva di avventurarsi in cattive acque tirando fuori quell’argomento, «parlavi di essere lasciata… di essere sola… cose così.»
«Wow, ero proprio ubriaca» sospirò. E così si era dichiarata al ragazzo che amava -che era il suo amico d’infanzia- dopo essersi messa in ridicolo davanti a decine di perdigiorno ebbri, e lui pensava si trattasse di una sbronza triste. Tra l’altro, ma che diavolo è una sbronza triste?
«Già…»
Ino chiuse gli occhi e trattenne un grido di frustrazione. Erano di nuovo punto e a capo.
«Ti ricordi quando ci siamo baciati?» la domanda a bruciapelo di Shikamaru la sorprese: non ne avevano mai parlato, perché tutto ad un tratto aveva voglia di rinnovare la memoria di quell’accaduto? Perché farlo, se negava l’esistenza della sua ebbra dichiarazione?
«Sì» sospirò lei, «avrei dovuto spaccarti tutte le ossa.»
«Mi chiedesti di non muovermi» ricordò lui, lo sguardo si perdeva lontano all’inseguimento di quel frammento della sua vita. Anche lui, come lei, stava dimenticando? «E dopo un anno mi chiedo ancora perché.»
Ino sorrise intenerita, mordendosi il labbro. Sì, ora rammentava: l’espressione impaurita di Shikamaru, il suo tremore, le labbra schiuse ed invitanti. Finalmente vedeva con chiarezza cosa l’aveva spinta a buttarsi tra le braccia del migliore amico: il modo in cui esitava, tentato. Lui lo voleva tanto quanto lo voleva lei, ma aveva troppa paura per lasciarsi andare alle proprie emozioni. Era toccato a lei, ancora una volta, mostrargli come ascoltare il cuore.
«Se ti fossi mosso, non avrebbe più avuto senso. Tutto vibrava di elettricità statica, ogni particella di polvere era ferma nell’aria, persino i fiori avevano smesso di spandere polline. Quello era l’istante dell’universo in cui tu esistevi con me, e dovevamo muoverci in sincrono, insieme… attraverso un bacio.»
«Roba profonda» la prese in giro Shikamaru, dandole un buffetto sulla testa.
«Ehi, io sono ubriaca e posso delirare» si difese Ino, ridendo assieme al suo compagno di squadra.
Non lo sapevano, ma quella era l’ultima in cui avrebbero riso insieme.

Tre anni prima, tenuta Nara
Shikamaru sedeva in silenzio, ogni tanto si grattava la barba ispida intanto che leggeva i rapporti delle missioni svolte nei suoi tre mesi di assenza.
“Shikakumaru”, così si divertiva a chiamarlo Yoshino nella propria mente; avevano lo stesso viso, gli stessi occhi, gli stessi angoli, perfino gli stessi movimenti: passarsi una mano sulla nuca, battere il palmo sul ginocchio, far schioccare la lingua mentre le pagine si susseguivano. 
«Shino Aburame ti cercava» lo aggiornò la madre con voce soffocata, versandosi il caffé mentre reggeva una fetta di pane tostato tra i denti.
«Shino, dici? Credevo fosse fuori città» osservò il rampollo, mettendo per un secondo da parte le scartoffie per godersi il suo espresso; in fondo, per i Nara la colazione era sacra, e per lui e Yoshino aveva un significato molto speciale: era l’ultimo pasto che la famiglia riunita aveva consumato prima che padre e figlio lasciassero la soglia di casa per il fronte. 
La donna era distratta dal latte sui fornelli, così senza neanche guardare Shikamaru fece scivolare tre cucchiaini di zucchero nella bevanda di Yoshino. Lei gli sorrise, riconoscente. 
«Shibi mi ha detto che ieri sera era tornato da Iwa. Ah, anche il moccioso di Tsume ti cercava, il fratello di Hana-chan.»
«Kiba?» dedusse Shikamaru. Era abituato a sentire la propria madre chiamare i suoi amici “moccioso figlio di tizio”, era così che aveva imparato i nomi dei componenti della generazione a loro precedente.
«Precisamente. C’era anche qualcun’altro, ma ora non mi ricordo…» Yoshino bevve un sorso del proprio latte, la fronte aggrottata con disappunto, «è venuto proprio stamattina…»
«Stai diventando vecchia, Yocchan» la prese in giro Shikamaru, le labbra stirate in quel sorrisetto strafottente così alla Shikaku. A Yoshino faceva quasi male il modo in cui si assomigliavano, le faceva mancare il marito terribilmente: erano passati quattro anni ma continuava ad essere dura per lei, anche se aveva qualcuno al proprio fianco che mai la lasciava sola.
«Ho quarantun’anni, carino» ribatté tagliente la donna, inarcando un sopracciglio scuro.
«Quarantatré, mà.»
«Sì, ma sembro lo stesso una trentenne!» si vantò Yoshino con un ghigno trionfante, sventolandogli un dito sotto al naso, «giovane, attraente, slanciata, bellissima… oh!», lo sguardo della mora divenne vacuo all’improvviso.
«Che ti prende?» il biscotto di Shikamaru rimase a metà strada per la sua bocca, anche esso in attesa di una spiegazione -o forse no.
«Mi sono ricordata chi ti cercava» Yoshino parve sinceramente mortificata, «Ino-chan.»
La mascella di Shikamaru pulsò come se stesse masticando. «Ti avevo detto di dirle che non c’ero.»
«Non posso mica mentirle!» la signora Nara si spazientì, 
incrociando le braccia sul petto, «lei sa che sei qui, Shikamaru. Senti, va’ a parlarci una volta per tutte con quella benedetta ragazza, no? È da settimane che chiede di te!»
«No, tu non capisci» Shikamaru osservò la parete, rapito da chissà quali ricordi inconfessabili, «io non posso vedere Ino, punto e basta.»
«Sono due anni che fai la spola tra qui e Suna, figliolo» Yoshino accarezzò la mano che Shikamaru teneva inerte sul tavolo, «e posso capire che ti costi molto sacrificio, ma pensa a quelli che ti vogliono bene, che grande sofferenza è per loro. Da quant’è che non esci con i tuoi migliori amici?»
«Nove mesi» rispose laconico il ragazzo, sospirando. Anche a lui mancavano da morire quegli scapestrati degli Undici di Konoha. Ma Ino… con Ino sarebbe stata durissima, sarebbe stato infernale. Con Ino era semplicemente diverso, del tutto diverso.
«Andrà bene, vedrai.»
Dio solo sa quanto vorrei che avessi ragione, Yocchan.

«È incazzata nera, Shikamaru» stavano parlando da dieci minuti, eppure Choji già intuiva quello che davvero gli premeva sapere, «te lo giuro, è la prima volta che la vedo tanto infuriata, e conosco Ino da vent’anni. È arrabbiata con Sakura, con la madre, credo anche con me, ma con te ce l’ha proprio a morte. Non le ho chiesto perché ad essere sincero, ho paura di lei quando si comporta così, ma credo siano cose che dovete sbrigare tra di voi, faccia a faccia.»
Shikamaru annuì grevemente, bevendo il bicchiere di saké che l’amico gli aveva offerto. Era piombato a casa sua letteralmente tra capo e collo, senza neanche bussare, ma casa Akimichi si era riconfermata ancora una volta come la dimora sempre aperta per gli amici di famiglia, soprattutto quelli alla ricerca di saggi consigli dai panciuti ma parecchio svegli membri.
«Il vecchio Chouza?» lo sguardo gli cadde sull’angolo delle foto, come lo chiamava Hiruko-san, una cornice piena zeppa di ricordi stampati su carta delle loro famiglie.
«Ha quasi perso un braccio mentre cercava di restare in groppa ad un cinghiale, ma per il resto è sempre il solito burbero» entrambi scoppiarono a ridere. Certe cose non sarebbero mai cambiate.
Cambiato era lui, Shikamaru, che dopo anni di sforzi sembrava aver quasi raggiunto la meta, il coronamento dei suoi obiettivi. Non una donna né bella né brutta, non una figlia ed un figlio e decisamente non una vita tranquilla lontana dalla fatica, ma il raggiungimento di una pace perfetta, un equilibrio impossibile da spezzare, anche se a costo del sacrificio di molti Atlante, che avrebbero dovuto reggere le sorti del mondo sulle spalle.
E lui era uno di questi.
«Cosa si dice a Suna, invece?» Choji si sforzò di rimanere allegro, dandogli una pacca sul braccio, «ho sentito che Kakashi-sama vorrebbe addirittura nominarti gestore dell’ufficio relazioni estere!»
«Per stare praticamente tutto l’anno via da Konoha?» Shikamaru scosse la testa, assolutamente in disaccordo, «grazie, ma no, grazie.»
«Beh, è comunque un bell’incarico: vagonate di soldi, viaggi all’estero, possibilità di avanzamento in carriera» Choji alzò un dito per ogni pregio elencato, «non è mica una cosa da prendere alla leggera!»
«I soldi non mi interessano, i viaggi sono seccanti, e non voglio soffiare il posto a Naruto» Shikamaru abbassò le dita di Choji con un leggero colpetto su ognuna, «senza contare che, in quanto capoclan, devo sovrintendere alla mia gente. E poi, diamine, prima o poi dovrò pur trovarmi una moglie!»
Choji sorrise con aria malinconica, guardandolo con palese rammarico, quasi pena. «Non è a Suna che ti aspetta?»
«Già» commentò lapidario Shikamaru, stringendo forte il bicchiere nella morsa d’acciaio delle sue dita.
Passarono secondi di pesante silenzio, Shikamaru stava quasi per spezzare il contenitore di cristallo nella mano callosa, Choji osservava ogni espressione susseguirsi mutevole sul viso del migliore amico: rabbia, insofferenza, dolore, tristezza, rassegnazione.
«Glielo devi dire, Shikamaru.»
«Non capirebbe.»
«Neanche io lo capisco, se è per questo, ma almeno così smetterebbe di illudersi, di sperare che un giorno tu vada da lei e le dica che non c’è nessun’altra.»
«Nessuno deve saperlo, Choji.»
«Tu lo sai che lei ti ama da quando aveva quindici anni, vero?»
«Sì.»
«E tu lo sai che la ami da quando ne avevi dodici, vero?»
«Sì.»
«Mi dispiace, amico. Davvero, mi dispiace tanto.»


«Negozio di fiori Yamanaka, cosa poss-… oh.»
Ino si paralizzò. Erano sedici mesi che non vedeva quel codino ritto sulla testa, quelle mani strafottentemente infilate nelle tasche, il giubotto da jonin aperto e sotto la maglia a rete.
«Ciao» la salutò, con l’angolo della bocca atteggiato a ghigno sardonico. Suna gli aveva cotto la pelle e l’aveva resa più scura, i neri occhi a mandorla erano più intensi, nostalgici quasi; aveva sviluppato il fisico in maniera impressionante, passando da atletico e scattante, ad atletico e scattante con muscoli da fare invidia ad un adone scolpito.
«Chi non muore, si rivede» Ino ricambiò il saluto con mordente decisamente opposto al suo, scaldandosi all’istante. Come osava presentarsi nel suo negozio così, senza neanche uno straccio di avvertimento? Quella non era più casa sua.
Konoha non era più casa sua.
«Che cosa vuoi?» lo apostrofò, brusca, sbattendo un vaso vuoto sul bancone e cominciando a riempirlo con manciate di terra grassa e nera. Almeno così non avrebbe dovuto costringersi a guardarlo in faccia.
«Che cosa vuoi tu, in verità?» ribatté il Nara a braccia conserte, le sopracciglie calcate sugli occhi, la spalla poggiata allo stipite della porta d’ingresso, «credevo che fossi venuta a cercarmi tu, stamani.»
«Ah, già» Ino scosse la testa, per un secondo dimentica di quello che avrebbe dovuto chiedergli, «Konohamaru mi ha lasciato certi documenti che avresti dovuto controllare. Sono sullo scaffale in alto.»
Shikamaru allungò il braccio per prenderli. «Comunque, se ti è di troppo disturbo, posso darli a Yoshino. Immagino che stasera come minimo dovrai tornare dalla tua vera famiglia.»
Shikamaru inspirò pericolosamente, Ino sradicò la pianta da travasare con un gesto brutale. «Yoshino? Vedo che tu e mia madre siete diventate molto intime» constatò il jonin, stringendo i pugni per combattere la rabbia. Tipico atteggiamento di Shikamaru, glissare sui punti dolenti, ma Ino sentiva che c’era della legna ancora infiammabile sotto la cenere spessa. Bene, ottimo, che si arrabbiasse! Nessuno sospettava che il divino Shikamaru Nara potesse infuriarsi come un comune mortale, no? Nessuno voleva che desse di matto. Nessuno, tranne lei.
«Sai, sono due anni che il figlio fugge come uno sporco criminale» Ino finse affettazione mentre ricopriva le radici ritorte del bonsai con il terriccio fertilizzato, si sforzava di mantenere un certo contegno, «qualcuno dovrà pure stare con lei ogni tanto, no?»
«Io non fuggo come uno sporco criminale» sibilò Shikamaru, stringendo nel pugno serrato i fogli di Konohamaru, «io lavoro per il bene di Konoha.»
«Nobile causa, senza dubbio» lo lodò la ragazza, avanzando oltre il bancone per poggiare il vaso sull’espositore di fronte a Shikamaru.
«Ma sai, dopo aver perso il marito, si suppone che il tanto acclamato figlio le stia accanto abbastanza perlomeno per rassicurarla sulle sue scelte!»
«Quali scelte?» Shikamaru sembrava sinceramente interdetto. Ino boccheggiò, incredula.
«Non lo sai?» ella si avvicinò di un passo per studiare il volto del ninja dai capelli scuri.
«Non so cosa?!»
«Yoshino ha una relazione» rivelò gelida e sprezzante, i suo occhi erano freddi come il vento artico, «o meglio, ce l’aveva. Andava avanti da un paio di mesi, ma sapeva che tu non avresti apprezzato, così ha deciso di rompere. Era davvero triste all’inizio, ma mi ha detto che era meglio per te non essere caricato di altro stress, che eri sull’orlo di una crisi di nervi, e che non ti meritavi una pugnalata del genere alle spalle.»
«Non lo sapevo…» sussurrò lui, mortificato.
Ino scosse la testa con un risolino di scherno, sollevando gli occhi grigioblu come la linea dell’orizzonte prima di un maremoto, «è ovvio che non lo sapevi, non ci sei mai! Sai che Sakura è a capo dell’ospedale? O che Shino è diventato insegnante dell’Accademia? O che Kiba è un jonin speciale?»
“Avanti, Shikamaru, arrabbiati…”
«Non sono viaggi di piacere, Ino! A Suna faccio l’ambasciatore, non il ciambellano!»
«Certo! Ma ogni tanto potresti anche rifiutarti per stare vicino a quelli che ti vogliono bene!» gridò la ragazza, caricando un colpo quasi volesse ingaggiare una lotta fisica, oltre che verbale.
«È il mio lavoro, idiota!» Ino lo sentiva, stava barcollando sul confine del livore più puro, digrignava i denti come un cane furioso, «io lo devo fare, non capisci? Se mi rifiuto, potrebbe scoppiare il finimondo! Nessun’altro puo’, solo io!»
«Non fingere con me, Shikamaru Nara!» gridò lei, spingendolo forte sul petto, mandandolo a sbattere contro le mensole di legno, «sappiamo entrambi perché lo fai! Anche Choji va a Kumo da Karui ogni mese, ma questo non gli ha mai impedito di 
prendersi cura dei suoi amici, o da stare vicino ai suoi genitori!»
«È di questo che si tratta alla fin fine, eh?» Shikamaru rise senza allegria, spolverandosi le spalle dal polline dei fiori contro i quali aveva impattato, «di te e di lei.»
Ino impallidì. «No, non è così.»
Come potevano le situazioni essersi capovolte così di botto? L’inquisitore era diventato la vittima, tutto ad un tratto.
Deglutì: «è di te che si tratta.»
«Tu che cosa hai fatto in questo anno, Ino?» domandò allora il Nara, facendo un passo verso di lei, le orbite nere del suo sguardo, come due calamite gemelle, la repellevano, la facevano indietreggiare.
«Io…» non aveva il coraggio di dirlo. Il suo anno era stato patetico, insulso, totalmente privo di senso, si era consumato giorno dopo giorno come la fiamma logorante di una candela non di cera, ma di cemento armato, e l’aveva sfiancata con la sua infinita lunghezza. Ogni azione compiuta in quell’arco di tempo, ogni respiro, ogni sorriso, tutto si decolorò di fronte ai suoi occhi, diventò blando, insignificante.
«Ho aspettato.»
Shikamaru le sfiorò la guancia con la punta delle dita, scostandole un filo dorato sfuggito alla coda sempre impeccabile, esitando per un secondo di troppo sulle sue labbra.
«Lo sai che ti amo, Shikamaru» aveva le lacrime agli occhi, rincorreva ancora una speranza fuggevole donata da quel bacio rubato alle sue labbra inesperte tanti anni prima, quella confessione scomoda ma così giusta detonata tra i due nel momento sbagliato, quella promessa insostenibile piombata all’improvviso tra due ragazzini infelici e quasi orfani. Se mi amassi anche tu, sarebbe tutto così semplice…
«Se la scelta è tra Konoha e Suna, rimani con noi. Le tue radici sono qui» lo supplicava Ino, trattenendo il suo palmo contro la propria bocca, scatenando tutta la forza del suo sguardo ceruleo, finalmente limpido e privo di qualsiasi screziatura, innamorato, dolcemente disperato, «una foglia non resiste lontana dalla propria casa, il vento la trascinerebbe via e la sabbia la farebbe seccare. Rimani con noi… rimani con me, ti prego.»
Lo sguardo di Shikamaru era intriso di sofferenza e conflitto, Ino riusciva a leggere quasi parola per parola il diverbio tra il cuore e la mente del Nara. Come l’onda insistente che batte sullo scoglio fino a piegarlo con la propria forza, la lingua di Ino avrebbe sempre continuato ad INVESTIRE il suo animo, che era sì più duro della roccia stessa, ma lei era più inesauribile della tempesta. Solo una cosa avrebbe potuto fermarla: lui stesso.
E Shikamaru lo sapeva.
«Io ho già fatto la mia scelta, Ino» mormorò lui, lasciando andare il suo viso di gesso -Ino lo sentì diventare polvere sotto i polpastrelli di Shikamaru-, «e scelgo Suna. Sceglierò sempre Suna.»
Sceglierò sempre lei.

Quattro anni prima, Foresta Nara
Il cielo sopra di lui si apriva in scorci verdi, blu e oro, la luce che lo circondava appariva smeraldina perché filtrata dalle larghe foglie degli alberi.
Le guance rigate di lacrime erano fredde, ma nel resto dei muscoli regnava un’infernale afa a causa della lunga e sfiancante corsa appena vissuta attraverso l’intera Konoha, dove l’unica fermata era stata sul davanzale della finestra di casa Akimichi per abbandonare un bigliettino scarabocchiato di fretta. “Raggiungimi alla vecchia quercia, シカ.” 
Quante volte aveva irritato il padre riguardo a quelle terrificanti cicatrici sul viso, quante volte aveva riso alle sue spalle per quegli sfregi indelebili che, come un marchio, lo rendevano noto a tutti ovunque andasse? 
Adesso sentiva su di sé lo stesso, tremendo destino.
Sono segnato.

All’inizio, quando era entrato, gli era sembrato un giorno normale all’Alto Consiglio del Paese del Fuoco. All’estremo capo del tavolo, seduto su un alto scranno, stava il Damiyo col suo ventaglietto, che lo guardava come se di lui non gliene importasse nulla. Gli facevano da ala i due Consiglieri Anziani dell’Hokage, i capelli bianchi di Homura Mitokado e gli occhiali cerchiati di legno di Koharu Utatane. L’assenza di Kakashi gli parve da subito sospetta: l’Hokage avrebbe dovuto presiedere ad una riunione di tale importanza. E dov’erano tutti gli ufficiali di alto rango? Credeva di essere in ritardo…
«Sei solo, Shikamaru Nara» attaccò la donna nella stanza, la voce rasposa era alta ed autoritaria, «poiché il Consiglio ha ritenuto opportuno conferire con te in privato. In fondo, sei proprio tu il motivo che ci porta qui oggi.»
«Io?» domandò il Nara, stupito, non riuscendo a comprendere dove la signora volesse andare a parare. Dubitava che uno stratega -seppure molto influente- come lui avesse diritto ad un’udienza privata con le più alte cariche governative del territorio, o ne potesse mai scatenare una. C’era una sola spiegazione: dovevano volere qualcosa da lui.
«Precisamente» intervenne Utatane-sama, inchiodandolo a terra con sguardo duro, «si dice che tu sia un ragazzo molto in gamba per la tua età. In fondo, sei figlio nondimeno che di Shikaku Nara, non è così?»
«Sissignore» rispose Shikamaru, soffocando un brivido di orgoglio misto a terrore: non capiva a cosa Koharu-sama alludesse quando parlava di essere svegli, ma era felice che lui lo ritenesse tale.
«Quindi sai che la pace tra le nazioni avrà vita breve.»
Shikamaru si sentì morire. «Signore, l’evento che ha portato tutte le Cinque Grandi Terre ad unirsi è senza precedenti. Ninja che si odiavano hanno combattuto Madara Uchiha fianco a fianco per proteggere—…» «Lodevole, ma non per questo la sete di potere degli altri paesi si spegnerà.»
Shikamaru si bloccò. Cosa andavano blaterando, quei vecchi pazzi? La sete di potere era spenta!
«L’onda di calma garantita dalla vittoria non durerà più di dieci anni» gli assicurò Mitokado-sama, annuendo convinta, «ed in questo frangente Konoha avrà bisogno di costruire nuove alleanze, molto più salde delle precedenti.»
«In particolare con i paesi limitrofi» aggiunse il consigliere, allusivo.
«Parlate della Sabbia?» a Shikamaru improvvisamente parve che parlassero dall’estremità di un lunghissimo tunnel. Cominciava a capire cosa volessero da lui, ma non riusciva a crederci. Non potevano chiedergli tanto. A nessuno poteva essere chiesto tanto.
«Constato con piacere che sei davvero sveglio come dicono» sorrise Koharu-sama, «allora dovresti esserci già arrivato.»
«No» negò Shikamaru, il suo corpo rifiutava totalmente quello scenario, la sua mente non riusciva ad elaborare la grandezza di quella nuova missione, affidatagli dal Consiglio stesso.
«Secondo i rapporti delle tue missioni, tu e Sabaku no Temari avete speso molto tempo insieme» insinuò Homura-sama, facendo scivolare attraverso il tavolo una cartellina contenente un plico di fogli parecchio pesante. Shikamaru la aprì, tremante: all’interno erano conservati sette anni di documentazione sui suoi viaggi a Suna come ambasciatore e membro del comitato per la preparazione degli esami chunin, più le numerosissime missioni svolte nel territorio del Vento.
«Temari della Sabbia è la consigliera più fidata del Kazekage, nonché sorella di questi» rincarò l’anziano, «e tu potresti facilmente trovare un modo per irretirla.»
«Non sono esattamente uno che fa conquiste, e Temari non è stupida» ribatté Shikamaru, frustrato per la propria impotenza. Non poteva fare niente, era stato già tutto deciso, avevano letteralmente programmato il suo avvenire su carta: tutte le decisione erano state prese da chi di dovere, ed era evidente che quella persona non fosse lui.
«Ma non è forse vero che lei ha un debole per te?», “è assurdo come le donne sappiano sempre ogni pettegolezzo, e nemmeno Homura Mitokado si smentisce”, «da quanto riferiscono i nostri colleghi consiglieri a Suna, pare proprio di sì.»
«A Temari è stata fatta la stessa proposta?»
«No» rispose, «non avrebbe mai accettato.»
«E cosa vi fa pensare che io sia disposto a farlo, invece?» esclamò il Nara, furioso. Lui voleva rimanere a Konoha, con le persone che amava: sua madre, i suoi amici, Chouji…
Ino.
«Perché tu sai cosa significa perdere qualcuno per mano della guerra» lo sguardo di Utatane-sama oltre le lenti spesse era freddo come l’inverno stesso, quasi come se ogni vento artico fosse stato pressato e distillato in un unica miscela iniettata poi nei suoi occhi, «e sei l’unico che lo puo’ evitare a tutti gli altri.»

«Shikamaru!» gridò Choji appena lo vide con gli occhi pesti e gonfi, il viso pallido come quello di un fantasma, l’espressione vuota di chi ha perso tutto, ma ancora deve metabolizzare l’accaduto.
«Ho fatto un CASINO, Cho» mormorò con voce spezzata, spezzato, «sono segnato.»

Due anni prima, Accademia delle Arti Ninja di Konoha
«Guarda, quello è Shikamaru Nara, il più grande stratega del mondo!»
«Oh mio Dio, lei è Ino Yamanaka, la comandante dello Squadrone per la Tortura e gli Interrogatori di Konoha!»
«Sì, ma quello là è Choji Akimichi! Lui è uno dei più grandi eroi di Konoha, altroché! Poi è anche il capoclan di uno dei Tre Nobili Clan! Lui sì che è un grande, papà
lo dice sempre!»
Choji si grattò la nuca, imbarazzato dalla folla di bambini acclamanti che gli si era radunata attorno. Ino sorrise: sempre il solito impacciato, quale eroe!
«Ti posso toccare i capelli?» le chiese una bambina con due meravigliosi occhi verdi, molto simili a quelli di Sakura da piccola. Ino si intenerì.
«Certo» annuì con un gran sorriso, inginocchiandosi. Spinte dalla coraggiosa compagna, altre piccole kunoichi le si fecero intorno per accarezzarle la bionda chioma, intrecciando le ciocche ribelli con i fiori che avevano colto nel giardino. “Questo cos’è, Ino-san?” le domandavano spesso, mostrandole il loro tesoro, e lei snocciolava i nomi degli esemplari. Si trovò i capelli pieni di roselline, azalee, mughetti, gigli, girasoli, orchidee, ma fu quando una bambina le si avvicinò con un fiore estremamente ricciuto e vaporoso dal colore rosato che avvertì un vero e proprio colpo al cuore, congelandosi sul posto.
«Cos’è questo, Ino-san?» trillò la bambina, era deliziosa, con le guance rosse e tonde ed un gran sorriso. Ino si odiò, ma avrebbe voluto che non fosse mai esistita.
«Una peonia, amore» si forzò a sussurrare, annichilita.
Proprio quando la piccolina le aveva appuntato la peonia alla giacca nera di pelle, spuntò fuori Shikamaru con una corona di margherite sulla testa -«kawaii, Shikamaru-san!»- e le si chinò affianco, «chiama Choji, Naruto è pronto.»
Lei diede segno di aver capito e lo mandò avanti.
«Adesso Ino va via, d’accordo?» sorrise alle sue fan in miniatura, facendo arrivederci con la mano ed allontanandosi dalla mini-ressa in delirio.
«Ciao ciao, Ino-san!»
Posò una mano sulla spalla di Choji, fermandolo nel bel mezzo dell’esibizione della Baika no Jutsu, «è ora.»
Camminando lungo i corridoi vuoti e silenziosi, ad Ino tornarono in mente i giorni all’accademia, i più felici e i più tristi della sua vita, poiché equivalevano all’inizio dell’amicizia con Sakura e alla perdita di quest’ultima per colpa di Sasuke.
Sasuke…
«Di cosa si tratta, secondo te?» chiese Choji con un sospiro, guardandola preoccupato.
«Spero della sua breve esecuzione» ribatté la kunoichi con aria astiosa, quasi masticava le parole tanto era nervosa, «guarda quello che ha fatto a noi, al villaggio, all’intero mondo!»
«Credevo che tu avresti appoggiato il comitato dei pro» disse Choji, cauto, «insomma, sai, per quella vecchia storia…»
«Appunto, una vecchia storia» lo freddò Ino, flemmatica, «a me interessa il presente, non il passato.»

«Ritardatari!» li prese in giro Kiba dall’ultima fila, proprio come a scuola, indicando spasmodicamente verso la bionda e il rossiccio, «Iruka-sensei, li interroghi!»
«Piantala, idiota!» lo apostrofò la Yamanaka, portandosi le mani sui fianchi, «siamo in perfetto orario!»
«Siediti, Ino-buta» disse Sakura, accomodata a gambe accavallate sulla scrivania all’estremità della classe, «vi aspettavamo.»
Imbronciata, la bionda studiò i posti vuoti nella grande sala. Uno era accanto a Shikamaru in seconda fila, l’altro vicino a Sai nella prima.
«Preferisci…» la frase di Choji rimase incompleta, poiché in meno di un battito di ciglia Ino aveva occupato il posto più lontano dal Nara. Che era alla fine quello che contava.
«I fiori ti seguono sempre» mormorò Sai, accomodandole con discrezione una ciocca di capelli dietro l’orecchio, «perché sono gelosi della tua bellezza». Dietro di sé, sentì l’Akimichi farsi spazio con passi pesanti verso l’ultima sedia rimasta.
«Ragazzi, vi ho chiamati qui oggi perché ho bisogno del vostro parere su una questione molto importante» attaccò Naruto -Ino non lo riconosceva nemmeno con quel taglio di capelli assurdo, Naruto senza zazzera non era Naruto-, camminando avanti e indietro in maniera nervosa.
«Sì, lo sappiamo» tagliò corto Tenten, locata nel centro della fila, i due morbidi chignon rimbalzavano in maniera pericolosa sul suo capo, segno del suo disappunto, «Sasuke. Possiamo andare avanti, per favore? Avrei una partita di kunai per il negozio in arrivo!»
Un borbottio d’assenso serpeggiò lungo la stanza.
«Beh, allora non mi resta che andare al punto» sospirò il biondo, battendo le nocche sulla scrivania riservata ai professori.
Una botola si aprì nell’angolo alla destra della lavagna, prima invisibile nel pavimento. Ino era stupita: si sarebbe ricordata di un nascondiglio del genere dalle planimetrie degli edifici rossi -cioè, più a rischio- di Konoha, ma non le pareva di aver mai sentito di buco sotto l’Accademia. Che lo avesse fatto Naruto stesso?
Dalle scale, emerse una figura alta dai capelli corvini lunghi fino alle spalle, una BORSA viola a tracolla ed una veste nera.
Ino si irrigidì subito. Non poteva mai essere, nemmeno Naruto era tanto stupido, Sakura avrebbe dovuto fermarlo. Poi si ricordò: Sakura voleva lo stesso. Sakura amava Sasuke.
«Naruto! Gli altri ninja lo ammazzeranno!» esclamò Lee, portandosi le mani nei capelli.
«”Gli altri ninja”?» sibilò Tenten, minacciosa, mentre si rizzava in piedi veloce come un fulmine.
«E noi che facciamo, nel frattempo? Stiamo a guardare?» confermò Kiba, offrendo la mano sinistra ad Akamaru per montarlo.
«Ragazzi!» li richiamò Hinata, sbarrando loro la strada a braccia spalancate, «Sasuke-kun è un amico!»
«Amico?» abbaiò Ino, volgendosi a fronteggiare la discendente degli Hyuga con occhi di brace, le mani strette a pugno tremavano convulsamente quasi morissero dalla voglia di staccarsi dalle sue anche e schiantarsi sul viso di Sasuke Uchiha, «lui ha scatenato la guerra che ha ucciso mio padre! Che ha ucciso Neji!»
Lee si irrigidì. «Ino-san…»
«”Ino-san” un cazzo, sopracciglione!» gridò la Yamanaka, tornando a fronteggiare il Team 7 di nuovo riunito, «quando ci hai chiamati, credevo si trattasse di qualche norma anti-Sasuke, non di lui in carne ed ossa! Se si tratta di votare, io voto per tagliargli la testa!»
Una voce sola spezzò il silenzio, secca. «Ino.»
Era quella di Shikamaru. Ino non riusciva a crederci: Shikamaru detestava Sasuke, condivideva ogni singolo pensiero della bionda sul sopravvissuto degli Uchiha, eppure la stava invitando alla calma. Non sapeva dire se fosse serio o lo facesse solo per irritarla.
Si accomodò di nuovo assieme agli altri, maledicendo la diplomazia. L’uomo al suo fianco le accarezzò il ginocchio in un gesto fulmineo, segnalandole il proprio appoggio.
«Non mi aspettavo nulla di diverso» commentò Sasuke stancamente, sorridendo esausto, «è bello essere accolti con tanto calore.»
«Molto sarcastico da parte tua per essere un traditore mandato in esilio e a rischio di pena capitale» rilevò Shino, calmo.
«Shino-san ha ragione» concordò Sai con tono duro, «non puoi pretendere la nostra fiducia. Hai meditato di distruggere il nostro villaggio.»
«Sasuke era accecato dall’odio» cercò di mediare Choji, «se Naruto dice che è cambiato, c’è da fidarsi.»
«Choji ha ragione!» esclamò l’Uzumaki, gli occhi gli brillavano intensamente, «dovete fidarvi, ragazzi! Aiutatemi a parlare con l’Hokage, Sasuke merita di tornare! Ci ha aiutati a sconfiggere Madara e Kaguya!»
«Se lui non avesse ucciso Itachi ed Orochimaru, la guerra non avrebbe avuto principio» ragionò Shikamaru a braccia conserte. Finalmente!
«Ne sei davvero sicuro, Shikamaru Nara?» Sasuke sembrò divertito, «da un genio come te mi aspettavo qualcosa di meglio. Orochimaru si sarebbe impossessato di me ed avrebbe ammazzato Itachi per ottenere il Mangekyo Sharingan.»
«Che è quello che hai fatto tu, o sbaglio?» il jonin arcuò un sopracciglio.
«Sasuke si è penti—» «Lascia che lo dica lui.»
Naruto si sorprese per la repentina interruzione di Sakura. «Lascia che lo dica lui» lo incitò.
Tutti gli occhi si volsero verso l’Uchiha.
Questi strinse le labbra e li guardo uno ad uno, costernato, addolorato, dispiaciuto, leggendo nei loro occhi le colpe che aveva per l’andamento delle loro vite.
«Mi scuso con voi, ragazzi. Per tutto.»
Ino lo detestò. Non riusciva a rimanere infuriata con chi le chiedeva scusa, suo padre l’aveva educata alla comprensione. Ed evidentemente era così per tutto il resto della platea, perché all’improvviso nessuno aveva voglia di parlare.
Pensò a Sasuke, un bambino che aveva assistito allo sterminio del proprio clan per mano dell’idolatrato fratello maggiore, un ragazzino prodigio caricato di aspettative esorbitanti e senza amore, un adolescente iroso e pieno di odio incattivito dal mondo e manovrato dal più losco degli individui che nonostante tutto si era deciso a combattere per il bene, ed ora un uomo che cercava ancora il nord nella bussola della propria vita, consapevole di poterla trovare soltanto lì, dove tutto era iniziato.
«Ti perdono, Sasuke-kun» disse Hinata, andando a fiancheggiare Naruto.
«Ti perdono, Sasuke» disse Lee, alzandosi in piedi.
«Io no» affermò Tenten, tremante di rabbia.
«Nemmeno io» sussurrò Sai.
«Ti accetto, Sasuke» disse Choji, misurando le proprie parole, «hai fatto troppo perché io ti possa perdonare così, soltanto ascoltando le tue scuse. Ma ti concedo una seconda possibilità. Tutti la meritano, e tu non sei da meno. 
In fondo, sei anche tu un eroe di Konoha.»
Shikamaru segnalò la propria approvazione con una mano sulla spalla del migliore amico.
«Sto con Choji!» affermò Kiba.
«Anche io» decise Shino.
«Ino?» Sakura pose l’attenzione di tutti sulla bionda, «tu sei l’unica qui, oltre a Shikamaru, a rivestire un ruolo di importanza militare a Konoha.»
Osservò il volto della propria migliore amica alla ricerca dei segni noti dell’amore smisurato che aveva provato e che ancora provava per Sasuke Uchiha, il ragazzino per cui si era presa una cotta, l’assassino perfetto che aveva lacerato le loro vite. Aveva sofferto tanto, Sakura, si era allenata fino allo stremo ed aveva raggiunto il livello della più grande kunoichi mai esistita, Tsunade Senju, di cui era stata allieva. Il nastro rosso che le aveva regalato teneva insieme il suo coprifronte, la base incancellabile e perpetua della sua realtà, che univa i due aspetti inscindibili del suo essere: la donna sicura di sé e forte e quella altruista che si batteva per la giusta causa. Sakura era convinta che Sasuke dovesse tornare, si meritasse di tornare.
Sakura l’aveva battuta nel ninjutsu, nell’amore non ci credeva neanche più, ormai la promessa fatta ad Asuma non valeva più nulla: aveva perso.
Ma almeno la persona a cui era più affezionata al mondo avrebbe avuto il suo lieto fine.
«E sia, Uchiha Sasuke. Hai l’approvazione di un capo militare.»

Il trio Ino-Shika-Cho che camminava verso casa. Classico dei classici.
«C’è qualcosa tra te e Sai?»
Dio benedica Choji Akimichi. Shikamaru credeva di stare per impazzire, sempre con la stessa domanda che gli frullava per la testa.
«Perché me lo chiedi?»
«E prima il posto vicino a lui, poi ti tocca i capelli, poi ti accarezza il ginocchio, e alla fine ti fa pure il baciamano, solo per parlare di oggi! Ecco, vedi, sei arrossita!»
Cosa? Quel verme di Sai ci stava veramente provando con Ino? Come poteva non essersi accorto prima della cosa? Oh, giusto, doveva essere stato a Suna.
«Si vede che oggi si sentiva particolarmente gentile, che ne so…»
«Ah, davvero? E che dire di ieri al negozio, quando ha comprato dieci rose e te le ha lasciate tutte e dieci nei posti in cui sapeva saresti passata?»
Molto romantico, se a farlo fosse stato Choji a Karui, o chiunque altro che non fosse stato Sai a qualunque altra ragazza che non fosse stata Ino. Così lo faceva soltanto ribollire di rabbia. Maledetto Sai! Che cosa voleva da Ino? Ino non aveva bisogno di lui. Al diavolo, lui non se la meritava nemmeno Ino!
«D’accordo, sono un paio di mesi che mi corteggia, contento?»
«Un paio di cosa?» Shikamaru non riuscì a impedirsi di sbottare. Al diavolo Temari, la guerra e tutta Konoha, se quel coglione non avesse badato a sé stesso, Shikamaru gli avrebbe spezzato tutte e due le gambe e le braccia.
«Un paio di mesi, Shikamaru» Ino inarcò un sopracciglio.
«E tu ci stai pure?»
«Beh, dov’è il problema?»
«Dai ragazzi, basta…»
«Ah, nessun problema, solo che credevo puntassi un tantino più un alto dei pesci lessi albini con problemi di integrazione sociale.»
«A te che diavolo importa, Nara? Credevo che ti occupassi dei problemi di Suna, non delle mie faccende di cuore!»
«Posso fare entrambe le cose ed anche prepararti un tè, se ti va.»
«Non sono AFFARI TUOI, Shikamaru!»
Shikamaru si immobilizzò sul posto, raggelato. Aveva ragione lei: non erano affari suoi. Lui aveva rifiutato Ino, lui le aveva detto che la sua vita sarebbe stata lontano da Konoha, dai suoi amici, da lei. Lui le aveva letteralmente riso in faccia quando lei lo aveva supplicato di restare, non aveva mai creduto alla sua dichiarazione, e peggio di tutto questo era la promessa che aveva infranto: non lasciarla, affrontare la vita insieme, gli unici due che sapevano cosa significasse perdere un punto di riferimento tanto importante come un padre, maestro di arti ninja, ma soprattutto insegnante di vita. Ma la gelosia era troppa, dilagante, prorompente, rabbiosa, bruciante, e non gli permetteva di pensare con lucidità.
«Certo che sono affari miei, stupida ragazzina!» ringhiò, le afferrò il polso e la mandò a sbattere contro la staccionata al lato della via. No, non poteva sopportarlo: Ino non poteva andare via da lui, non sarebbe riuscito a non spezzarsi sotto il peso schiacciante della sua vita insostenibile senza la consapevolezza di avere lei presentr, non rapita dal pensiero di un altro uomo. Era così egoista, così egoista.
«Shikamaru! Lasciala andare!»
Le dita del Nara si strinsero attorno al suo viso, soffocandolo strettamente in una morsa di pelle ed ossa, arrossandolo di violenza e confusione.
«Tu sei mia.»
Il silenzio esplose fra i radi alberi, sotto i ciottoli ai loro piedi, dentro i becchi degli uccelli ciarlieri, e spezzò con rudezza ogni singolo rumore, cancellando la definizione di tempo, di istante, con un colpo deciso di spugna.
«Io sono cosa?» la voce di Ino era più fioca nelle orecchie di Shikamaru che la luce della ragione ai suoi occhi 
«Hai sentito benissimo.»
«Sei patetico.»
«Non sai nulla.»
«Allora dimmelo tu, Shikamaru. Che succede?»
«Niente, Ino. Niente che tu possa concepire.»
Niente che io riesca a spiegare.

La stanza immersa nel buio che lo circondava era più caotica che mai. Chiassosa quasi, visto come urlavano i ricordi sepolti fra gli asciugamani sporchi e dentro gli album di foto dagli angoli pieghettati.
Il Nara giaceva nel proprio letto, insonne, un braccio riverso sugli occhi per ripararsi dalla luce della luna che inondava la stanza dalla finestra a ghigliottina spalancata, l’altro che si proteggeva il torso nudo dal vento gelido di tramontana. 
La sua vita era stata un ammasso di fallimenti mascherati da trionfi, ogni volta che ripensava ad una vittoria ottenuta nel corso dei propri ventun’anni non vedeva nient’altro che una serie di sacrifici inanellati bene uno dopo l’altro. In fondo consisteva in questo la bravura di uno stratega: indovinare sempre il giusto ordine con cui i martiri si fossero dovuti succedere. 
Asuma, suo padre, il proprio amore… tutto svenduto a prezzi stracciati per raggiungere una falsa pace di cui lui non avrebbe goduto. Sasuke Uchiha il traditore sarebbe tornato a Konoha, Naruto avrebbe coronato il proprio sogno di diventare Hokage, e lui avrebbe speso la propria vita al fianco di una donna splendida che no, non amava neanche la metà di quanto amasse Ino.
Dov’era la giustizia, in quel senso? Mondo pazzo.
«Dormi?» sussurrò una voce nella notte, così leggera da sembrare quella delle stesse stelle. Il suo angelo era tornato, ma non premiarlo, bensì per riconsegnarlo alle torture diaboliche dell’inferno -che tra l’altro aveva già assaggiato una volta, quando aveva rinunciato all’amore di Ino per la devozione verso la pace.
«No» rispose, tirandosi su a sedere, i gomiti poggiati mollemente sulle ginocchia. Lei stava raggomitolata sul bordo della finestra, vestita di nero come una strana damigella, troppo allegra per fare la vedova, troppo triste per fare la sposa.
«Mi dispiace» mormorò Shikamaru, stringendo i denti, «quello che ho detto… il modo in cui ho dato di matto quando hai parlato di Sai…»
«È la prima volta che mi hai detto qualcosa di sincero in tre anni, Shikamaru» lo interruppe lei, facendogli fermare il cuore nel petto. Sorrise, rassegnato.
«È così evidente?»
La ragazza giocherellò con la punta dei lunghi capelli color crema alla luce della luna. «Sì.»
Il freddo che si depositava sulla pelle di Shikamaru era temperato dalla calda rabbia di Ino che si sollevava ad ondate tangibili dai recessi più intimi di quel corpicino tremante per il vento gelido, per l’amarezza, per il tumulto che suo malgrado si ritrovava dentro dopo averlo a fatica superato. Era uno dei motivi per cui l’amava: lei doveva sempre capire, affrontare, vivere, lei era una sfida continua in bilico fra follia e ragione, lei andava sempre alla ricerca di equilibri ogni volta più pericolosi, ed ogni volta questi si spezzavano, facendola precipitare nel baratro da cui immancabilmente si rialzava.
«Dimmi la verità, Shikamaru» alzò il capo di scatto per fronteggiarlo con occhi pieni di rabbia e di tormento, muovendo due passi appena verso di lui, «dimmi a cosa devo credere, non a cosa vuoi farmi credere.»
Shikamaru la raggiunse con estrema lentezza, il proprio torace era alla stessa altezza del mento di Ino rivolto in su a guardare il Nara.
«Devi darmi la possibilità di costruire la mia vita su qualche certezza, almeno una, perché io ho bisogno di andare avanti, di trovare la mia strada, che sia con te» -Ino si sforzò per mantenere la voce limpida- «o senza.»
Cerchi l’oro da uno squattrinato, Ino. Certezze? Verità? Ma se la sua intera vita era destinata ad essere una grande menzogna! Se avesse potuto scegliere, le avrebbe detto che l’unica cosa reale in tutto quel caos di dolore, amore e falsità era il suo amore per lei. L’aveva sempre amata, ogni istante, ogni momento, ogni secondo, in ogni parola spesa, in ogni ideogramma vergato, in ogni desiderio buttato nella carta straccia.
«Ti voglio bene, Ino. Questa è la tua verità.»
Spinse la testa di Ino verso le proprie labbra e le piantò un bacio sulla sommità del capo, vibrante di passione repressa, pieno di violenza aggraziata, colmo di orgogliosa disperazione. Sentì Ino scossa dal tremito, ma si impedì di abbracciarla: doveva lasciarla andare. Faceva così male sapere che avevano diverse strade da percorrere.
«Addio, Shika.»
«Addio, Ino.»

Un anno prima, palazzo del Kazekage
«Buon ventidue settembre.»
«Si dice “compleanno”, Temari, “buon compleanno”.»
Shikamaru sorrise, scuotendo la testa. Temari era impacciata con cose come questa, regali, auguri, relazioni, era carina quando cercava di apparire disinvolta, ma era ovvio che non era abituata a comportarsi in questo modo se non con i propri fratelli.
La donna fece scivolare un pacchetto retrangolare bianco lungo il tavolo, che si fermò preciso davanti a Shikamaru.
«Per me?»
«Aprilo, testa ad ananas.»
Shikamaru lo scartò, fingendo più enfasi di quanto fosse necessario.
Era una collana molto bella, grigio argento. Doveva esserle costata una fortuna, Shikamaru intuiva fosse preziosa. Cercò dentro di sé la gratitudine, ma non la trovava. Se Ino gli avesse regalato un fazzoletto di carta, l’avrebbe trovato più rilevante. Non più sincero, soltanto più voluto.
«Ho pensato che visto che avevi già gli orecchini, magari una cosa così poteva piacerti…»
«Un cerchio?»
«Vuoto, visto che avevi già quello pieno.»
Shikamaru non volle credere che Temari l’avesse fatto apposta, ma aveva appena riassunto la sua vita in sette parole.

Our ship may be sunk, but we learnt to breath underwater.
 
 
   
 
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