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Autore: WandererS    24/01/2015    2 recensioni
"«Grantaire, sei incapace di credere, di pensare, di volere, di vivere e di morire.»
«Vedrai.»"
L'ultimo sogno di Grantaire.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Enjolras, Grantaire
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nota dell'autore: l'ispirazione per questa fan fiction è nata da un'altra ff, sempre scritta da me, di cui ho però voluto sviluppare un singolo aspetto. Perciò, nel caso in cui abbiate letto o leggiate in futuro "Empty chairs at empty tables", aspettatevi qualche ripetizione, anche se si tratta di una fan fiction molto diversa.








"L'eroismo ha i suoi originali"



“Enjolras, che stava ritto sulla cresta dello sbarramento, col fucile in pugno, alzò il suo bel viso austero. [...]
«Grantaire!» gridò. «Vattene a smaltire il tuo vino fuori di qui: è il posto dell'ebbrezza e non dell'ubriachezza: non disonorare la barricata!»
Queste parole irritate produssero su Grantaire un effetto singolare: si sarebbe detto che avesse ricevuto un bicchiere d'acqua fredda in pieno viso. Parve d'un subito tornato in sé; sedette, appoggiò i gomiti sopra un tavolo vicino alla finestra, guardò Enjolras con inesprimibile dolcezza e gli disse:
«Sai che io credo in te.»
«Vattene.»
«Lasciami dormire qui.»
«Va' a dormire altrove.»
Ma Grantaire, fissando sempre su lui gli occhi inteneriti e torbidi, rispose:
«Lasciami dormire qui, fino a che vi muoia.»
Enjolras lo guardò con occhio sdegnoso.
«Grantaire, sei incapace di credere, di pensare, di volere, di vivere e di morire.»
Grantaire ribattè con voce grave:
«Vedrai.»
Balbettò ancora poche parole incomprensibili, poi il capo gli ricadde pesantemente sul tavolo e un momento dopo (effetto abbastanza consueto del secondo periodo dell'ubriachezza, in cui Enjolras l'aveva bruscamente spinto) era addormentato.”
 
 
 
 
«Morire... morire...»
Si sentiva strano.
 
“Se fosse venuto a prender me, l'avrei seguito: tanto peggio per lui. Non andrò al suo funerale.”
 
Le sue orecchie sembravano ovattate, i suoni lo raggiungevano come da una grande distanza. O forse provenivano da una grande distanza... Sentiva come uno scroscio di pioggia, e rombi di tuono, ma non vedeva nulla che giustificasse quei rumori: al suo sguardo, tutto era illuminato dal sole. La sua vista era acuta, forse addirittura più del solito: nonostante la distanza, distingueva i volti, i movimenti, le mani strette intorno alle armi.
 
“Chi muore qui, fratelli, muore nella luce dell'avvenire, e noi stiamo per entrare in una tomba tutta colma d'aurora.”
 
Era strano, gli sembrava come di essere entrato in un quadro, i più minuti dettagli fissati dal tocco del pennello. Gli pareva di averlo già visto quel dipinto, ma non era certo uno dei suoi. No, doveva averlo visto nella bottega di un pittore... Il lampo di un ricordo: una grande tela, ancora in parte bianca, delle figure abbozzate, altre quasi complete. Al centro, affiancata da un monello che l'artista non aveva ancora finito di dipingere, c'era una donna dalla veste stracciata che reggeva una bandiera, ancora bianca, ancora vergine, ancora pura. “Io la renderei più bella ancora, se fossi in voi. L'ideale appaga il cuore, forse, è vero, ma c'è bisogno di più bellezza a questo mondo.” aveva detto al pittore, sfrontato.
 
“Viva la rivoluzione; Viva la repubblica; Fratellanza! Uguaglianza! E la morte!”
 
Il seno scoperto della donna sfumò davanti ai suoi occhi, lasciando che il suo sguardo si fissasse su una figura diversa, che conosceva forse anche meglio di quella che gli rimandava lo specchio: un dio biondo, sfolgorante di luce, tanto da sembrare lo stesso Apollo. Anch'egli reggeva una bandiera, come la donna del quadro che gli era affiorata dalla memoria, ma questa si era tinta del rosso del sangue dei rivoluzionari.
 
“Vi autorizzo a conciarli per le feste.”
 
Eppure, non vedeva nemmeno una goccia di sangue. Poteva scorgere gli Amici dell'ABC combattere sulla barricata, ma vide con sollievo che nessuno sembrava ferito. Parevano inarrestabili, i nemici colpiti si afflosciavano uno dopo l'altro, quasi con grazia.
 
“Oh, sono felice! Moriremo tutti!”
 
Notò Courfeyrac sorridere e gridare qualcosa a Bossuet, Jean Prouvaire sembrava mormorare dei versi, un monello cantava a squarciagola puntando un enorme fucile, ma raramente distingueva qualche parola nel brusio indistinto, dominato da uno scroscio come di pioggia o grandine, in cui si stagliava talvolta il colpo nitido di uno sparo.
 
“Viva la Francia! Viva l'avvenire!”
 
Il suo sguardo fu di nuovo attratto dalla figura luminosa, guida e faro degli insorti. I suoi riccioli dorati erano a malapena scomposti da una lieve brezza, la sua pelle di alabastro non pareva arrossata dalla fatica ma dall'entusiasmo, le sue mani affusolate erano abili e veloci nel maneggiare il fucile, colpendo senza apparente sforzo ogni soldato nemico che gli si parasse di fronte. Nessuna pallottola sembrava sfiorarlo. Il suo sguardo era ardente, sembrava quasi riflettere un mondo ultraterreno, come se le stelle del cielo fossero incastonate nei suoi occhi.
 
“Per me, la vostra rivoluzione mi lascia indifferente.”
 
Era incantato da quella figura, dalla sua grazia e dalla sua forza. Avrebbe voluto raggiungerlo, stringerlo forte a sé, dirgli che non aveva mai creduto negli ideali della rivoluzione, nel sacrificio per la patria, nella possibilità per pochi di cambiare il futuro della Francia. Avrebbe voluto guardarlo negli occhi e dirgli che aveva sempre creduto in lui, per l'ennesima volta. Ma forse quella volta lui avrebbe colto la sincerità delle sue parole, gli avrebbe sorriso, avrebbe ricambiato la stretta delle sue braccia...
 
“Noi condivideremo la tua sorte”
 
Ma non riusciva a muoversi. Non capiva perché non stesse combattendo con loro, perché non riuscisse nemmeno a volgere lo sguardo su di sé per controllare se aveva una pistola, una baionetta o un'arma qualunque. Non era la sua battaglia, ma erano i suoi amici, e all'improvviso desiderò di essere anche lui là, sulla barricata, nel sole, al loro fianco, a criticare i loro ideali con le parole ma a difenderli con le pallottole. Ma non riusciva a muoversi, poteva solo guardare.
 
“Ma forse voi sareste arrabbiato con me, fra poco, quando ci rivedremo. Perché ci si rivede, nevvero?”
 
E guardò. Guardò Enjolras, che all'improvviso non sparava più. Lo vide volgere lo sguardo nella sua direzione, senza quella sfumatura di rimprovero che era abituato a scorgervi solitamente. Le sue labbra vermiglie si incurvarono leggermente in un sorriso malinconico, e sul suo viso comparve una strana espressione. Vi lesse una sorta di consapevolezza, il suo sguardo determinato come venato di tristezza, ma non riuscì a decifrarla del tutto.
 
“È incredibile che si possa essere freddi come il ghiaccio e coraggiosi come il fuoco.”
 
Quasi non si era reso conto che il rumore, ormai relegato inconsciamente a sottofondo, era diventato via via più irregolare. All'improvviso, però, calò il silenzio. Capì che qualcosa non andava e, con uno strano presentimento, fissò il proprio sguardo nelle lucenti stelle che, dalla volta celeste, erano scese a dimorare negli occhi di un mortale.
 
“Arrivederci fra poco!”
 
Aprì gli occhi.
Vide il suo braccio, avvolto nella manica bianca di una camicia, l'angolo di un tavolo consunto e le assi sporche di un pavimento.
Non udì nulla.
 
“L'eroismo ha i suoi originali.”
 
Alzò il viso, sbadigliò, si strofinò gli occhi.
Improvvisamente all'erta e lucido, vide, oltre le schiene di alcune guardie, il suo dio biondo.
Capì all'istante la situazione.
Comprese che doveva essersi ubriacato, e fugò all'istante gli ultimi brandelli di visioni oniriche.
Si maledisse per non aver combattuto al fianco dei suoi amici e comprese che c'era solo un'ultima cosa che gli restava da fare.
Non aveva lottato per l'ideale degli Amici dell'ABC, ma poteva morire per ciò (o meglio, per colui) in cui credeva lui, e ricevere l'ultimo sorriso di un dio mortale.
«Viva la Repubblica!»
 
 
 
 
“«Viva la repubblica! Ci sono anch'io.»
Grantaire s'era alzato. L'immenso fulgore di tutto il combattimento al quale era mancato, al quale non aveva preso parte, apparve nello sguardo sfolgorante dell'ubriacone trasfigurato.
Egli ripeté: «Viva la repubblica!» attraversò la sala con passo fermo ed andò a collocarsi davanti ai fucili, ritto in piedi vicino ad Enjolras.
«Speditene due con un colpo solo,» disse.
E, volgendosi verso Enjolras con dolcezza, gli chiese:
«Me lo permetti?» Enjolras gli strinse la mano, sorridendo.
Quel sorriso non era ancor finito, che la detonazione echeggiò.
Enjolras, attraversato da otto pallottole, rimase appoggiato al muro, come inchiodato; solo, chinò il
capo.
Grantaire, fulminato, gli si abbatté ai piedi.”
 

 






















Nota dell'autore: Le citazioni (tra virgolette) sono tutte tratte da "I Miserabili" di Victor Hugo (tranne la prima e l'ultima, sono parole dette durante la battaglia da vari personaggi, in ordine sparso e non cronologico), come anche i personaggi, naturalmente. Anche il titolo, ripreso nella ff, è una citazione dal libro, anche se non è riferita a Grantaire l'ho trovata calzante.
Delacroix dipinge "la libertà che giuda il popolo" nel 1830, perciò ho immaginato che Grantaire avesse potuto vederlo un paio d'anni prima della vicenda narrata qui, in una bottega di pittore, anche se poi non venne esposto al pubblico. se non credete che sia possibile, prendetela come licenza poetica. citando quel quadro ho voluto anche inserire un omaggio a due morti che mi stanno molto a cuore: Eponine (che nel libro, una volta morta, e sempre descritta con il seno semi-scoperto) e Gavroche. sono loro e degli altri combattenti delle barricate le citazioni che compaiono a inframmezzare la storia, spesso in contrasto con essa. se volete, potete provare a indovinare chi ha detto cosa!
   
 
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