Serie TV > Once Upon a Time
Ricorda la storia  |      
Autore: KikiWhiteFly    24/01/2015    2 recensioni
{Belle centric | accenni Rumbelle | post 04x11} "Un sospiro affranto, seguito da una rapida falcata e poi un’altra, ancora, sino ad arrivare alla soglia: sette giorni dovrebbero bastare per evitare di aggirarsi nell’isolato, anche se si avverte il bisogno di vestiti puliti, dovrebbero essere abbastanza anche per eludere le domande dei cittadini di Storybrooke circa “quel che sarà d’ora in poi”. Chi decide quando sarà giusto dire dopo, in fondo?
Chi, esattamente, può affermare che sette giorni bastino e, d’ora in poi, tornerà a essere Belle, il topo da biblioteca, con i suoi turni di lavoro prefissati da chissà quale maledizione e la sua pausa pranzo, solitamente da Granny’s – venti minuti di pura insofferenza, preferirebbe una battuta sardonica da parte di Leroy piuttosto che la persistenza di quegli sguardi indagatori".
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


                            Mirror, mirror on the wall






Primo giorno,  11.30 di un mattino piovoso e, apparentemente, senza fine.



Belle sbircia con lo sguardo attraverso le tapparelle della biblioteca, soffermandosi per qualche momento sui pesanti nuvoloni che incombono in cielo. Poi, istintivamente, stringe le dita intorno alla tazza e sorseggia poco a poco: nessun segno di pericolo mortale, nessun regno magico sul quale fare ricerche, nessuna emergenza alla quale porre rimedio.
Solo la pioggia, copiosa e zampillante, che batte a più riprese sui vetri.
Sarebbe il giorno ideale per preparare l’ennesima miscela di tè, afferrare il piumone e bearsi della compagnia di un libro – probabilmente dovrà aspettare la prossima maledizione spezzata affinché capiti un altro momento del genere.
Forse, se si sforzasse un po’, potrebbe immaginare quel giorno come uno dei rari attimi di estrema beatitudine e perdersi con l’immaginazione in avventure che non avverranno mai.  Nei libri, in fondo, sembra che la speranza non abbandoni mai il protagonista e, pur dovendo compiere gesta eroiche, incrocerà il “vissero felici e contenti” alla fine del cammino.

Quindi, in procinto di scegliere tra le avventura di un certo Artù – le suona sin troppo familiare, deve averlo già sentito nominare nella Foresta Incantata – e la romantica esperienza di qualche eroina della letteratura moderna, Belle si trova per la prima volta nella sua vita a voler rinnegare la lettura.
Tra i due tomi vi è una voragine, uno spazio che Belle crede mancante, ma ogni libro occupa una posizione ben precisa. Dunque, dopo un’accurata ricerca, giunge alla conclusione che si tratti di una ripartizione avvenuta ben prima della sua comparsa a Storybrooke e che quello sia un semplice spazio… vuoto.
«Uno spazio vuoto…», ripete Belle, articolando i pensieri in parole.
Le sue dita tremano intorno alla tazza e le diciture delle copertine iniziano a comparire offuscate, mentre pesanti lacrime le solcano gli zigomi – anch’esse copiose, ma nascoste ai più, a differenza della pioggia.


 
Sette giorni dopo, 14:30, qualche nuvola in cielo.


Belle punta lo sguardo verso l’alto, chiedendosi di quale colore avrebbe potuto rivestire l’enorme abitazione.

Ricorda bene la prima volta che vi entrò, le era addirittura sfuggita una risata, era  davvero troppo… rosa. Pensò che fosse davvero ironico,  poiché il Castello Oscuro nella terra delle favole era chiamato così per un motivo ben preciso – e, invece, eccola lì, la casa più sgargiante dell’intero isolato.
La prima volta che Belle vide quell’abitazione gli fece notare quanto fosse così poco coerente con la sua stessa natura, attendendo una risposta sarcastica, ma tutto quel che uscì dalle labbra di Rumplestiltskin fu un semplice: «Se non qualcuno, qualcosa doveva pur ricordarmelo».

Buffe le cose che si ricordano a distanza di tempo, curiose le piccolezze alle quali la nostra memoria si aggrappa: Belle leva ancora lo sguardo verso l’alto, pensando al colore che avrebbero dovuto scegliere insieme – dopo la maledizione, perché ce n’era sempre una da disinfestare, tutto il tempo del mondo per portare a termine noiosi progetti coniugali e… pitturare interni, esterni, magari costruire un recinto solo per sfruttare la vernice avanzata –, giungendo  alla conclusione che magari avrebbe potuto mentirle anche riguardo la nuance da utilizzare.
E ora… ora non l’avrebbe mai saputo, magari avrebbe lasciato decidere a lei o magari sarebbero stati d’accordo, chissà.
In fondo, non si erano mai ritrovati sulla stessa pagina: stesso libro, forse, ma in capitoli diversi. Belle aveva saltato interi capitoli pur di andargli incontro, si era persa pagine che non avrebbe mai tralasciato per raggiungerlo e tendere un’ancora in sua direzione, sperando che sarebbe tornato indietro, al punto di partenza, solo per lei. Solo per procedere insieme, mano nella mano, leggendo le stesse parole e rispettando le stesse pause e, infine, chiudendo il medesimo libro nell’esatto momento.

Un sospiro affranto, seguito da una rapida falcata e poi un’altra, ancora, sino ad arrivare alla soglia: sette giorni dovrebbero bastare per evitare di aggirarsi nell’isolato, anche se si avverte il bisogno di vestiti puliti, dovrebbero essere abbastanza anche per  eludere le domande dei cittadini di Storybrooke circa “quel che sarà d’ora in poi”.
Chi decide quando sarà giusto dire dopo, in fondo?
Chi, esattamente, può affermare che sette giorni bastino e, d’ora in poi, tornerà a essere Belle, il topo da biblioteca, con i suoi turni di lavoro prefissati da chissà quale maledizione e la sua pausa pranzo, solitamente da Granny’s – venti minuti di pura insofferenza, preferirebbe una battuta sardonica da parte di Leroy piuttosto che la persistenza di quegli sguardi  indagatori.
Eppure Belle continua a inoltrarvisi, prima o poi quell’aria d’indignazione dovrà sparire dai loro volti, conscia del fatto che non avrà un esterno verniciato o un recinto edificato a dovere o, in un sol giro di parole, la vita che non avrebbe mai dovuto volere.


Quindici giorni dopo, 23:00. 


Belle non ha mai avuto problemi di insonnia, nemmeno in passato (quando le ragioni non sarebbero certo mancate), ma l’appartamento al di sopra della biblioteca è un monolocale in pieno centro, a pochi passi dal Rabbit Hole e dagli schiamazzi derivanti dallo stesso. Quindi, dopo essersi rigirata nel letto per l’ennesima volta, si alza in piedi e indossa un paio di stivaletti.
Non si cura molto del suo aspetto esteriore, si osserva per qualche momento allo specchio e decide che una treccia è quanto di più promettente può offrire la sua immagine quella sera.
L’aria di Storybrooke è pungente, le arriva sin nelle ossa, eppure è quanto di più vivo in quei giorni sente sulla pelle: ora che la monotonia contraddistingue la sua vita, ben quindici giorni dopo, ogni cosa le appare futile, vana, condita di un pizzico di pura inconsistenza.
Quindi oltrepassa la soglia del Rabbit Hole e, per una volta, gli sguardi non si posano su di lei come se fosse la vittima sacrificale di un’offerta mai elargita e la musica sembra un buon sottofondo per evitare chiacchierate inopportune.
O, almeno, quasi tutti gli sguardi: Belle tira un sospiro di sollievo nel momento stesso in cui i suoi occhi incontrano quelli di Regina, la quale ha un indiscreto ovale di stupore stampato sulle labbra.
«L’ultima persona che mi sarei aspettata di trovare qui», esordisce Regina, osservandola.
«Potrei dire la stessa cosa», denota Belle, mentre la sua interlocutrice la invita a occupare un posto.
«Ne ho abbastanza dei discorsi speranzosi da parte dei Charmings, immagino. Attendo che lo scotch faccia il suo effetto, ma son passati pur sempre gli stessi giorni».
«Quindici giorni», afferma Belle, risoluta.
«Quindici giorni, sì», ripete Regina, alzando il suo bicchiere a mo’ di brindisi. «Quale differenza potrebbe fare, a questo punto?».
«Quindici giorni oggi, sedici domani. Tra poco, voglio dire. E poi altri quindici e ancora e… Perché tenerne il conto, in fondo».
Belle fa un cenno al barista, indicando il drink della sua improbabile compagna di bevute; quest’ultimo carpisce al volo e, senza neppur accorgersene, si ritrova con un bicchiere sotto il naso e l’odore dello scotch nella gola. Così, tutto d’un fiato, come se sentisse la gola riarsa e l’ultima goccia fosse a portata di mano.
Persino Regina sembra colpita da tale gesto, ma si tratta di un breve momento: quando Belle tossisce sonoramente, sembra ritornare sulle sue posizioni e preferisce bere a piccoli sorsi il suo drink.
«Se ti può esser d’aiuto, non ho smesso di contare i giorni. Forse domani, chissà», esordisce, accennando un sorriso amaro.  «Oh, in momenti come questi quasi mi mancano le maledizioni di una volta. Certo, magari eviterei uno specchio. Troppo prevedibile».
Belle ricollega solo qualche attimo dopo, ripercorrendo nella memoria la storia di Biancaneve e della sua matrigna, arrivando a cogliere l’ironia di fondo in ritardo.
«Lo specchio magico… si è infranto, no?».
«In mille pezzi. Per fortuna non siamo superstiziosi, nel nostro mondo. Ora è un comunissimo specchio, seppure…».
«Cosa?».
«La magia non si distrugge, si trasforma. Qualcosa di magico resta pur sempre nello specchio, anche per una millesima parte».
«Oh», esordisce semplicemente Belle, curiosa come nelle ultime settimane non lo era mai stata. «Beh, la tranquillità ormai sembra essere all’ordine del giorno. Niente più sorprese, d’ora in poi».
Ancora, senza averlo davvero ordinato, arriva un altro bicchiere sotto il suo naso e stavolta ha imparato la lezione, per cui ne beve un sorso per volta.
«D’ora in poi», ripete Belle, apostrofando ironicamente sillaba per sillaba.  
«È difficile vivere in un mondo nel quale i cattivi non ottengono il lieto fine», rimugina Regina, sospirando. «E nemmeno le loro dolci metà, pare».
Belle alza il capo, abbozzando un sorriso distorto: «Almeno Robin Hood ti ama, questo lo sai per certo. E, credimi, è più facile dormirci la notte».


Venti giorni, minuto più o minuto meno, all’alba di quel che si preannuncia un mattino soleggiato.


È incredibile come il silenzio, con il passare del tempo, sia divenuto un fedele compagno di avventure: inizialmente era fastidioso, persino ridondante; ora, invece, a venti giorni (minuto più, minuto meno) di distanza lo trova confortante.
O almeno questi son stati i suoi pensieri lungo il tragitto, al fine di giungere al rifugio della Regina delle Nevi, laddove tutto era iniziato qualche tempo prima.
Belle varca l’entrata, notando come ogni cosa sia permeata da una patina di ghiaccio, sentendo solamente l’eco dei propri passi; poi, esattamente come lo ricordava, lo specchio appartenuto a Ingrid. Belle vi si avvicina, notando come la cornice sia intatta, ma l’involucro sia vuoto.
Eppure alcuni frammenti sono ancora sparsi a terra, alcuni infinitesimali e altri più compatti, resistenti sino alla fine all’urto: Belle ne afferra una scheggia, lunga e deformata, eppure regolare quanto basta per potersi specchiare. La stringe tra le mani per un momento, poi la scosta a qualche centimetro di distanza e… il nulla, assolutamente e ineluttabilmente nulla.
«Ti prego», si ritrova a sperare tra sé e sé, rivolgendosi all’inesistente.
Solo qualche tempo prima aveva avuto gli incubi, per qualche giorno non si era addormentata senza la lampada accesa e riflettersi era stata un’esperienza a dir poco terrificante. Col senno di poi, colui che l’aveva tanto aiutata a superare tali incubi, avrebbe potuto persino volere che gli stessi accadessero.
Con quale certezza Belle poteva affermare cosa facesse o meno parte del suo piano?
Tutto quel che Belle desidera dallo specchio, in quell’esatto momento, è l’innesco incredibile qual era stato ai tempi il terrore: nelle sue vene era corsa pura linfa vitale e, conseguentemente, un incredibile rabbia. Cosa darebbe per riavere quelle sensazioni, per sentirsi un po’… viva, pur odiandosi e pur affliggendo sé stessa, solamente per sentir rinascere la frenesia del momento.
Tutto quel che Belle sente è l’enorme, ineguagliabile e distinguibile vuoto: ancora conta i giorni, ancora attende il momento in cui smetterà di farlo.


Trenta giorni, ore 16:00 di un pomeriggio un po’ troppo festoso.


Non ha davvero voglia di celebrare l’ineluttabile vincolo del matrimonio insieme all’intera Storybrooke, ma apparentemente Belle è stata così gentile da badare a Neal nei mesi trascorsi da meritarsi un invito.
«La maledizione ancora ci crea qualche problema… Voglio dire, stiamo festeggiando il terzo anniversario oppure il trentesimo?», esordisce David, interrompendo un brindisi.
La folla scoppia a ridere fragorosamente e anche Belle accenna un sorriso, seppur disinteressato; dal canto suo, d’altronde, ancora non ha deciso cosa farne di quel cerchietto.
C’erano voluti ben dieci giorni per sfilarlo dall’anulare – tante le volte in cui l’aveva poggiato sul tavolo, prima di uscire, per poi tornare a riprenderlo –, altri dieci per decidere cosa farne e, infine, era giunta alla conclusione che la cosa più indicata fosse quella di portarlo come un ciondolo.
Quasi come un oggetto ornamentale, con una sostanziale differenza: Belle non ne aveva mai fatto a meno, quasi fosse cucito col corpo stesso, pensando scioccamente che privarsene potesse limitarle una funzione vitale.
La tavola calda è così gremita che nessuno si accorgerà della sua assenza, per cui Belle si muove con agilità e discrezione, sino ad oltrepassare la soglia. Poi tira un sospiro di sollievo, non fosse altro per il braccio che sembra avere tutta l’intenzione di rimaner avvinghiato al suo.
«Perdonami, non ci conosciamo. O meglio, sì, indirettamente. Nel caso ti chiedessi chi sia stato il colpevole di un secondo drink offerto dalla casa».
Belle appare evidentemente attonita dall’accaduto, vorrebbe potergli dire quanto confusi siano i suoi ricordi, ma teme di urtare la sensibilità dell’individuo che ha di fronte.
«Oh, grazie. Avrei voluto accorgermene. Quella sera ero un po’…».
«Bellissima», esordisce il suo interlocutore e Belle, d’un tratto, arrossisce, non ricordando nemmeno che fosse possibile. «Scusami, davvero. Semmai volessi tornare ancora lì…».
Tira fuori un foglietto a righe, qualche numero impresso sopra, lo infila nella sua tasca e si defila immediatamente, come un fuggitivo.
Belle non ha nemmeno il tempo di elaborare, ma pensa che non percepisce qualcosa dal sapore diverso dell’indifferenza da molto tempo e non ricorda quante gradazioni possa assumere il suo volto.


Quaranta – quaranta, davvero? – giorni dopo. Febbraio.


Per una volta Belle non ha idea di che ora sia, buon segno. Per una volta le ore non si confondono con i giorni e nella sua mente non si avviano un’infinità di calcoli – che, in effetti, non portano a nulla.
Non che la sua mente abbia smesso di rimuginare circa l’accaduto, ma il dolore si è trasformato in una sorta di lama a doppio taglio: il pianto ha sovrastato ogni cosa, ma non è più il momento delle lacrime. Belle ha ceduto ad una certa indifferenza di fondo, vivendo la sua vita con l’usuale monotonia e aiutando i residenti di Storybrooke, per quanto possibile. Nessun cedimento, tanto fisico quanto emotivo, nessun attimo di panico: indifferenza, perlopiù, seguita da impassibile accettazione.
Un foglietto spiegazzato tra le sue mani, ormai anche l’inchiostro ha sbavato, numeri e lettere che potrebbero voler dir tutto come niente.
È questo che dovrebbe fare, dunque?
Dovrebbe alzare la cornetta del telefono, invitare un tale abbastanza generoso da offrirle un bicchiere di scotch e… uscire, forse persino per una seconda volta o magari una terza?
E tutto quel che è successo in passato sarà accantonato, quel ridondante e pressante senso di vuoto scomparirà per sempre e quel che ne rimarrà sarà solo un agrodolce ricordo – vai avanti, continua a ripeterle Moe French, vai avanti e ricostruisciti una vita.
Immagina che quello sia il consiglio più spassionato che suo padre possa darle, perlomeno è stato abbastanza discreto da non esordire con un: “Te l’avevo detto”.
O forse l’ha fatto, Belle non lo ricorda davvero, quel giorno tanto i moniti quante le parole compassionevoli degli abitanti di Storybrooke le son sembrate ovattate, chiusa com’era nella sua bolla fatta di rimpianti. Insomma, se solo lo avesse capito prima, Belle avrebbe potuto porre rimedio e magari avrebbe avuto l’occasione di rivedere Anna, magari sarebbe stata l’eroina della sua storia per una volta e non la vittima.
O magari non sarebbe cambiato proprio nulla, l’Oscuro era un passo avanti a chiunque e raramente a corto di assi nella manica – tranne per una volta… per una volta Belle ha condotto lo stesso gioco della Bestia, salvando l’intera città.
E, in ogni caso, si sente molto più vittima che eroina.


Quarantadue giorni dopo, un mattino apparentemente tranquillo.


Belle si è svegliata con una strana sensazione, una forte fitta interiore e un mal di testa lancinante: non che gli incubi siano una novità, ma che si ripercuotano addirittura nella realtà le sembra davvero il colmo.
Decide di ignorare quella sgradevole sensazione, preparandosi per quel che sarà un’ordinaria mattinata; eppure, stavolta in maniera più forte, avverte l’ennesima fitta al petto e una dolceamara percezione mentale, travolgente come uno scossone.
Quarantadue giorni, dodici ore, quarantacinque minuti.
È proprio in quel momento, Belle si cura addirittura di cronometrarlo, che una serie di proiezioni si fanno vive nella sua mente e sono una miscela di ricordi, sorrisi, lacrime, sobbalzi e ogni forma si riavvolge come un nastro in una pellicola cinematografica, solo che la fine è ancora l’inizio e ogni pezzo si distacca e si assesta dentro un tassello di memoria, mentre l’immagine di un grammofono si fa spazio in mezzo a tutti gli altri e suona, decanta e glorifica una sola storia. Una storia vecchia come il tempo.



_________________________________________




Anzitutto: grazie a tutti coloro che sono arrivati alla fine di questa introspezione, era da tempo che l’avevo in mente e sul mio pc ne son venute fuori ben sette pagine.
Dunque, volevo concentrare questa storia su alcune parole chiave, non è un caso che ricorrano e questa fan fiction vuol essere anche una sorta di diario, quel che Belle sente e quel che mostra. Ah, sì, mi son fatta un conto (e io sono pessima in matematica. XD), considerando che trascorreranno sei settimane, dovrebbero essere circa quarantadue giorni.
Ultima cosa: il fatto che il nome di Rumple ricorra una sola volta non è un caso, l’ho oscurato proprio perché penso (è sempre una mia ipotesi, ovviamente) che Belle stessa proverà dei sentimenti contrastanti, cercando di essere forte e di non avere cedimenti fisici ed emotivi (come nella 04x06) e tenterà di oscurarlo dalla sua stessa memoria.

Kì.




   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: KikiWhiteFly