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Autore: _Wild_Heart    25/01/2015    1 recensioni
"La vibrazione insistente faceva tremare il cuscino sotto il quale aveva nascosto il suo telefono sperando che a nessun altro potesse giungere quel richiamo all’avventura. Sì, avventura, perché era di questo che si trattava infondo. Nessuna certezza e nessuna raccomandazione. Solo una promessa che sembrava provenire da un’altra vita."
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo cinque.
"Where did he go wrong?"

Judith aveva sperato che il secondo incontro con Tristan sarebbe avvenuto in circostanze migliori e sicuramente non dopo una specie di litigio. Era certa che rivederla avrebbe ferito ancora di più il ragazzo in quanto doveva crederla una persona senza cuore pronta a giocare con le vite degli altri visto quello che stava facendo a Connor. Ma Tristan non sapeva e non avrebbe dovuto scoprire perché lei fosse coinvolta. Judith aveva intuito perfettamente i ragionamenti del ragazzo, che però sperava di rivederla presto per sistemare il disastro che aveva combinato. Non gli era mai capitato di perdere il controllo con una ragazza. Non era mai stato un tipo calmo e non si era mai tirato indietro quando si trattava di litigi, ma mai avrebbe immaginato che si sarebbe comportato in quel modo con una sconosciuta. Non la riteneva veramente responsabile di quello che gli stava capitando, ma lei si era trovata nel posto sbagliato e al momento sbagliato, proprio quando lui aveva lasciato che tutte le sensazioni sgradevoli che stava provando gli crollassero addosso. Perciò quando Tristan vide la porta del casotto aprirsi di nuovo non si aspettava minimamente il ritorno della ragazza. Judith entrò timidamente togliendosi lo zaino dalle spalle e aprendolo in cerca di qualcosa. Sotto lo sguardo sbalordito e imbarazzato di Tristan prese un'altra busta.
«Ho dimenticato di darti la busta con i soldi. In fondo non è possibile che continuiate a pagarvi tutto da soli»
Tristan si avvicinò a lei e quando si trovarono faccia a faccia gli occhi arrossati di Judith lo colpirono come un pugno nello stomaco. Non poteva credere di averla spaventata a tal punto.
«Ti prego, dimmi che non hai pianto»
Judith lasciò cadere la busta e si girò per andarsene. Tristan deciso a non lasciala andare in un attimo l'afferrò per un braccio tirandola verso di sé.
«Hai intenzione di aggredirmi di nuovo? Lasciami subito»
La ragazza provò a staccarsi ancora, ma questa volta Tristan la tirò più forte fino a stringerla in un abbraccio. Una volta tra le braccia del ragazzo Judith non cercò più di liberarsi e come poco prima pianse. Pianse perché si sentiva stupida ad ammettere di essersi spaventata di fronte alla reazione di Tristan. Pianse perché le dispiaceva far parte di quella storia e pianse sopratutto perché sentiva che i suoi genitori avevano ragione nel considerarla una persona superficiale e avventata. Tristan ascoltava i singhiozzi di Judith senza sapere cosa fare. Per lui era una situazione completamente nuova. Non si era mai trovato a dover consolare qualcuno, tanto meno qualcuno che piangesse per colpa sua. Continuava a stringerla sperando che la sua stretta le facesse capire quanto si sentisse male al pensiero delle sue lacrime.
«Judith, va tutto bene?»
Judith mormorò qualcosa dall'incavo del collo di Tristan. Lui allora l'allontanò appena in modo da vedere il suo viso. Lei sostenne il suo sguardo cercando di riprendersi, ma le lacrime non smettevano proprio di inondarle gli occhi. Tristan, tenendole il volto, passò i pollici lì dove il trucco aveva lasciato delle striature nere sulle guance. Sarà stata la dolcezza di quel gesto o il fatto che entrambi fossero emotivamente instabili a fare in modo che i due annullassero lentamente la distanza tra di loro. Quando le labbra di Tristan si posarono su quelle di Judith, lei non si oppose. Ricambiare il bacio le era venuto spontaneo, così come incrociare le sue mani dietro la nuca di lui. Tristan sentì il sapore salato di lacrime e giurò a se stesso che non lo avrebbe più sentito sulle labbra di lei. La sua mente andò immediatamente all'ultima volta che aveva baciato una ragazza e il ricordo fu doloroso quasi quanto le lacrime di Judith. Cercò di non pensarci e di concentrarsi esclusivamente su quel momento, ma ormai era troppo tardi: l'immagine di Carol cercava di prendere il posto di Judith. Quel suo attimo di confusione fu interrotto dallo squillare del telefono della ragazza. Lei si staccò bruscamente per rispondere.
«Dimmi papà, cosa c'è ancora? Adesso ho un coprifuoco anche in vacanza?! Tranquillo sono già in camera»
Tristan per non origliare di nuovo aveva fatto un passo indietro, ma il suo piede si era impigliato in una matassa di fune. Prima di cadere si sorresse al muro imprecando, ricordandosi troppo tardi che l'uomo al di là della cornetta poteva sentirlo. Judith gli lanciò un'occhiata di disperazione portandosi una mano alla fronte.
«No papà era solo la mia compagna di stanza. Qui non c'è nessun ragazzo. Smettila di gridare! Adam non è neanche nella mia scuola! Come potrebbe essere qui con me?!»
Tristan capì di aver combinato un guaio e il padre di Judith continuava a dire che se avesse scoperto che era lì con un certo Adam l'avrebbe pagata cara.
«Papà devo andare adesso. Buonanotte»
Senza dare tempo a suo padre di controbattere Judith gettò il telefono nello zaino e si sedette in terra nascondendo il volto tra le mani. Tristan con una coraggio a lui sconosciuto le si sedette davanti e aspettò che lei parlasse ascoltando il rumore della pioggia . Passarono almeno due minuti, ma Judith sembrava essere in uno stato di meditazione. In realtà la ragazza stava cercando di trovare un nesso tra quello che era successo con Adam e il suo bacio con Tristan. Inoltre l'ennesima telefonata di suo padre l'aveva incupita ancora di più. Perché non poteva lasciare che fosse lei a biasimarsi per il suo errore? Era sicura che quel bacio fosse stato diverso da qualsiasi contatto avesse mai avuto con Adam, ma non riusciva a capire se fosse tutto semplicemente uno scherzo della sua mente romantica. Ormai avrebbe dovuto capire che gettarsi a capofitto in qualcosa non portava a nulla di buono.
«Judith hai freddo?»
La ragazza si accorse solo il quel momento di tremare e annuì quasi impercettibilmente. Allora Tristan si spostò sul pavimento mettendosi al suo fianco e poggiandole un braccio attorno alle spalle. Sperava soltanto che lei non fraintendesse quel gesto. Il fatto che si fossero baciati non equivaleva ad una dichiarazione d'amore, almeno per lui. A dir la verità ormai Tristan agiva d'impulso. Non gli era mai capitato in vita sua di essere così dolce con qualcuno e la cosa lo spaventava. Non poteva ricadere così presto nello stesso tranello. Sapeva che la cicatrice di Carol era ancora troppo fresca, ma per il momento non voleva pensare alla conseguenze dei suoi gesti.
«Vuoi raccontarmi quello che sta succedendo con tuo padre? Tanto abbiamo ancora un sacco di tempo, sta ancora piovendo»
Judith si scoprì il volto e sorrise. Magari sentire il parere di una persona esterna alla faccenda l'avrebbe aiutata a ragionare.
«Da dove devo cominciare?» disse ridendo nervosamente.
«Direi dall'inizio. Perché i tuoi ti trattano così male?»
«Ormai credo che ne abbiano tutto il diritto, anche se vorrei che smettessero»
«Cosa è successo?»
«Allora premettendo che sei la prima persona cui lo racconto e che spero che non mi considererai una pazza, sappi che ora ho imparato la lezione. Dunque, quattro anni fa conobbi un amico di mio fratello ad una festa a casa nostra. Diciamo che stavo già facendo una cosa vietata perché i miei non volevano che stessi in compagnia di ragazzi più grandi tutta la sera. Va bene, comunque quel ragazzo, Adam, era gentile e sembrava proprio uscito da una favola. Inutile dire che mi innamorai prima ancora che la serata finisse. Nel periodo successivo a quella serata cominciammo a frequentarci e in men che non si dica diventammo una coppia. Mi accorgo solo ora che lui non era innamorato come diceva di essere, ma nonostante tutto io ero pazza di lui. All'inizio dell'anno scorso lui cominciò ad essere distante, ma io attribuivo il suo comportamento a un miliardo di cause, insomma a tutto tranne al fatto che lui potesse essersi stancato di me. Un paio di mesi fa aveva deciso che sarebbe andato a stare per un po' da alcuni suoi parenti in un paesino vicino Londra. Dopo le prime due settimane lui smise di chiamarmi e di rispondere ai miei messaggi. Così decisi di andare a vedere quello che stava succedendo. Ecco, quello fu il mio errore più grande perché fui tanto stupida da non cogliere i segnali che mi stava mandando. Una mattina senza dire nulla ai miei presi un autobus e lo raggiunsi. Una volta mio fratello mi aveva raccontato delle vacanze passate dagli zii di Adam, quindi non fu difficile reperire l'indirizzo di casa loro. Arrivai a destinazione nel primo pomeriggio e andai immediatamente all'indirizzo che avevo trovato. Venne ad aprirmi una signora, sua zia, che mi disse che Adam sarebbe tornato da lì a breve. Io dissi di essere una sua amica e che lo avrei aspettato fuori. La cosa che mi lasciò sorpresa era che il mio nome non le fosse affatto familiare. Comunque, ancora cieca davanti all'evidenza, aspettai seduta alla panchina dall'altro lato della strada»
Judith aveva cominciato a raccontare con più esitazione e Tristan se ne rese conto.
«Non devi dirmelo per forza se non vuoi, ma credo di aver intuito qualcosa»
Judith si schiarì la gola e annuendo continuò a parlare.
«No, devo dirlo a qualcuno. Neanche mio fratello sa di questa storia. Allora poco dopo vidi Adam avvicinarsi alla casa, ma stringeva la mano di una ragazza. Avrà avuto più o meno la mia età ma attraverso la giacca aperta era ben visibile il pancione. Finalmente avevo capito perché Adam era così distante. Stava per diventare padre. Senza farmi vedere scappai verso la stazione dell'autobus per tornare a casa. Inutile dire che mi diedi della stupida e piansi per tutto il viaggio. Quella sera al rientro a casa trovai i miei genitori furibondi, che avevano impiegato pochissimo a capire che in tutta quella storia ci fosse di mezzo Adam. Dalla fuga di quel giorno mi trattano come una bambina, e in parte hanno anche ragione. Non avevo mai voluto dare retta ai miei che mi ritenevano avventata o a mio fratello che più volte aveva detto di non fidarsi di Adam. Quindi ecco come si è conclusa la mia patetica avventura»
Tristan stava cercando di metabolizzare tutto quello che aveva ascoltato, ma l'unica cosa che sentiva era la voglia infinita di picchiare quell'Adam, che chissà per quanto tempo aveva preso in giro Judith. Sapeva che parte della colpa era da attribuire alla ragazza che ora gli era accanto, ma non riusciva proprio a biasimarla vedendola lì stretta a lui. Evidentemente si era lasciata affascinare da quel ragazzo ed era cresciuta nell'errore senza mai accorgersene.
«Allora non hai nulla da dirmi?»
«Cosa ti aspetti che ti dica? Non avrei mai immaginato che potessi avere un rapporto così con i tuoi né tanto meno che avessi dovuto affrontare una cosa del genere»
«Lo so sono stata una stupida, ma per me l'importante era avere qualcuno vicino. Negli ultimi anni mio fratello si trasferito al college e i miei genitori si sono separati due anni fa. Devi capire che ritenessi Adam l'unico punto fermo della mia vita. Ma mi sbagliavo»
«Non sarò certo io a giudicarti visto i casini che ho combinato. L'unica cosa che posso dirti è che mi dispiace»
«Grazie. Dispiace anche a me, e mi dispiace anche che tu abbia dovuto ascoltare tutta questa storia»
«Non ti preoccupare, mi ha aiutato a capirti un po' meglio»
«Tranquillo avrai tutto il tempo per scoprire chi sono»
Tristan accolse quelle parole con un guizzo di gioia. L'elettrizzava l'idea di scoprire tutto su quella ragazza che poche ore prima non avrebbe degnato neanche di uno sguardo. Curioso di scoprire cosa li attendesse si ricordò finalmente della lettera che gli era stata consegnata. Si guardò intorno e la trovò appoggiata poco distante da lui.
«Judith credo che dovrei leggere la lettera»
«Lo credo anche io. Io non posso farlo. Mi è stato vietato»
«Va bene»
Tristan aprì la busta ormai rovinata dall'acqua e lesse utilizzando il cellulare per fare luce, visto che il casotto era illuminato solo dalla luce proveniente dalla porta aperta che dava sulla strada.


“Caro Tristan,
so che molto probabilmente ti starai chiedendo cosa succede, ma non preoccuparti. Sappi soltanto che la ragione non ti sarà affatto utile in questo viaggio. Come i tuoi amici, stai per arrivare ad un punto di svolta e il mio unico obiettivo è che voi non commettiate più gli stessi errori. So che non ti fidi di me, e che anzi ormai non ti fidi più di nessuno, ma credo che dovresti cominciare a farlo. Smettila di chiuderti in te stesso per paura di farti male. Al mondo non esistono soltanto persone come Carol. Ti prego di trasmettere un po' della tua diffidenza a chi ne ha bisogno e di imparare dagli altri il significato della cieca fiducia. Io e Connor vi stiamo aspettando con impazienza.
Con affetto,
B.P.”

Tristan ripiegò il foglio scioccato. Chiunque fosse quel B.P. sapeva di Carol. Lo aveva detto soltanto ai suoi amici e B.P. avrebbe potuto scoprirlo soltanto parlando con uno di loro o con Carol stessa. Judith lo osservava torcendosi le mani che aveva poggiate in grembo. Tristan si chiedeva se fosse lei la persona cui doveva insegnare ad essere diffidente e se lui dovesse imparare da lei a fidarsi del prossimo. Almeno il suo intuito lo aveva portato a quelle conclusioni. Inoltre aveva scoperto che Connor era a conoscenza di tutto quello che stava succedendo e quello gli bastava, anche se sapeva che la necessità di scoprire chi fosse B.P: lo avrebbe torturato da lì in poi. Doveva avvisare i suoi amici il prima possibile. Però forse sarebbe stato meglio aspettare direttamente il mattino successivo e lasciarli dormire, visto che dovevano essere stanchi quanto lui. Brad sembrava abbastanza tranquillo, ma era certo che i problemi di insonnia di James si fossero amplificati in quei giorni. Meritavano tutti un po' di riposo e inoltre dovette ammettere che voleva passare ancora un po' di tempo con Judith.
«Judith, posso accompagnarti dovunque tu stia alloggiando?»
«Quanto conosci Parigi?»
«Diciamo poco e niente»
«Allora facciamo così, potremmo usare il mio telefono. Ho un fantastico GPS»
Judith digitò il nome dell'albergo e della via e Tristan realizzò in un attimo che si trattava dello stesso posto dove lui e i suoi amici stavano alloggiando.
«Non posso crederci,avremmo potuto incontrarci nel corridoio dell'albergo invece di arrivare fino a qui!»
«Tris però devi ammettere che non sarebbe stato così romantico!»
Tristan rise e si avviarono fuori felici del fatto che avesse ormai smesso di piovere. Per tutta la strada di ritorno Tristan, nonostante cercassero di fare conversazione, non fece altro che pensare che amava il fatto che Judith lo avesse chiamato Tris. Si complimentò con se stesso constatando che il suo lato razionale stava piano piano eclissandosi. B.P. ne sarebbe stato felice.

James si svegliò di soprassalto e con i capelli appiccicati sulla fronte e sul collo per il sudore. Le candele erano consumate e il televisore era blu. Nella stanza aleggiava un forte odore di carta bruciata e di pelle accaldata e James si sentì quasi svenire per l'aria viziata. Cercò di tirarsi su a sedere, ma il collo gli faceva troppo male e la testa gli girava troppo; quando si passò una mano sulla nuca per asciugarsi le gocce di sudore, sentì le vertebre scricchiolare e una fitta di dolore trapassargli i muscoli. Strizzò gli occhi e mugolò qualcosa, quando si accorse del peso che gli bloccava le gambe. Abbassando lo sguardo si rese conto che sulle sue cosce era appoggiata la testa di Echo; i suoi capelli scuri erano sparsi sulla tuta di James, i suoi occhi erano chiusi e la sua bocca era leggermente dischiusa e da essa uscivano dei piccoli sbuffi caldi. James sorrise teneramente e accarezzò una ciocca di capelli. Guardò l'orologio appeso al muro e si rese conto che erano appena passate le tre del mattino e, stando ai suoi calcoli, era riuscito a dormire sì e no quattro ore. Era uno dei suoi record migliori. James non ricordava quando aveva iniziato a soffrire d'insonnia, ma sapeva di sicuro che da quando era partito quel problema era notevolmente peggiorato. Come tutte le volte si rese conto che aveva bisogno di trovare qualcosa da fare se avesse voluto che il tempo passasse in fretta. Sollevò lentamente la testa di Echo e la appoggiò su un cuscino; la ragazza farfugliò qualcosa di incomprensibile e incastrò una mano sotto la guancia, riempiendosi il viso di capelli scurissimi. La luce blu del televisore proiettava sul suo viso delle ombre spettrali, ma a James piaceva lo stesso.
Forse vederla in quel modo, indifesa e inconsapevole che lui la stesse fissando, gliela fece vedere sotto una luce diversa. James provò all'improvviso un senso di tenerezza nei suoi confronti, poi si ricordò immediatamente del bacio che si erano scambiati la sera precedente e della mano di Echo che gli accarezzava la nuca. Un brivido gli percorse la spina dorsale e lo costrinse a risvegliarsi dai suoi stessi pensieri. Era rimasto a pensarci su decisamente troppo. Si liberò della coperta che gli si era attorcigliata intorno ai piedi e si alzò dal divano che emise un fastidioso scricchiolio.
Sul pavimento era appallottolato l’asciugamano rosa di Echo che in precedenza le aveva asciugato i capelli.
Dopo averlo erroneamente calpestato, James lo raccolse e lo piegò con cura sistemandolo sulla poltrona ai piedi del letto. Prima che potesse cambiare idea, si ritrovò a sistemare tutto ciò che era in giro nella stanza. Non riusciva a capacitarsi di come quella ragazza avesse fatto a creare così tanto disordine in così poco tempo. Neanche Brad, Tristan e Connor ci sarebbero riusciti in un mese di convivenza. O forse sì. Scosse la testa e piegò anche l'ultima maglietta riponendola sulla poltrona, quando tra le mani gli capitò un vecchio taccuino rilegato in pelle marrone. Il taccuino di Echo. James deglutì rumorosamente e ricontrollò che la ragazza fosse ancora addormentata prima di sedersi sul bordo del letto ed appoggiare il quaderno sulle ginocchia. Piccole gocce di sudore gli imperlavano la fronte scoperta. Accese la lampada sul comodino, aprì la prima pagina e lesse con attenzione; fu felice di riconoscere che la calligrafia era la stessa della lettera che aveva letto qualche giorno prima. Improvvisamente gli sembrò che fossero passati secoli da quel momento. La prima pagina era stata scritta il 17 febbraio dell'anno prima: in quella giornata Echo aveva conosciuto per la prima volta l'attuale ragazza del suo amico Simon, ma non le era piaciuta dal primo momento perché la considerava troppo... stupida. Ammetteva anche che forse quel giudizio affrettato era dettato dalla gelosia. Qualche giorno dopo la sua giornata scolastica era andata a meraviglia e i suoi genitori promettevano di regalarle un viaggio in Italia dopo il diploma. Quando James arrivò al 13 di qualche mese prima, rimase a leggere attentamente quella pagina piena di odio e frustrazione, in cui Echo raccontava di come avesse scoperto che sua madre aveva un altro uomo, ma che suo padre non ne era a conoscenza; di come fosse stata tentata di confessare tutto, ma di come sua madre glielo avesse impedito; ed infine di come avesse deciso di lasciare casa con la scusa degli studi. James si sentì ancora più confuso di prima soprattutto perché non sospettava affatto che Echo potesse avere quel genere di problemi. Pensò che molto probabilmente era solo troppo brava a nascondere le emozioni. In quelle pagine si parlava molto di Simon e di suo padre. Il primo era un ragazzo sveglio e dolce e conosceva Echo da quando i due erano bambini. La ragazza sembrava volergli molto bene. Suo padre sembrava quel genere di persona che conta di più sulle ambizioni dei propri figli che sulle proprie; James pensò che non aveva mai avuto un genitore del genere. James trovò il ritratto di un ragazzo riccio ed occhialuto e pensò che molto probabilmente si trattasse del disegno che aveva intravisto sul treno e che quello potesse essere il migliore amico di Echo. In ogni modo nulla, in quel taccuino, sembrava fare riferimento ad un certo Connor. Con estremo rammarico, James girò nuovamente pagina e lesse la data in alto a destra: si trattava di qualche giorno precedente alla loro partenza. Sapeva che in qualche modo si era spinto abbastanza oltre e che probabilmente avrebbe dovuto chiudere il diario in quell'esatto istante, ma qualcosa lo spinse a leggere ancora. La pagina parlava di un certo Benjamin e di come quel giorno le avesse parlato di un'interessante avventura in giro per l'Europa. James capì che si trattava del viaggio nel quale anche lui si era ritrovato, ma aveva iniziato a chiedersi fin dove si sarebbero spinti. Sapeva che in qualche modo avrebbe saputo qualcosa di più su Connor e su questo Benjamin, ma prima che potesse leggere una parola di più, il suo cellulare prese a diffondere una suoneria tanto orribile quanto rumorosa, facendogli scivolare il taccuino di mano per lo spavento. Ma chi aveva avuto l'idea di scegliere quella canzone? Di sicuro non lui. Prese il telefono e lesse il nome di Brad sullo schermo. Guardò di nuovo il divano e vide che Echo stava ancora dormendo, quindi si tranquillizzò. Era sicuro che Brad gli avrebbe fatto una ramanzina lunga delle ore, ragion per cui nel momento esatto in cui la chiamata partì e l'amico gridò il suo nome, James rispose con un deciso «sto arrivando!» e chiuse la chiamata.

Brad sorpassò la porta dell'ascensore senza neanche degnarla di uno sguardo. Aveva sempre odiato quegli aggeggi e il fatto di non avere i piedi poggiati su qualcosa di saldo e immobile. Forse dipendeva anche dalla sua paura delle altezze. Comunque si era alzato di buon mattino e gli ospiti dell'albergo dovevano essere ancora tutti profondamente addormentati. Il pavimento del corridoio era coperto da una moquette grigia e poco spessa e l'abbinamento con le pareti giallo limone faceva l'effetto di un cazzotto in un occhio. La porta che dava sulla tromba delle scale era pesante e nel momento in cui Brad la aprì, essa cigolò emettendo un fischio inquietante. Un brivido gli corse lungo la spina dorsale e Brad infilò le mani nella felpa fresca di bucato che indossava. Quella mattina aveva trovato l'indumento piegato e poggiato sopra il portasciugamani. Su di esso vi era un post it di James che ricordava a Brad di indossare la felpa perché nonostante fosse estate non si poteva paragonare il clima di Parigi a quello di Roma. Brad sorrise tra sé e scese di corsa le tre rampe di scale che lo separavano dal piano terra e quindi dal meraviglioso ristorante in cui non vedeva l'ora di fare colazione. Brad adorava fare colazione. Gli piaceva talmente tanto sedersi davanti ad una tazza di latte o di caffè e mangiare cereali, biscotti o brioches che molto spesso si trovava a fare colazione ben due volte. Tristan diceva che quell'abitudine dell'amico fosse la conferma del suo essere uno hobbit. Conoscevano il film del Signore degli Anelli a memoria e da quando lo avevano visto la prima volta Tristan aveva associato Brad ad uno di quei piccoli personaggi. Lo stomaco di Brad riusciva a brontolare anche di prima mattina. La hall dell'albergo era deserta tranne per il gentile ragazzo francese che si occupava di distribuire le chiavi agli ospiti. Quest'ultimo da dietro la sua frangia di capelli neri gli rivolse un sorriso che arrivava fino agli occhi azzurri e tondi. Nonostante la sua avversione per la Francia, condivisa anche da Connor, quel tipo gli andava veramente a genio. Brad sfilò la mano destra dalla tasca e lo salutò. Ora che tutti i convenevoli erano stati fatti poté entrare nel ristorante. Andò immediatamente verso il fondo dove si trovavano i vari tavoli del buffet. Con un attimo calcolò quanto cibo potesse prendere visto che avrebbe dovuto portarlo agilmente fino ad un tavolo qualsiasi. Mentre ragionava si era già riempito le mani con un bicchiere di succo e un'omelette al formaggio. Spostava lo sguardo nella sala per trovare un tavolo di suo gradimento quando notò che nell'angolo più remoto della stanza dietro una colonna era seduta una ragazza. Impiegò meno di un istante per riconoscerla. Con passo furtivo pronto a farle prendere uno spavento si avvicinò al tavolo dove era seduta Lucinda. Brad pensò che si fosse scelta proprio il tavolo più nascosto possibile. Il suo avvicinamento furtivo fu però rovinato quando colpì con il piede una sedia quasi inciampando. Allora Lucinda alzò gli occhi dalla sua tazza di cereali, ma appena si accorse di Brad tornò a mangiare cercando di finire in fretta, evidentemente per poter scappare. Brad però non avrebbe ceduto molto facilmente. Si sedette davanti a lei senza neanche chiedere il permesso.
«Buongiorno! Dormito bene?»
Lucinda sbuffò e non rispose portando alla bocca un altro cucchiaio colmo di cereali al cioccolato. «Va bene non hai voglia di parlare con me. Vedo che stai facendo una classica colazione, invece io morivo dalla voglia di mangiare qualcosa di particolare, ma non spiccicando una parola di francese non sono riuscito a capire le targhette attaccate vicino alle pietanze, così mi sono accontentato di un'omelette al formaggio, che tra l'altro mangio molto spesso anche a casa. Ti avviso più eviterai di parlare con me e più io diventerò logorroico. Potrei parlare per ore senza mai stancarmi. Da bambino quando rimanevo da solo in casa cominciavo a parlare perfino con in mobili. Perciò adesso dovrai sorbirti il racconto della mia fantastica serata, a meno che tu non mi dica almeno come stai»
Lucinda non rispose neanche questa volta, ma era troppo occupata a reprimere un sentimento indesiderato. Doveva ammettere che sentire le chiacchiere senza senso di quel ragazzo la metteva di buon umore. Era la prima volta che le capitava di apprezzare completamente la compagnia di qualcuno. Invece di lasciarsi andare al suo buonumore si limitò a scuotere il capo. Non poteva permettere che Brad sapesse che lo trovava divertente, altrimenti non l'avrebbe più lasciata in pace. Brad d'altro canto aveva capito di aver iniziato a fare breccia nella facciata di perenne tristezza di Lucinda, e perciò continuò imperterrito.
«Va bene. Allora ieri sera dopo una giornata segnata da eventi da matti, come del resto le giornate precedenti, avevo voglia di fare qualcosa per distrarmi e non pensare di essere a Parigi per una caccia all'uomo. Di solito quello che si preoccupa è James, ma visto che stiamo parlando del piccolo Connor, anche uno scoiattolo capirebbe che c'è bisogno di essere in ansia. Comunque lasciando da parte ciò, avrei voluto, non so, andare a fare un giro per il quartiere, o magari andare a cena fuori. Insomma qualsiasi cosa. Ma la questione è che avevo bisogno di qualcuno che venisse all'avventura con me. Tralasciamo anche che James fosse sparito e che Tris si stesse occupando del messaggio misterioso, volevo conoscere meglio una certa ragazza che tra l'altro aveva dormito sulla mia spalla senza neanche prima presentarsi. Insomma converrai con me che questa ragazza fosse in debito con me, giusto? Invece no. Lei mi liquida con una semplice scusa dicendo di essere stanca. Certo come se la notte non fosse abbastanza lunga per fare entrambe le cose. Allora cosa ha da dire questa ragazza a sua discolpa?»
Lucinda ormai non riusciva più a trattenersi e si abbandonò ad una risata. Brad sentì un tuffo al cuore quando sentì quel suono così buffo. Oltretutto non l'aveva mai sentita ridere. “Tu hai bisogno di Lucinda almeno quanto lei ha bisogno di te. Lei ha molto da insegnarti.” Quelle parole continuavano a risuonargli nella mente. In qualche modo lui aveva capito che Lucinda aveva bisogno del suo aiuto. Nonostante volesse apparire forte e intaccabile, Lucinda doveva nascondere qualcosa. Ma Brad continuava a non capire quale sarebbe stato il ruolo di quella ragazza nella sua vita. Aveva appurato che innanzitutto avrebbe dovuto cercare di conoscerla.
«Temevo che mi avresti lasciato a farneticare tutta la mattina»
«A tutto c'è un limite, e poi avresti finito con lo svegliare tutto l'albergo, e a me piace la tranquillità»
«Io la trovo così noiosa, non c'è nessuno da osservare o con cui parlare, ma fortunatamente ho trovato qualcuno che è veramente di compagnia. Parlare con te è come parlare con un albero»
«Scusami, ma non sono un tipo molto loquace»
«Me ne sono reso conto, ma ti perdono. In fondo parlare con gli sconosciuti non è raccomandato»
«E allora perché tu lo fai?»
«Perché io non ho bisogno di raccomandazioni. Poi dal momento che si conosce il nome di una persona quest'ultima assume un'identità precisa e perciò non la si può considerare più una sconosciuta. Poi ti ripeto che ormai io te non siamo semplicemente due estranei seduti ad un tavolo. Io so molte cose di te»
«Per esempio?»
Brad si portò un mano al mento e solo in quel momento notò che il suo piatto era ancora pieno. Incredibile. Parlare con Lucinda gli aveva fatto dimenticare della sua colazione.
«Allora prima di tutto ho bisogno di zuccheri, tu intanto crogiolati nel attesa di ascoltare le mie grandi scoperte sulla vera identità di Lucinda...»
«Darwin»
«Sulla vera identità della misteriosa Lucinda Darwin»

Erano passati esattamente quarantaquattro minuti da quando Lucinda aveva messo piede nella doccia, quando decise che era stata a mollo per troppo tempo e che le dita le si erano raggrinzite abbastanza. Uscì dalla vasca e si avvolse in un asciugamano pulito; la cosa che amava più di qualunque altra era avvolgersi in un asciugamano fresco e pulito e profumare di agrumi. Sfortunatamente, però, la stoffa le lasciava scoperta troppa pelle per i suoi gusti. Si diresse allo specchio e si frizionò per qualche minuto i capelli con un nuovo asciugamano. Ora i capelli lunghi e scuri le ricadevano sulle spalle e si incollavano a grosse ciocche sulla pelle umida. Lucinda odiava quella sensazione. Osservava il proprio riflesso allo specchio, quando sentì un rumore sinistro provenire dalla stanza da letto. In un primo momento l'abitudine la portò a credere che si trattasse del suo cane Nig, ma subito dopo fu costretta a ricredersi appena si accorse che non si trovava a casa sua. Quindi deglutì. Sua madre l'aveva sempre rimproverata perché guardava troppi film dell'orrore, infatti Lucinda non poté evitare di credere che si trattasse di un aggressore. Si rese conto che in ogni caso non avrebbe potuto difendersi con nulla. Decise, allora, che avrebbe preso coraggio e sarebbe andata alla scoperta di cosa si celava nella sua stanza da letto. Magari era solo il vento che faceva sbattere un ramo contro la finestra. Aprì lentamente la porta che divideva il bagno dalla stanza da letto e una nube di vapore si allargò intorno a lei tanto da farla sembrare una scena da film. Lucinda oltrepassò quella nube ed entrò nella stanza, dove un silenzio tombale la fece rabbrividire. Il sole era quasi interamente coperto dalle nube, ragion per cui la stanza era illuminata da una luce spettrale. Lucinda avanzò prendendo la lampada sul comò che affiancava la porta: in quel modo avrebbe almeno potuto lanciarla in testa all'ipotetico aggressore. Deglutì appena e fece un altro passo quando sentì un rumore provenire dalla parte opposta del letto; le gambe le tremavano mentre avanzava in quella direzione. Si voltò oltre la sponda appena in tempo per vedere la figura di un ragazzo accovacciata sotto al letto. D'istinto, Lucinda scagliò la lampada che aveva in mano contro la figura sconosciuta nell'esatto momento in cui una testa riccioluta riaffiorava dal letto. Brad evitò per un pelo il soprammobile che andò a finire contro il muro con un tonfo ed infine rotolò sul pavimento.
«Ma sei impazzita?!» gridò Brad guardando la lampada rotolare sulla moquette.
Lucinda - che nel frattempo ansimava per il terrore con una mano sul petto - si tirò i capelli indietro ed espirò.
«Scusa, io... pensavo che fossi un criminale o che so io!»
Brad si lasciò sfuggire una risata. Il fatto era che avere Lucinda lì davanti con un asciugamano addosso, i capelli sgocciolanti d'acqua e uno sguardo terrorizzato lo divertiva alquanto. Ma Brad si fece subito serio osservando lo strano cipiglio di rimprovero sulla fronte.
«Un momento! Come sei entrato qui dentro?» gridò indignata incrociando le braccia al petto.
Improvvisamente si sentì estremamente nuda e di certo Lucinda non era abituata a mostrarsi in quello stato davanti a degli sconosciuti. Insomma, quasi. Brad deglutì rumorosamente; si sentiva la gola avvolta da uno strato di carta vetrata. Lucinda era di certo la ragazza più difficile con la quale avesse mai trattato.
«Beh, in realtà la storia è molto semplice... niente di clandestino - iniziò; Lucinda roteò gli occhi infastidita da tutta quella parlantina - la cameriera usciva e io sono entrato»
In effetti Lucinda notò che sul tavolinetto lì accanto campeggiava un vassoio di vivande e che il suo letto era stato ricoperto accuratamente. Strano, ma non si era accorta di nulla. Istintivamente si rilassò e andò a sedersi sul bordo del letto. Brad la seguì.
«C'è un motivo per cui sei qui? - domandò Lucinda - ti serve qualcosa?»
Brad strofinò le mani sui jeans per asciugarle dal sudore. Era così nervoso che piccole goccioline iniziavano a fargli incollare i capelli al collo. Lucinda sorrise per la tenerezza, ma tornò immediatamente seria. Brad non si accorse di nulla.
«Volevo parlarti di una cosa» sputò infine.
Lucinda fu percorsa da un brivido: quando la gente usava quel tono con lei non c'era mai nulla di buono. Con un gesto del capo lo spronò a continuare, ma Brad sembrava non trovare le parole per farlo; poi inspirò e continuò: «senti, io non so perché sei qui né se tu lo voglia o meno, ma dev'esserci un motivo se ti ho incontrata su quel treno e se ti sto sempre tra i piedi»
Lucinda aggrottò le sopracciglia.
«Cosa cerchi di dirmi, Brad?»
«Quello che cerco di dirti, Lucinda, è che ignorarci in questo modo non ci servirà a nulla»
Nel momento in cui Brad disse l'ultima parola, entrambi sospirarono e distolsero lo sguardo l'uno dall'altra. Lucina guardava i suoi piedi; Brad guardava fuori dalla finestra. Poi Lucinda, per la prima volta da quando aveva conosciuto Brad, reagì.
«Cosa pensi di fare, allora?» domandò.
Brad la guardò in faccia, ma non notò nessun velo di irritazione a differenza da come invece traspariva dalla sua voce. Gli occhi vitrei di Lucinda erano sempre seri e fissi su di lui. Deglutì di nuovo.
«Perché pensi che si tratti sempre e solo di me?» sbraitò Brad. Non sapeva esattamente cosa stesse dicendo e perché lo stesse facendo, ma in quel momento la sua voce aveva notevolmente alzato il tono. Lucinda indietreggiò, mentre Brad si alzava dal letto.
«Scusa tanto se cerco di trovare una soluzione!» gridò in risposta. Quando si alzò era poco più bassa di Brad e riusciva a guardarlo bene negli occhi con tanta intensità che avrebbe voluto schiaffeggiarlo con la mente.
«Lo vedi?! Fai sempre così!» Brad non voleva assolutamente essere scortese, ma non riuscire ad ottenere un contatto reale con Lucinda lo faceva imbestialire. In tutta quella storia c'era dentro quanto lei. Aveva anche lui diritto ad essere arrabbiato.
«Si può sapere cosa vuoi da me? Entri nella mia stanza come se fosse la tua e per di più mi fai anche la morale? Mi spieghi cosa...» Lucinda non fece in tempo a finire la frase perché Brad le si era avvicinato tanto velocemente da averla intrappolata contro il muro. Sentiva la carta da parati ruvida contro le spalle nude ed odiava quella sensazione. Ma non ci fece nemmeno caso perché Brad la guardava negli occhi come si guarda qualcosa che si ha paura di rompere. Lucinda era estremamente confusa. Riusciva soltanto a pensare che da quella distanza sentiva il suo respiro e il suo profumo; e Brad aveva un profumo buonissimo. Tutti quei pensieri si formularono nella sua mente in pochi secondi, giusto il tempo che servì a Brad per accostare le proprie labbra alle sue. Lucinda si perse in quel bacio. Sapeva di estate e di Brad. Per qualche strano motivo era proprio così che si era immaginata quel sapore. Chiuse gli occhi e dischiuse le labbra; quelle di Brad erano così calde e morbide che Lucinda si sentì confortata. Infilò una mano dalle dita affusolate nei suoi capelli e gli accarezzò i ricci. Era proprio come se li era immaginati. Tutto era come se l'era immaginato. Brad, dal canto suo, sembrava non essere più se stesso in quel momento. Quell'atmosfera l'aveva talmente catturato che non si rese conto che la stesse effettivamente baciando, né di come fosse riuscito a farlo. La sua mano scivolò dietro la nuca di Lucinda per attirarla maggiormente a sé, ma quando lo fece qualcosa sembrò spezzarsi in lei. Si allontanò bruscamente da Brad spingendolo via con le braccia esili. I suoi occhi erano un misto di desiderio, paura, pentimento e felicità. Brad li osservò a lungo senza trovare una risposta valida. Lucinda si accarezzava le labbra umide dove fino a qualche momento prima era appoggiate quelle di Brad. La fine di quel bacio le aveva lasciato una sensazione di fastidio all'altezza dello stomaco; si sentiva le viscere aggrovigliate in uno stretto nodo. Guardò fuori dalla finestra le nuvole muoversi nel cielo e rifletté un attimo.
«Brad» sussurrò subito dopo. E il suo nome pronunciato da lei aveva tutto un altro suono, per Brad. Lucinda gli sembrava così diversa che anche quando la guardava negli occhi non vedeva più quella scintilla.
«Va' via»
Il ragazzo indietreggiò. Aspettava di sentire qualsiasi cosa; tutto, ma non quello. Aveva forse sbagliato qualcosa? Forse era un pessimo baciatore. Eppure la sua ex fidanzata delle scuole medie gli aveva più volte fatto i complimenti. Scosse la testa e decise di non pensarci.
«Lucinda, cosa...»
«Brad, per favore, va' via», la sua voce era inevitabilmente più cupa e severa di prima. Brad indietreggiò ancora; aveva capito che quell'espressione e quel tono di voce dovevano trasmettere tutta l'intransigenza di Lucinda in quel momento: non avrebbe accettato obbiezioni. Il ragazzo sospirò e si passò una mano tra i capelli, poi si voltò e camminò verso la porta. Si fermò un attimo sul ciglio e si voltò a guardare Lucinda che se ne stava appoggiata al muro con sguardo perso. Brad la osservò per qualche secondo e poi si chiuse la porta alle spalle.

Note delle autrici:
oh mio Dio, scusateci tanto per la colossale attesaa!!!!! Una di noi (una a caso) ha impiegato anni per scrivere l'ultima parte e.... Ok, comunque... Questo penso che sia uno dei capitoli più smielati che abbiamo mai scritto e so che magari potrà farvi venire il diabete, ma era necessario.
Speriamo comunque che vi piaccia!
A presto :)
  
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