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Autore: BlackPaperMoon    25/01/2015    4 recensioni
Introspezione di Maka Albarn in uno dei suoi momenti di disperazione. Quando la giovane meister dai sottili codini rimane sola tra le mura domestiche, la sua mente comincia a giocarle brutti scherzi. La testa parte e va in giro, i suoi pensieri la sbranano. E quel senso di colpa e la consapevolezza di non essere mai abbastanza tornano a tormentarla all'improvviso, insieme a tutti i sentimenti negativi che prova.
-Lieve accenno SoMa.-
-Si consiglia di accompagnare la lettura con "Scivoli di nuovo" di Tiziano Ferro, da cui ho preso ispirazione per scrivere questo brano.-
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maka Albarn | Coppie: Soul/Maka
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Silenzio. Un impetuoso, imminente e assordante silenzio. Figlio di un senso di colpa primitivo, mai morto, rinato dalla stessa solitudine in cui mi trovo immersa in questo momento ove i rumori giacciono unicamente dentro il mio subconscio. Quel dolore incarnato nell’odio, piano piano si interseca ancora dentro di me, unendosi alle mie membra. L’unica cosa che mi è concesso di vedere sono le punte bionde appena percettibili dei miei sottili codini. Respiro a fatica e già sento l’ansia divenire parte di me. Concedimi di resistere ancora qualche minuto, prima di crollare. Desidererei essere più forte per sostenere il dolore di entrambi, per farmi carico delle tue ferite, ignorerei le mie e tutto ciò che mi riguarda per essere degna di te. Riversato addosso come una doccia d’acqua fredda, questo silenzio mi comprende. Lo sento frugare con la sua mano invisibile nel più profondo della mia anima, alla ricerca del più oscuro dei segreti. Come un bambino che cerca i suoi balocchi nella cesta dei giocattoli tirandoli fuori alla rinfusa uno ad uno, al medesimo modo tutto questo rovistare riporta alla luce sentimenti assopiti, rendendoli vividi e palpabili sulla mia pelle. Si drizzano come le orecchie dei curiosi i peli dell’avambraccio, e quella scossa leggera che fa nascere un brivido profondo lungo la mia schiena mi fa comprendere che è arrivato il momento di impiegare le mie forse in qualcosa che mi faccia tralasciare i pensieri scomodi, i ricordi vaghi ma presenti e dolenti. Da quando rimanere da sola è diventata una tale sofferenza? Io che con la solitudine andavo a braccetto, facendo scattare nel silenzio più assoluto le mie iridi tra una frase e l’altra del manoscritto, accompagnando il tutto con profonde riflessioni e cullandomi nella dolce illusione di pensieri acuti e forse un po’ troppo contorti. E ora, schiava della mia stessa mente, mi ritrovo chiedermi perché mai non ti ho seguito fuori da queste mura che pian piano mi paiono restringersi e pressare il mio esile corpo, levandomi il fiato. L’ansia mi schiaccia, come la consapevolezza di non essere mai abbastanza. Adagio, mi alzo dal mio posto, da quel tavolo sulla cui superficie avevo posato moggiamente la mia fronte, circondata dalle braccia per difendermi da un mostro inesistente. Afferro lo spazzolone che fino a poco tempo prima era adagiato sulla parete, abbandonato a se stesso, e lo stringo con vigore tra le mani come se volessi strozzarlo, riversando su di lui le mie difficoltà respiratorie. Preparo con fin troppa cura il secchio dell’acqua, la scelgo bollente quasi volessi scottarmi di proposito, svegliarmi da quest’incubo, perché solo tale può essere. E dopo le abituali operazioni, fisso il pavimento come se su di esso fosse incisa non la macchia dello sporco, ma quella del peccato, di una colpa da lavare via. Ironia della sorte che l’oggetto che possa levare i peccati sia proprio ciò che un tempo per me ha rappresentato un dolore atroce. Dolore che avevo a fatica represso, ma che purtroppo di tanto in tanto torna a galla. Non l’ho sconfitto, fingo solo che non ci sia, ignorando la sua presenza, confinandolo in un angolo senza dargli troppa importanza, troppo potere. Ma quando mi trovo ad essere emotivamente instabile, è lui ad approfittare di me. Infligge violenza carnale, questo continuo lacerare il mio cuore. Fino a quanto potrò reggere da sola? Queste gambe sottili ed esili, tempestate di cicatrici, sono abbastanza forti? Mi sento una coperta vecchia che viene rattoppata continuamente, non posso dire sia una sensazione gradevole. Come non lo è bagnare il pavimento col sudore e le lacrime di disperazione, una volta accortami che sto maneggiando quell'oggetto con fin troppa forza. Non resisto all'irrefrenabile voglia di farlo roteare, le gocce partono dalle frange inzuppate e si schiantano contro il vetro della finestra, l’aria si fende e fischia fastidiosamente. Ma mi scappa dalle mani nel momento stesso in cui quelle frasi tornano vivide nei miei pensieri, crude, aspre, amare, quelle voci fastidiose che mi fanno sanguinare orecchie e cuore. E senza rendermene conto già sto ridendo sguaiatamente in preda alla disperazione, fissando quell'oggetto sfuggito alle mie mani di burro, senza sapere più con certezza se quel rumore sordo è stato causato dal suo sbattere contro il pavimento o dal mio cuore orma in brandelli, dalle mie possibilità e speranze infrante come cocci di vetro. E il freddo e bagnato pavimento sfiora la pelle delle mie gambe nude, inginocchiata di fronte allo specchio mi accorgo all'improvviso di non essere sola. 
La fisso, è strana.
Scoppia a ridere e un attimo dopo esplode di dolore.
Crolla in silenzio, si isola, si chiude dentro se stessa con quegli occhi fragili, spenti e lo sguardo perso nel vuoto. 
Muore dentro e non chiede mai aiuto.
Mi avvicino, non posso toccarla.
È dentro lo specchio.
  
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