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Autore: emotjon    26/01/2015    16 recensioni
Heidi, 20 anni. Zayn, 22 anni.
Lei, cieca. Lui, grande osservatore.
Lei gli insegnerà ad ascoltare.
Lui le insegnerà a vedere.
E insieme impareranno ad amare.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti, Zayn Malik
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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32.



Aurora.

«E Nathan che fine ha fatto?».
La voce un po’ squillante di Kenneth – mio fratello minore – mi da la forza di incrociare di nuovo lo sguardo troppo simile al mio della donna che ci ha raccontato tutta la storia, distogliendolo quindi dall’enorme album di foto dalla vecchia copertina di pelle che tengo aperto sulle ginocchia. Ken ha posto a nostra nonna proprio la domanda che avrei voluto farle io, una volta assimilata tutta quella marea di informazioni della quale ci ha caricato, un po’ per noia e un po’ per curiosità.
Mi scappa un sorriso, mentre scompiglio i capelli neri di quella peste che ho per fratello, facendolo sbuffare e facendo quasi inspiegabilmente ridere la signora anziana seduta su quella sedia a dondolo di vimini che potrebbe benissimo avere la sua età, senza problemi. Io sorrido per il suo sguardo ancora così celeste da far impallidire chiunque e lei ride per il mio gesto, per lo sbuffo di mio fratello, per il ricordo che ha lei di quel gesto, di quella reazione.
E Kenneth inizia a spazientirsi, vuole una risposta, vuole che qualcuno colmi quella curiosità perché, insomma, che fine ha fatto Nathan? Lo osservo qualche istante, trovando piuttosto imbarazzante la somiglianza con le vecchie fotografie di nostro nonno; gli stessi capelli neri, lo stesso odio nei confronti di chiunque quando glieli si scompiglia, lo stesso naso, le stesse orecchie piccole e gli stessi – identici – occhi un po’ castani e un po’ no. Mi mordo un labbro, passandomi poi una mano tra i capelli che sono l’opposto di quelli di mio fratello e aspettando con lui una risposta che non tarda molto ad arrivare.
Una decina di secondi, e posso vedere le labbra circondate di piccole rughe di nostra nonna stirarsi nell’ombra di un sorriso forse un po’ triste, mentre con le dita prende a giocare con la punta della lunga treccia di capelli bianchi che le arriva in vita. «Nathan ha imparato a farsi imparare da Ariel, quando tutti si aspettavano che facesse qualche sciocchezza delle sue e rovinasse tutto di nuovo… sono persino venuti al mio matrimonio col nonno. Ci deve essere nelle foto, Rori».
Torno indietro di parecchie pagine, fermandosi sulla figura di una giovane donna dai corti capelli biondo chiaro in abito da sposa, sorridente e mano nella mano con due ragazze della stessa età, somiglianti alla lontana, una coi capelli rosso porpora e gli occhi castani e l’altra coi capelli tinti di nero e gli occhi grigi ma che nelle foto sembrano azzurri. Charlotte e Ariel, amicizie inaspettate ma mai più abbandonate una volta instaurate.
Sposto lo sguardo sulla foto accanto, in cui il sorriso di Ariel nello stesso corto abito blu della foto precedente si riflette nel sorriso dell’uomo che le posa dolcemente un bacio sulla tempia, rischiando di rovinarle l’acconciatura – anche se a giudicare dai loro sorrisi è l’ultima cosa di cui gli importa. Nathan sorride quanto Ariel, in quella foto, e io sorrido soddisfatta, perché nonostante tutto non è mai stato così cattivo come si sarebbe potuto pensare all’inizio di quella lunga storia.
Torno alla foto con Charlotte, trattenendo a stento una risata.
«Era incinta».
E nonna Heidi scoppia a ridere con me, mentre il piccolo Kenneth scivola giù dal dondolo di plastica bianca e corre di nuovo in spiaggia, pronto a rituffarsi tra le onde e a imbrattarsi di nuovo di granelli di sabbia e di salsedine. Lo guardo per qualche secondo, prima di rincontrare lo sguardo obliquo di quella donna che ammiro così tanto dopo quello che ci ha raccontato, che credo davvero che un libro non basterebbe per descrivere la stima e l’ammirazione che provo per lei.
«Charlotte era incinta… è incinta praticamente in ogni cerimonia catturata da quell’album, se ci fai caso», mi dice divertita, portandosi poi la tazza di tè verde alle labbra per prendere un sorso. Si sistema il cappello di paglia sulla testa, prendendo un secondo sorso e sorridendomi da dietro la tazza, lisciando poi le pieghe inesistenti del lungo vestito color carta da zucchero che indossa. «Charlie ed Harry hanno avuto quattro figli, Aurora», mi spiega, mostrandomi una mano mentre li conta sulle dita, forse per non dimenticare nessuno, o forse solo per rendere tutto più teatrale e divertente. «Il primo per il mio matrimonio, il secondo per il battesimo di tua padre e di zia Soraya, il terzo per il terzo compleanno di Chris e Yaya e il quarto… non ricordo a quale cerimonia, ma Charlotte rideva alzando gli occhi al cielo e Harry si limitava a sorridere sornione come se volesse far notare a tutti quanto fosse dotato».
Ridacchio, giocando con una ciocca di capelli biondi al sentire i diminutivi di mio padre e di mia zia, la quale per inciso odia che la si chiami Yaya, anche se ancora non ne ho capito il motivo. Forse solo per stizza nei confronti di nonno, che poteva anche scegliere meno assurdo per la sua prima – ed unica – figlia.
«Posso…?».
«Chiedi quello che vuoi, piccola».
«Gli altri?».
E mi racconta serenamente di Charlotte, Harry e della loro gigantesca e rumorosa famiglia. Mi dice del salone da parrucchiera aperto da Charlotte, della laurea in architettura di Harry – presa senza nemmeno troppi sforzi –, della loro stramba convivenza, dei litigi, delle paci fatte senza nemmeno stare a pensarci troppo, della proposta di matrimonio al contrario – dalla rossa al riccio non più tanto riccio. Mi dice dei loro figli, della loro villa immersa nella campagna scozzese, delle telefonate che ancora le tengono impegnate per ore, nonostante il mal di schiena perenne e le rughe intorno agli occhi e i capelli di Charlotte che ormai non sono più tinti di rosso da anni.
Mi racconta di Ariel e Nathan e dei loro viaggi intorno al mondo senza praticamente fermarsi mai se non il tempo necessario perché la mora potesse spedire una cartolina a nonno, coi saluti dal Brasile, dall’India o da chissà dove. Mi dice delle scuse dell’eterno ragazzo cattivo alle famiglie lese da quell’incidente causato da lui solo in parte ma del quale si è sempre voluto prendere tutte le colpe e anche di più. Mi dice di come Ariel lo tenesse sempre per mano, anche senza un anello a legarli; mi dice della gravidanza inaspettata di come i capelli della mora siano tornati biondi a mano a mano che il tempo passava inesorabile e di come Nathan abbia ammesso di amarla ma senza mai chiederle di sposarlo, perché loro hanno sempre funzionato al contrario e perché Ariel non ha mai preteso nulla.
Mi racconta con un sorriso leggermente amaro di come Louis ed Eleanor si siano lasciati qualche mese dopo l’intervento che le ha fatto recuperare la vista. La vedo fare un gesto piuttosto vago con la mano, nel sorvolare sul motivo della loro rottura e nel raccontare in breve come il suo migliore amico sia andato avanti anche se a stento con la propria vita, mentre la castana si laureava in qualsiasi di particolare che lei dal canto proprio non ricorda, perché in fondo non le è mai interessato.
Mi racconta di Victoria e Liam, esalando un sospiro e passandosi stancamente una mano tra i capelli bianchi. Mi spiega di quanto si siano amati e fatti male, un giorno dopo l’altro, o di come lei abbia dovuto abbracciare forte l’uno o l’altra a seconda di chi usciva ridotto peggio dal litigio di turno. Litigi stupidi, giovani stupidi condannati ad amarsi troppo – o troppo poco – e destinati più ad urlarsi contro che a baciarsi fino a perdere il fiato. «Ci sono stati momenti in cui avrei davvero voluto chiuderli in una stanza a sbollire la rabbia… quasi quanto avrei voluto incatenare Victoria quando ha fatto le valigie ed è sparita senza nemmeno lasciare due righe per chi amava…».
La voce è più alta di parola in parola. La vena sul collo che le si gonfia per la rabbia.
Si ferma all’improvviso, travolta da un colpo di tosse che la scuote come la terra durante un terremoto, con la tazza di tè verde che quasi le cade sul pavimento e io che semplicemente non ho idea di cosa fare. Non quando i colpi di tosse aumentano; ma per fortuna vedo con la coda dell’occhio zia Soraya accorrere trafelata, toglierle delicatamente la tazza di mano e darle una serie di pacche leggere sulla schiena, sussurrandole di respirare a fondo e di calmarsi.
«Calma, mamma… Victoria non se la merita, la tua rabbia».
«Certo che non se la merita».
La voce di mio nonno è roca come al solito, forse un po’ distorta dalla rabbia e della preoccupazione. La solita voce di sempre, quella che tante volte mi ha fatta addormentare cantando qualche canzone di quelle che li hanno accompagnati nella loro vita insieme e nel loro amore. Il solito fino di barba sulle guance, sempre più grigia di anno in anno. I soliti capelli tenuti corti, grigi come la barba. E la solita scia di inchiostro scolorito che gli ricopre le braccia, visibile attraverso la leggerissima camicia di lino che indossa.
E lo osservo sostituire la mano di mia zia con la propria nascondendo un sorriso, quando nonna Heidi torna a respirare normalmente e accenna addirittura un sorriso tirato. Come se, anche dopo cinquant’anni, l’unico a riuscire a calmarla sia Zayn. Come se la sua mano sulla schiena sia la sua bombola d’ossigeno personale, che le da tutta l’aria di cui ha bisogno per continuare a vivere.
Perché Heidi non è solo sopravvissuta. Con Zayn, lei ha sempre vissuto, vissuto davvero.
«Posso andare avanti con la storia senza che vi preoccupiate?».
Ridacchio, facendo posto a nonno sul dondolo e lasciando che mi cinga le spalle con un braccio, lasciandomi poi un bacio sui capelli sotto lo sguardo divertito di nonna. Perché io sono la sua copia in miniatura, e siamo tutti consapevoli di come io sia diventata in fretta la nipote preferita di nonno Zayn.  Ridacchio, forse arrossendo un po’ per via di quelle attenzioni non richieste.
Ridacchio, sentendo poi nonna ricominciare a parlare di Victoria e Liam con più serenità, almeno finché non mi viene in mente una persona… personaggio secondario ma non inutile, ragazzo biondo con la chitarra tra le mani, ragazzo che sembra essere fatto apposta per interrompere primi baci e far ridere le persone solo scoppiando a ridere lui stesso.
«Ma… Niall?».
Gli occhi di nonna Heidi si illuminano del più chiaro dei celesti, prima che batta divertita le mani e nonno accanto a me scoppi a ridere e una sua mano nodosa mi stringa un ginocchio scuotendo la testa. Come a dire che quella domanda proprio non avrei dovuto farla. Alzo gli occhi al cielo, tornando a rivolgere la mia attenzione su quella donna alla quale somiglio tanto in tutto, e che conosco solo ora in ogni minima sfaccettatura.
Mi racconta di Niall e dei suoi capelli tinti di biondo. Dei suoi occhi celesti che sembravano poter brillare solo per la musica, ma che quando hanno visto per la prima volta una ragazza coi capelli scuri e gli occhi come i propri, hanno brillato solo per lei. Mi racconta di Aileen, la ragazza irlandese con la passione per il violino, e di come quei due abbiano passato nottate intere nel negozio del biondo anche solo a ridere, suonare e mangiare caramelle gommose – lui solo quelle verdi e lei solo quelle rosse, nessuno ne ha mai capito il motivo.
Mi racconta di quanto ci abbiano messo quei due a capire di essere fatti l’uno per l’altra, tra archetti consumati, plettri distrutti per la frustrazione e sacchetti di caramelle gommose lasciati incustoditi su una pila di vecchi dischi per attaccare le labbra e non lasciarle più andare. Mi racconta di come siano spariti al loro matrimonio, per poi ricomparire; Niall con una macchina di rossetto sul colletto della camicia ed Aileen con l’orlo del vestito turchese strappato dalla foga con cui evidentemente il biondo l’aveva sollevato.
Scoppio a ridere, coprendomi il viso con le mani per nascondere il rossore e l’imbarazzo, perché – okay che ho sedici anni e una cugina di venti che racconta le proprie esperienze sessuali come leggesse la lista della spesa – la timidezza l’ho certamente ereditata da qualcuno. Qualcuno che mentre arrossisco gioca con una ciocca di capelli bianchi sfuggita alla treccia e guarda con un mezzo sorriso – malizioso? – l’uomo al mio fianco.
«Ha trovato anche lui il proprio raggio di sole», dice con dolcezza distogliendo lo sguardo da me per guardare la moglie.
Vedo la nonna arrossire, per poi alzare gli occhi al cielo e fargli un gesto con la mano come a chiedergli di smetterla, facendomi sorridere e facendomi inevitabilmente brillare gli occhi, perché si amano ancora come fosse il primo giorno, e davvero non c’è niente di più bello da poter guardare.
«Qualche altra domanda, piccola?», mi chiede nonno sollevando le maniche della camicia di lino fino ai gomiti. Sulle braccia spiccano ancora – anche se sbiaditi dal tempo – i numerosi tatuaggi che hanno fatto innamorare nonna anche solo sfiorandolo, senza bisogno alcuno di vederlo. All’anulare, la fede in oro bianco scintilla, gemella di quella stretta al dito della moglie, che incrocia le caviglie aspettando che a me venga in mente qualcosa da poter chiedere.
E ci penso. Ci penso su.
Ripercorro tutta la storia dei miei nonni solo chiudendo gli occhi per qualche istante.
Rivedo la caduta nella metropolitana, il loro secondo incontro e lo scontro nel parco, fatto apposta solo per darsi una scusa soddisfacente per parlarsi. Rivedo una serra colma di rose e un vecchio negozio di musica che non esiste più, dove una band che nessuno ricorda più ha fatto da colonna sonora al ragazzo dalle braccia ricoperte di inchiostro e alla ragazza bionda dagli occhi vuoti.
Rivivo il crollo di Heidi con Zayn quando gli raccontò di Alex, la loro prima notte passata a dormire nello stesso letto e il loro primo risveglio; rivivo la visita in ospedale, la nascita di una piccola speranza che lei potesse tornare a vedere, la rassicurazione di Zayn quando fermò la macchina in autostrada e se la mise a cavalcioni stringendola a sé come a farsi passare almeno un briciolo di dolore, chiedendole poi di lasciare che provasse ad aggiustarla.
Anche se a mio parere non c’era nulla da aggiustare.
Rivivo il sussurro scivolato via dalle labbra di nonna, quell’“aggiustami” che se io fossi stata lì mi sarei messa a battere le mani eccitata, come stessi guardando uno di quei film romantici pieni di miele e di dolore che onestamente mi piacciono fin troppo. Rivivo il racconto di Charlotte e la reazione di Heidi. Rivivo Nathan e il destro allo zigomo di Zayn, rivivo Heidi, il suo primo mal di testa sospetto e la sua delicatezza nel continuare a toccarlo anche se ferito.
Rivedo le lacrime di Zayn e la loro visita al cimitero. Immagino Doniya.
Immagino i sentimenti di ognuno di loro, i mal di testa, le visite in ospedale, i ricoveri non voluti e la consapevolezza che l’incidente che tolse la vista a mia nonna fosse lo stesso che rubò la sorella a mio nonno. Immagino i primi ti amo. Immagino Ariel e Nathan. Le corse in ospedale, le risse sventate, i giardini di notte con le farfalle che con le proprie ali fanno più rumore dei respiri degli amanti. Immagino i litigi, le paci, i baci, le prime volte. E rivedo altri ricoveri, i colori che tornano, le lacrime di tutti, la gioia di molti, la vista che torna in un paio di occhi rimasti vuoti per troppo tempo.
E li immagino fare l’amore come il sole si tuffa nel mare, capendo poi il significato sia del mio che del nome di mia cugina Eileen. Raggio di sole, lei. Prime luci del giorno, io. Capisco il senso riaprendo gli occhi e facendoli fondere ancora con quelli di mia nonna, che mi guarda, forse incuriosita dalle mie palpebre tenute chiuse così tanto e dal sorriso da completa idiota sulle mie labbra.
«Fate ancora l’amore come cinquant’anni fa?».
«Tutte le notti, ogni volta come fosse la prima…», mi risponde nonno, mentre nonna nasconde il viso dietro la tazza di tè, ancora. Vedo lo stesso le sue guance diventare un po’ rosse e sento lo stesso la risata divertita dell’uomo al mio fianco anche se sono apparentemente concentrata su di lei.
E capisco un’altra cosa, spostando lo sguardo da uno all’altra.
Capisco di non volere l’amore narrato nei romanzi rosa né quello descritto nei film d’amore con tutte quelle scene ad alto contenuto di miele che io amo alla follia. Io voglio una persona come mio nonno lo è stata per mia nonna, nella mia vita. Voglio qualcuno che mi ami in tutto e per tutto, difetti e mancanze compresi. Voglio qualcuno che mi baci fino a farmi dimenticare tutto, che mi ascolti quando voglio parlare tutta la notte e che mi asciughi le lacrime con la punta delle dita, accennando un sorriso e promettendomi che qualunque cosa sia successa andrà bene, perché io avrò sempre lui.
Voglio qualcuno che sia come Zayn è stato per Heidi.
Voglio qualcuno che sia la liquirizia della mia vita, come io sarei la vaniglia della sua.
Poso un bacio sulla fronte di ognuno e sussurro ad ognuno un ti voglio bene che sembra portato dalla leggera brezza che viene dal mare, che mi colpisce col forte odore di sabbia bagnata e salsedine, prima di lasciare le dita di nonna ed entrare nella villa, con la luce del tramonto che mi colpisce la schiena, mentre con la coda dell’occhio vedo i miei nonni sorridersi complici; sono la cosa più bella che abbia mai visto, e non smetterei mai di guardarli amarsi.

***

Sono passate ore, non so nemmeno quante. La scatola dei ricordi dei miei nonni è ancora aperta sul mio letto, e il vecchio cd testimone del loro primo bacio va a ripetizione nel vecchio lettore che ho trovato sempre nella scatola, tra mucchi di vecchie foto, inviti a matrimoni e cartoline da tutto il mondo. Canticchio Yellow, giocherellando con la penna che tengo in mano e rileggendo le ultime righe del mio diario.
Guarda le stelle, come dicono i Coldplay.
E lo faccio. Seduta sul davanzale, con la finestra lasciata aperta e la brezza estiva che mi scompiglia i capelli, guardo le stelle. Sono tante, a milioni. Mi ricordano i sorrisi di cui mi ha raccontato tanto la nonna oggi pomeriggio, ma anche le lacrime e le pagliuzze argentate nei suoi occhi, arrivate anche nei miei. Provo a contarle, tutte quelle stelle, provando a credere che in qualche strano modo stiano brillando proprio per me, come cinquant’anni fa brillavano per Zayn e soprattutto per Heidi, anche se lei credeva di non poterle vedere mai più.
Distolgo lo sguardo arrivata a contare la centesima stella, brillante come tutte le altre o forse anche di più. Mi si chiudono gli occhi e sto decisamente perdendo il conto, quando la risata anziana ma ancora cristallina di nonna mi arriva alle orecchie. Distolgo lo sguardo dal cielo per posarlo sulla sabbia, sui rari cespugli che la colorano di quei fiori che si schiudono solo di notte, come nel giardino delle farfalle dei ricordi dei miei nonni.
E anche al buio le vedo, le loro mani intrecciate.
Lo vedo anche al buio, Zayn che trascina Heidi nella sabbia, più lentamente di come avrà sicuramente fatto un tempo, ma con la stessa allegria e soprattutto con lo stesso amore. La vedo anche al buio, nonna, con la vestaglia che sventola per la brezza e la lunga treccia di capelli bianchi posata sulla spalla destra. Li vedo anche nel buio, mentre si stringono e si sussurrano qualcosa che da quassù io non posso nemmeno sognare di sentire, nonostante l’orecchio teso per la curiosità. Li vedo, i loro sorrisi e le loro mani ancora intrecciate. Le sento, le loro risate che volano libere nel vento.
Ho l’onore di vederli innamorarsi solo guardandosi negli occhi, dal castano al celeste, come forse era destino che facessero tutta la vita. Ho l’onore di vederli trovare il proprio amore fermi dove sono, col naso all’insù e le dita che continuano a cercarsi come se fossero state create per non lasciarsi mai.
Li vedo fermarsi a guardare le stelle, col capo di nonna posato delicatamente sulla spalla di nonno. Li immagino respirarsi come facevano una volta e come fanno ancora, anche se sono passati tanti anni, le mani fanno male per l’artrosi e nonno non può più uscire col giacchetto di pelle in pieno inverno. E li immagino meravigliarsi l’un l’altra, sentendo ancora gli stessi odori nelle narici.
Respirando liquirizia, lei. E vaniglia, lui.


 


Io odio finire le storie.
Non l’ho mai ammesso se non con qualcuno, ma non mi piace – per niente – finire una storia. Non mi piace finire un libro e ritrovarmi con le lacrime agli occhi, come non mi piace inventarmi tutto un mondo, portare avanti una storia per trentadue capitoli e poi ritrovarmi a piangere come una fontana quando tutto quel mondo finisce e i personaggi è come se morissero, anche se finiscono bene perché io amo i lieti fine con tanto zucchero e una colata di miele.
Blind love è nata quasi per caso. Okay, potete togliere il “quasi”. Non credo di averlo detto a nessuno, ma vagavo per questo sito – tra le popolari, perché mi diverte e allo stesso tempo mi irrita, vedere che le fanfiction di successo sono quasi tutte rosse – e mi sono resa conto che nessuno aveva mai trattato un tema delicato come la cecità senza sforare nel banale o documentandosi (c’è davvero tanto da studiare, in un certo senso, lol), come mi sono resa conto della quasi completa assenza di rating verde tra le popolari.
Insomma, io capisco, siamo tutte adolescenti con gli ormoni a palla.
Ma mi sono detta, perché non provare a scrivere una semplicissima storia d’amore? Sarebbe però stato banale se Heidi fosse stata una ragazza “normale”. Sarebbe stato banale se i suoi occhi celesti avessero visto Zayn e si fosse innamorata di lui a prima vista. Andiamo, avrebbe potuto scriverlo anche una capra. Lei è bellissima, lui è il classico finto stronzo. Bam. Si vedono e si innamorano. Ma io odio essere banale, odio scrivere le cose che scrivono tutti, coi nomi che usano tutti, anche se i clichè letterari mi piacciono, se espressi bene.
Per capirci, gli occhi di Heidi sono color cielo, i suoi capelli biondo chiaro e le sue labbra sono probabilmente a forma di cuore. Zayn ha gli occhi di quel colore che nessuno ancora è riuscito a capire, ed è tatuato, fuma e fa lo stronzo. Sono clichè, d’accordo, ma io ci ho messo tutta me stessa per renderli diversi, originali. Ci ho messo ogni sorriso e ogni lacrima in ogni capitolo, riga, sillaba e virgola.
Inizio già a delirare, chiedo venia.
Questi sarebbero dovuti essere ringraziamenti, ma io odio finire le storie e odio non sapere cosa scrivere in fondo all’ultimo capitolo. Perdo le parole o – come ora – ascolto I see fire per trovarle, ma finisco per piangere e, ehy, finisce che deliro come sempre. Sono un disastro, madonna. (prima che una certa persona mi picchi, sono un disastro nei ringraziamenti, non in generale).
Okay, proviamo.
 
Grazie a chi ha aperto la storia per caso, il giorno in cui ho iniziato a pubblicarla. Voi mi seguivate già da prima e probabilmente avete iniziato a leggere Blind love perché ve l’ho chiesto io, ma okay. Grazie comunque, perché se non se la fosse calcolata nessuno dal primo capitolo io non sarei mai andata avanti e l’avrei cancellata due giorni dopo aver iniziato a postare e nessuno avrebbe sorriso con Heidi, sbavato davanti a Zayn o odiato Nathan (povero il mio cucciolo).
Grazie a chi ha trovato la storia su facebook, twitter, tumblr o solo aprendo per caso uno dei capitoli successivi. Grazie a chi ha sparso la voce con le amiche, perché so per certo che qualcuno l’ha fatto. Grazie a chi ha lasciato il proprio parere anche una volta sola nel corso di questi trentadue capitoli, perché siete state la mia gioia, la mia unica forza per andare avanti – anche quando le recensioni sono calate e io sono entrata nel panico più totale. Grazie a chi ha recensito un capitolo dopo l’altro, sclerando in maniera adorabile e facendomi davvero ridere di gusto per così poco, rendendomi orgogliosa di me stessa per la prima volta nella vita.
Grazie a chi ha cliccato sui bottoni dei preferiti, seguiti e ricordati, perché quando ho iniziato davvero non mi aspettavo poteste essere così tante, come non mi aspettavo poteste aumentare a vista d’occhio di capitolo in capitolo, anche se non sono cifre astronomiche. Perché a me va bene così, con le mie cinquecento lettrici e le mie quasi ottocento recensioni. Credevo sarei arrivata a stento a duecento, quindi immaginate il mio sorriso aumentare di intensità un giorno dopo l’altro.
Grazie, per averla fatta arrivare tra le popolari.
Grazie a chi ha sorriso con Heidi e Zayn. Grazie a chi si è stupito nell’immaginare una ragazza cieca orientarsi col proprio bastone bianco fin nella metropolitana, capire a che fermata scendere o riconoscere odori sentiti solo una volta. Grazie alle persone cui è spuntato un sorriso quando Zayn ha annuito, dimenticandosi che la ragazza che gli sfiorava la mano non avrebbe potuto vederlo.
Grazie per l’idea delle rose, che onestamente non ricordo chi me l’abbia suggerita. Grazie a chi ha trattenuto il fiato, picchiato il computer, lanciato il telefono, chiuso tutto per non piangere. Grazie anche a chi ha consumato tanti fazzoletti da riempire la propria camera da letto o a chi non ha preparato i fazzoletti e ha allagato il cuscino di lacrime e mascara colato. Grazie alle vostre lacrime di gioia, ai vostri urli di sorpresa, alle vostre risate ai vostri saltelli in giro per la stanza o alle vostre imprecazioni perché magari non riuscivate a smettere di piangere.
Grazie a chi ha supportato Victoria e Liam. Grazie alle larry shippers che hanno sopportato Louis ed Eleanor. Grazie a chi ha shippato Harry e Charlotte come se non ci fosse un domani e li shippa anche ora, anche se è finito tutto (piccolo appunto che le Charry shippers, in fondo). Grazie a chi si è intenerita davanti a quell’orsacchiotto irlandese di Niall, anche se c’è stato poco e mi dispiace troppo (piccolo avviso anche per voi, in fondo)
Grazie a chi avrebbe voluto uccidere Nathan, a chi invece è stato “simpatico” da subito, a chi l’ha trovato dannatamente erotico e a chi si è ricreduta quando ve l’ho fatto capire un po’ meglio. Grazie a chi ha amato Ariel, e a chi l’ha shippata con Nathan, perché dopo Zayn e Heidi penso siano la mia coppia preferita lol.
 
Fin qui ho trattenuto le lacrime. Ora, da qui in avanti, la vedo più complicata.
Perché fino a qui ho fatto la cretina, ora arriva la parte “seria”.
Io avrei delle persone da ringraziare, ma non so chi mettere prima di tutti, perché qualcuno potrebbe offendersi se non la metto per prima, conoscendola. Quindi, partiamo dal ringraziare chi non c’entra nulla ma comunque mi ha supportata dall’inizio alla fine, pur non leggendo una parola.
Grazie mamma, per non avermi tolto il computer, per avermi aiutata con la parte medica e per non avermi mandata a fanculo quando avrei dovuto studiare ma finivo sul divano con un pezzo di carta, la penna che funzionava a stento e un’idea da buttare giù subito o me la sarei dimenticata. Anche se non hai letto, grazie, perché hai supportato l’idea di fondo della ragazza cieca che trova l’amore anche se non vede, mi hai dato mille soluzioni al problema e mi ha spiegato mille volte cosa fosse il chiasma ottico prima che lo riuscissi a capire.
Grazie a Marta, Helena, Anna Chiara, Giorgia, Mimì, Cesca, Valentina, Francesca, Elena, Alice, Elena, Chiara, Cristina, Federica, Aurora, Ilaria, Jennifer, Mar, Marina, Mel, Vittoria, Martina e Simona. Emotjoners una volta, emotjoners tutta la vita, per quanto può essere banale come frase e per quanto poco può valere.
Grazie a Milla, perché è la mia bimba e le voglio bene.
 
Grazie a Sofia. Ai sorrisi, le lacrime, gli urli e le litigate. Grazie piccola, perché ti voglio bene da morire anche se non lo dimostro, anche se urliamo e anche se a volte mi urti il cervello (rido). Grazie perché in qualche modo riesci a farmi sorridere sempre, anche quando stai più male di me, anche quando vorresti solo sparire. Grazie per aver ascoltato tutta la mia storia senza aver giudicato e grazie per aver sclerato ad ogni spoiler immenso, ad ogni trama che ti ho mandato anche se non sono sicura di riuscire a scriverle tutte ma okay. Grazie… grazie e basta, perché con te non so mai che altro dire.
Grazie ad Anita. Ai messaggi vocali che ci metto sempre un secolo per scaricare ma che poi mi fanno ridere come nient’altro. Ai sorrisi che mi spuntano quando ci diamo il buongiorno. Ai cuoricini rossi che pulsano e che entrambe troviamo piuttosto inquietanti. Agli scleri migliori del mondo, tutti in maiuscolo perché tu può. Alle foto illegali di Zayn che ispirano cose che il mio cervello malato dovrebbe smettere di immaginare. Grazie, perché nonostante la distanza prima o poi ci abbracceremo, poi sentiremo un acuto di Zayn e moriremo insieme. Okay, troppo tragica, ma vera. Grazie tesoro mio, ti voglio un bene assurdo che se provo a descriverlo finisco domani.
 
Grazie a… okay, come ti nomino? Annalucia, per una volta. Me lo concedi?
Grazie ad Annalucia. A parte il fatto che ti ringrazio tutti i giorni in chat anche solo perché esisti, cercherò di essere breve e concisa per una volta, limitando magari anche il contenuto di miele, perché non credo sia luogo adatto per dimostrare quanto io ti voglia bene. Per quello c’è la chat. Il telefono. Il dodici giugno. Okay… basta, porca miseria. Tu mi rendi più complicato di quanto non sia già anche ringraziare. Ma mannaggia, lo vedi cosa mi fai? Mi va il cervello nel pallone, mi batte il cuore in un modo assurdo e mi viene da ridere e da piangere insieme.
Grazie, piccola mia. Per aver adorato la storia, per aver letto qualche capitolo in anteprima, per avermi fatto notare gli errori, per aver sorriso tanto e pianto anche di più. Grazie per avermi detto un milione di volte quanto io per te sia brava a scrivere, perché è davvero il miglior incoraggiamento di sempre. Grazie per avermi fatto salire l’autostima quando ce n’era bisogno e per avermi fatta ridere quando avrei solo voluto piangere. Grazie per avermi ascoltata piangere al telefono quando il resto del mondo mi era contro e avermi fatta ridere subito dopo, perché nessun altro ci sarebbe riuscito.
Grazie per aver supportato me e le mie parole sempre, qualsiasi cosa io scrivessi. Grazie per aver amato ogni singolo personaggio della storia e grazie per la fanart che devi finire e grazie per… no, quello va nell’avviso in fondo. Grazie per i sorrisi che mi fai fare quando tutto il miele che non ho messo qui finisce per colare nelle nostre chat in quantità esorbitanti.
Grazie per essere lo zucchero della mia vita, amore.
 
Sono arrivata in fondo senza scoppiare a piangere. Oddio, troppo fiera di me, madonna.
Ora ci sarebbero gli avvisi. Oh, meno male. La parte più semplice di tutte e anche la più eccitante dal mio punto di vista. Sono pochi avvisi che vi chiederei di leggere, già che siete arrivate fin qui. Anzi, grazie per aver letto tutto questo poema di ringraziamenti (che siamo alle milleottocento parole e iniziano a farmi male le mani).
Avviso numero 1. Quell’amore di Anita mi ha pregata di scrivere un missing moment del matrimonio di Heidi e Zayn. Ho già iniziato a scriverlo e so come impostarlo, grazie al cielo. Quindi non so, credo che un paio di settimane mi bastino per finirla di scrivere e postarvela.
Avviso numero 2. Niall. Ho intenzione di scrivere una one shot su lui e il suo raggio di sole, perché non hanno avuto abbastanza spazio e continua a dispiacermi da morire ogni secondo che passa.
Avviso numero 3. Liam e Victoria. Nell’epilogo li vedete già mollati da un pezzo. Vi devo una one shot, una spiegazione del perché la mia mente malata li abbia fatti lasciare. Anche nel loro caso, mi spiace, ma se li avessi fatti finire tutti sposati e con quattro figli nella campagna scozzese non ci sarebbe stato gusto.
Avviso numero 4. Charlie e Harry. Ho in programma uno spin off su di loro, una mini long di otto capitoli (epilogo compreso), perché non riesco a lasciarli andare e mi dispiacerebbe non scrivere più nulla su di loro perché sono troppo teneri e coccolosi, madre santa.
Avviso numero 5. Questa fanfiction è finita, ma anche no. Nel senso che la devo correggere, revisionare e tutto… poi, se tutto va secondo i piani diventerà un ebook. In quel caso, vi avvertirò una per una, promesso. Riceverete un specie di messaggio di spam che vi chiedo già da ora di non segnalare, perché mi avete chiesto in tante un libro, e sarebbe ingiusto impedirmi di avvertirvi, no?
In realtà riceverete un messaggio di spam per ognuno degli avvisi, ma shh.
 
E… niente. Credo di aver ringraziato tutti e di essermi ricordata tutti gli avvisi.
Credo di aver delirato anche troppo in effetti, ma pazienza.
Grazie ancora ragazze. Grazie a chiunque stia leggendo.
Vi voglio bene, un abbraccio grande grande…
- emotjon.


 



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