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Autore: Relie Diadamat    26/01/2015    4 recensioni
Il giorno in cui Merlin sfidò Uther Pendragon.
Quello, era un sabato mattina di Maggio, esattamente come tutti gli altri...
Genere: Comico, Commedia, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Altro Personaggio, Merlino, Uther
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Note d'autrice: salve! Questa storia mi è venuta in mente ascoltando la canzone "Rude" dei Magic!, e mi è subito venuto in mente questo piccolo sclero. Ecco, la storia può essere letta in chiave Mergana quanto Merthur, siccome il nome della fidanzata di Merlin non è specificato. Se siete amanti del Merthur, allora dovrete immaginarvi un Arthur!girl con tanto di gonnella e riccioli d'oro *-*
Se amate la Mergana... godetevi questa letture senza troppe paranoie. 
Penso che sia piacevole in entrambi i casi, poi ovviamente dipende dai gusti.
Lasciatemi un parere se vi va, anche critiche, accetto di tutto (tranne minacce di morte, please.)
In fondo... il lieto fine c'è...
forse.
 


Perché Devi Essere Così Rude?
(Il giorno in cui Merlin sfidò Uther)
 

Quella era una bellissima mattinata di Maggio.
Merlin adorava giornate come quelle; non era né particolarmente calda, né troppo ventilata: era un misto perfetto tra freschezza e luce solare.
Gli alberi in fiore, quelli della sua modesta casa di campagna, profumavano particolarmente in quella stagione e lui lasciava la finestra aperta apposta, solo per essere svegliato da quell’aroma.
I suoi occhi si aprirono piano.
Era nell’altra metà del grosso letto che avevano scelto insieme.
Non era particolarmente morbido, ma il materasso era molto alto e questo a lei piaceva. Lei, che adesso dormiva ancora al suo fianco, con gli occhi chiusi e le mani quasi ridotte a due pugni.
Si voltò piano, cercando di non fare movimenti che impedissero al suo sonno di proseguire, e si ritrovò inconsciamente a sorridere. Delicatamente, le passò una mano sul viso, a scostarle quella ciocca ribelle che puntualmente le ricadeva sugli occhi. Dio, com’era bella!
Odorava di ciliegio, e questo bastò a farlo sorridere.
Presto le sue narici si inebriarono del suo profumo, entrandogli nella cavità nasale, fino a raggiungere il cervello. Quant’era meravigliosa quella sensazione? Quanto? Quanto può essere straordinaria una cosa così semplice?
In quel momento, mentre il suo cuore, in un tumulto silenzioso, gli ricordava che quella donna dall’altra parte del letto era sua, capì che voleva che gli appartenesse, ma stavolta per sempre.
Non volle svegliarla. Scivolò via dal letto senza farsi sentire. Cercò di camminare cauto sul pavimento freddo, ovviamente in parquet, della sua modesta dimora.
Tutt’intorno le mura erano di un’improbabile giallognolo; a lui non aveva mai convinto più di tanto, ma lo aveva scelto lei quel colore e quindi gli sarebbe andato bene.
No, non è come pensate. La sua non era sottomissione, era amore. Sì, perché solo una persona innamorata, si diceva spesso Merlin, poteva accettare anche i difetti ed adorandoli come il più grande pregio del mondo. Ed era così che lui continuava a fare da quando l’aveva vista per la prima volta.
Si spostò piano in cucina. Le pareti erano ricoperte da pennellato di arancio, non troppo forte, né troppo pallido. Era… una perfetta cucina in stile country, quella che gli era sempre piaciuta. Lei voleva averla moderna, ma come Merlin, aveva accettato i difetti del suo amato ed era finita con l’adorarla a sua volta.
Dal canto suo, il giovane corvino, lasciava sempre sul tavolo in legno un mazzo di tulipani gialli, in modo da ravvivare la stanza. A lei piacevano i fiori, quindi non dovevano mai mancare.
Prese il suo caffè mattutino, assaporando ancora una volta l’aria primaverile che proveniva dalla fessura della finestra, accanto ai fornelli. Si affacciò alla grande veranda in legno, esaminandola dalla vetrata della cucina. Quello, era il grande giorno.
Dopo qualche minuto s’infilò nella sua doccia in vetro (sempre sotto volere di lei) per poi concedersi il lusso di un getto d’acqua gelato. Doveva rigenerarsi, perché quella mattina gli serbava una grossa missione. Prese il suo bagnoschiuma al pino verde e se lo spalmò energico lungo il corpo. Non poteva fallire.
Il rumore della doccia doveva averla probabilmente svegliata, al ché si sentì chiamare «Perché non mi hai svegliata!»
Il rumore della doccia la sovrastava di poco, così ne diminuì il flusso e rispose di rimando «Non volevo!» ammise, sentendola bofonchiare qualcosa. Un sorriso gli comparve in volto, per poi urlare ancora «Ti preferisco dormiente!»
La vetrata della doccia si aprì, costringendo il giovane a voltarsi nella direzione opposta al muro. Un leggero freddo carezzo il suo corpo, mentre una piacevole eccitazione gli drizzava i peli sul corpo.
«Ne sei sicuro?» provocò lei, entrando nel piccolo triangolo bianco che era la loro doccia, sfiorando col suo corpo nudo quello del giovane.
Sorrise, ormai sempre più convinto che quella fortuna era riservata a lui. A lui e a nessun altro «Certo che no.» ammise, lasciando posare le labbra della ragazza sulle sue.
Forse, la sua missione, avrebbe dovuto aspettare. 

*
 
Vestito e profumato era nel suo furgoncino blu; si era accostato sul ciglio della strada, dopo aver percorso per qualche minuto la strada che portava dalla campagna alla città. Sospirò, trovando forse il coraggio e il sostegno morale che tanto gli servivano.
Vide di traverso la sua bisaccia, lievemente aperta e si trovò a deglutire a vuoto. Portò piano la mano sinistra, quella non impegnata sul manubrio, al suo interno. Dopo qualche minuto la estrasse, tenendo stretto nel palmo un cofanetto blu notte. Se lo portò all’altezza del petto, aprendolo.
Il brillante al centro esatto dell’anello argentato catturò la sua attenzione.
“Posso farcela.” si disse in mente, riguardando ancora l’oggetto che aveva tra le dita. “Tanto lei mi sposerà comunque.” si consolò, dandosi la forza mentale necessaria, per affrontare quella situazione.
Richiuse il piccolo cofanetto, riponendolo nella sua bisaccia marroncina, sbattuta sul sedile sinistro.
Fatto ciò mise in moto e partì. Destinazione: casa Pendragon.
Gli alberi in fiore, presto lasciarono spazio alle mura scolorite della città. A Merlin piaceva, ma la tranquillità di una vita in campagna non gliel’avrebbe tolta nessuno. Ci avevano provato, tempo addietro, a vivere in città, ma niente sembrava andare bene.
La vita caotica, quella in movimento non faceva per loro, o almeno per lui. Ma come aveva già detto, i difetti, in coppia, diventano adorabili.
Svoltò in un vialetto, dove si ergeva, in fondo, una grossa villa con tanto di giardino stile inglese. Avete presente ‘ Lilly e Il Vagabondo ’? Ecco, adesso immaginatevi i cosiddetti ‘ quartieri alti ’ e potrete facilmente cogliere l’immagine che, la villa Pendragon, offriva a tutti i suoi passanti.
Parcheggiò il furgoncino appena fuori dalla dimora della famiglia più benestante di quei quartieri. Così tirò il freno a mano, spegnendo di botto il motore.
Lui si era sentito un po’ come Biagio, il cane randagio, sporco e mal raccomandato che entra nella villetta della cagnolina per bene, rovinandole la vita. Almeno era quello che pensava Uther, suo padre.
Merlin aprì la portiera, sfilando la chiave dalla macchina per poi richiudersi la portiera alle sue spalle.
Pensava che, col tempo, Uther avrebbe accettato la sua relazione con sua figlia e credeva anche di esserci riuscito quando erano andati a vivere insieme.
I problemi, almeno quelli più seri erano nati all’inizio, ma ora sembravano essersi affievoliti.
Superò il cancello, lasciato distrattamente aperto, fino a salire i banchi gradini e ritrovarsi faccia a faccia con la porta laccata di un verde smeraldo. Spiccava vistosamente sul bianco aggressivo delle pareti della villa a… tre piani.
Aveva le mani tremanti e il sudore iniziava a scorrergli dalla fronte. Era sempre super ansioso quando doveva aver a che fare con Uther Pendragon.
Bussò il campanello, con una pressione minima.
Doveva solo chiedergli, siccome era all’antica, la mano di sua figlia, e poi sarebbero vissuti tutti felici e contenti.
La porta si spalancò, dopo qualche secondo di attesa e il ragazzo rimase sorpreso nel vedere che sulla soglia ci fosse la figura autoritaria del proprietario della villa.
Cercò di sorridere educatamente, mentre invece un’ondata di sarcasmo si fece spazio sul volto dell’uomo «Oh, Merlin. Ma qual buon vento ti porta qui?»
«Buon giorno, signor Pendragon.» disse educato e con una soglia di ansia nel tono di voce.
Anche se si conoscevano da tempo, l’astio tra i due non aveva garantito rapporti sereni ed era questo il motivo per cui, continuava a dare del Lei a quell’uomo, parlandogli come se si stesse rivolgendo ad una massima autorità politica. Tipo un re, va’, se proprio vogliamo buttarla in quella direzione.
«Lo era.» cominciò il brizzolato, con finta educazione, per poi ricalcare «Prima.»
Il giovane, in tutta risposta, sorrise imbarazzato, col capo chino, ritrovandosi già con le spalle al muro.
«Allora…» proferì l’uomo, accogliendolo nella sua ‘ modesta ’ dimora, facendolo accomodare nel soggiorno «A cosa devo questa visita?»
«Sono venuto qui…» azzardò l’altro, guardando l’uomo sedersi su una poltrona, imitandolo «Per discutere di un fatto importante.»
Il brizzolato accavallò le gambe, portando entrambe le braccia lungo i braccioli della poltrona, in tessitura verde scura «Ti ascolto.»
Merlin lasciò ricadere lo sguardo, dall’occhio vigile e austero dell’uomo, fino alle sue mani che, irrimediabilmente, aveva preso a torturarsi «Volevo chiederLe… la mano di sua figlia.» concluse infine, annaspando più aria che poté.
Uther invece, non proferì parola.
Se ne stette zitto per una marea di secondi, a Merlin indecifrabili, maledettamente agonizzanti.
“Fa’ che dica di sì
Fa’ che dica di sì
Oh, ti prego…
Solo un sì”
 
Nella mente di Merlin, quella era la cantilena che si ripeteva incessante, in quel che parvero, i dodici secondi più difficili di tutta la sua vita.
Le rughe si evidenziarono accanto alla coda degli occhi, mentre le labbra si erano aperte, lasciando spazio ad una risata. Rideva. Uther Pendragon, rideva.
Il corvino, con le mani ancora sotto tortura, decise di rimanere serio e distaccato per quanto possibile, reggendo il suo sguardo.
Il brizzolato allora sbottò serio «C’hai provato, bello mio, ma la risposta è NO.» si mise comodo sulla sua poltrona, forse nella posizione che ritenesse più comoda, quasi come se si stesse beando di quel momento.
Merlin, deluso e amareggiato boccheggiò piano «C-come no?» era colto da quell’ansia che ti viene quando un professore universitario ti coglie impreparato, sull’unico argomento che tu avevi ignorato, compromettendo il risultato di interi mesi di studio: non importa cosa tu abbia detto prima di quella domanda, hai sbagliato la risposta e quindi ti dimentichi l’impeccabilità.
«Se è la mia benedizione che cerchi…» disse piano, quasi come se quella fosse una sentenza di morte «Non l’avrai fino alla fine dei miei giorni.»
Se n’era restato zitto per tutto quel tempo, ma adesso l’istinto iniziava a prevalere sulla ragione, così si alzò di scatto «Tanto la sposo lo stesso!» ringhiò quasi, sfidandolo apertamente.
Da quell’esatto momento, Merlin Emrys aveva firmato un contratto con la morte. Si sa che, chiunque avesse sfidato Uther Pendragon, non ne sarebbe uscito vincitore.
Il ragazzo si dissolse dalla sua dimora, impettito e con i pugni stretti.
Uther Pendragon era ancora seduto sulla sua comoda poltrona quando la sua cameriera si era avvicinata «Il suo scotch, signor Pendragon.» disse, porgendogli elegantemente il bicchiere nel quale galleggiavano tre cubetti di ghiaccio.
Lo prese tra le mani, finendolo in una sola sorsata «Vedremo.» rispose poi alludendo alla sfida del corvino.

*
 
Merlin accese lo stereo, dopo almeno cinque minuti di tragitto. Non voleva imprecare contro nessuno, quindi la musica gli avrebbe almeno servito a distendere i nervi.
Si fermò alla prima stazione radio, quella già impostata dalla sua dolce metà.
I nervi però, non sembrarono distendersi quando colse il ritornello incalzante della canzone dei Magic!

Why you gotta be so rude?
Don’t you know I’m human too?
why you gotta be so rude?

 
 
Già, si disse Merlin, aggrappandosi con entrambe le mani sul manubrio. Come poteva, Uther Pendragon essere così rude? Gli dava ai nervi anche solo a pensarci.

I’m gonna marry her anyway
marry that girl
marry her anyway
 
Nell’udire quelle parole, anche il ragazzo sembrò convincersi. La sposerò comunque, diceva la canzone ed era quello il grido che gli vibrava nella gola.
Sfogò tutti i suoi nervi, accompagnando la voce registrata alla radio, stonando di molte note.

marry that girl
yeah, no matter what you say
marry that girl
and we’ll be a family

 
Sì, si disse una volta scaricata la tensione.
Quella ragazza l’avrebbe sposata e sarebbero diventati una famiglia.
Nessun Uther Pendragon poteva impedirlo.
Mentre stava per svoltare all’angolo della strada che portava in campagna, sentì vibrare il suo cellulare sul cruscotto. Da sua brutta abitudine, lo prese tra le mani, controllando subito che ci fossero nuovi messaggi. Era lei.
“Ricordati dell’appuntamento alle 20.30 con mio padre. Mi raccomando, non fare tardi.”
 Merda. Merda. Merda.
Si era del tutto dimenticato di quello stupido appuntamento. Dopo qualche minuto sentì vibrare di nuovo.
“Altrimenti ti ammazzo.”
Lasciò ricadere la sua fronte sul clacson del suo furgone, producendone un fastidiosissimo rumore.
Era molto simile all’ultimo bip di un elettrocardiogramma, solo che il rumore era più fastidioso, ma il risultato era stato comunque eccellente.

*
 
Non seppe nemmeno dirsi con quale assurdo coraggio trovò la forza di vestirsi, pettinarsi e profumarsi per l’occorrenza.
Aveva valutato, come migliore e possibile opzione, quella di vestirsi in completo nero, i capelli laccati all’indietro e magari un crisantemo all’occhiello.
Peccato che, la sua dolce e amabile fidanzata avesse deciso diversamente.
Non era giusto, si ritrovò a pensare nel tragitto.
Lui aveva accettato di lei anche quell’orrendo difetto di essere la figlia di un uomo ripugnante come Uther, eppure quel borioso vecchiaccio non sembrava contraccambiare.
Non lo aveva accettato, stava solo cercando il modo migliore per farlo fuori.
«Cosa c’è?» canzonò improvvisamente lei, che gli era seduta al suo fianco, nel sedile sinistro, mentre lui era alla guida.
«Ehm?» provò a chiedere lui, senza scostare lo sguardo dalla strada.
Alquanto irritata la ragazza continuò «Mi hai praticamente ignorata per tutto il tragitto. Non hai aperto bocca, non hai detto le tue solite cavolate. Quindi sputa il rospo, cosa c’è?»
Il giovane valutò seriamente quale parole fossero più appropriate nel risponderle, ma non poteva mica dirle che stava andando contro alla morte? Scrollò le spalle, osservandola di sottecchi per qualche secondo «Sto migliorando.» disse, per poi prestare nuovamente attenzione alla strada.
«No, Merlin.» puntualizzò lei «Sei solo un idiota.»
Il corvino corrugò la fronte divertito «Mi dici sempre di tacere, poi quella volta che lo faccio divento un idiota. Ammetti di essere psicologicamente indecisa!» punzecchiò lui.
 «Taci.» fu l’unica risposta che ne derì, seguito da un misero e accusatorio «Altrimenti ti ammazzo.»
«Tranquilla, a quello già ha pensato tuo padre!» sbottò, senza neanche rendersene conto.
Vide la ragazza corrugare la fronte, deviata da quella sua sciocca affermazione «Mio padre?»
Svoltò l’angolo, ritrovandosi quasi vicino all’abitazione. Cercò di deviare il discorso, ignorando la sua domanda «Cosa dicevi di Ian Somerhalder?» chiese poi, con finto interesse.

*
 
Fu davvero imbarazzante.
Tutto.
Il saluto, la cena, la chiacchierata a tavola e perfino il dessert, ma fu proprio nella chiacchierata che si scatenò l’inferno.
«C’è ancora un dubbio che mi affligge…» iniziò il brizzolato rivolgendosi alla figlia «Perché mai, una donna di tanto talento, se ne resta rintanata in una campagna sperduta?»
Merlin poté chiaramente avvertire del vino bianco andargli di traverso, ma cercò di mascherarlo il più possibile, soffocando la tosse con un fazzoletto di stoffa, adornato da fili dorati.
«Beh, ho ancora il mio lavoro in città.» fece notare lei, per poi proseguire con un sorriso meraviglioso, porgendo la mano al ragazzo «E poi adoro la nostra casa.»
Un sorriso vittorioso si stampò sul volto del corvino, mentre un Uther irritato lo inceneriva con lo sguardo.
“Mi dispiace, vecchio mio, ma stiamo 1-0 per me.” Gli disse, quasi telepaticamente.
In quel momento fu allora Uther a portarsi altro vino alla bocca, deglutendone mezzo bicchiere. Dopo aver mandato giù tutto l’alcool nel corpo, proseguì insistente «Tali virtù sono sprecate in una città di provincia come questa. Dovresti mirare più in alto.»
La donna sembrò pensarci su per un po’, ma poi si sporse col viso verso il suo Merlin, sorridendogli dolcemente «La vita che ho è già all’altezza delle mie capacità.» gli strinse forte la mano, riempiendo d’orgoglio il ragazzo, poi si voltò nuovamente verso il padre «Per il momento mi basta questo.»
Uther, sei ufficialmente fuori dai giochi, pensò Merlin, guardandolo soddisfatto.
Ma l’uomo non sembrò intimidirsi. Lui era Uther Pendragon e non era uno che si lascia sopraffare con così facilità; infatti, dopo neanche qualche secondo parlò ancora «Peccato…»
Riuscì con una sola frase a catturare l’attenzione della figlia «Che vuoi dire?»
«Sono riuscito a mettermi in contatto con New York…» iniziò a dire Uther, ma subito la ragazza lo interruppe «No, non ci posso credere!» gridò lei meravigliata, gli occhi quasi a cuore «Non dirmi che…»
Il brizzolato asserì col capo, nettamente compiaciuto del coinvolgimento emotivo della figlia «Hanno detto che una giornalista qualificata è proprio quello di cui hanno bisogno.»
Cosa stava succedendo?
Merlin si sentì improvvisamente raggiunto da Uther, che eseguendo un sorpasso firmato Michael Schumacher, era passato in vetta, tagliando il traguardo.
E fino a quel momento la loro era stata una partita di calcio. Da dove erano usciti quelle macchine e quei circuiti?

*
 
Era uscito sulla veranda per fumare.
Aveva cercato di smettere, ma nei momenti d’ansia si lasciava abbandonare dalla malsana abitudine di sentire il fumo scendere per la gola, per poi fuoriuscire come nube tempestosa dalla bocca.
La sua ragazza si sarebbe trasferita a New York, avrebbe avuto il lavoro che aveva sempre sognato, ma lui? Che fine avrebbe fatto un ragazzo come lui in una città come La Grande Mela?
Picchiettò sul filtro della sigaretta, quel poco che bastasse per far cadere della cenere, per poi riportarselo alla bocca. Aspirò molto, finché non avesse esaurito spazio nella bocca.
Respirò piano il fumo, per poi ricacciarlo dalla bocca, soffiando nervoso.
Il rumore di un accendino lo destò. Al suo fianco, sulla veranda della villa Pendragon, si era avvicinato Uther, tra le labbra la sua Marlboro rossa.
«Te l’avevo detto.» sentenziò lui «Avrei impedito questo matrimonio, fino alla fine dei miei giorni.»
Del fumo grigio uscì dalle sue labbra spinose, creando una nube tossica e maleodorante. A Merlin piaceva l’odore del fumo, ma non quello proveniente dalla bocca di Uther Pendragon.
Non riuscì a contenersi. Corrugò la fronte, per poi guardarlo in viso con astio «Perché devi essere così rude?»
Fece un altro tiro dalla sua Marlboro, vittorioso come non mai «Mi spiace Merlin, ma ho vinto io.» decantò per poi gettargli della cenere sulle scarpe.
Sorrise educato, come solo quel ragazzo sapeva fare, poi buttò la cicca a terra, calpestandola col piede destro «Tanto la sposo lo stesso.» sentenziò convinto, per poi sparire all’interno della casa.

*
 
Merlin e la sua ragazza erano ancora al cospetto di Uther quando successe l’improbabile.
«Non voglio andare a New York.» iniziò a parlare la ragazza, meravigliando tutti nella sala.
«Ti sei forse impazzita?!» la rimproverò il padre, ma la ragazza neanche l’ascoltò, così continuò col suo discorso «La piccola mela che cresce nel mio giardino mi è più che sufficiente.» aggiunse ancora, per poi stoppare la paternale sul nascere «Non sono venuta qui per il semplice gusto di farti visita, papà. C’è una ragione ben più profonda.»
Il cuore nel petto di Merlin smise di battere quando la ragazza si voltò verso di lui, prendendogli una mano «Vuoi sposarmi?»
Uther non parlava, molto probabilmente sarebbe morto a breve d’infarto.
Merlin dal canto suo rimase inerme, chiedendosi se fosse tutto vero.
«Allora?» chiese infastidita lei, nel non ricevere risposta «Lo vuoi o no?»
Sotto lo sguardo pietrificato di Uther Pendragon, il giovane corvino soffiò un “Da sempre”, per poi baciarla. Un bacio caldo e delicato. Le loro labbra avevano trovato riparo, le une in quelle dell’altro, finché un tonfo sordo non destò i due giovani.
«Papà…» canzonò la giovane.
Suo padre, steso a terra, aveva ormai perso conoscenza.
   
 
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