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Autore: TvSeriesAddicted    26/01/2015    2 recensioni
27 gennaio: "Giornata della memoria".
Perchè quelle 13 milioni di persone non siano morte invano.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Olocausto
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Vuoto. Freddo. Morte.

Questo era Auschwitz.

Questo era Mauthausen.

Questo era Dachau.

Questo erano i campi.

Non c’era un Dio da pregare.

Non c’era un nome da invocare.

Non c’erano lacrime da piangere.

Non più.

SI erano consumate, si erano prosciugate dai volti degli uomini, delle donne e dei bambini.

Questi luoghi non sono altro che tombe.

Tombe senza nome, fosse comuni di corpi e di sogni.

Tra quei corpi c’è Karl, parigino padre di famiglia proprietario di un negozio di scarpe, le cui vetrine sono state rotte in mille pezzi una notte di qualche mese fa, proprio come sono state rotte le sue ossa. Ha provato a proteggere il suo piccolino di soli 2 anni e la giovane moglie di soli 21. Ma all’entrata sono stati separati. Hans è salito su dai camini insieme ad altri bambini, sparso nel vento, e sua madre poco dopo.

Tra quei corpi c’è Elsa. Aveva solo 11 anni. E con lei Katrina, sua sorella, anch’essa di 11 anni. Si tengono ancora per mano, nello sporco e nel fango. Si, sono morte nello stesso momento. Sono morte per la “scienza”.

Franz ha il viso tra le mani e si strappa i capelli, urla a squarciagola e prega che qualcuno lo uccida. Ma nessuno ne ha più la forza. Franz però ha
ucciso ed ha picchiato perché era costretto a farlo. Franz si conficca le unghie nelle mani. Franz si ricorda i volti dei bambini che ha accompagnato nella camera a gas che gli sorridevano fiduciosi quando gli diceva: “E’ solo la doccia”. Franz sente ancora le loro urla quando usciva lo Zyklon B. Franz si alza, corre e si getta contro i fili della corrente elettrica. Li rivede quei bambini, lo prendono per mano e lo portano via.

Ivan è russo, ha 24 anni, è entrato nel campo con le truppe per la liberazione, ma non è ciò che si aspettava. Si aspettava una prigione. Quello invece era l’inferno. Mentre ha gli occhi puntati al cielo, urta con lo stivale qualcosa di solido ma leggero. Credendo sia una bambola si china per raccoglierla, ma non è una bambola. Ivan riesce solo a sussurrare un flebile “no”, mentre le sue mani stringono il cadaverino di un neonato. Sul volto del piccolo è incisa un’espressione di dolore, ovvero tutto ciò che abbia mai conosciuto. Ivan lo abbraccia mentre tra urla strazianti di dolore capisce che quel bambino non è l’unico.

Dense nuvole grigie riempiono il cielo.

Un vento pungente ferisce le guance delle persone che ferme, in silenzio, aspettano.

Aspettano un miracolo.

Aspettano di svegliarsi da quell’incubo.

Aspettano di riabbracciare i loro cari.

Aspettano di vedere i propri figli risorgere dalla cenere come tanti fenici.

Aspettano che qualcuno li ridia la vita.

Aspettano che qualcuno li mostri dove andare.

Aspettano la morte, perché il dolore è troppo grande.

Aspettano di essere perdonati, perché sono sopravvissuti.

Luoghi dove i sogni muoiono.

Dove nessuno ha più voce per gridare “aiuto”.

Karl non potrà mai insegnare a suo figlio ad andare in bicicletta.

Elsa non diventerà mai una dottoressa.

Katrina non avrà mai un marito e 10 figli.

Franz non tornerà più a casa da sua madre.

Ivan non riuscirà mai più a dormire la notte e qualche anno dopo si metterà una pistola in bocca e premerà il grilletto.

Loro non parleranno più.

Loro e altri 13 milioni di persone.

Ma continueranno a chiamarci.

Continueranno a pregarci.

Continueranno a chiederci di non dimenticarli.

Non vogliono essere morti invano.

Non finchè tutte le persone non verranno trattate con dignità.

Non finchè tutti non possano essere liberi di essere coloro che sono.

Loro non possono più parlarci.

Ma dalle foto e dai filmati ci guardano.

Guardano nell’obbiettivo come se dall’altra parte ci avessero già visto.

Ci fissano, e noi non possiamo fare altro che guardarli, immobili, col rimorso di non aver condiviso il loro dolore, ma consapevoli anche del fatto che
accetteremo la loro richiesta di soccorso.

Non ce lo possono dire, ma bastano gli occhi.
 
  
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