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Autore: imperfection_    27/01/2015    4 recensioni
Un vecchio comandante delle SS si trova a rientrare ad Auschwitz anni dopo la fine della guerra. Ma i ricordi lo attanagliano, lo soffocano, e l'unica via di fuga è la pazzia.
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Olocausto
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Verrückt

Agilolf mise piede in quel posto che pensava non avrebbe rivisto più in tutta la sua vita. Auschwitz. Un leggero sorriso si ombreggiò sulle sue labbra, mentre sfiorava uno dei pali all'entrata. Alzò lo sguardo, la scritta era ancora lì. Arbeit macht frei. Si passò una mano tra i capelli ormai candidi come la neve ed entrò.
Si era fatto aprire le porte del campo di concentramento apposta, minacciando gli impiegati di non far entrare nessun altro. Voleva essere da solo in mezzo a tutti quei ricordi.
Camminò nel grande spiazzo, guardando a destra e a sinistra gli edifici che si ergevano basso e malconci. Se non fosse stato già specificato il tipo di posto, il lettore potrebbe facilmente pensare che l'uomo si trovasse in una cittadina tipica dei vecchi film western a cui mancava soltanto la balla di fieno che rotola lenta e tetra in mezzo alla strada. Non che sarebbe fuori luogo, data la desolazione che potrebbe accomunare entrambi i posti, ma per motivi diversi. Ma torniamo alla nostra vicenda.
Agilolf non era, come potrebbe intuirsi, una vittima. No, lui era un fiero comandante delle SS. Lui credeva fortemente in quello che Adolf Hitler, ai suoi tempi, proclamava. Gli era rimasto fedele fino alla fine della guerra, quando si era trovato nelle mani degli inglesi e, con codardia, aveva cercato in tutti i modi di scagionarsi. Per molti anni era rimasto prigioniero, finché non venne rilasciato per "buona condotta". In prigione aveva visto i suoi capelli da biondi e lucenti come l'oro diventare bianchi e il suo fisico scolpito indebolirsi e curvarsi sotto il peso dell'età e delle pessime condizioni in cui lo facevano vivere. Vigeva questa legge in quelle prigioni: pedofili e nazisti dovevano essere considerati meno di zero. Come biasimarli, dopotutto?
Si stirò appena, come un gatto al sole caldo. Peccato che in Polonia la parola "caldo" avesse senso solo se preceduta da un "non". Si strinse di più nel suo cappotto pesante e si sistemò il berretto. Si fermò davanti ad una catapecchia dove i prigionieri dovevano dormire. La numero 174, quella degli omosessuali. Sospirò e tirò su col naso a causa del freddo.

Quattro persone erano sedute in salotto. La donna era mollemente adagiata sul divano mentre leggeva ad alta voce un libro, rigorosamente tedesco e accettato dal Führer. I suoi vispi occhi grigi seguivano le parole e le sue belle labbra, rosse come mele mature, si muovevano in modo sensuale lasciando uscire una voce cristallina. I capelli biondi erano acconciati in una treccia che si arrotolava attorno al capo e il vestito verde smeraldo le fasciava il corpo alla perfezione.
Seduta per terra, con la testa coperta di ricci biondi che le arrivavano alla vita, c'era una ragazzina sui sedici anni vestita di rosa antico. Era innegabilmente bella anche lei e somigliava in tutto e per tutto alla madre, tranne gli occhi. Quelli erano azzurri, esattamente come il padre. Ricamava mentre ascoltava le storie che la donna leggeva.
Su una poltrona c'era Agilolf, che nascondeva un sorriso dietro il giornale alla vista delle due donne della sua vita che, in più, erano la perfetta incarnazione della donna ariana e di quello che deve rappresentare. Il suo sguardo si posò poi sul ragazzo seduto sulla poltrona sull'altro lato della stanza, intento a scrivere poesie.
Pan, il suo primogenito e motivo di vanto. Rappresentava il perfetto ragazzo di regime, prometteva di diventare un ottimo membro delle SS. Una sola cosa lo preoccupava, ed era il fatto che non avesse ancora trovato una buona fidanzata tra le tante ragazze che erano disposte ad offrirsi a lui. Ma non se ne crucciava più di tanto, trovando sempre la risposta nel suo volersi concentrare sugli studi e la carriera.
L'improvviso botto della porta che veniva aperta a forza fece sobbalzare i due uomini. Il libro cadde dalle mani della donna e la figlia si alzò per rifugiarsi tra le braccia della madre, che la strinse protettiva.
«Heil, Hitler!» salutarono i membri delle SS alzando il braccio destro, rivolgendo poi un leggero inchino alle due rappresentanti di sesso femminile.
«Heil, Hitler» li imitò Agilolf, per poi alzarsi in piedi. «Perché siete qui?»
«Abbiamo un mandato di cattura per Pan Schäfer, comandante»
«E quale sarebbe l'accusa?» chiese glaciale, lanciando un'occhiata di fuoco al figlio.
«Omosessualità, signore. È stato scoperto a compiere atti osceni e ci è stato prontamente denunciato. Il suo... Compagno» il soldato sputò questa parola con tutto il disprezzo che aveva in corpo «È già stato preso e giustiziato»
«Adolf!» la voce del ragazzo interruppe l'uomo che stava per dire qualcosa e si girò verso di lui. Pan si era alzato, lasciando cadere il quadernetto che aveva in mano. Era impallidito, le labbra erano socchiuse e gli occhi spalancati. Quasi si poteva sentire il suo cuore martellare nel petto.
«Quindi lo ammetti...» disse piano Agilolf. L'altro annuì.
«Sì, padre. Tanto non avrebbe senso mentire. Per qualsiasi cosa, non vi smuoverete mai dalle vostre idee» rispose, fissando gli occhi nei suoi. Il più anziano distolse lo sguardo, non riuscendo a sostenerlo.
«Portatelo ad Auschwitz. Deve pagare per il suo peccato» disse ai soldati, i quali annuirono e presero il ragazzo che li seguì senza opporre resistenza.

Sospirò, sfiorando il legno. Suo figlio... Sangue del suo sangue, aveva osato disonorarlo e insultarlo così. Strinse la mascella. Era giusto quello che aveva fatto. Era un peccato, una cosa disumana, era...
«Sensi di colpa, comandante Schäfer?» chiese una voce dietro di lui. Si girò di scatto, nascondendo lo spavento e la sorpresa. Si trovò davanti un uomo alto, molto alto. I capelli erano tagliati quasi a zero, lasciando un'ombra scura sulla sua testa. Gli occhi neri sembravano enormi sul viso scavato e magro, e brillavano. Non sapeva se di tristezza, di felicità, di dolore o di pazzia. Era impossibile dirlo. Indossava quella sorta di pigiama a righe, il cappello lo teneva in mano - ma non aveva freddo? - e ai piedi aveva delle scarpe enormi di misure diverse. Agilolf lo trovava tremendamente patetico, e sapeva benissimo di chi si trattava.
«932105... Da quanto tempo non ci si vede» disse, rizzando le spalle e portando in fuori il petto, come faceva i tempi andati. L'ebreo era alto quasi quanto lui, ma in quel modo dimostrava di essere ancora superiore - e allora perché quegli occhi continuavano a metterlo in soggezione? «Ci siamo divertiti in questo campo»
«Divertiti?» l'altro lo guardò, a metà tra una risata di scherno e un'espressione incredula «Forse voi nazisti vi divertivate a torturare noi. Noi, senza colpa se non quella di essere diversi da voi. Come sta la vostra coscienza, comandante? Non ha ancora deciso di uccidervi lentamente da dentro?» la sua voce ora sembrava un tuono, e Agilolf non desiderò mai come in quel momento di essere nuovamente il vecchio comandante Schäfer mentre le sue interiora si agitavano a causa della mostruosità di quell'apparizione.
Perché, miei cari lettori, dovete sapere che Agilolf Schäfer in quella prigione non ci aveva lasciato solo la gioventù, ma anche tutto il coraggio che aveva in corpo. E in quel momento si sentiva impotente davanti ad un ebreo che doveva essere morto da anni ormai e che lo stava accusando. Che si stava prendendo gioco di lui come lui aveva fatto con loro.
«Tu... Come puoi essere reale, 932105?»
«Avevo un nome, sapete comandante? Avevo un nome che voi mi avete fatto dimenticare. Volete sapere come sono reale? Mi vedete... Non c'è niente di più reale di quello che si vede, per la gente come voi» sibilò tagliente, assottigliando lo sguardo. Faceva decisamente paura, Agilolf lo sentiva molto bene.
Ma non era solo lui. Dietro all'uomo ne erano arrivati altri, e anche donne e bambini. Era come se fosse circondato, e non sapeva da che parte scappare per non essere toccato da loro. Poi girò la testa, e impallidì del tutto.
«Tu...» mormorò.

«Tu... Tu non puoi permetterlo!» gridava una donna sull'orlo delle lacrime. Aveva appena assistito alla cattura del figlio, e suo marito si stava infilando la divisa con calma, come se non fosse successo niente.
«È giusto così, Ilselotte. Lui ha infranto la legge» rispose lui, freddo come il ghiaccio.
«È solo un ragazzo!» a questo punto una lacrima sfuggì dai suoi occhi grigi, seguita da molte altre.
«Ha vent'anni, è un adulto ormai»
«È solo un bambino... È il mio bambino! Ed è anche tuo figlio, come hai potuto fargli questo?» le sue spalle erano ormai scosse dai singhiozzi e il suo volto inondato di lacrime. Ora la bella Ilselotte capiva come potevano sentirsi le madri a cui venivano strappati i figli dal senso. Agilolf sospirò e tentò di stringerla, ma prima ancora che riuscisse a sfiorarla, lei si spostò.
«Ormai è deciso, non si torna indietro. Pan andrà ad Auschwitz perché omosessuale. Deve pagare» disse in tono autoritario «È una decisione del Führer, e le decisioni del Führer non si contestano»
«Magari il Führer ha torto! Non ha fatto male a nessuno! Fallo tornare indietro, Agilolf, o ti giuro che io...»
«Che tu cosa, Ilselotte? Che mi uccidi? Che mi fai del male? Che paura!» la schernì, divertito. Poi assunse un cipiglio severo e minaccioso «Sei mia moglie. Mia. Mia proprietà, sottomessa a me. Decido io per questa casa, per te e per tutti. Non mettere in discussione niente perché sei inferiore. Stai al tuo posto, donna, o a te e Margarete potrebbe succedere di peggio» soffiò, per poi uscire e lasciare la moglie sola, in lacrime e debole.

«Salve, padre. Da quanto tempo non ci vediamo. Più precisamente... Da quando mi avete ucciso» disse piano Pan. Non c'era traccia di ostilità nella sua voce, nemmeno di rabbia. Solo tanta, tanta tristezza. Si avvicinò ad Agilolf, il quale cercò di indietreggiare. Il ragazzo sogghignò. «Avete paura di me, padre? Non vi farò nulla...»
«Tu... Tu sei morto... Non puoi essere qui...»
«Strano, vero? Eppure... Eccomi... Insieme a tutti gli uomini, donne e bambini che voi e gli altri avete ucciso. Avete visto quanti siamo? E qui siamo solo le vostre vittime... Vi ricordate il nome di ognuno di noi? Il perché ci avete ucciso?» si lasciò andare ad un sorriso amaro e scosse la testa.
«Eravate colpevoli di un reato contro lo stato. Gli ebrei tramavano di conquistare il mondo, e gli altri erano pericolosi» gli rispose, ora non tanto più sicuro di quello che diceva «E tu... Tu eri un finocchio. Colpevole di reato davanti alla legge e davanti a Dio. È un peccato mortale, e io ho solo compiuto ciò che andava compiuto»
«No, padre. Voi avete fatto solo ciò che un pazzo vi comandava. Tutti noi eravamo innocenti. Tutti. Non c'era colpa nella nostra vita» sibilò «E di certo non abbiamo colpe davanti a Dio per essere ebrei, omosessuali o tutto il resto»
«Eravate malati!»
«Siete voi quello malato per aver seguito quell'uomo!» tuonò Pan, zittendolo di colpo. «Siete venuto qui a vantarvi, a ricordarvi i vecchi tempi... Lasciate che vi diamo qualcosa in cambio»
«Cos... No! Lontani, state lontani!» urlò, mentre tutti i presenti, che ora era sicuro fossero spettri, gli passavano di fianco o attraverso, raggelandolo.

Era una bella mattinata se si guardavano solo i lati meteorologici. Il cielo era limpido e non minacciava pioggia. Agilolf sorrise mentre si avviava all'interno del campo seguito da altri soldati. Fece interrompere immediatamente ogni mansione ai prigionieri, costringendoli a mettersi in file di dieci alla volta. Si annoiavano, i nazisti, e avevano voglia di divertirsi un po'.
Le prime tre file erano state una passeggiata. Era sempre divertente vederli impauriti e cadere a terra, morire a causa dei proiettili in corpo. Vedere gli altri guardare i loro compagni a terra con un misto di emozioni. Tristezza perché li avevano lasciati. Invidia, perché almeno avevano smesso di soffrire. Felicità, perché le razioni di cibo e lo spazio nei letto sarebbe aumentato. I soldati si limitavano a ridere e trovarlo un passatempo come un altro.
La quarta fila fu, per Schäfer, problematica. Tra i dieci, intravide Pan. Suo figlio, che ora era semplicemente il numero 538591. I vestiti a righe gli andavano enormi, il segno delle spalle della maglia gli arrivava quasi a metà braccio. Le scarpe pesanti e dolorose erano evidentemente di numeri diversi, una fin troppo piccola e una troppo grande. Al posto dei folti e nei capelli biondi, solo un'ombra. E gli occhi... Quello fu ciò che colpì maggiormente il comandante. Gli occhi, così simili a quelli di sua madre, ora erano spenti. Lo guardavano senza realmente vederlo, come se fosse rassegnato.
Scosse appena la testa e puntò la pistola. Un colpo, un solo colpo. Chiuse gli occhi.
Boom.
Riaprì gli occhi e lo vide cadere a terra, morto. Lo aveva colpito.

Le urla isteriche e le risate dell'uomo arrivarono alle orecchie dei due guardiani incaricati di chiudere il campo. Era sera, chi era ancora lì dentro? Si guardarono e si fecero coraggio per entrare. Era inquietante e macabro quel posto, soprattutto col buio.
Seguendo la voce, arrivarono davanti ad una figura rannicchiata a terra. Si abbassarono e lo fecero girare, per incontrare gli occhi azzurri velati di follia dell'uomo. Uno dei guardiani, il più giovane, si grattò la punta del naso.
«Questo non è Agilolf Schäfer? Il comandante...» chiese. Era quasi irriconoscibile, tra il buio e il volto deformato dalla pazzia. L'altro annuì.
«Già. Deve essere venuto qui per ricordare e complimentarsi con se stesso per quello che ha fatto. Deve essere uscito fuori di testa. Ben gli sta, era uno dei peggiori...» bofonchiò le ultime parole, trovando l'assenso muto del compagno. «Aiutami a portarlo via. Poi chiameremo qualcuno per portarlo in un manicomio» disse, prendendolo da una parte.
L'altro annuì deciso, sollevandola dall'altra mentre Schäfer non accennava a smettere di ridere o di dire cose senza senso.



~~Author's little corner~~

Buongiorno!
Questa storia è più lunga che bella, me ne rendo conto, ma... Volevo a mio modo dire qualcosa. Ricordare che comunque le vittime erano milioni e non solo ebrei. Certo, la maggior parte lo erano, ma in questa particolare storia... Volevo far vedere l'altra parte. Gli altri prigionieri che spesso vengono messi in secondo piano. Volevo anche far vedere quanto la famiglia, per certe persone, passasse in secondo piano.
Ovviamente Agilolf è tutt'altro che cambiato. Non è un uomo buono, non è stato costretto a far niente. Lui credeva davvero in quello che faceva e lo ha dimostrato lasciando che Pan venisse catturato e anche uccidendolo. La sua cattiveria si fa vedere anche nel discorso con Ilselotte, la donna che dice di amare. Nemmeno lei è totalmente buona, si preoccupa solo del figlio anche se comincia a capire che forse, forse non è tutto giusto quello in cui suo marito crede.
Pan... Pan è il tipico ragazzo di famiglia tedesca nel periodo. Educato, bello, forte, che studia... Ma è gay. E questo lo distacca dall'immagine del tipico ragazzo ariano. Lui è buono fondamentalmente ma, come moti ragazzi dell'epoca, è stato educato in un certo modo. Certo, poi quando si trova "diverso" dagli altri rinuncia intimamente alle sue basi naziste. Il suo amante l'ho voluto chiamare Adolf apposta. Perché come suo padre "ama" un Adolf pazzo, assassino, dittatore, il giovane Pan ama un Adolf dolce, come lui, semplice.
Detto questo... Boh! Spero vi sia piaciuta! Lasciati una recensione se vi va, sia positiva che negativa!
Alla prossima!
Un bacio

imperfection_

  
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