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Autore: Non ti scordar di me    27/01/2015    10 recensioni
Elena aveva bisogno di una persona che l’aiutasse. Che la rendesse forte.
Damon era considerato un mostro, ma lui non era un mostro. Lui era il mostro, uno schifoso reietto odiatore.
Elena era odiata da tutti. Damon odiava tutti.
Elena pensava di essere figlia del diavolo. Damon non pensava, lui era il figlio del diavolo.
*
Non sapeva che Damon Salvatore sarebbe diventato il suo supereroe.
Ma non uno qualsiasi, non uno forte, non uno bello, sarebbe solo stato il suo supereroe fallito.
*
«Sei l’origine del mio male.»
«E’ un male o un bene, Damon?»
«Non lo so, Elena.»
*
A lui piaceva vederla in quella grande felpa. A lui piaceva il modo in cui si mangiucchiava lo smalto nero. A lui piaceva il modo in cui lo stava soffocando.
A lei piaceva sentire il dolore. A lei piaceva il modo in cui le parlava. A lei piaceva il modo in cui la sua risata facesse girare il suo mondo.
*
Elena gli avvelenava la mente. Damon le avvelenava il cuore.
Elena gli martoriava il cuore. Damon le martoriava la mente.
Troveranno il loro posto nel mondo? O forse non c’è posto per quelli come loro?
*
Opinioni accette.
Non ti scordar.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Un po' tutti | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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E un cigno nero resta tale anche se gli strappano le piume, 
il vero supereroe è quello sotto il costume, 
toglimi ‘sta maschera, fallo con le tue mani, 
poi guardami dentro agli occhi e dimmi se te lo aspettavi 
Che ero io, ero io. 
Supereroi Falliti, Mostro e LowLow.


Capitolo uno.
 

Ogni ragazzo aveva una sua vita, ognuno la affrontava in modo diverso. Ognuno decideva di vivere la propria vita nel modo in cui preferiva e nessuno poteva sindacare su come una persona trattasse la propria vita.
Nessuno aveva il diritto di dire a qualcun altro cosa farne della propria vita, così come nessuno poteva dire a qualcuno di mettere la parola fine a quel miracolo che gli era stato donato.
Ormai molti immagino l’adolescente come uno dei periodi migliori della propria vita, perché basta viverla al massimo. E c’era chi immagina una di quelle adolescenze dei film, una di quelle con tanti problemi e ostacoli che la rende memorabile.
Peccato che il mondo delle favole e dei film non esista. Nessuno potrà mai essere protagonista della storia che si era immaginato, anche se le storia quasi sempre erano uguali.
In particolare le ragazze amavano perdere tempo su questi futili pensieri. Tutte volevano il ragazzo bello e dannato, il solito puttaniere pronto a cambiare vita per l’innocente ragazzina appena arrivata nella nuova scuola. E come sempre, in queste storie c’era bisogno di un cattivo. E quel cattivo era rappresentato sempre dalla ragazza troia.
Mhm. I soliti clichè. Clichè stupidi ed infantili, con una possibilità di realizzarsi di circa lo 0,9 % possibile.
Questi erano i pensieri della diciassettenne, Elena Gilbert, che stava svogliatamente leggendo un libro che le aveva consigliato la commessa della grande libreria.
Ho sprecato diciannove dollari. Pensò la giovane arricciando il naso e chiudendo quel libro che a breve avrebbe cestinato. Non aveva mai letto un libro così irreale e stereotipato. Le avevano rifilato uno di quei romanzi adatti alle ragazzine con gli ormoni a palla, ma a lei non servivano quei libri.
Non aveva bisogno di illudersi, sapeva che per lei non c’era speranza di migliorare quello che aveva rovinato con le sue mani.
Il libro aveva come protagonista una giovane e stupida ragazzina dai capelli lisci e biondi come il grano, gli occhi color lapislazzulo con una condotta irreprensibile e un innocenza quasi affascinante. Come sempre, arrivata da poco nella nuova scuola, veniva presa di mira dalla solita ragazza gambe aperte che le raccomandava di stare lontana dal ragazzo – a detta sua – più bello e pericoloso della scuola.
Clichè scontati, pochi colpi di scena, storia ripetitiva e noiosa. Grammaticalmente penosa, con frasi troppo scialbe e sentite troppe volte. Costatò la ragazza, segnando su un fogliettino tutti i difetti che aveva trovato dopo aver letto solo cinque capitoli di quel coso.
Lo sguardo della mora si posò sulla sveglia accanto al suo letto, segnava le nove meno venti. Aveva, ancora, venti minuti abbondanti per arrivare a scuola.
Solo a pensare al nome scuola le venne la pelle d’oca. Fosse per lei avrebbe solamente cambiato nome e città, iniziando una nuova vita altrove.
Perché la vita che aveva ora non le piaceva affatto.
Scese dal letto e sistemò sopra i cuscini che la sera precedente aveva poggiato sul pavimento. Si specchiò e si sistemò i lunghi capelli lisci scuri che le ricadevano morbidi fino al seno.
Si sistemò la maglietta grigia e rimase pochi istanti ferma davanti allo specchio, pensando se fosse meglio togliersi o no quella maglia per sostituirla con qualcos’altro.
Era molto semplice con uno scollo a V non troppo esagerato. Ormai, però, doveva sempre stare attenta a cosa faceva, a cosa diceva e a come si comportava.
Perché non c’era persona che non sapeva chi fosse Elena Gilbert. E quella fama la infastidiva e non soltanto perché era una fama finta e costruita, la odiava nel profondo. La odiava visto che oggi, in quella minuscola cittadina, non aveva uno straccio di amico che non le avesse voltato le spalle. Non poteva avere un solo ragazzo che non la guardava dall’alto in basso senza soffocare commenti poco carini su di le.
Non poteva avere la libertà di mettersi qualcosa addosso di diverso, altrimenti tutti quanti l’avrebbero attaccata ancora di più.
Alla fine aprì l’armadio e ne estrasse una felpa nera che abbottonò fino sopra. Per scoprire il viso si legò i capelli in una coda di cavallo alto e infilò nel suo zaino di jeans il suo solito lipgloss.
Così va meglio. Pensò prima di chiudersi definitivamente alle spalle la porta di camera sua. Scese frettolosamente le scale e vide già sua madre alle prese con i fornelli.
Forse è meglio saltare la colazione. Per quanto sua madre provasse a fare da diciassette anni i pancake, non avrebbe mai capito che non erano il suo forte.
«Mamma, prenderò solo una mela.» Le comunicò con una scrollata di spalle, già prendendo la mela tra le mani e sciacquandola sotto al lavabo, mentre la madre alzò un sopraciglio dubbiosa.
«Questo significa che non gradisci i miei pancake?» Scherzò. Elena trattenne a stento una risata. Entrambe sapevano il motivo per cui continuava a cucinarli nonostante non fosse il suo forte, ma la mora non aveva mai trovato il coraggio per dirle di non cucinarli più.
«Ovvio che no. Li mangerò più tardi…magari dopo una sessione di studio.» Le sorrise e addentò la mela.
La madre osservava la figlia mangiare la mela e notò – con una punta di dispiacere – che non abbandonava questo look così scuro e cupo per la sua età.
Aveva sempre pensato che sua figlia stesse bene con i colori sgargiante, come il rosso, il rosa, il cobalto…Ma ora era da troppo tempo che non ne vedeva uno su di lei, ora era solo un’alternanza di colori smorti e scuri – grigio, rosso carminio, blu, nero –.
Elena finì la mela e buttò nella pattumiera il torsolo.
«Perché mi stai fissando?» Le chiese divertita. La madre scosse leggermente la testa, allontanando dalla mente quei pensieri a cui decise di dar voce.
«Notavo come il tuo guardaroba sia sempre così scuro.» Le disse con un mezzo sorriso. Avevano già affrontato quell’argomento una volta e non era finita bene.
Elena si sentì quasi chiamata in causa e si strinse nella sua felpa. A lei piacevano quei colori e non perché fosse entrata in uno dei periodi da adolescente punk o emo, semplicemente voleva passare inosservata.
Voleva non dare troppo nell’occhio e con dei colori così era più facile portare a termine il suo intento.
«Ci vediamo più tardi, mamma.» La liquidò la figlia, provando ad evitare quell’argomento da lei tanto odiato. Ancora non capiva come la madre si ostentasse a riportarlo a galla, tanto la verità – o almeno quella che si vociferava lì a Mystic Falls – la conoscevano tutti e la sapeva anche lei.
Sbatté la porta di casa ed estrasse dalla tasca del suo jeans il cellulare con le sue inseparabili cuffiette. A riproduzione casuale partì una delle tante canzoni che la rispecchiava.
Numb, dei Linkin Park. Le si illuminarono gli occhi quando le sue orecchie furono investite da quelle note e parole.
Lei si sentiva come quelle parole, ma lei non era bloccata in quella vita per via di qualcuno. Lei non doveva essere una determinata persona per qualcuno…Lei semplicemente aveva quella reputazione e nessuno l’avrebbe mai aiutata in qualche modo.
Qui non siamo in quello stupido libro. Pensò con rammarico superando il parcheggio. Era quasi arrivata a scuola, storse il naso e prese una boccata d’aria.
In quello stupido libro, tutta la scuola venerava la ragazza facile, la ragazza dai lunghi capelli e dal bel sorriso che per quanto potesse essere stronza alla fine un cuore lo aveva.
La realtà era un’altra.
Una volta che ti etichettavano come una facile, eri spacciata. Potevi segnarti la tua condanna a morte. Essendo Mystic Falls una cittadina piccola le voci giravano e tutti associavano un aggettivo ad un volto.
E lei per tutti era Elena la facile o Elena la troia. Quei nomi che le affibbiavano le facevano venire ancora i brividi e tante volte si era chiesta perché quello stesse capitando proprio a lei, perché gli anni di liceo le fossero stati rovinati tutti da un verme.
Perché Elena non era la più popolare della scuola. Non era la più bella, quella che tutte le matricole invidiavano. Non era la più desiderata, quella che faceva strage di cuori.
No, era solo una troia per l’intero corpo studentesco della sua scuola.
Io so la verità, in cuor mio. Pensò la mora facendosi coraggio. Ogni giorno si ripeteva quelle parole prima di varcare l’entrata verso la scuola, solo pensando a come la gente potesse sbagliarsi sul suo conto poteva sentirsi meglio.
Stare apposto con sé stesse era l’unica cosa che stava salvando Elena da tutte le brutte parole e i brutti comportamenti. Ormai non andava sul suo profilo di face book da una vita – consapevole di trovarlo intasato di insulti. –
Come sempre gran parte del corpo studentesco si girò per osservarla. Nessuno perdeva tempo per attaccarla, era diventato un gioco per tutti…ma a volte si esagerava. E ormai quello che stava vivendo Elena non era più un gioco, era una vera e propria forma di bullismo.
Il punto era che nessuno se ne rendeva conto, perché tutti sapevano quanto la faccia di bronzo di Elena Gilbert era forte. E pensavano che non si sarebbe spezzata facilmente, peccato che non avevano idea di come quella ragazza sia già spezzata.
Gli occhi della mora si posarono in lontananza sul gruppo delle sue amiche.
Amiche? Ex amiche. Si corresse mentalmente assottigliando gli occhi in due piccole fessure non appena vide come la bionda – conosciuta anche come Caroline Forbes – stava venendo verso di lei, seguita da Bonnie Bennett.
Caroline si fermò davanti alla ragazza e si scambiarono per pochi istanti occhiate di fuoco.
«Elena, cara!» Trillò la bionda con voce acuta. Quel tono fece accapponare la pelle alla mora e non perché le incutesse timore, no, tuttavia quel tono così squillante era fastidioso.
«Cosa vuoi?» Fu diretta Elena. Caroline era una grande stronza. L’aveva sempre saputo. Fin da quando erano amiche dai tempi delle scuole elementari aveva capito che era meglio non avercela contro visto che era una tipa tosta.
In tutti i casi Elena non aveva paura. Le due si erano sopportate per anni, c’era qualcosa che le accumunava no? L’essere stronze e forti. Due fuochi che bruciavano potevano avere come finale un’esplosione e proprio quella si aspettava l’intero cortile della Robert Lee High School.
«Volevo chiederti il piacere di non urlare troppo la sera, sai c’è gente che cerca di studiare.» Caroline se vivesse in un libro sarebbe stata etichettata come la tipica Mary Sue: l’essere perfetto, bravo, forte e sicuro di sé. L’aspetto da tipica ragazza romanzata: capelli biondi, occhi azzurri, pelle chiara e un sorriso smagliante.
Sempre caritatevole e presidentessa di una decina di club in tutta la scuola.
Brutta stronza. Perché deve essere mia vicina? Pensò Elena. Quelle battutine acide e a doppio senso l’accompagnavano dal momento in cui metteva piede a scuola fino a quando non ne usciva completamente.
Era diventata quasi routine, se non fosse per le sensazioni che Elena avvertiva ogni giorno. Quelle emozioni, quel sentirsi costantemente sotto esame, la facevano sentire uno schifo.
«Vorrei ricordati come fino a pochi anni fa cantavi con me la stessa canzone che intonavo ieri sera?» Replicò apatica. Notò i lineamenti della bionda irrigidirsi. Pensava che non si ricordasse cosa stesse veramente facendo ieri sera?
Se lo ricordava perfettamente. Cantava una delle tante canzoni che da piccola cantava con lei e Bonnie.
Bonnie, invece, era una ragazza dai tratti sudafricani. I capelli erano neri – così come gli occhi – e ricadevano dietro la schiena in un ordinata massa di ricci lavorati.
«Rimarrai sempre una troia, Gilbert.» Le ricordò Care con gli occhi furenti.
«Rimarrai sempre la stronza ex amica della troia, Forbes.» Sapeva di aver vinto quel confronto e non poteva esserne più contenta. A volta avere quelle piccole rivincite la facevano sentire molto meglio, ma dopo un po’ quel sentimenti di appagamento spariva e lasciava posto alla continua tristezza e solitudine che la circondava.
Caroline girò i tacchi – non prima di averle scrocchiato un’occhiataccia –, Bonnie era  pochi passi dietro di lei. Alzò lo sguardo e le sorrise leggermente mimando un mi dispiace.
Sì. Bonnie rimarrà sempre quella che posso definire un’amica qua in mezzo. Costatò la ragazza. La mora non si era mai espressa. Non le aveva mai rivolto una parola negativa, a pensarci bene quasi l’evitava…Ovvio non era bello sapere che una persona provava ad evitarti, ma Elena lo trovò quasi un gesto carino.
Meglio essere evitata che essere presa in giro. Così interpretò quel modo di fare di Bonnie che si girò, anch’ella di spalle, avviandosi verso la squadra delle cheerleader capitanata – ovviamente – da Miss Caroline Gentilezza Forbes.
Elena alzò gli occhi al cielo e sbuffò. Gli occhi puntati costantemente su di lei e tanti ridolini. Li ignorò e si avviò verso uno dei pochi posti che amava lì, a Mystic Falls.
Le piaceva sedersi a terra sotto l’albero che si trovava vicino l’edificio. Andava lì quasi sempre, sin da quando arrivava a scuola e aspettava la campanella suonare. Passava lì anche il pranzo, visto che non poteva passarlo con amici. E a volte quando non voleva fare educazione fisica si rifugiava sotto quell’albero.
Si sedette sulle radici e premette invio nuovamente alla musica dal suo cellulare. Chiuse gli occhi e si beò di quelle note che le fecero spuntare un sorriso in volto e la fecero rilassare momentaneamente.
Per un secondo pensò che forse era meglio non entrare a scuola oggi, però scartò immediatamente quell’idea. Anche perché non aveva nessuna scusa da dare alla madre per farle firmare la giustifica.
Elena si ritrovò a tossire più volte quando del fumo raggiunse le sue narici. Tossì velocemente e si tolse una cuffietta dall’orecchio spontaneamente.
Aperti gli occhi si scontrò con una seconda figura.
Un momento…Chi è lui? Si ritrovò a pensare Elena. Perché qualcuno vorrebbe rivolgerle la parola? Gli occhi color cioccolato della ragazza scrutarono attentamente il ragazzo.
Era poco lontano da lei, appoggiato sui piedi a terra con una sigaretta in bocca e un’espressione indecifrabile in volto.
Dire che lo trovò inquietante era poco, la ragazza sentì una scossa di brividi pervaderle la schiena. Quello sconosciuto – completamente vestito in nero – la guardava con aria imperscrutabile e i suoi occhi cercavano quelli della giovane. Una volta trovati quelle due tonalità così differenti si fusero.
Gli occhi della ragazza si persero in quelle due piccole pozze d’oceano che sembravano brillare. Quei due lapislazzuli risaltavano su quel ragazzo, vestito di nero da capo a piedi.
Era incantata da come un paio di occhi potessero farle venire in menti pensieri così belli.
Lo stesso valeva per lui. Quegli occhi cioccolato con piccole pagliuzze dorate le donavano perfettamente, così come quel visino era adatto ad uno smagliante sorriso – che non aveva ancora avuto il privilegio di vedere sul volto della ragazza –.
«Perché sei qui?» Chiese scontrosa Elena mettendosi a sedere. Erano rimasti in silenzio per pochi attimi, ma lei si era sentita subito in tremendo disagio vedendo come quello sconosciuto la stava squadrando minuziosamente nei dettagli e le dava, anche, il voltastomaco.
«E’ un luogo pubblico, piccola.» Le fece notare sedendosi completamente a terra e togliendosi dai pantaloni quelle poche erbacce che erano finite.
«Rettifico: perché mi stai fissando?» Continuò. Il corvino così si chiese se quella ragazza riuscisse ad avere una normale conversazione con qualche persona normale.
«Non ti sto fissando. Sto solo fumando.» Dichiarò con un’alzata di spalle, per poi aspirare un po’ di nicotina dalla sigaretta e intossicarsi ancora di più.
Elena alzò gli occhi al cielo e s’inumidì le labbra…Perché questo ragazzo le stava parlando e non sembrava schifato? Anzi, sembrava che non sapesse neanche chi fosse e che merda di reputazione le avessero affibbiato.
«Fuma da un’altra parte.» Gli ordinò. Il fumo la infastidiva. Era fastidioso e le faceva quasi lacrimare gli occhi. Non amava le sigarette in generale, il solo vederle le mettevano nausea e un senso di vero e proprio schifo addosso.
Quella puzza di fumo, poi, era qualcosa che detestava.
«Come ho detto: questo è un luogo pubblico, posso fumare qui anche senza il tuo permesso.» Le sorrise divertito. Provocarla era quasi comico.
«Nessuno viene mai qui.» Ringhiò Elena quasi infastidita da quei comportamenti. Anche se si mostrava indifferente agli occhi di quel ragazzo, lo squadrava dall’alto in basso e cercava di capire dove avesse già incontrato quel volto e quegli occhi.
«Ci vengo solo io.» Continuò in tono più calmo, rendendosi conto di essere partita in quarta contro lo sconosciuto.
«E con ciò?» Ispirò ancora ed indirizzò il fumo verso la ragazza. Era un soggetto interessante, la conosceva di vista e aveva sentito più volte il suo nome forse per la sua nomina.
«Se ti dico che qui non si fuma, allora non si fuma.» Gli spiegò chiaramente, sfilandogli di bocca la sigaretta e buttandola poco più lontano da loro.
«Sei una stronzetta.» Commentò il ragazzo divertito. Quella fu la prima volta che qualcuno le rivolse quella parola con un tono ironico, quasi ad alleggerire la portata di ciò che diceva.
Come se fosse una parola detta per gioco, come se fossero amici.
«Cosa ascolti?» Attaccò, ancora, bottone. Lei arricciò le sopraciglia. Nessuno voleva parlarle per più di dieci minuti…E ora, giusto quel giorno, c’era qualcuno che stranamente le stava parlando senza insultarla. Dov’era l’inganno?
«Numb, dei Linkin Park.» Fu una risposta secca, come se volesse chiudere quell’argomento scomodo. Non le piaceva parlare di quello che faceva, né di quello che ascoltava…Figurati intavolare una vera e propria conversazione con una persona. Si sistemò meglio le cuffie e pensò a com’era cambiata.
L’Elena che tutti odiavano non sarebbe mai riuscita a parlare senza problemi con una persona. L’Elena di ora non riusciva a non essere offensiva e a non chiudersi in sé stessa come un riccio.
Tutti amavano la vecchia Elena. Quella ragazzina di quattro anni fa che sorrideva sempre e che insieme alla sua migliore amica partecipava a tutte le attività che la scuola proponeva.
Però ora non erano più nel 2011, ora erano nel 2015, l’Elena di prima non c’era e non sarebbe più ritornata indietro. Era seppellita dalle cattiverie, dalle dicerie e dalle merdate che la gente le rivolgeva.
«Cosa fai?» La voce della ragazza suonò stridula quando il corvino prese posto accanto a lei e le sfilò la cuffia per portarla all’orecchio sinistro.
«Non posso ascoltare anch’io la musica?» Sul suo volto comparve un sorriso da vero bastardo e la ragazza sbuffò vistosamente.
«Non so il tuo nome.» Continuò ad infastidirlo con la speranza che se ne andasse.
«Ma io so il tuo.» Replicò con un’alzate di spalle. E fu così che tutti i castelli di carte di Elena furono distrutti…Si considerò una sciocca, come poteva per un solo istante aver pensato che quel ragazzo fosse diverso dalla massa di ignorante che le venivano contro?
Lui – come tutti gli altri – volevano solo sfotterla, umiliarla, prenderla in giro.
«Allora saprai la mia fama.» Il corvino notò come l’ultimo nome uscì fuori con un accento strano, stretto e rimarcato di puro odio. Fin’ora non le aveva mai parlato, ma non sembrava così terribile come aveva sentito dire in questi tempi.
Perché odia la fama che si è creata da sola? Pensò con un mezzo sorriso ad illuminargli il volto.
«Certo che la conosco.» Le confermò il giovane appoggiando la schiena al tronco dell’albero.
Perché è ancora qui? Non le aveva ancora rifilato una battuta cattiva, si segnò mentalmente.
«E perché sei ancora qui?» Decise di dar voce ai suoi pensieri, cercando di sembrare insensibile. Ma agli occhi del ragazzo le fece solo compassione. Si vedeva che quella reputazione le stava stretta e lui la stava aiutando, voleva solo farla sentire più leggera.
«Che domanda è?» Ridacchiò leggermente di puro gusto.
La sua risata era la libertà, come una rondine che volava ovunque anche la risata del ragazzo sembrava allontanarsi ovunque tanto che per un momento si guardò attorno come per assicurarsi che nessuno la stesse vedendo parlare con qualcuno.
«E’ una domanda come un’altra.» Scrollò le spalle.
Il ragazzo s’inumidì le labbra ed estrasse dalla tasca un pacchetto di sigarette e se ne accese un’altra. Quella di prima non era arrivata neanche a metà, ma Elena gliel’aveva ingiustamente buttata tra le erbacce.
«Perché non dovrei essere qui?» La mora si accorse di quel modo di rigirare la domanda con degli stupidi giochi di parole, ma con lei non funzionavano…Anche perché era la prima ad usarli quando le facevano comodo.
Uhm, c’è qualcosa che ci accomuna. Era quasi entusiasta a quel pensiero.
«Perché non c’è nessuno, non resta nessuno per me.» Scandì quelle parole e le vennero fuori dalla bocca in maniera cruda e dura.
Pensò quasi di aver traumatizzato il ragazzo, ma lui si limitava ad osservare le labbra della ragazza muoversi e divagò con la sua fantasia a come potesse essere bello toccarle con le sue.
«Non c’è nessuno, non resta nessuno per nessuno.» Disse in tono sommesso.
«Ti sbagli.» Replicò atona. «Se succedesse qualcosa a Caroline Forbes, l’intera scuola si allagherebbe di lacrime.» Non voleva sembrare invidiosa – non lo era – ma non capiva perché non c’era una persona in quella scuola che si preoccupava per lei.
«Tutti ci sono per barbie perfettamente fasulla e bella. Nessuno ci sarà mai per la vera Caroline Forbes.» Elena alzò la testa dal basso e rimase momentaneamente senza parole. Le aveva tolto le parole di bocca.
Lui sorrideva divertito e prese il suo accendino. Subito alla sua vista Elena si rabbuiò.
«Non fumare qui, in mia presenza.» Gli ripeté infastidita sfilandogli di mano l’accendino e tenendolo stretto nella sua esile mano.
«Sei fottutamente fastidiosa, Elena.» Sentire il suo nome da quelle labbra le fece accapponare la pelle. Non l’aveva detto con disprezzo, né con una punta di ironia. L’aveva pronunciato e basta, quel ragazzo si stava rivelando una continua sorpresa.
«Qual è il tuo nome?» Gli chiese a quel punto, non sapendo più cosa ribattere. Non aveva la più pallida idea di chi fosse, ma il viso era familiare.
«Non ha importanza.» Alzò le spalle e prese una boccata d’aria concentrandosi su quella canzone che ormai stava giungendo al termine. Ne stava partendo un’altra.
Un motivetto niente male dopo tutto.
«Qual è il titolo di questa canzone?» Le chiese rilassato con i capelli all’aria e il viso calmo rivolto verso uno spiraglio di sole che s’intravedeva da un paio di nuvole grigie.
«Take me to the Church, Hozier.»
«Hai solo pensieri positivi per la mente, eh?» La sfottò con un mezzo sorriso. Quella ragazza si stava rivelando più complicata e chiusa di quanto pensasse.
«Disse colui che ha l’aria da becchino.» Rise Elena e il corvino rise ancora di più se possibile. Aveva il senso dell’humor.
Finalmente una qualità! Si ritrovò a pensare. Fino a quel momento la ragazza era stata solamente fredda e chiuso, ora invece sforzava una mezza risata.
La mora notò come la risata di quello sconosciuto fosse diversa dalla sua. Perché la sua risata era forzata e fasulla, senza una vera emozione.
«Non hai amici?» Lo punzecchiò lei. All’inizio si chiedeva cosa quel magnifico ragazzo volesse da lei, ma non sembrava avere queste intenzioni…L’unica ipotesi che rimase era una. Che fosse un nerd con una faccia adorabile?
«Mhm. Di amici no. Non sono un tipo loquaceUn’asociale. Pensò la ragazza, seppur non convinta al massimo. Le risultava difficile credere che un ragazzo fisicamente messo bene – più che bene, si corresse mentalmente – non avesse amici o una ragazza al suo seguito.
«Sei strano.» Commentò Elena sbuffando.
Notò come gli altri ragazzi si stessero muovendo verso l’interno. Perfetto, iniziava un’altra magnifica giornata di scuola.
Velocemente raccattò le sue cose e sfilò la cuffia dall’orecchio del corvino stoppando la riproduzione casuale e infilando il cellulare nella felpa.
L’accendino l’aveva nella tasca e non ci aveva neanche fatto caso o pensato a restituirlo al proprietario.
Si era già alzata e non salutò neanche – lei era fatta così – ma sentì una forte presa sul braccio. Incontrò gli occhi ghiaccio del ragazzo che la fissavano fiammeggianti.
«Il mio accendino.» Le ricordò con sguardo quasi malizioso. Elena gli pestò con forza il piede e portò il viso pericolosamente vicino a quello suo.
«Togli quella mano
Perché è così aggressiva?
«Prima il mio accendino, piccola.» La provocò. La ragazza sollevò la mano, ma l’impatto con la guancia del corvino non arrivò mai. Damon lasciò immediatamente la presa sul gomito per bloccare l’altra mano.
«Piccola stronza, voglio solo l’accendino. Non è difficile, sai?» Il tono era ironico e per quanto cercasse di non mostrare il nervosismo e la rabbia che erano in lui, Elena aveva perfettamente notato come la vena del collo pulsasse più velocemente e come gli occhi chiari fossero velati da rabbia istantanea.
Come questo costatò la ragazza, anche Damon poté notare come lei avesse capito perfettamente il suo stato d’animo e di come perfettamente non ne fosse spaventata.
«Lascia la presa e hai il tuo accendino, bastardo.» Sussurrò tra i denti guardandolo negli occhi. Il corvino lasciò lentamente la presa sul gomito – non era neanche tanto forte, non voleva spezzare quella povera ragazza –.
«Ecco a te.» Grugnì lei lanciandoglielo. Damon lo prese tra le mani e se lo infilò in tasca, quasi ne fosse geloso. Dopotutto era un semplice accendino, cosa poteva avere di tanto speciale?
Elena si girò di spalle e si sistemò la felpa.
«Damon.» Fu quasi un sibilo. Per un momento pensò di aver capito male, rimase ferma lì e osservò per pochi istanti come i ragazzi sembrassero una massa di pecore pronte a pascolare.
«Come, scusa?» Fece finta di non capire girando solo metà busto. Il corvino sorrise, era una tipa sveglia.
«Il mio nome, dolcezza.» Si portò una mano al petto e ammiccò divertito. Le si avvicinò e si schiarì la voce. «Il mio nome è Damon.» Le lasciò un bacio sulla guancia – anzi, era pericolosamente vicino all’angolo della bocca – e la sorpassò con una dura spallata.
«A mai più.» Grugnì infastidita.
Non sapeva che quel ragazzo l’avrebbe rivisto ancora e ancora.
Non sapeva che Damon Salvatore sarebbe diventato il suo supereroe.
Ma non uno qualsiasi, non uno forte, non uno bello, sarebbe solo stato il suo supereroe fallito.

 
 
 
 
 
 
Per chi mi conosce…Scusatemi per esser ritornata con questo esperimento.
Per chi non mi conosce…Mi scuso anche per voi per avervi fatto leggere questa cosa. Sono Non ti scordar di me e ho una mente complessa, irreale e distorta per quanto riguarda le mie storie.
Ho sempre in mente cose nuove e questa idea mi è balzata sentendo la canzone Supereroi falliti di Mostro e LowLow (domandina a random: qualcuna/o li ascolta qui?).
Abbiamo un’Elena piuttosto insolita per le mie storie. Per chi ha già letto Amore Proibito, sa che amo i personaggi intriganti e complicati…E vi assicuro che anche se per ora sembra banale, questa ragazza è uno dei personaggi che reputo più completi. Quest’Elena è completa, perché ha una storia ben fatta, non è – spero non sarà mai – una tipica Mery Sue e non ricade nello stereotipo di ‘gatta morta’ che ha un po’ caratterizzato l’Elena del telefilm.
C’è un piccolo dettagliuccio che forse avrete notato…Parto alla lontana. Ho letto molte fan fiction e ho visto che nella maggior parte c’è sempre una ragazza alla quale viene affibbiata la parte della ‘troia’ e lei è contenta di questo ruolo, se ne vanta come se fosse qualcosa di bello…Così ho invertito le situazioni, o meglio ho semplicemente mischiato un po’ le carte.
Non sempre chi è chiamata ‘troia’ lo è. Per Elena, voglio che teniate in mente questo per ora. Anche perché spesso si parla solo di avere tanti ragazzi, ma le voci soprattutto nei paesini – come in questo caso Mystic Falls – si amplificano.
Ho fatto questo cambiamento perché tratterò di bullismo/cyber bullismo accennato e mi è sembrato bello – per quanto possa valere bello come aggettivo eh – avere una protagonista così.
Sorpassata Elena, veniamo a Damon.
Damon è quasi sempre il personaggio su cui lavoro di più. E’ quello che ha sempre la storyline – sia per il telefilm che per le mie storie – migliore, non c’è mai un motivo…Forse perché con lui è più semplice esprimersi, perché ti immedesimi facilmente in lui.
Visto che questa storia – l’ho già accennato – è un esperimento ho pensato di creare due storyline piuttosto eque e che interessino soprattutto la parte psicologica della persona, anche se in Supereroi Falliti – per me, forse però sono di parte – Elena ha una storyline più interessante, ovvio non pensiate che Damon sia un santo. Semplicemente se volete immedesimarvi in qualcuno in Elena sarà più semplice (stranamente non è stato difficile esprimermi per lei, cosa rara).
Ho scelto la narrazione in terza persona, soprattutto, per sfidare me stessa. E per scrivere qualcosa di più reale. Qualcosa che dopo aver finito, non mi vincoli ai nomi o ai legami di parentela. I caratteri sono IC, ma è tutto in un AU. Probabilmente dopo averla conclusa su questo fandom la pubblicherò in una sezione originale, chi lo sa.
Mhm, ho finito con questi piccoli appunti che si sono tramutati in un angolo note più lungo del capitolo.
Spero solo che questa storia possa interessarvi in tanti e che vi piaccia. Potete lasciarmi una recensione, anche, solo per farmi sapere che non vi piace e il motivo per il quale non vi ha particolarmente intrigato :)
Se non interesserà, credo di cancellarla…Ho già in mente la trama e so che sarà complicata da stilare, ho già una storia in corso e sottrarle tempo per qualcosa che magari non piacerà credo sia un po’ uno spreco di tempo ed energie.
Ci sentiamo alle recensioni,
un forte abbraccio
Non ti scordar di me.
  
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