Anime & Manga > Pokemon
Segui la storia  |       
Autore: Barks    27/01/2015    3 recensioni
Alice came to a fork in the road.
'Which road do I take?' she asked.
'Where do you want to go?' responded the Cheshire Cat.
'I don't know,' Alice answered.
'Then,' said the Cat, 'it doesn't matter'
Genere: Malinconico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, N, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Alice
I

once upon a time there was a little girl




Alice alzò lo sguardo.
Una luce al neon difettosa irradiava a scatti la stanza, arrivando a malapena ad illuminare le pagine del tomo che la castana si era ritrovata a leggere. La ragazza scrutava con ribrezzo quelle ombre nascoste all’interno della lampada,  non riusciva a spiegarne il perché e la sua immaginazione viaggiava veloce. Sfogliò una pagina del libro di leggende sulla città, distrattamente, tenendo lo sguardo fisso verso il soffitto.
“Non avete ancora cambiato quella luce?” chiese la castana, la testa rivolta al soffitto “è da anni che è lì”.
“Mi dispiace signorina, ma queste luci, come d’altronde ogni cosa qua, risalgono alla fondazione della biblioteca municipale, e lei sta vivendo in prima persona il primo trasloco mai eseguito in questo stabile” rispose una donna sulla quarantina facendosi strada in un complicato labirinto di scatole e pacchi di libri “i soldi non crescono sugli alberi”.
“Ma io dico—
“Vede signorina Moody, lei non deve dire nulla. Si limiti a rimettere a posto quel libro e mi aiuti piuttosto con questi scatoloni o non vedrà la sua amata paga” tagliò corto la donna posando un cumulo di libri sul tavolo, in prossimità della ragazza.
Da così vicino gli occhi della donna parevano di un grigio innaturale, come se il cielo avesse deciso che i temporali dovessero essere custoditi nelle sue pupille. I suoi capelli mori, di un nero spento e secco, ricadevano alla rinfusa sul suo viso, che essa faceva così fatica a risistemare dietro il suo orecchio. 
Bastò il suo guardo arcigno a riportare la ragazza sull’attenti.
“Ho capito l’antifona” terminò Alice, osservando come le labbra della donna si fossero distese in un labile sorriso “me ne occuperò io”.
“Ottimo. Ora mi scusi ma mi chiamano di sotto, una volta messo tutto al suo posto può scendere” fece avviandosi verso le scale “ah, un ultima cosa mrs Moody” si ricordò la donna “puoi disattivare il riscaldamento per questa sala? Veda di far si che la paga che la aspetta giù sia meritata”.
“Ai suoi ordini signora Leitner” le fece eco la castana con una voce oltremodo smielata, osservando annoiata il cumulo di libri di cui si sarebbe dovuta occupare “chi me l’ha fatto fare di diventare una commessa alla libreria comunale di Canalipoli?”.
Controvoglia, si alzò a rimettere sullo scaffale il tomo, infilando un pezzo di carta verso la metà da segnalibro, dopodiché essa si destreggiò abilmente nell’angusto corridoio che portava al montacarichi, schivando gli scatoloni ripieni di libri “Diventerai una commessa se continuerai così a scuola!” esclamò in tono canzonatorio, imitando all’eccesso la voce di sua madre, memore del suo travagliato passato a scuola “tu e i tuoi libri! Pfiu, non si va avanti nella vita leggendo Dostoevskij!” concluse infine, afferrando al volo da uno scatolone recante “LETTERATURA RUSSA” un tascabile, il suo nome “Delitto e castigo”, che avrebbe dovuto spedire al piano basso, della sezione Letteratura.
“Povero, povero Dostoevskij, quanto ti trattava male la mamma” sospirò, appoggiando la schiena ad uno scaffale “sarà meglio sbrigarmi o anche questa mese sarà in rosso”.
Alice si piegò sulle ginocchia, ad accumulare una pila di libri alla rinfusa per sistemarli, mentre la sua testa viaggiava già nella fantasia. Si immaginava una ragazza allegra e solare in un’enorme, bellissima biblioteca ottocentesca. Pareti di tomi, affreschi sul soffitto e pavimenti in marmo. Il suo angolo di paradiso, non l’avrebbe mai trovato.
Tonf.
Un rumore riecheggiò nel piano. Un tonfo improvviso riportò la castana alla realtà, risvegliandola e riportandola alla triste e nebbiosa Canalipoli. Si alzò, reggendo fra le braccia la pila di libri, e si avviò verso la saletta dalla quale proveniva il rumore. Con sua sorpresa notò un tomo piuttosto spesso a terra, in prossimità dello scaffale di mitologia di Sinnoh.
“Come può esser caduto questo libro da quell’altezza?” si chiese, facendo per rimetterlo al suo posto, quando alle sue spalle il tonfo si ripeté. Una volta voltato il capo, notò un altro tomo caduto dallo scaffale di leggende e racconti. Anch’esso da una notevole altezza, ed incastrato così bene che fece anche fatica a rimetterlo a posto.
“Ma che—
Improvvisamente uno scroscio di tonfi seguì al suo lamento, facendo lievemente tremare il pavimento. La ragazza accorse subito nel corridoio, e notò con orrore che l’intero scaffale si era riversato per terra, un urlo le morì in gola.
“Adesso sta diventando leggermente pauroso” sussurrò arretrando di qualche passo da quella visione “ora io prendo la mia borsa di L & G ed il mio giubbotto, dopodiché mi dirigo verso le scale e chi s’è visto s’è—
Un altro tonfo la convinse a chiudere il monologo e passare ai fatti, ed in velocità recuperò la borsa e si lanciò sulle scale in preda al panico, mentre una miriade di tonfi le faceva eco.
“Corri Alice, corri!” i suoi piedi erano troppo lenti così decise di scavalcare l’intera rampa gettandosi al di là delle scale. Seguendo questo metodo sarebbe arrivata al piano terra in pochi secondi, con qualche polso slogato ma cosa importava.
Quando alla fine, giunta al piano terra, vedere l’amata busta le sembrò un sogno.
“Signora ho un impegno urgente!” e facendo così strappò l’assegno ancora non imbustato dalle mani della signora, intenta a preparare le buste “mi scusi ancora!”.
“Ma—
Alice frenò sull’uscio della porta, aggrappandosi alla maniglia per prender fiato, facendole con una mano segno di fermarsi.
“Come si permette?!” le urlò la signora Leitner visibilmente offesa “se non mi riporta subito la lettera può ritenersi licenziata!” purtroppo senza ottenere alcuna risposta salvo pesanti respiri.
“Mi scusi… anf… le spiegherò… anf…” la castana inspirò profondamente “buona settimana… anf…. signora Leitner” e detto questo la sua figura esile scomparse nella nebbia invernale di Canalipoli e nel gelo della sera.
“Licenziata! Lei è licenziata!” il labile eco della voce della Leitner arrivava alla castana più come una salvezza che una condanna. L’incubo era finito, ed ora poteva tornare a casa viva e vegeta.
 
* * *

Alice si ritrovò a bussare ripetutamente ad una porta, immersa nelle nebbie e nel buio della città, senza essere risposta. L’edificio, una casa di un solo piano, si trovava in prossimità del Canal Notturno, così chiamato per l’essere popolato da Pokémon specialmente nella fascia notturna, di piena. “Locanda del Marinaio” recitava l’insegna appesa ad un’asticella in ferro battuto, molto ben lavorato. 
Nella densa foschia non riusciva a distinguere i contorni di ciò che la circondava, fatta eccezione per la piccola zona circoscritta dalla luce che emetteva la lanterna, appesa all’insegna del locale. Oltre ad essa, la tetra ed unica oscurità come compagna, attraverso la quale era costretta passare per arrivare a casa ogni giorno.
La locanda era spuntata quasi per caso, Alice passava ogni sera per quel tratto di strada che collegava la stazione della metro più vicino a casa sua, e quel giorno ecco che tra le nebbie serali era spuntata la casetta.
“Scusate, c’è qualcuno?” chiese, bussando insistentemente alla porta “è che questo posto mi è sembrato così interessante, pittoresco diciamo” ma nessuno le rispose.
Dopo qualche minuto a bussare, la porta ebbe un sussulto.
I cardini della porta stridettero, accompagnando una piccola rotazione della porta sul suo asse. Dalla piccola fessura, bloccata da una catenella in acciaio, emergeva la tetra figura di un uomo, sulla settantina scarsa, intento a pulirsi gli occhiali.
“Oh, grazie! Ecco, io—
“Come è giunta sin qui, ragazza mia?” fece la voce, roca, interrompendo la castana “ha l’aria di essere poco sveglia e molto bionda”.
“Forse è la luce, ma io sono cast—
“Bionda dentro, è stupida ragazza mia”.
“Eh? Come si perme—
“Detto ciò, non ascolti le parole di un vecchio. Come è giunta sin qui, ragazza mia?”.
“Veramente non ricordo, è che io faccio sempre questa strada per tornare a casa, ed oggi è spuntato questo grazioso locale, a me sembrava molto carino dall’insegna e tutto, ha presente come in quelle città medievali? Ecco, era molto e—
“Tagli corto, ragazza mia”.
“Ahem… ecco, tornando a casa, è apparsa la locanda e mi son detta, perché no?”.
“Come pensavo” borbottò fra sé e sé l’uomo, sbattendole la porta in faccia, per poi sbloccare i sigilli e farla entrare, che rimase subito a bocca aperta.
Il locale era un perfetto connubio tra pittoresco e vintage, quasi fosse uscito da una cartolina della Canalipoli di cinquant’anni prima. Dei tavoli in legno laccato, ornati da graziosi centrotavola all’uncinetto e candele bluastre, spaziavano a destra, ricoprendo l’intera parete e riempiendo il vuoto centrale, mentre un bancone alla sinistra controllava il tutto. Alle pareti, foto di pesca e quadretti a mezzo punto ritraenti scene di pesca, che accompagnavano perfette l’ambiente dallo stile marinaresco.
“Questo locale è bellissimo! Devo assolutamente mostr—
“Non faccia alcuna foto” la fermò brusco l’uomo “è stato uno sbaglio farla entrare” concluse borbottando.
“Come vuole lei… a proposito, c’è un menu?”.
“Dovrebbe essercene qualcuno sul tavolo là in fondo, sempre se c’è. In tal caso mi troverò costretto ad improvvisare” e detto questo l’uomo sparì nell’ombra, lasciando nella sala il rumore dello scroscio di boe di pezza che facevano da porta alla zona cucina, abbastanza sola da da lasciarle prendere qualche foto del grazioso ambiente.
“Beh, non mi resta che accomodarmi e scegliere!” pensò ad alta voce, appoggiando il pesante giubbotto, una volta levatoselo, sullo schienale della sedia. 
A centrotavola, una candela piuttosto grossa dalla luce bluastra, che pareva nascondere un paio di occhi se guardata con attenzione, fu subito oggetto di attenzione da parte della ragazza.
“Mi scusi, ma questa candela pare avere degli occhi!” esclamò cercando di farsi udire sino in cucina “non per nulla, sa, ma così, una curiosità!”.
Senza ricevere risposta, la ragazza si mise a sfogliare con interesse il menu, segnandosi di tanto in tanto a leggera matita i piatti che avrebbero potuto esser stati di suo gradimento.
“Ha detto qualcosa?” esordì il vecchio “non l’ho sentita sino in cucina”.
“Ah, io? Nulla, nulla. Piuttosto, mi farebbe piacere avere un uovo in camicia su pane croccante, come dice qua. Ah, se riesce può anche mettermi un po’ di salsa olandese anche?”.
“Se vuole le preparo un brunch newyorkese” rispose esasperato l’uomo “quello che c’è scritto nel menu. O quello o nulla”.
 “Vada per l’uovo in camicia allora!” fece di rimando la castana, il quale entusiasmo per una pietanza nuova non era stato spento dal fare burbero del vecchio “e una brocca d’acqua, grazie”.
L’uomo fece un segno di assenso, e se ne tornò in cucina borbottando qualche cosa sulla ragazza, che purtroppo Alice non riuscì a sentire, tanto era intenta a pensare nella sua mente cosa mai sarebbe potuto esser stato quel fantomatico uovo in camicia.
 
* * *

Poco dopo la ragazza aveva già finito di mangiare, e si apprestava a finire l’acqua quando ebbe un leggero mancamento. 
Quasi a sentirti più pesante, la testa prese a girare e tutto si fece più offuscato.
“Signore, mi sto… mi sto sentendo male…”.
“È naturale ragazza mia, è l’effetto dei Litwick. Piano piano ti mangiano l’anima, dopodiché non rimane che un guscio vuoto, ma non preoccuparti, questi qua sono speciali. Si limitano a prepararti per Darkrai!” esclamò l’uomo quasi stesse parlando di una cosa ovvio, conscio della gravità della situazione ma troppo abituato ad essa per poterne essere ancora spaventato “sei capitata nella Locanda del Marinaio per un motivo, no?”.
“Cosa?!” urlò la ragazza, cercando di reggersi in piedi, seppur senza successo “lei non sta bene, oh se non sta bene… ma adesso me ne vado!” concluse, avviandosi alla porta con giubbotto e borsa alla mano, accorgendosi troppo tardi che erano sforzi vani.
“La porta non si aprirà mai ragazza mia, in questo momento ci troviamo in un punto indeterminato tra lo spazio ed il tempo, anche se è probabile che ci siamo spostati di pochi anni, mezzo secolo forse” fece sghignazzando “si sieda ed aspetti il suo destino!”.
La castana ebbe un mancamento, lasciandosi cadere a terra, le mani a battere con insistenza ala porta, il viso rigato da continue lacrime
“Questo non è vero…” sussurrò in preda alle lacrime “mi sveglierò.. sniff… e sarà tutto finito…”.
“Svegliarsi? È veramente ironico, sa? Perché ciò che le accadrà e più simile ad un incubo senza fine, si prepari a vivere sogni amari!”.
Qualcosa nella castana si riaccese. Come ripresasi, per pochi secondi rivide nella sua mente le pagine del libro di mitologia. Le pagine si sfogliavano da solo, nei suoi pensieri, sino ad un’immagine, una stampa ben precisa, raffigurante un Pokémon apparentemente composto da nubi informi. Nella didascalia “Il Pokémon Neropesto, chiamato anche con il più antico ‘Darkrai’, possiede la peculiare abilità di insidiare gli incubi e le paure più remote e nascoste nella mente delle persone, ufficialmente rinominata Sogniamari, un chiaro gioco di parole sul mare, oggetto molto diffuso negli incubi del Neropesto”.
“Quin—
“Esatto” l’uomo schioccò le dita, svanendo in una nube informe dai colori pesti, per poi svelare una figura ancor più lugubre in esso, il famigerato Darkrai “speravo ci arrivassi prima, ma come sempre le mie considerazioni si sono rivelate esatte. Sei bionda, mia cara, e se proprio ti desse fastidio, eccoti accontentata” concluse, portando il  braccio destro ad indicare la ragazza, i cui capelli furono subito avvolti da una coltre di fumo.
“Cosa… cosa stai facendo!” gli urlò di rimando essa, portando la testa sul petto “basta, basta! Basta!” ma il pianto disperato della ragazza non ebbe alcun effetto.
Una volta svanita la coltre fumogena, fu rivelata una chioma biondo sole, al posto del suo solito castano scuro.
“Risolto il problema. Ora hai due possibilità: puoi aspettare che la fiamma ti consumi sino alla morte o puoi decidere che è abbastanza ed abbracciare Morfeo, e da gentiluomo quale sono lascio a te la scelta”.
Alice era stremata dalla candela, quasi morta, quando decise che era arrivato il momento di chiuderla lì. Alzò lo sguardo al muro, rivedendo in una volta sola tutta la sua vita. Ogni emozione provata ora scorreva davanti a lei come in un film, la cosa più bella che lei aveva mai visto, ma d’improvviso vide ciò che stava oltre al muro, attraverso uno spiraglio nelle tende poteva infatti scorgere la biblioteca di Canalipoli, ed un donna maneggiare dei voluminosi scatoloni. Ebbe il colpo di genio.
“Hai preso la tua decisione vedo. Basterà allungarmi la mano, ed il mio tocco ti farà crollare in un sonno eterno” parlò lo spirito calmo e pacato, allungando l’arto destro verso la ragazza.
“Solo… solo un’ultima cosa se è possibile”.
“Parla pure, ragazza mia”.
“È…” fece per continuare ma la domanda le morì in bocca “è possibile che… che ci siamo spostati? Nel spaziotempo, intendo, o almeno credo si chiami così”.
“In continuazione, certo. Come mai?”.
“E cosa… cosa succederebbe se incontrassi me stessa, o perlomeno fuggissi da qui?”.
“É molto probabile che vivresti, ma sarebbe un’impresa. Dovresti prima possedere le chiavi della locanda ed uscire, per non parla—
“Non divagare. È il mio ultimo desiderio, si fa così no? Continua”.
“Come vuoi. Dovresti riuscire a venire in contatto con qualcosa di suo, sarebbe meglio con lei, ma venire in contatto con persone di un altra epoca, lontana o vicina che sia, creerebbe dei paradossi, sopratutto se tu sei ancora in vita. Neanche la stessa Locanda del Marinaio può coesistere più volte nello stesso momento temporale, anche solo nei sogni delle persone, succederebbe l’immaginabile” fece una pausa, osservando la ragazza stremata a terra. 
Un ghigno spezzò la quiete che si era andata creare “Inoltre, per far funzionare tutto questo lei dovrebbe tornare a sua volta qua, cosa impossibile poiché la locanda non è vincolata dai punti fissi nel tempo, in parola povere non tornerà mai nello stesso punto geografico alla stessa ora”
La ragazza immerse la sua mano nella borsa, sino a raggiungere il suo portafoglio “Se la… la me stessa arrivasse… arrivasse qua?” chiese ancora, frugando nel suo portafoglio  “potrebbe farlo?”.
“No, servirebbe la Scheda Soci per arrivare sin qui, e io me lo ricorderei, poiché gli umani non sono in gradi di creare punti fissi nel tempo e tu stessa dovresti esserci dentro. L’ultimo ricordo che ho io è del 1926, ad una festa con l’alta borghesia di Canalipoli, decisamente diverso, ragazza mia”.
“Prima parlavi di una chiave…” sussurrò abbastanza forte da farsi sentire, mentre estraeva una scheda a lei nuova, trovatasi nel portafoglio “come questa?”.
L’espressione di Darkrai mutò completamente, dalla pacatezza originaria si era passati ad uno stupore quasi innaturale, cosa che la ragazza interpretò come un buon segno.
Senza aspettare una reazione più concreta, la ragazza infilo la piccola chiave in ferrò battuto allegata alla scheda nella toppa, e come previsto la porta si spalanco, rivelando la Canalipoli di poche ore prima, proprio in quel momento. 
“Non scapperai mai!” sbraitò Darkrai lanciandosi all’inseguimento della ragazza, che riuscì a serrare la porta prima che il Pokémon Neropesto oltrepassasse la porta. Pochi secondi dopo della casa nulla, avvoltasi da una nube nero pece era scomparsa nel vuoto, proprio come era arrivata.
 
* * *

“Fatti forza Alice, fatti forza” pensò ad alta voce la ragazza, sulla soglia della porta dell’ultimo piano. Si era appena vista svoltare l’angolo, e questa cosa le creava non poca confusione, ma decise di non badarci.
Arrivò alla borsa, la aprì e nascose la chiave nel portafoglio, quando lo stesso fatto si ripeté. Un tomo, dallo scaffale di mitologia di Sinnoh, era caduto richiamando l’attenzione di entrambe le ragazze. Alice scambiò in fretta i giubbotti, sperando che esso fungesse da salva vita, per poi defilarsi giù nelle scale.
E proprio quando fu al secondo piano la stridula voce della signora Leitner  “Alice sei tu?” arrivò a Alice come una condanna.

venire in contatto con persone di un altra epoca, lontana o vicina che sia, creerebbe dei paradossi, sopratutto se tu sei ancora in vita


 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pokemon / Vai alla pagina dell'autore: Barks