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Autore: Roof_s    28/01/2015    2 recensioni
"Calmiamoci tutti e chiariamo questa situazione" intervenni, alzando le braccia.
Sia Louis sia zia Carola tacquero all'istante, lui che la fissava e lei che non sapeva in quale parte della stanza puntare i propri occhi.
Guardai verso il primo, estremamente seria. "Tu sostieni di essere morto e, come se questo non bastasse, ora ti ritrovi bloccato qui sotto forma di fantasma, senza sapere né come né perché. Giusto?"
Louis annuì mestamente. Io tornai a guardare mia zia, ancora ferma al suo posto col libro tra le mani.
"E tu mi stai dicendo che io sono l'unica in grado di vederlo e che per questo devo aiutarlo ad abbandonare per sempre il nostro mondo chiudendo tutti i conti che ancora ha in sospeso quaggiù?" ricapitolai.
Anche zia Carola annuì; fece per aprire bocca ma io fui più veloce e la battei sul tempo.
"Voi due siete pazzi se pensate davvero che io possa credere a questa storia."

IN SOSPESO
Genere: Commedia, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Tragedia
 

27 gennaio 2015, 08:15 a.m.


Il sonoro rumore di un clacson proprio alle mie spalle mi strappò un sussulto e per poco non caddi dal sellino della bicicletta.
"Adesso mi sposto!" esclamai, come se i nervosi conducenti che mi seguivano lungo la strada affollata avessero potuto udire quelle parole.
Mi affrettai ad abbandonare il punto in cui avevo fermato la bicicletta, di fronte all'incrocio semaforico dove mi ero distratta qualche secondo di troppo. Se c'era una lezione che avevo appreso durante la mia permanenza a Londra, era proprio che non bisognava mai esitare, soprattutto per strada: la gente era sempre così frettolosa e indaffarata che anche una minima perdita di tempo avrebbe potuto far arrabbiare il più calmo dei cittadini.
Pedalai con decisione alzandomi leggermente dal sellino nero e sterzando leggermente a destra della strada. M'immisi in una via decisamente meno trafficata e a senso unico: finalmente avrei potuto occupare il centro della strada senza sentirmi troppo d'intralcio. Sapevo che i ciclisti non erano mai ben accetti dagli automobilisti che alle prime ore del mattino finivano imbottigliati nel traffico cittadino.
Rallentai la mia corsa non appena fui nei pressi del familiare edificio basso e dai muri imbrattati che frequentavo ogni mattina da circa tre mesi a questa parte. Scesi dalla bicicletta e tirai fuori dalla borsa il catenaccio col quale fissarla al palo davanti alle porte del bar alle mie spalle. Mentre mi dilettavo alle prese con lucchetti e chiavi, lanciai un'occhiata sfuggente al quadrante del mio orologio da polso: erano già le otto e un quarto, ciò significava che io ero in ritardo. Ed essere in ritardo non andava mai bene se si aveva a che fare con un datore di lavoro come Chris.
Mi assicurai che il lucchetto fosse ben chiuso e lasciai la bicicletta. Salii sulla pedana di un grigio metallico che Chris aveva posizionato davanti alla porta del suo bar ed entrai.
"Ciao!" salutai con fare disinvolto, sperando vivamente che il mio capo fosse di buon umore quel giorno.
Intercettai l'occhiata divertita di Katya, dietro il bancone con due tazzine bianche già pronte tra le mani. Le lanciai un sos visivo, augurandomi che potesse intercedere in mio favore nel caso in cui suo marito avesse deciso di sfogare la propria rabbia su di me.
"Margaret!" tuonò una voce maschile.
Strinsi i denti, impaurita. Raggiunsi il bancone e mi chinai per afferrare il mio grembiule a quadretti bianchi e rossi. Quando tornai in piedi, mi ritrovai il faccione severo di Chris davanti agli occhi.
"Ciao, Chris! Tutto bene?" cercai di sdrammatizzare.
Lui sbuffò. "Sei di nuovo in ritardo."
Annuii. "Questa volta ti giuro che non è stata colpa mia! Avresti dovuto vedere che traffico infernale ho..."
"Margaret, sappiamo tutti che partendo per tempo da casa tua si possono evitare questi ritardi. Non abiti dall'altra parte della città" m'interruppe Chris.
Deglutii e sospirai, rassegnata a lasciare che le mie bugie venissero scoperte un'altra volta. Con Chris era impossibile mentire e in fin dei conti io non ero nemmeno troppo brava nel farlo.
"Sì, forse hai ragione..." replicai.
Il mio capo rimase in silenzio e ci guardammo per qualche secondo, in attesa di decidere che fare: continuare a discutere oppure metterci al lavoro?
Dopo poco, però, il mio datore mi sorprese concedendosi una debola risatina, che crebbe d'intensità. Anch'io ridacchiai, presa alla sprovvista.
"Sei proprio sfacciata, Margaret!" constatò lui, scuotendo il capo e allontanandosi dalla pedana dietro il bancone del bar.
"Torna al tuo posto, tra poco il bar sarà pieno di clienti" s'intromise Katya, rivolta al marito.
"Dillo a lei, piuttosto" replicò Chris, strizzando l'occhio al mio indirizzo. "Margaret, riuscirò a farti perdere questo maledetto vizio del ritardo?"
Legai in fretta il grembiule in vita e risi, questa volta senza temere di poter suonare troppo arrogante.
"Temo di no. Che cosa ve ne fareste di una cameriera sempre in orario e precisissima?" risposi, avviandomi verso la cassa e cercando un blocchetto di carta ancora utilizzabile. "Voi avete bisogno di una sbadata come me!"
Katya poggiò le due tazzine sul bancone di marmo e i signori che stavano aspettando con le bustine di zucchero tra le mani ringraziarono debolmente. Dopo la vidi voltarsi e osservarmi in silenzio. Quando la guardai, notai che stava di nuovo sorridendo divertita.
"Non è così?" domandai.
Lei rise. "Di sicuro trasmetti più allegria del tuo predecessore."
Annuii soddisfatta e sganciai uno dei tre portafiltro della macchina del caffè. "E ora lasciatemi lavorare. Sono una persona seria, io!" scherzai, adocchiando le due clienti che avevano appena varcato la soglia del locale.



26 gennaio 2015, 11:30 p.m.


Schiacciai quel che restava del mozzicone sotto la suola spessa della scarpa e sbuffai nell'aria fredda di quell'inverno così rigido. Nonostante la musica nel locale fosse piuttosto alta, sul balcone si poteva godere di una relativa pace e io non avevo davvero voglia di rientrare. Guardai lo schermo illuminato del mio iPhone e alzai gli occhi al cielo.
Tredici fottute chiamate perse. Avrò una crisi di nervi prima o poi.
Scorsi il dito sullo schermo e lo sbloccai, in placida attesa del momento che avevo provato ad evitare per tutta la serata. Mi appoggiai con la schiena alla balaustra e spiai attraverso le ampie finestre del locale dal quale ero appena uscito. Harry m'intravide e alzò un braccio per incitarmi a raggiungerlo all'interno. Sorrisi e annuii, impaziente di mettere fine alla guerra che stava per scatenarsi su quello stretto balconcino.
Il cellulare prese a vibrare violentemente nella mia mano e la fotografia di Eleanor comparve riempiendo l'intero schermo. Mi sentii immediatamente nauseato da quella vista e per un secondo fui tentato d'ignorarla come avevo fatto fino a quel momento. Alla fine, comunque, decisi di affrontare il problema una volta per tutte.
"Pronto" sbottai, senza nascondere la mia irritazione.
"Che cazzo stai facendo?!" furono le dolci parole che la mia fidanzata mi urlò dall'altro capo della cornetta. "Credi che questa sia la maniera giusta di risolvere i problemi, Louis?"
Sbuffai e produssi una nuvoletta di vapore nell'aria. Ecco che succedeva di nuovo. Mi pentii di non aver seguito il mio istinto e ignorato le chiamate perse di Eleanor.
"Sono a una festa" risposi, stanco. "Non controllo il telefono ogni cinque secondi come fai tu..."
"Certo! Tu devi divertirti, vero? Non pensi che magari possa esserci qualcuno in attesa di tue notizie da più di tre giorni... No, tu non ci pensi affatto!" urlò Eleanor, furiosa come mai prima d'ora.
Socchiusi gli occhi e provai a immaginare una frase che avesse il potere di calmarla. Ma che cos'avrei potuto inventarmi questa volta per giustificare me stesso? E non solo, perché avevo bisogno di un alibi convincente anche per la mia frustrazione, le mie assenze prolungate, la mia irritazione generale verso tutto e tutti, i miei comportamenti scorretti nei confronti di quella che era a tutti gli effetti la mia fidanzata... Avevo bisogno di una scusante per la mia intera vita, perché la pressione era diventata troppa e ingestibile e i miei muscoli non avevano retto quel peso.
"Mi dispiace, ma non ho intenzione di discutere a proposito di queste cose adesso" la liquidai brevemente.
"Tu non hai mai intenzione di parlarmi, Louis! Sono mesi che sopporto le tue stronzate senza dire una sola parola!" strillò Eleanor.
Tornai a dare le spalle alle finestre e lasciai scorrere lo sguardo sul profilo scuro della città.
"Che cosa vuoi che ti dica? Scusami, hai ragione tu. Sono io lo stronzo e avrei dovuto risponderti. Stai meglio ora?" sbottai.
"Non sto bene!" urlò lei. "Non te ne accorgi? Sto male e vorrei che aprissi quei tuoi maledetti occhi una volta per tutte! Dove sei finito? Perché ti stai allontanando da me?"
"Non si tratta solo di te, Eleanor" borbottai, stroncato da quelle parole così terribili e così vere. "Sto passando un periodo difficile tra la preparazione del tour, la promozione del nuovo album... Non ho tempo per questi litigi."
"Eppure hai tempo per le feste... e per le tue puttane!" gridò di nuovo la mia fidanzata.
"Che cosa vuoi dire?" sbuffai, improvvisamente più nervoso.
"Mi credi davvero così stupida?" fece lei. "Ho fatto finta di nulla per tutto questo tempo, ho chiuso gli occhi davanti alle fotografie che trovavo su Internet, ma adesso sono davvero stufa."
"Di quali fotografie stai parlando?" indagai.
"Vaffanculo, Louis!" esclamò lei, e in quel momento la sentii chiaramente scoppiare in lacrime.
"Eleanor, ti ho fatto una domanda!" alzai la voce per incuterle timore.
"Anch'io ti ho fatto tante domande in questi mesi, Louis. Ti ho chiesto di salvare la nostra relazione, ti ho chiesto di starmi vicino, ti ho chiesto di non lasciarti distruggere da questa fama. Non mi hai ascoltata e ora stai affogando... Non m'importa della tua domanda del cazzo! Io ti ho aspettato per mesi e tu non solo mi hai tradita, ma hai anche lasciato che venissi a scoprire la verità da altri. Io non posso andare avanti così."
La voce di Eleanor tradiva tutto il suo sgomento e la sua disperazione. Aveva messo da parte le urla stridule e si era abbandonata a una resa che di dolce aveva ben poco: mi stava lasciando per davvero. Quella volta non era come le precedenti: Eleanor era davvero stanca, spossata, stremata, e io ero il motivo di tanta delusione.
"El, lasciami parlare adesso..." ritornai all'attacco.
"No..." la sentii mormorare, mentre tirava su col naso. "Basta. Torna alla tua festa."
"No, adesso tu mi ascolti!" m'imposi. "Io non voglio che... che questa situazione degeneri e..."
"È già degenerata, Louis. Sei l'unico che ancora non se n'è accorto" m'interruppe. "Io non voglio più essere la tua stupida bambolina da mostrare ai fotografi e ai giornalisti. Questa storia si sta prendendo la mia parte migliore."
Ammutolii e mi sentii trasportare indietro nel tempo, come se quel Louis inedito e inebriato dal troppo successo fosse stato cancellato di colpo dalle semplici parole di una ragazza in lacrime. Mi sentii nuovamente il ventenne entusiasta e intraprendente che stava per dare inizio a una sfavillante carriera come cantante nella boy band più osannata al mondo.
"Eleanor, non puoi parlare sul serio..." mormorai, tutto a un tratto inorridito all'idea che lei stesse mettendo la parola fine alla nostra relazione.
La sentii singhiozzare disperatamente. "Torna alla festa."
"Eleanor! Non puoi essere seria!" sbottai, la frustrazione che saliva a livelli mai toccati prima d'ora. "Che cazzo dici? Tu mi ami!"
"Louis, sparisci dalla mia vita. Ti prego!" terminò lei tra le lacrime che la stavano consumando.
Sentii riattaccare e nelle orecchie mi rimase solo l'insistente beep della chiamata terminata. Guardai il telefono e rimasi fermo per qualche secondo, giusto per provare a metabolizzare l'accaduto.
Questa storia si sta prendendo la mia parte migliore.
Quelle parole facevano male. Eleanor era riuscita chissà come a risvegliare una zona del mio cervello in cui avevo accantonato ricordi e buonsenso. E anche il mio cuore ebbe un tuffo, mi sentii invadere dallo sconforto e dall'ansia. Io amavo Eleanor. Ed ero certo che Eleanor amasse me. Perché due persone innamorate erano costrette a salutarsi in maniera così definitiva e sofferente?
Digitai velocemente il numero della mia ragazza e rimasi in attesa di risentire la sua voce spezzata dal pianto. Le avrei confessato la verità, lo giurai in quel momento su ciò che avevo di più caro. Le avrei urlato tutte quelle parole che da mesi restavano impigliate in gola senza trovare un modo di uscirne. L'avrei rassicurata, perché ero sicuro dell'amore che provavo e perché in fin dei conti le mie scappatelle erano state solo capricci dettati dalla noia. Le avrei chiesto di raggiungermi immediatamente, aggiungendo che avevo bisogno di lei tanto quanto lei aveva bisogno di me.
"Eleanor, rispondi!" sussurrai, disperato.
Ma la mia fidanzata non sembrava voler ascoltare il fiume di parole che sentivo di doverle riversare addosso. Il cellulare squillava a vuoto, lasciandomi solo con un soffocante senso d'angoscia.
"Ehi, Lou, che cosa aspetti a...?"
Mi voltai di scatto, sorpreso: Liam stava in piedi per metà affacciato sul balcone, uno sguardo perplesso dipinto in volto.
"Non ho tempo!" esclamai, staccando la chiamata e infilando il telefono nella tasca dei pantaloni neri indossati per quella serata.
Mi fiondai verso le finestre e scostai il mio amico con una spinta fin troppo vigorosa. Attraversai di corsa il salone, spingendo la gente che intralciava il cammino verso l'uscita.



27 gennaio 2015, 10:23 a.m.


Strofinai la spugna viola in parte sbrindellata sul bancone e portai via le briciole che vi si erano depositate. Scorsi con la coda dell'occhio un elegante signore che sbirciava l'ora sul proprio orologio.
"Margaret, fai pagare il cliente. Io torno subito" borbottò Katya, una pesante cassetta dell'acqua naturale tra le braccia.
Mi avvicinai alla cassa e attesi che il signore si accorgesse di me.
"Una brioche alla marmellata e un caffè ristretto, giusto?" ripetei, controllando il foglietto lasciato di fianco alla cassa.
Questo annuì e mi porse un banconota, io frugai nello scompartimento delle monete per trovare il resto.
"... La notizia, arrivata poco fa in redazione, avrebbe sconvolto il mondo dello spettacolo. E non solo: infatti sono migliaia le fan che in questo momento starebbero affollando l'ingresso dell'ospedale in attesa di..."
"Grazie mille, arrivederci" salutai, consegnando scontrino e resto all'uomo davanti a me.
Lui mi sorrise distrattamente e infilò le monete nel portafogli. Lo guardai lasciare il bar senza ulteriori parole e tornai ad asciugare i bicchieri appena estratti dalla piccola lavastoviglie alle mie spalle.
"... Questo è tutto per il momento. Si attendono aggiornamenti."
Guardai il televisore: il volto corrucciato della giornalista occupava buona parte dello schermo; adesso stava annunciando una notizia a proposito di una visita del Primo ministro in Germania. Distolsi lo sguardo e controllai che il bicchiere appena asciugato fosse perfettamente pulito. Poi lo poggiai sulla credenza che stava di fianco alla macchina del caffè e mi rigirai verso il resto della sala. Cinque tavolini erano occupati e presto il bancone dietro il quale stavo io sarebbe stato ripreso d'assalto dai pendolari che si recavano in zona per lavoro. Di certo durante le lunghe mattinate al bar non mi annoiavo.
Sempre meglio che stare a casa a fare niente, riflettei tra me e me, tornando indietro con la mente ai mesi passati quando ancora mi trovavo in Italia senza un lavoro e senza motivazioni abbastanza forti da spingermi a prendere in mano le redini della mia vita.
Finii di asciugare un altro bicchiere, lo poggiai sul ripiano di fianco al cestello della lavastoviglie e afferrai una manciata di cucchiaini da caffè.
Proprio in quel momento due ragazzine fecero il loro ingresso nel bar, chiacchierando a voce abbastanza alta da farsi udire perfettamente da chiunque si trovasse nei paraggi. Posai lo straccio e le tazzine e rivolsi loro un ampio sorriso.
"Ciao, ragazze!" salutai.
La più alta delle due mi rispose con un sorriso veloce e disse: "Ciao! Ci porti due cappuccini?"
Annuii e mi voltai per preparare il caffè. Le due ripresero a chiacchierare e mentre si allontanavano da me le sentii chiaramente discutere a proposito di una tragedia riguardante qualcuno a loro molto caro.
"... Ti giuro che non riesco ancora a crederci" mormorò in tono sommesso una.
"Io non oso immaginare come debbano sentirsi gli altri. È stato davvero un fulmine a ciel sereno."
"Secondo te che cosa ne sarà della band adesso?"
"E chi lo sa? Di certo il tour salterà, non possono partire dopo quello che è successo."
Versai del latte nel bollilatte in acciaio e dopo aver posizionato la lancia del vapore sulla superficie bianca, girai la valvola e sovrastai il resto delle parole con l'inconfondibile rombo della macchina che lavorava per creare una schiuma di latte perfetta. Terminai di preparare i cappuccini e li portai alle due ragazze, che adesso si trovavano abbastanza lontane dal bancone.



26 gennaio 2015, 11:40 p.m.


Scesi in strada seguito dalle proteste dei miei amici. Avevo dovuto correre lungo le scale saltando gli scalini due a due: era un miracolo il fatto che non mi fossi spezzato l'osso del collo. Piombai sul marciapiede con il fiatone e tanta voglia di urlare. Faceva terribilmente freddo e per giunta io ero a piedi: quella sera era toccato a Liam il ruolo di autista, così la mia automobile era rimasta al sicuro tra le mura di casa.
Afferrai il telefono, anche se a dire il vero non ricordavo il numero da chiamare per prenotare una corsa in taxi: non ne avevo più avuto bisogno da quando ero diventato talmente famoso da potermi permettere ogni auto di lusso in vendita sul mercato.
"Va' al diavolo!" sbottai rivolto al cellulare; lo rimisi al suo posto in tasca e cominciai a camminare a passo spedito verso la fermata del bus più vicina. Purtroppo era quasi mezzanotte, le linee dei tram urbani non sarebbero state attive ancora a lungo. Ciò significava una sola cosa: dovevo fare in fretta.
Attraversai la strada e accelerai il passo. Infilai le mani nelle tasche della mia giacca scura e provai a non pensare al freddo tagliente che graffiava la mia pelle con rabbia. Sentii gli occhi lacrimare e sbattei le palpebre più e più volte.
Che cosa sto facendo? Perché non le sono stato vicino?
Eleanor con il suo pianto disperato tornava a tormentarmi. Sapevo di essere stato scorretto nei suoi confronti: lei era sempre stata una bravissima fidanzata, disposta ad aiutarmi nei momenti di crisi in cui il successo assomigliava più a un flagello che a una benedizione. E io l'avevo ripagata con tradimenti, bugie, arroganza e una buona dose d'indifferenza.
"... ti ho chiesto di non lasciarti distruggere da questa fama."
E io c'ero riuscito: mi ero davvero lasciato distruggere da quella stessa musica, da quegli stessi fan, da quegli stessi soldi, da quella stessa girandola di emozioni spinte al limite. Tutto e subito erano state le parole chiave della mia discesa negli inferi. Viaggi a non finire, notti insonni, ragazze, sorrisi forzati, telecamere puntate, copioni da recitare sempre uguali, flash accecanti negli occhi, microfoni costantemente addosso. Non mi ricordavo nemmeno quale fosse l'ultima volta che ero stato libero e spensierato.
Svoltai all'angolo di una via che non conoscevo, percorsi qualche metro a passo spedito e poi presi una via a sinistra. E infine lo vidi: il tram che si stava avvicinando alla fermata, ancora parecchio lontana da dove mi trovavo io.
"Louis, sparisci dalla mia vita. Ti prego!"
"Non posso farti questo, Eleanor. Non è la nostra fine" mormorai, mentre le mie gambe prendevano l'iniziativa e io cominciavo a correre come un fulmine.
Mi affrettai sul marciapiede, sbattendo contro i pochi passanti e ignorando l'aria fredda che filtrava attraverso i vestiti scomposti. Il tram si avvicinava sempre più, rischiavo di perderlo. Accelerai ancora il passo, non mancava molto prima delle strisce pedonali.



27 gennaio 2015, 12:06 a.m.


"Margaret, adesso puoi anche andare. Qui ci penso io."
Mi tirai su dalla pedana e guardai verso Katya, che reggeva tre bottiglie di acqua frizzante. Mi alzai in piedi e richiusi lo sportello del frigorifero che avevo appena riempito.
"È già mezzogiorno?" domandai, sorpresa.
Katya annuì e mi regalò uno dei suoi dolci sorrisi. Era una persona splendida, calma e pacifica: lavorare con lei non poteva che essere rilassante, oltre che estremamente piacevole.
"Vai pure a casa, ci vediamo più tardi" mi congedò, posando le bottiglie sul ripiano davanti a noi. "E se vedi tua zia, salutamela."
Slegai il nodo del mio grembiule e lo piegai ordinatamente. "Penso proprio di andare a trovarla in negozio."
Katya mise a posto le bottiglie e mi aggirò per tornare sul retro a prenderne altre. Mi salutò con un ultimo sorriso, dopodiché sparì dietro la porta della bottega dove tenevamo scorte, casse dell'acqua, lattine.
Infilai il mio grembiule in un cesto sotto la cassa e mi rimpossessai della borsa.
"Ciao, Chris! Ci vediamo oggi pomeriggio" salutai il mio capo.
Raggiunsi la porta del bar e tornai a respirare la fresca aria di quella gelida giornata londinese. Fortunatamente il negozio di mia zia non era troppo lontano da quella zona, così come non lo era il piccolo appartamento che condividevamo da circa quattro mesi, momento in cui io ero atterrata a Londra per la prima volta.
Montai sulla mia bicicletta e mi assicurai che la borsa a tracolla non scivolasse dalla spalla. Scesi dal marciapiede e m'immisi in strada superando le poche automobili parcheggiate di fronte al bar dove lavoravo.
Nonostante fossi una ritardataria nata con la testa tra le nuvole, nonostante avessi avuto ambizioni di ben altro genere, nonostante nelle mie vene non scorresse sangue britannico, nonostante avessi ancora pochi amici, io adoravo lavorare come cameriera in un anonimo bar di Londra. Quando ero partita da Torino, quattro mesi prima, non avevo avuto alcuna esitazione: tutto ciò che desideravo era mettere il maggior numero di chilometri di distanza tra me e i miei genitori. Ero stanca di sentirli sempre ripetere quali fossero i miei doveri, quanto fosse importante iscriversi all'università, come non potessi ignorare il mio futuro. La loro presenza si era fatta talmente invadente da spingermi a una decisione piuttosto drastica: partire per Londra e trasferirmi da zia Carola, donna bizzarra dalla passione per l'antiquariato e il vintage.
Superai un incrocio e segnalai la mia direzione allungando il braccio destro.
In verità io e mia zia Carola non avevamo mai avuto grandi rapporti. I miei genitori erano sempre stati contrari alle sue incursioni nella mia vita: zia Carola rappresentava tutto ciò che loro avevano tagliato fuori dalla nostra esistenza. Loro due erano così rigidi e interamente sacrificati al lavoro e al successo; lei era una sognatrice incallita. Lei collezionava strambi oggetti senza una reale utilità, li ammucchiava nelle strette stanze del suo appartamento e fabbricava berretti, sciarpe e ogni altro genere di prodotto da regalare ai senzatetto che affollavano le vie di Londra; loro, al contrario, diffidavano di chiunque non avesse un'ottima nomea in società. Per questo motivo, quando avevo annunciato la mia scelta di andare a stare da zia Carola, tutti si erano opposti con fermezza: l'ultima cosa che i miei genitori avrebbero desiderato era che io mi trasformassi nella copia di mia zia. Alla fine, però, io avevo vinto la disputa ed era stato con un gran sorriso dipinto in volto che avevo spiegato le mie intenzioni a zia Carola, la quale naturalmente si era felicitata della novità.
Intuile dire che la vita a Londra in compagnia di quella bizzarra donna dai gusti discutibili si era dimostrata decisamente migliore della precedente. Mi mancava Torino, mi mancavano gli amici lasciati per chissà quanto tempo e mi mancavano anche i miei genitori certe volte, ma zia Carola era una vera forza della natura: amava uscire la sera, trascorreva ore in giro per i parchi della città, si premurava di non farmi mancare nulla, mi accompagnava volentieri nei musei che sceglievo di visitare le domeniche pomeriggio. Con lei stavo bene e mi divertivo, sembravamo quasi sorelle.
Rallentai e svoltai a destra. Alzai gli occhi sull'insegna in legno del negozio di antiquariato che costituiva il singolare rifugio di zia Carola. Parcheggiai la bicicletta chiudendo il lucchetto e controllando come sempre che fosse ben assicurata al palo. Entrai nello stretto locale oscuro che mia zia aveva adibito a negozio: uno scampanellio acuto accompagnò il mio ingresso e vidi la proprietaria affacciarsi da dietro un paravento mezzo consumato, posto proprio dietro il bancone.
"Aspettavo proprio te, Margherita!" la sentii esclamare, mentre tornava a ripararsi da sguardi indiscreti dietro il pannello scuro.
Abbandonai la mia borsa su uno sgabello in vendita, intagliato in un legno particolarmente pregiato.
"Ciao, zia! Sei libera per pranzo?" domandai.
La vidi sbucare da dietro il paravento dopo pochi istanti. Si avvicinò al bancone e poggiò il palmo della mano destra sulla superficie marrone; nella sinistra reggeva stretto un libro piuttosto spesso dalla copertina tagliata, come se qualcuno avesse provato a scalfirlo con violenza.
"Ho trovato un libro molto interessante" mi annunciò, ignorando la mia domanda.
Con la testa indicai il tomo che teneva in mano. "Intendi quello?"
Lei lo guardò di sfuggita e annuì. "È un manuale di stregoneria risalente al Settecento. Questa mattina l'avevo portato in negozio per controllarne lo stato prima di metterlo in vendita, ma mi sono lasciata distrarre dalle sue formule."
Ridacchiai e scossi il capo: era tipico di mia zia credere a certe cose. "E che cosa avresti scoperto che già non sai?" la stuzzicai.
Zia Carola, però, sembrava più seria del solito: mi puntò i suoi grandi occhi azzurri addosso e non mutò l'espressione riflessiva che aveva assunto da quando ero entrata.
"Ho percepito una strana sensazione mentre leggevo."
Annuii un'altra volta e mi accomodai su di una grossa sedia a dondolo dallo schienale intarsiato di filamenti dorati.
"Che tipo di sensazione?" indagai; in fondo mi piaceva ascoltare zia Carola quando raccontava delle sue visioni, dei suoi presentimenti o più semplicemente delle sue misteriose scoperte.
Lei poggiò il libro sul bancone e ne fissò a lungo la copertina rovinata. "Ho sentito come se ci fosse qualcosa in agguato... Era una sensazione così confusa e vaga!"
"E questo qualcosa avrebbe a che fare con te?" volli sapere.
Lei tirò su il capo e mi scrutò con aria assorta. "No, con te, Margherita."
Spalancai gli occhi, colpita. "Con me? Ne sei sicura?"
Mia zia annuì ripetutamente e accarezzò con una mano la copertina del misterioso libro che avrebbe dovuto mettere in vendita.
"Ho letto alcune pagine riguardanti il percorso delle anime tormentate nel limbo che separa il nostro mondo da quello dei morti" ricominciò a parlare. "E a un certo punto mi sono sentita pervadere da un sentimento di empatia, quasi come se uno spirito fosse stato davvero lì vicino a me durante la lettura."
"Mmh..." mormorai, incuriosita.
"Poi però ho continuato a leggere e quando ho alzato gli occhi dalle pagine, la prima cosa che ho visto è stata una tua fotografia."
"Una mia fotografia?" ripetei, sempre più perplessa.
"Sì, una tua fotografia che normalmente tengo su quello scaffale lassù", e zia Carola allungò un braccio indicando con l'indice una credenza abbastanza in alto che si affacciava sul piccolo corridoio diretto verso il retro del negozio. "E quando ho alzato la testa, la tua fotografia era davanti a me quaggiù", e questa volta puntò una mensola all'altezza dei suoi fianchi, di fronte all'apertura del paravento dietro il quale si era rifugiata poco prima.
"Zia, forse hai semplicemente bisogno di mettere qualcosa sotto i denti, non credi?" ironizzai, convinta che dovesse esserci una spiegazione logica alla questione della foto; forse era stata opera sua ma l'aveva dimenticato, o magari l'immagine era scivolata più in basso per via del continuo spostamento d'aria nel corridoio.
Zia Carola sbuffò e lanciò un'ultima occhiata enigmatica al nuovo libro. Lo prese e lo nascose in uno dei ripiani sotto il bancone, poi tornò a guardare nella mia direzione e sorrise, dissimulando la tensione di poco prima.
"Dove hai intenzione di portarmi oggi?" domandò.



26 gennaio 2015, 11:47 p.m.


Accadde tutto in un flash poco nitido. Accelerai il passo fino a raggiungere il limite: non avrei potuto correre più veloce di così. Socchiusi le palpebre per un istante e mi lanciai in avanti sulle strisce pedonali, ma qualcosa s'intromise in quel quadretto: un impatto, tutto si fece scuro all'improvviso e l'aria fredda smise di schiaffeggiarmi con foga. Non sentii nulla al di fuori di una superficie dura e gelida contro cui sbattei violentemente. Il dolore arrivò in seguito, quando fui finalmente fermo: lo sentii partire da più zone del mio corpo per poi diramarsi ovunque, in ogni singola particella di quello che ne restava di Louis Tomlinson.
Eleanor..., pensai con rammarico.
Cercai di restare sveglio, di aggrapparmi alle ultime percezioni lontane che mi rimanevano: il vento freddo, il dolore lancinante all'altezza dello stomaco e del ginocchio destro, la disperazione stretta nel mio cuore come un dono a lungo agognato.
Ma a poco servirono tutti quegli sforzi: mentre sentivo l'eco di voci lontane arrivare a me e alle mie orecchie, gli occhi si chiusero lentamente quasi come se avessero preso quella decisione da soli. Boccheggiai, cercando di continuare a respirare, ma il risultato fu solo un debole tossire e sputare quello che aveva tutto il sapore di sangue.





Buona sera, lettrice capitata - per caso o meno - su questa storia! :)
Non so perché l'abbia fatto, ma ho deciso di gettarmi su ben DUE fanfiction, quindi in contemporanea alla pubblicazione di Along Came Summer, mi diletterò con questa nuova storia dal gusto molto noir, viste le premesse.
Okay, dalla trama si capisce più o meno il finale di questo primo capitolo, e spero che una morte non vi sconvolga troppo nel profondo. Questa storia era in cantiere già anni fa, quando avevo appena fatto l'iscrizione al sito, ma poi per motivi che ora non ricordo, non ci ho mai combinato niente. E adesso è rispuntata dai meandri del mio pc per portare un po' di iella al caro Louis Tomlinson, personaggio che oltretutto io non ho mai usato come protagonista assoluto di una fanfiction (dopo aver speso fiumi di parole per Harry e Zayn, ora tocca anche a lui...). Quindi, benvenuta novità!
Ora saluto tutti e chiudo questo imbarazzante, primo angolo autrice. Grazie a chiunque leggerà e vorrà farmi sapere la propria opinione,



Martina
   
 
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